Gli eroi si ricordano, i miti non muoiono mai.
(dal film L’uomo dei sogni)
Ad Alan, in memoria
- Sono pronto per andare a
dormire signore – il bambino lo stava fissando a un paio di metri dalla
poltrona su cui si era seduto a bere il solito whisky. Ma il bicchiere era
ancora pieno sul vecchio tavolino tondo di legno scuro: l’uomo aveva
abbandonato la testa all’indietro sul velluto ormai un po’ logoro. E aveva
chiuso gli occhi per qualche tempo, benché riuscisse comunque a scorgere la
danza del fuoco attraverso le palpebre. Erano le otto passate, avevano cenato,
e Severus aspettava il momento in cui Potter sarebbe andato a letto per
ritrovare un po’ della sua vecchia solitudine. Stavolta però si era lasciato
cogliere da troppi pensieri: un tranello in cui gli capitava talvolta di
cadere, e lui rimaneva lì, a crogiolarsi fra ricordi e dolore. Il piccolo lo colse
di sorpresa. Si mise ritto e boccheggiò un attimo prima di aprire bocca:
- Ha lavato i denti? – Un cenno affermativo della testa.
- Preparato le cose per
domattina? -
- Domani non ho scuola. –
Ancora un black out nella testa
del professore di pozioni. Perché Potter non aveva scuola l’indomani? Il
piccolo lo guardava con un’aria talmente innocente che Severus non riuscì a
fare la sua faccia peggiore e soffocò ogni accenno di nervosismo. Provò a mettere
in moto tutta la rete neurale in cerca del ricordo che gli mancava. Nulla.
Vuoto totale. Era uno di quei giorni in cui il mattino veniva raggiunto
velocemente dalla sera e non si accorgeva nemmeno di aver vissuto un’altra
giornata della sua insulsa vita. Quei giorni che iniziavano pesantemente: a lui
capitava spesso e aveva smesso di contarli. Si alzava con un senso di vuoto che
lo faceva quasi barcollare. Perché? Se c’era un senso nel suo macinare le ore
che lo separavano dalla notte era unicamente quello dell’inerzia, o del senso
del dovere. Ma una vita vissuta così è davvero un fardello senza senso.
Il bambino con gli occhi verdi
era ancora lì, nel suo pigiama un po’ grande e con i denti lavati. Aspettava la
buonanotte dell’insegnante per dirigersi nella propria stanza ma capiva che il
signore che vestiva sempre di nero e che si chiamava Severus era
particolarmente triste quella sera, più di tante altre sere. A dire il vero, da
quando viveva lì, non aveva mai visto il signor Severus ridere. Forse non ne
era capace. O forse qualcuno gli aveva rubato il sorriso. Si può rubare una
cosa del genere? Harry era convinto di sì. Forse gli avevano fatto quella cosa
là… l’”incantamento”… non era sicuro si chiamasse così ma in quel posto
succedevano cose strane a volte, e a lui gli “incantamenti” lo facevano restare
con la bocca a forma di O anche se sapeva che era maleducazione. Zia Petunia
gliel’avrebbe chiusa con uno schiaffo. Ma il signor Severus finora non l’aveva
mai fatto. Non lo picchiava. Lo sgridava un po’. Del resto lui sapeva di essere
un bambino pasticcione. Quindi se lo meritava. A dire il vero il signor Severus
poi sembrava anche dispiaciuto. O almeno gli pareva. Gli adulti sono proprio
persone difficili da capire. Però da quando lo avevano portato in quella nuova
casa lui non stava male, e a pensarci bene preferiva restare lì con
quell’adulto arcigno che rideva poco piuttosto che tornare dagli zii che non sapevi
mai di che umore sarebbero stati.
Il pozionista intanto cercava
inutilmente il ricordo mancante e alla fine si arrese. Non gli toccava che
chiedere direttamente all’interessato.
- Mi spiace signor Potter ma non
ricordo il motivo perché domani non dovrebbe andare a scuola. Può aiutarmi per
cortesia? –
- La scuola è chiusa signore. Ci
sono gli insetti. –
Giusto, gli insetti. Scarafaggi.
La scuola era infestata dagli scarafaggi. Quegli idioti di babbani. Per
problemi del genere chiudere una scuola quando sarebbe bastato un colpo di
bacchetta. Realizzò in quel momento la vera gravità della cosa: con Potter a
casa tutto il giorno come si sarebbe organizzato? In un primo momento pensò di
ricorrere ai Weasley: avrebbe spedito lì il marmocchio sicuro che Molly non
avrebbe rifiutato le sue cure al Bambino-che-era-sopravvissuto. Sembrava che
Harry avesse legato con il suo coetaneo Ronald, il che facilitava ulteriormente
le cose. Ma si rammentò subito di una concomitanza sfavorevole: i Weasley non
sarebbero stati a casa in quei giorni. L’intera famiglia era in partenza per il
Donegal, per una riunione di famiglia in grande stile. Un matrimonio, gli era
sembrato di capire. Inorridì al pensiero di uno sciame di teste rosse in
convito per celebrare una unione e pertanto una futura nuova progenie. Quella
famiglia sembrava avere la capacità di moltiplicarsi in modo raccapricciante. Tornò
subito al pensiero più urgente: poteva lasciare il bambino tutto il giorno con
gli elfi domestici. L’idea gli sembrò fattibile. Quindi decise di congedare il
suo ospite. – Domani signor Potter rimarrà chiuso qui tutto il giorno. Io devo
lavorare. E lei non può uscire. Per questioni di sicurezza. – Il piccolo non
fece obiezioni ma gli parve di scorgere un po’ di delusione nello sguardo. Lo
osservò lasciare educatamente la stanza dopo aver detto “certo signore. Come
vuole signore”. Sembrava quasi un soldatino. Ma Severus non provò soddisfazione
in quella cieca obbedienza. Era la prima volta che gli capitava. Lui amava la
cieca obbedienza. Rendeva le cose più facili. Ma sapeva bene cosa lo tradiva
questa volta. Avrebbe dovuto far girare il bambino per casa con una benda sugli
occhi. Non era obiettivo quando incrociava quello sguardo. E Potter non
facilitava le cose perché sovente lo scopriva fissarlo: probabilmente lo stava
studiando visto che potevano ancora considerarsi degli estranei. Bevve un sorso di whisky tornando al cruccio
primario. Ricacciò in fondo alla sua lacera coscienza il senso di rimorso che
stava già facendo capolino. Cos’altro avrebbe potuto fare del resto? Rimanere a
casa l’indomani e perdere un giorno di lezioni? E poi cosa avrebbe fatto tutto
il santo giorno da solo con il moccioso? Giocare? Scartò l’idea inorridito.
Dialogare? E di cosa? Dare lezioni di magia? A un bambino di sette anni per
giunta cresciuto senza il minimo sentore dell’esistenza del mondo magico? Mandò
giù un altro po’ di whisky. Avrebbe agito come da programma. Potter sarebbe
rimasto chiuso in casa a far compagnia agli elfi. Nessuna variabile a
scardinare la routine.
Rimase in piedi ancora un paio
d’ore per studiare alcune pozioni commissionategli dal Ministero e poi si
diresse verso la camera da letto. Indugiò un attimo davanti alla camera di
Harry. Ed entrò. Il piccolo mago dormiva apparentemente tranquillo con l’orso George
al suo fianco. Il professore diede una veloce occhiata alla stanza constatando
che era tutto in ordine. Se la cosa gli faceva piacere per certi aspetti, per
altri gli ricordava quanto Potter avesse faticato a fare suo quello spazio.
C’erano ancora diffidenza e meraviglia verso tutto ciò che a un bambino
cresciuto in condizioni normali sarebbe apparso come naturale o scontato.
Scontato come un letto. Il piccolo chiedeva permesso per tutto, aveva paura di
dire o fare sempre troppo o troppo poco, usava la sua stanza ma non la viveva.
Come fosse un ospite indesiderato. In effetti lo era. Cioè lo era stato. Ora
era più tollerabile, certo, benché rimanesse un impegno di cui Severus avrebbe
fatto volentieri ma meno. Riposò di
nuovo lo sguardo sul fagotto rannicchiato sotto le coperte e si accorse solo
allora che George aveva addosso una mascherina nera. Da dove saltava fuori
quella maschera? E da quando George era diventato l’orsetto mascherato? Sì
sentì stranamente preso in contropiede e scoprì che non gli piaceva. Il bambino
non gli raccontava tutto o lui non era stato un tutore attento. Percepì una
fitta di fastidio. Si giustificò all’istante pensando che probabilmente era
nato tutto durante un banalissimo gioco fra bambini a scuola, niente di così
notevole da essere riferito. Di sicuro anche Ron Weasley non raccontava tutto a
sua madre una volta tornato a casa. Per Salazar! Si era appena paragonato a
Molly Weasley. E peggio ancora, a una madre. Maledisse mentalmente Silente per
tutta quella situazione e guadagnò il suo letto. Ma non sarebbe stata una notte
tranquilla. Almeno non per lui. Silente invece, ne era sicuro, avrebbe dormito
come un bambino dopo una poppata. Lo maledisse mentalmente una seconda volta.
Venne l’alba e con essa una giornata
tiepida e gradevole. Dalle alte finestre del sotterraneo si intravedeva il sole
e benché a Severus poco importasse solitamente delle condizioni atmosferiche si
sentì inspiegabilmente lieto. Fece per svegliare Harry ma decise di lasciarlo a
letto ancora un po’: non aveva senso dargli la sveglia tanto presto. Ma il
piccolo era già in piedi. Vestito. E discretamente pettinato.
- Signor Potter c’è forse un
qualche particolare motivo per cui lei sembra pronto per andare a scuola quando
oggi dovrebbe stare a casa? –
- La colazione signore. E’ alle
sette e quindici minuti e non si deve fare tardi. – Severus dovette assumere uno sguardo
piuttosto sconcertato perché il bambino si sentì subito in dovere di dare
spiegazioni.
- E’ una regola signore. Nessun
ritardo è consentito se non per gravi e giustificati motivi. – Severus si
rammentò di quelle parole pronunciate nei primi giorni di convivenza. Potter
aveva una memoria formidabile. Ma nemmeno questa volta si sentì compiaciuto. C’era
qualcosa che stonava davvero in tanta condiscendenza .
- Potter la colazione è alle 7 e
un quarto quando deve recarsi a scuola. Non prende forse la colazione alle 8 e
30 il fine settimana? –
Il piccolo sembrò pensarci su un
attimo poi annuì ma non sembrava convinto.
- Signor Potter cos’è che non
capisce? –
- Ho capito signore. Quello che
lei dice va sempre eseguito. –
- Non è affatto così Potter
maledizione, un po’ di senso critico! – L’unico risultato fu vedere il bambino
sbiancare: aveva alzato la voce e per esprimere un concetto che sicuramente il giovane
Potter non avrebbe potuto comprendere. Tentò di assumere subito un tono più
neutro.
- Non sono arrabbiato con lei.
Intendevo solo dire che le regole è giusto rispettarle ma che ci sono
situazioni in cui si può agire diversamente. –
- Quando è signore che si può
agire diversamente? E se poi lei mi punisce perché non si poteva? –
Era un terreno difficile.
Spiegare a un bambino, a cui non era stata insegnata la differenza tra cosa è
bene e cosa non lo è, che esistono una coscienza e una intelligenza in grado il
più delle volte di orientare le proprie scelte era una palude piena di sabbie
mobili in cui destreggiarsi significava possedere molto acume e soprattutto
buon senso. Non che il pozionista ritenesse di non averne ma si rese conto che
il lavoro da fare avrebbe richiesto tempo e pazienza. A meno che non avesse
lasciato il moccioso nello stato di semilarva in cui glielo avevano consegnato.
Ma sapeva in cuor suo che non avrebbe mai potuto agire così meschinamente.
- Ogniqualvolta se ne presenterà
l’occasione signor Potter cercherò di farle capire come è meglio agire di
fronte ad una regola. Visto che comunque è già pronto facciamo colazione. Poi
le assegnerò dei compiti da fare durante la mattinata. –
Il pasto fu silenzioso ma Severus
sentiva come al solito gli occhi del figlio di Lily su di sé. Si spazientì un
poco. Pensò quindi di fare almeno un minimo di conversazione per tagliare
l’aria. Disse la prima cosa che gli venne in mente.
- Ho notato che il suo orso porta
una maschera signor Potter. Potrei conoscerne il motivo? – La domanda era
alquanto stupida, se ne rendeva conto. Cosa gli importava in fondo di saperlo.
O forse, inconsciamente, voleva saperlo davvero? Si accorse però che la domanda
aveva messo il suo ospite in difficoltà: era arrossito questa volta, e aveva
gli occhi sbarrati, come chi viene colto con le mani nel barattolo della
marmellata. La cosa stuzzicò Severus ulteriormente: invece che cambiare discorso incalzò con la
questione .
- Sembra che l’argomento la
imbarazzi. Ma a questo punto poco importa. Ora sono davvero curioso Potter. Che
ci fa il suo orso con quella maschera nera? – Era crudele, se ne rendeva conto,
ma era più forte di lui. Il bambino arrossì ancora di più. Poi si decise a
parlare.
- Questa è una di quelle volte in
cui posso fare diverso dalle regole? –
- Si dice “diversamente”…. e no,
questa è una delle volte in cui deve ubbidire e rispondere. – Non era corretto,
non lo era affatto. Stava abusando psicologicamente su un bambino indifeso. Non
era crudele, era davvero infame. Se ne pentì. Stava per aprire bocca per dire a
Potter che non era obbligato a rispondere quando Potter lo anticipò.
- E’ Zorro signore. –
Zorro? E chi diamine era Zorro? Qualcosa
di babbano di sicuro con un nome tanto idiota. Provò a frugare fra i suoi
ricordi d’infanzia ma non gli venne in mente nulla.
- Zorro…. è davvero il nome di un
orso o di che altro Potter? – Harry non capì la domanda perché mantenne sul suo
tutore uno sguardo interrogativo.
- Mi sa dire chi è realmente
Zorro, Potter? – Ancora silenzio.
- Non è un interrogatorio. Mi
interessa davvero. Io non so chi sia Zorro…. – la sua domanda non era frutto di
scherno questa volta. Anche il tono era molto colloquiale, cosa che incoraggiò il
piccolo a rispondere.
- Zorro è un signore con una
maschera nera, un mantello nero e tutto vestito di nero. E ha anche un cavallo nero
che si chiama Tornado, e un nascondiglio segreto. E ha un servitore che lo
aiuta ma che non parla e mi fa morir dal ridere…–
- E cosa fa questo Zorro di
speciale?
- Lui salva quelli che sono in pericolo
o in prigione anche se non c’entrano niente. Lui li libera sempre. Fa così e
così con la spada – e con sempre maggior fervore imitò il suo eroe,
dimenticando ogni pudore.
-
I soldati lo vogliono catturare
ma non ci riescono mai. Perché secondo me non sono tanto furbi. Loro non hanno
mica capito che Zorro è il signor Diego… ma come si fa a non capirlo dico io…
sono uguali solo che uno ha la maschera e uno no! – il bambino rise volentieri.
Nessuno rideva mai in quelle stanze. Suonò strano, ma piacevole.
- Invece Zorro è furbo e veloce e
coraggioso. Combatte contro 5 soldati in un colpo solo! Anzi anche contro 15
soldati qualche volta! –
Bene, un eroe… ogni bambino ha
bisogno del suo eroe in fondo… solitamente è il padre. Cacciò l’idea di James
Potter in veste di eroe. Con una maschera nera sulla faccia per di più. Si
innescarono nella mente del professore una serie di associazioni di idee che
inevitabilmente lo avrebbero portato sui luoghi dolorosi del passato. Pensò di
interrompere la conversazione ma si rese conto che era la prima volta che il
moccioso metteva in fila tante parole di seguito. E tutto grazie a questo favoloso
Zorro. Severus decise che era meglio assecondarlo.
- Chi le ha parlato di Zorro?
L’insegnante? -
Il bambino scosse vistosamente la
testa.
- Oh no signor Severus. I miei
compagni hanno l’album delle figurine. E’ bellissimo… e poi lo fanno anche alla
tv. Mi piacerebbe tanto….- A questo punto l’entusiasmo venne meno e con esso le
parole. Il Pozionista se ne avvide.
- E… Potter?! Non vuole finire il
discorso? – Harry aveva abbassato gli occhi sulla sua colazione adesso.
- Gradirei sapere adesso perché
si è azzittito.-
- Non….. non posso dirglielo
signore. –
Piton studiò attentamente il
bambino. Era certo che stesse tremando leggermente. Qualcosa sembrava
spaventarlo. Ebbe un’intuizione.
- Potter mi stava dicendo forse
che le piacerebbe avere un album delle figurine o una televisione per vedere
Zorro? - il piccolo attese un attimo, si
accartocciò ancora più su sé stesso.
- Potter risponda per cortesia. –
Harry annuì senza sollevare lo sguardo.
- Crede che sia una cosa di cui
vergognarsi o avere paura? –
- Non era permesso chiedere nulla signore. Zio
Vernon diceva che non me lo meritavo e quindi non dovevo nemmeno chiedere
signore. –
- Cos’è che non meritava Potter.
–
- Le cose… avere le cose come
Dudley. –
- Erano delle cose particolari
quelle che non poteva chiedere? –
- Qualsiasi cosa signore. Io non
ero bravo. Ma ci provavo a fare il bravo. Solo che non ci riuscivo. –
La colazione gli restò indigesta.
Era intollerabile che un bambino venisse tormentato a quel modo. Rivide per un
attimo Tobias sfilarsi la cinghia dei pantaloni mentre sua madre implorava
inutilmente di non punirlo. Lasciò che Harry terminasse in silenzio il suo
pasto. Si alzò da tavola e si diresse nel suo studio. Era quasi ora di salire
per la prima lezione ma i suoi precedenti propositi stavano vacillando. La
conversazione con il bambino lo aveva indisposto e turbato. Prese l’uscio e si
diresse da Silente.
Quando rientrò nel suo
appartamento, dopo circa 20 minuti, trovò Harry seduto sulla poltrona che gli
aveva assegnato nei primi giorni di convivenza. Stava evidentemente aspettando
di sapere cosa fare.
- Potter prenda la giacca.
Usciamo. -
- Signore ma mi aveva detto che sarei stato qui
a fare delle faccende. –
- Ho cambiato idea. Andiamo a
Londra. – Harry deglutì vistosamente. Aveva proprio detto così? Il signor
Severus lo portava a fare una passeggiata? Non era mai accaduto prima. Oddio…
non è che lo voleva lasciare là da qualche parte vero? Hogwarts gli piaceva,
non voleva andarsene. I primi giorni si era sentito un po’ fuori posto lì ma
adesso non più. Gli piaceva, gli piaceva tanto stare lì. Il Signor Severus non
lo voleva più? Lo sapeva che non doveva nemmeno iniziarlo quel discorso… Zorro
era un segreto, doveva stare zitto… Lo aveva sgridato. Quel discorso sulle
regole, non lo aveva proprio capito. Sentì il panico stringergli forte la pancia
ma non osò farne parola. Mise la giacca e attese il suo tutore.
Severus si aggiustò un attimo il
bavero della giacca davanti allo specchio. Aveva notato il disagio del bambino.
Era difficile saper scegliere cosa fare con lui. Aveva già organizzato quella
giornata ma adesso i programmi erano cambiati. Due parole con il Preside per
assicurarsi che le sue ore in aula venissero coperte, altre due parole di
sommaria spiegazione a cui sapeva avrebbero dovuto seguirne presto altre più
esaurienti. In cuor suo sapeva che le priorità nella sua vita erano ormai
cambiate: tutto stava adesso nel capire cosa fosse meglio per il figlio di
Lily. Stava venendo alla luce un mondo di sofferenza a cui non era preparato.
Dopo l’ultima involontaria confessione del moccioso non se l’era più sentita di
lasciarlo solo con gli elfi per più di mezza giornata. Al bambino servivano
stimoli positivi. Gli elfi non gli sarebbero stati di molto aiuto in questo
senso. Non gli piaceva l’idea di uscire in città con lui, era pur sempre il bambino-che-era-sopravvissuto
e lui un ex mangiamorte. Sebbene l’identità di Harry fosse al sicuro doveva
prendere le giuste precauzioni. Si riguardò allo specchio. Poteva sembrare un
londinese qualunque con un bambino qualunque. Ma non aveva abbandonato il suo
colore. Look informale benché rigorosamente total black.
Raggiunse Harry: per lasciare
Hogwarts scelse una passaporta che li avrebbe portati nei pressi dei Kensington
Gardens. La loro giornata sarebbe partita da lì.
- Si aggrappi a me Potter. –
Sentì la mano del piccolo stringere forte la sua manica, poi, dopo qualche
istante, il mondo divenne verde. Severus
strizzò gli occhi, il sole era delizioso e i colori vividi. Harry era pallido,
barcollò un pochino così Severus lo fece sedere su una panchina affinché si
riprendesse dagli effetti del trasferimento. Sigillò per bene la passaporta, il
tronco cavo di un albero secolare. Solo pochi membri dell’Ordine ne conoscevano
la posizione. Dopodichè invitò Harry a seguirlo.
-
Dove andiamo signore? – Harry continuava a celare la sua ansia.
- Per adesso a prendere un po’ di
aria. E a dar da mangiare agli scoiattoli. Poi prenderemo una fetta di torta
sotto quel gazebo.- Il bambino lo guardò
da sotto in su con stupore. Aveva quel naso prominente che non ispirava simpatia
e gli occhi neri come se gli avessero rovesciato dentro una boccetta di inchiostro.
E una voce profonda, che sembrava provenire dal fondo di un pozzo. Non riusciva
a capire se era buono ma era certo però che non fosse cattivo. Forse non lo
voleva abbandonare… voleva davvero fare una passeggiata e mangiare una fetta di
torta. Sentì che il mal di pancia se ne stava andando e ne fu sollevato.
Iniziava già ad avere una certa acquolina ma non osò far premura all’uomo. Si
incamminarono nel parco. Severus taceva: senza darlo a vedere stava
controllando attentamente l’ambiente. Gli parve tranquillo: c’era parecchia
gente, madri con bambini, qualche vecchio, coppie di fidanzati e alcuni giovani
che correvano in abbigliamento sportivo. Nulla che potesse costituire pericolo.
Allentò quindi l’attenzione e si rilassò. Sedettero sul prato sotto un albero e rimasero lì in silenzio per un po’. Harry
ogni tanto lanciava un’occhiata di traverso al suo tutore. Aveva voglia di fare
una corsa ma ancora una volta non osava chiederlo. Finché Severus non lo
anticipò.
- Scommetto che le piacerebbe fare
due salti Potter. E giocare un po’ con quei bambini laggiù…sembra che le scuole
cittadine abbiano avuto tutte seri problemi con gli scarafaggi oggi…. Non
risponde? –
- Sì signore, mi piacerebbe. –
- Potter sia chiaro. Se c’è
qualcosa che desidera fare o avere me lo chieda. Starà poi a me decidere se la
sua sia una domanda appropriata e dare l’appropriata risposta. Avanti, vada a
giocare. –
- Grazie signore. – Harry si alzò
e raggiunse il gruppo di bambini che stavano armeggiando con un aquilone. Non
gli sembrava vero, quella giornata stava prendendo una bella piega. Anche se il
signor Severus era tanto serio la sua vita era certamente più bella di prima.
Gli adulti sono proprio strani a volte. La zia Petunia parlava tanto e rideva
tanto ma con lei non era felice.
Severus lo lasciò sfogare per un
po’. Lo osservava. Era più piccolo degli altri, ma aveva una voglia scandalosa
di vivere e lui gli stava regalando una giornata come mai ne aveva avute prima.
Si accorse allora di un venditore di aquiloni. I babbani erano bravi ad intuire
il business: in una giornata del genere, col venticello costante, quell’uomo
avrebbe guadagnato almeno una cena. E abbondante pure. Gli fece cenno di avvicinarsi
e scelse un aquilone: non se ne intendeva molto ma pensò che ad Harry sarebbe
poco importato la forma o il colore. Ricevere un regalo e senza che ci fosse
una particolare ricorrenza sarebbe stato sufficiente. E infatti così fu. Quando
raggiunse il bambino e gli consegnò l’aquilone Harry faticò a capire che era
per lui.
- E’ davvero mio? Lo devo
restituire dopo? –
- E’ suo Potter. Lo può tenere. Cerchi
solo di non romperlo. –
- Ma non è il mio compleanno… -
- Lo so. Se ha bisogno di un
motivo Potter allora mettiamola così: è un premio perché a scuola sta ottenendo
buoni risultati. - Il piccolo continuava
a guardare prima l’aquilone e poi il suo uomo in nero. Alternativamente. Aveva
anche il respiro leggermente alterato per l’emozione. La sua espressione di
sorpresa era impagabile.
- Grazie signore… però… però io
non lo so usare.-
A quello non aveva pensato. Gli
era talmente venuto spontaneo acquistarlo che non aveva considerato che quel
miserabile di Vernon non lo aveva mai portato al parco a far volare un
aquilone. A dire il vero però nemmeno lui sapeva come fare. E non poteva certo
lasciare lì il moccioso con l’aquilone a terra. Tanto valeva averglielo
regalato. Si stava complicando la vita. Ma perché doveva complicarsela? Lui era
un mago, avrebbe usato la magia per far volare quel coso. Senza essere visto
estrasse la bacchetta e incantò l’aquilone che iniziò a sollevarsi sotto gli
occhi estasiati di Harry e di quelli invidiosi di qualche bambino in difficoltà
a far decollare il proprio.
- Ha fatto una magia signore? – Harry
lo sussurrò come fosse complice di un segreto.
- Può darsi Potter. Adesso tenga
ben stretto il filo se no lo perderà. –
Harry iniziò a correre col suo
aquilone incantato e presto fu seguito da altri bambini. Piton tornò al suo
punto di osservazione: sentiva una certa soddisfazione in quello che aveva
fatto e la cosa gli creò un senso di disagio. Non stava iniziando a prendere
troppo sul serio il suo ruolo? No, se avesse preso troppo sul serio il suo
ruolo adesso sarebbe stato insieme ad Harry a far volare quel maledetto
aquilone. Come gli altri genitori, zii,
nonni e parenti vari lì presenti.
Ritrovò il suo equilibrio e tornò a rilassarsi sotto l’albero.
Richiamò Potter quando decise che
era il momento di mangiare la famosa fetta di torta. Fece atterrare l’aquilone
ed Harry lo raggiunse subito col regalo che strisciava nell’erba come fosse un
serpente addomesticato. Era arrossato dal sole e dalle corse. Al pozionista
sembrò in piena salute per la prima volta da quando era arrivato ad Hogwarts. Gli
occhiali gli erano caduti in avanti e istintivamente allungò una mano per
sistemarglieli sul naso. La reazione del piccolo lasciò il pozionista sgomento. Harry si ritrasse di
scatto facendosi scudo con le braccia. Un gesto di autodifesa che la diceva
lunga sulla sua precedente vita in famiglia.
-Non era mia intenzione colpirla Potter.
Volevo solo aggiustarle gli occhiali. – attese qualche attimo, vide che il
bambino si manteneva sulla difensiva.
- Usavano darle ceffoni? Può dirmelo,
loro non lo sapranno. -
Harry annuì.
- Succedeva di frequente? -
Annuì di nuovo.
- Per quali motivi? -
- Perché… perché parlavo quando
non ero interrogato. O facevo qualcosa che non andava bene. Ero maleducato.-
Il primo pensiero fu quello di schiantare
i Dursley. Ma come avevano potuto, come aveva potuto Petunia trattare così il
figlio di sua sorella! Era più meschina di quanto avesse sempre pensato. E il
lavoro da fare con quel bambino sempre più difficile. Senza fare commenti o
ulteriori domande si alzò in piedi.
- Forza Potter, la giornata è
ancora lunga. -
Dopo un giro alla toilette per
darsi una sistemata finalmente si sedettero al gazebo. Scelsero una fetta di
Victoria cake. Severus si permetteva raramente simili dolcezze, e si sorprese a
gustarle con piacere.
- Dove andiamo ora signore?
torniamo a casa? – la paura di essere lasciato lì, da qualche parte, era ricomparsa.
- Lei ha voglia di rientrare? –
Il signor Severus gli faceva un
sacco di domande ma lui non era mai sicuro di quale risposta dare. Tentennò.
- Potter se è stanco torniamo ad
Hogwarts altrimenti proseguiamo con la nostra passeggiata. Allora?
– Non sono stanco signore. –
- Molto bene. Mi segua. – Il
piccolo si accostò al suo tutore e i due presero per Brompton Street. Si
fermarono improvvisamente davanti ad una libreria e Severus entrò. Harry lo
seguì e una volta entrato spalancò gli occhi. Quel posto era pieno zeppo di
libri. Ce n’erano ovunque, su scaffali di legno altissimi e in pile posate a
terra. Non era molto illuminato ma sembrava molto confortevole. Il signore che ci lavorava era un po’ vecchio
e rotondo, portava gli occhiali sulla punta del naso e sotto uno spazzolino di
baffi bianchi. Indossava una camicia chiara sotto un gilèt grigio e aveva un
curioso orologio che usciva dal taschino. Provò una simpatia immediata. Piton
andò da lui, gli disse qualcosa che Harry non capì e poi l’omino sparì su di
una scala che portava ad un ballatoio.
- Approfitti dell’occasione
Potter, gironzoli un po’ fra tutto questo ben di Dio… non potrà mettere piede
nella biblioteca ad Hogwarts ancora per qualche anno. Sempre poi che non
preferirà il quidditch, come temo succederà. –
- Cos’è il quidditch signore? –
- Il gioco più stupido del mondo,
che malauguratamente è anche lo sport ufficiale della nostra scuola. – Il
vecchietto stava scendendo le scale, si sentiva lo scricchiolio. Ricomparve con
un’espressione soddisfatta dipinta sulla faccia.
- Eccolo qua. – E porse a Severus
un libro. – E’ ancora il preferito dei bambini eh? –
Il pozionista prese il libro e
subito lo mise fra le mani del piccolo.
- Ecco il suo Zorro, Potter. Non
potrà collezionare le figurine ma almeno può leggerne la storia. -
Il piccolo era senza respiro. Il
signor Severus gli aveva fatto un altro regalo, il secondo in poche ore, e gli
aveva regalato un libro con le figure e la storia di Zorro. Gli tremavano
perfino le mani.
- Anche questo posso tenerlo?
Come l’aquilone? –
- Lo terrà e lo leggerà, come
esercizio. Visto che non so nulla di Zorro mi leggerà una pagina al giorno. –
Rimasero in libreria ancora un po’, Severus acquistò alcuni vecchi libri
babbani che lo avevano incuriosito mentre Harry, seduto su uno sgabello, aveva
già immerso il naso nel suo prezioso volume. Zorro era davvero forte. Lui
avrebbe voluto conoscerlo. Chissà se un giorno sarebbe successo. Si sentiva le
formiche in pancia per l’emozione. Una giornata così piena di belle sorprese e
formicolii non gli era mai capitata. Pregò che gli insetti non se ne andassero
dalla scuola così, forse, il Signor Severus lo avrebbe portato a passeggio di
nuovo.
Una volta fuori dalla libreria Piton
meditò il da farsi. Avrebbe potuto tornare ad Hogwarts, il moccioso aveva già
avuto di ché svagarsi e c’era da preparare la lezione per il giorno successivo.
Già, la lezione. Stava terminando le scorte di ingrediente base e spine di
pesce leone. Poteva allungarsi fino a Diagon Alley. L’accesso non era distante.
Ma che fare con Potter? Non gli sembrava una buona idea portarlo lì: e se
qualcuno lo avesse riconosciuto? No, era improbabile. Il
bambino-che-era-sopravvissuto era una specie di leggenda. Di lui si erano perse
le tracce. E l’esile e anonima figura del bambino era una copertura naturale
perfetta. Era più difficile casomai spiegare cosa ci facesse Severus Piton in
giro con un bambino. Ma anche a quello si poteva trovare una spiegazione più
che plausibile. Decise di prendersi il rischio.
- Potter, ora la porterò in un
luogo di Londra che non esiste sulle mappe. Lei mi cammini al fianco, non parli
con nessuno e se dovessero farle domande lasci rispondere me. Vedrà cose strane
laggiù, cerchi di non esprimere troppo vivacemente la sua sorpresa o il suo
entusiasmo. Siamo intesi? – Senza dare nell’occhio coprì la cicatrice a forma
di saetta con un piccolo incantesimo: Harry sentì un po’ di solletico.
- Le ho applicato un cerotto
mimetico, andrà via fra qualche ora. Veda di non grattarsi.–
Il piccolo annuì. Dal tono del
suo tutore avrebbe dovuto essere almeno un po’ preoccupato. Invece quella cosa
lo stava divertendo. Stava vivendo un’avventura. Come succedeva al suo eroe.
Arrivarono senza problemi a
Diagon Alley e si inoltrarono per i vicoli del quartiere. La bocca di Harry era
perennemente aperta. Aveva promesso a sé stesso di non fiatare ma non riusciva
a tenere la bocca sigillata perché quello che stava vedendo sfilare davanti ai
suoi occhi superava ogni immaginazione. La gente lì era strana: c’erano donne e
uomini abbigliati come nei libri di favole e anche le case e il cielo
sembravano quelli dei libri illustrati. I negozi non erano negozi normali: nelle
vetrine c’erano cose strane che si muovevano da sole e oggetti che non aveva
mai visto prima. E gli sembrava di sentire ogni tanto suonare dei campanellini,
oppure era qualcuno che cantava ma non si capiva da dove quei suoni venissero. Il
suo tutore camminava speditamente accertandosi però che non rimanesse indietro.
Talvolta salutava quelli che incrociava per strada ma non si fermava mai. Aveva
notato che qualcuno dei passanti lo guardava con aria interrogativa. Non
c’erano bambini in giro, forse era per quello. Probabilmente in quel quartiere
le scuole non avevano avuto problemi con gli insetti. Poi qualcosa in una
vetrina attirò il suo sguardo. C’era una divisa rossa da gioco, o almeno così gli sembrava. Aveva dei
paracolpi sulle spalle e alle ginocchia. Stava in piedi da sola ovviamente,
senza un manichino dentro. E poi c’era una scopa, come quelle che zia Petunia
usava per ramazzare nel giardino, ma era bellissima, col manico lucido e le
setole fiammanti. E un boccino con delle piccole ali chiuso dentro una
gabbietta. Si fermò d’istinto e per poco non perse il suo tutore che proseguiva
imperterrito lungo la via. Quando Severus si accorse che Harry non era più al
suo fianco fu preso per un attimo dal panico. Si guardò freneticamente attorno
e per fortuna lo vide subito, qualche passo indietro, immobile davanti al
negozio di articoli sportivi. Lo raggiunse immediatamente.
- Non lo faccia più intesi?! –
prese il piccolo per un braccio in malo modo facendolo ruotare verso di sè.
Harry si spaventò. Il signor Piton era arrabbiatissimo, ma lui si era solo
fermato a guardare la vetrina. Cosa c’era di male? Severus si accorse che stava
spaventando il bambino quindi si calmò.
- Potter doveva avvisarmi per
Merlino! Se si perdesse sarebbe un grosso guaio capisce? –
- Se mi perdo posso chiedere ai
poliziotti. –
- Qui non ci sono poliziotti
Potter. E nessuno, le ripeto, nessuno, deve sapere chi lei è! Ne va della sua
vita. – “E della mia”, aggiunse parlando a sé stesso.
- Comunque i geni evidentemente
non mentono mai se fra tutte le vetrine ha scelto di fermarsi proprio qui. –
Harry non capiva.
- E’ una divisa da quidditch
Potter. Con tutta l’attrezzatura. Uno sport in cui suo padre eccelleva
particolarmente. Solo in quello per altro – Le ultime parole le disse a bassa
voce.
- Ma la scopa a cosa serve? –
- A inseguire le palle. –
- Bisogna corrergli dietro con la
scopa? –
- No Potter, la scopa serve per
volare. E così che si rincorrono le palle, volando.–
Harry non poteva crederci. Volare
su una scopa? Come le streghe….
- Il mio papà volava su una
scopa? –
- I maghi usano normalmente le
scope per muoversi. Ovviamente non nei
cieli di Londra Potter. –
- Ma non è una cosa da femmine? –
- Potter la prego, questi sono i
soliti spropositi messi in giro dai babbani sulla nostra gente! La scopa è un
banalissimo mezzo di trasporto magico, non il segno distintivo delle streghe.
Ma perché me la prendo poi. E’ vissuto in mezzo a un branco di stupidi fino a qualche mese fa. Forza proseguiamo, la
bottega che cerco non è lontana. -
- Severus Piton che si occupa di
quidditch….interessante come la vita ad Hogwarts ti abbia rammollito. –
La voce suadente che colse
Severus alle spalle lo fece irrigidire. Sapeva che voltandosi avrebbe trovato
Lucius Malfoy. Si augurò che non lo avesse udito parlare ad Harry e si
maledisse per aver usato il cognome del ragazzino invece che sceglierne uno
fittizio. Una leggerezza imperdonabile da parte sua. Si ricompose all’istante e
si girò. Malfoy era solo. Elegante e superbo, come solo lui sapeva essere.
- Salve, Lucius. – Malfoy spostò lo sguardo su Harry e Severus
trattenne il fiato.
- Noto che hai compagnia. Chi è
il moccioso? – Dunque non lo aveva sentito fare il nome di Potter. Cercò una
risposta che fosse credibile.
- Il figlio di amici. –
- Amici? Hai pure degli amici
Severus? Non c’è proprio più religione. –
- Amici di Silente. Se non mi
lasci finire di parlare…. –
- Così oltre a fare l’insegnante
di pozioni per il vecchio preside fai anche il baby-sitter. C’è stato chi aveva
progetti decisamente più grandi per te un tempo. –
- Non mi pare che sia andato
tanto lontano però. –
- Tu invece sei sceso a patti col
nemico. –
- La guerra è finita Lucius. Io
sto solo sopravvivendo. E mi sta bene così. –
- Sei davvero triste. – Fissò
ancora Harry. Il piccolo era evidentemente intimorito da Malfoy. Si era
seminascosto dietro a Severus.
- Mi ricorda qualcuno… -
- Non vedo come sia possibile. La
sua famiglia non è di queste parti. –
- E perché te ne stai occupando
tu? Non avevi lezione stamattina, professore? –
- Avevo bisogno di rifornimenti.
E il bambino non aveva mai visto Diagon Alley. – Severus sperava che Lucius non
interrogasse Harry. Era quasi certo che non lo avrebbe fatto perché nella sua
arroganza non si sarebbe abbassato a parlare con un bambino, figlio di amici di
Silente. Ma nel dubbio cambiò discorso.
- Draco sta bene? –
- Certo, a parte il fatto che non
vede mai il suo padrino. –
- L’ultima volta me lo hai
impedito tu. Mi hai cacciato da casa tua. –
- Sono le tue attuali
frequentazioni che non condivido, non prenderlo come un fatto personale. Ti
avevo offerto un lavoro ricordi? –
- Il Ministero ti tiene ancora
d’occhio Lucius. Io volevo rifarmi una vita. – Lucius sorrise perfido.
- Vita dici? Fare il servo a
Silente? Ma in fin dei conti… servire sembra essere la sola cosa che ti riesce
Severus. –
- Non disprezzare troppo il mio
lavoro Lucius. Tuo figlio fra qualche anno sarà mio allievo. –
- Vedremo. Non è detto che lo
iscriverò ad Hogwarts. – E dopo aver dato un’altra occhiata sprezzante al
bambino battè a terra il bastone e si incamminò. Severus si sentì sollevato, la
segretezza di Harry era salva. Ma le parole di Malfoy gli bruciavano dentro. Un
servo. Questo era in fin dei conti. Impedito a vivere una vita solo sua. Ma non
poteva che incolpare sé stesso. Venne riscosso dalla voce di Potter.
- Credo che il quidditch mi
piaccia signore. Anche se non ci so giocare. -
Piton fece una smorfia contrariata ma fu felice che il piccolo avesse
riportato la conversazione su argomenti più frivoli.
- E’ stato bravo. Se dovessimo
incontrare qualcun altro, e spero proprio di no, lei si comporti esattamente
come ha fatto adesso. –
Ad Harry quel signore biondo con
il codino e il bastone non era per niente piaciuto. Aveva due occhi sottili che
quando ti guardavano sembravano coltelli. E poi non era stato gentile col
signor Severus anche se lui non aveva capito granché dei loro discorsi. Era
felice che se ne fosse andato: aveva avuto un po’ paura, ad essere sincero, ma
col signor Severus si sentiva al sicuro.
La tappa per il rifornimento di ingrediente
base e spine di pesce leone fu breve ma sufficiente a lasciare Harry, per
l’ennesima volta quel giorno, con la bocca aperta. In quel negozio c’erano vasi
di tutte le forme e colori, pieni di cose talmente strane e schifose che
avrebbero fatto la felicità di qualsiasi bambino. Finché il suo tutore si
occupava dei propri acquisti il piccolo si aggirava fra gli scaffali. Non aveva
ancora avuto il permesso di entrare nel laboratorio di Piton ma se anche ci
avesse messo dentro il naso quello che c’era nel negozio avrebbe superato di
gran lunga qualsiasi aspettativa. In un altro momento il professore si sarebbe
attardato volentieri, vista anche la curiosità manifestata da Potter, ma l’incontro
con Malfoy gli aveva messo una certa fretta di tornare ad Hogwarts. Prese ad
Harry delle caramelle saponose: servivano a mantenere pulita la bocca senza
necessariamente lavarsi i denti ed erano quindi comode da tenere in tasca
quando si era fuori casa. L’importante era succhiarle. Masticandole avrebbero
prodotto delle bolle come se a ingoiare una saponetta. Ovviamente gli proibì di
portarle a scuola, ma considerato che quello era il terzo regalo del giorno,
senza contare la fetta di Victoria cake, Harry era dispostissimo a qualsiasi
sacrificio.
Erano quasi fuori dalla
cittadella quando Severus si accorse di essere seguito. Era certo che fossero
in tre. Non aveva idea però delle loro intenzioni e non aveva voglia di scoprirlo.
Agguantò Harry e lo trascinò in una strada laterale. Sperava di sgattaiolare
fra i vicoli del quartiere vecchio e di
uscire dal cancello nord. Poco importava se la strada per tornare verso i
Kensington Garden sarebbe stata più lunga da lì e il bambino sicuramente stanco
di camminare: arrivato a quel punto avrebbe preferito piuttosto prenderlo in
braccio che fare spiacevoli incontri. Ma gli inseguitori furono più veloci. Quando
capì che non aveva più vantaggio si fermò, spinse Harry in un angolo e gli fece
segno di fare assoluto silenzio. Impugnò la bacchetta, senza estrarla però dalla
giacca.
- Avete per caso smarrito la
strada? – i tre inseguitori fermarono la loro corsa e arretrarono un attimo di
fronte al pozionista. Era un uomo che metteva sempre una certa soggezione,
anche apparentemente disarmato.
- Allora? – Lì studiò
velocemente. Non li conosceva; a prima vista potevano sembrare dei balordi
qualsiasi in cerca di soldi. Erano più vecchi di lui, fisicamente più grossi,
con l’aria da scagnozzi abituati a svolgere lavori sporchi di bassa manovalanza
. Questa almeno fu la sua conclusione. Probabilmente erano anche pessimi maghi.
Ma dopo aver combattuto una guerra in entrambi i fronti non ci si fida più
delle apparenze.
- Hai qualcosa che vogliamo. –
- Spine di pesce leone? Il
negozio non è lontano da qui. Compratevele. -
- Non fare lo spiritoso. Sai
benissimo di cosa parliamo. – Severus afferrò ancora più saldamente la
bacchetta mentre Harry, dietro l’angolo, osservava la scena trattenendo il fiato.
Se facevano del male al signor Severus lui come sarebbe tornato a casa? Non
voleva tornare dagli zii. La sua nuova vita iniziava a piacergli davvero. Col suo burbero signor Severus compreso.
- Consegnaci il bambino. E
tornerai a casa integro. -
- Tornerò a casa integro in ogni
caso. Vedete quindi di sparire. -
- Sei in minoranza numerica. E ti
devi preoccupare anche del ragazzino. Non farei troppo lo spavaldo. –
- E voi dovreste stare attenti a
chi importunate per la strada. Perché le sorprese possono essere spiacevoli. –
- E’ un rischio che si può
correre se ti fa guadagnare un bel po’ di denaro. Il bambino è prezioso dicono.
–
- Chi lo dice. –
- Le persone giuste. Quelle che
sanno dove sta la grana. –
- Allora rivedete le vostre
frequentazioni perché sono poco informate:
il bambino non è ricco. –
- A noi non importa. Verremo
pagati comunque. – Severus macinava pensieri uno dietro l’altro nel tentativo
di capire cosa volessero veramente quei due e soprattutto se Harry fosse o meno
un bersaglio casuale. Ma aveva paura di scoprire la verità. Ad ogni modo doveva
uscirne vittorioso se voleva portare a casa Potter sano e salvo. Senza perdere
altro tempo estrasse velocemente la bacchetta e altrettanto velocemente
schiantò il primo dei tre. Doveva pensare in fretta alle mosse successive,
essere più veloce di loro perché nel frattempo i due rimasti in piedi
estrassero anch’essi la bacchetta e iniziarono l’offensiva. Acuì i sensi, aveva
imparato a farlo durante il periodo della guerra in cui aveva iniziato a fare
il doppio gioco. Con la coda dell’occhio notò che uno dei due prendeva la
direzione di Potter mentre l’altro restava a fronteggiarlo. Lanciò su Harry un protego e subito dopo un incantesimo di
ostacolo sul suo assalitore. Contemporaneamente schivò il tentativo piuttosto
goffo del terzo uomo di pietrificarlo. Il colpo rimbalzò sul muro accanto e
sulla strada frantumandosi in schegge di luce. Come previsto erano maghi
piuttosto scarsi, i loro colpi imprecisi e la scelta degli incantesimi
dimostrava una conoscenza approssimativa della magia. “Ignoranti e presuntuosi
”, pensò, “pessima combinazione”. Schiantò con facilità anche il mago che gli
stava di fronte poi si dedicò a quello che si era avvicinato pericolosamente a
Harry. Usò il levicorpus, lo conosceva
bene, lo aveva subìto e sperimentato già tante volte, gli dava sempre una certa
soddisfazione mista a fastidio praticarlo. Il balordo si dimenava, sospeso a
mezz’aria a testa in giù. Il pozionista lo raggiunse, le loro facce erano alla
stessa altezza pur se sottosopra una rispetto all’altra e Severus provò un moto
di puro, malvagio piacere a sentirsi il dominatore della situazione. Un
rigurgito del suo vecchio sé stesso, una forte eco delle sue frustrazioni.
Avrebbe potuto fare di quell’uomo quello che voleva. Ma si ricordò che lì c’era
anche il bambino, quindi decise di non infierire ulteriormente ma di
interrogarlo soltanto.
- Allora, idiota, chi vi ha
pagato per fare questa ridicola figura. –
La posizione non aiutava il
miserabile, e la netta superiorità dimostrata da Severus nel difendersi e
ferire lo aveva intimorito. Iniziò a parlare subito. Probabilmente lo sguardo
penetrante e spietato di Severus in quel momento era un ulteriore motivo per
non fare reticenza.
- Un… un mago molto ricco… uno di
quelli che contano e che non permette gli si dica di no… con due occhi che
gelerebbero i pensieri. -
- Biondo? Dall’aspetto signorile?
–
- S…sì… ti prego fammi scendere…
non sono in grado di farvi del male, l’hai… l’hai visto… -
- Non sareste stati in grado di
colpire un bersaglio a un metro… ma tu resti qui perché non te non ho ancora
finito…. legilimens. –
Entrò nei pensieri dell’uomo come
un coltello che affonda in un panetto di burro. Nessuna resistenza, nemmeno un
misero tentativo di opporsi a quella violazione. Una volta visto ciò che gli
interessava, Severus lasciò perdere il farabutto, lo liberò dal levicorpus e lo lasciò cadere a terra
dove rimase a lamentarsi e a leccarsi le ferite.
Harry intanto non aveva osato
nemmeno respirare: durante quei pochi istanti in cui si era consumato lo
scontro era rimasto perfettamente immobile, gli occhi puntati sul signor
Severus, le mani strette insieme sul petto e il cuore che batteva forte per la
paura. Aveva osservato i fasci di luce rossa uscire dalla bacchetta, volare a
terra due dei tre uomini, e poi sollevarsi il terzo come se un gancio
invisibile lo tirasse per una gamba. Era successo tutto talmente in fretta che
non sapeva nemmeno se aveva avuto il tempo di sbattere le ciglia. E allora lo
aveva visto, alla fine, Zorro, proprio a pochi passi da lui, col suo vestito
nero, veloce e preciso, forte e coraggioso. Aveva una bacchetta invece della
spada e non aveva la maschera ma poteva portarlo via da lì su una scopa invece
che su un cavallo, e lo aveva difeso contro chi voleva fargli del male. Provò
una venerazione infinita per il suo cavaliere che era stato così gentile quel
giorno da fargli anche dei regali. Gli luccicavano gli occhi quando Severus si
voltò verso di lui e non udì nemmeno le sue parole:
- Presto andiamocene. – Harry non
si mosse di un passo. - Mi ha sentito? Non siamo al sicuro qui! – E
afferrandolo ancora una volta con una certa asprezza se lo trascinò dietro
lasciando a terra i tre uomini storditi.
- Che le prende Potter? Non abbiamo tempo per
spaventarci adesso, ci penseremo quando saremo rientrati ad Hogwarts. – Ma
Harry non era più spaventato, era ancora in preda alla sua scoperta, in totale
adorazione.
Percorsero velocemente la strada
che li separava dall’albero cavo a Kensignton: Harry faceva fatica a star
dietro al suo tutore, aveva le gambe corte, lui, in fin dei conti, ma non emise
un lamento e nemmeno si permise di protestare.
Una volta nuovamente ad Hogwarts
il professor Piton assaporò l’aria familiare e sicura dei sotterranei. Lì era
al riparo, e anche Potter lo era. Non doveva più preoccuparsi. Ma aveva davvero
avuto paura. Sarebbe andato subito da Silente a riferirgli l’accaduto, benché
avesse appurato che l’offensiva subita era solo frutto dell’insania di Malfoy e
non celava quindi mandanti o scopi peggiori.
- Lei vada a lavarsi e a
prepararsi per la cena. Gli elfi penseranno a tutto. Io devo andare dal
preside. Potter?! A cosa sta pensando! –
La meraviglia del bambino non si
era ancora esaurita. Nella sua testolina le immagini di quel pomeriggio si
rincorrevano e lui restava lì, a contemplarle, come se stesse guardando un film
che solo lui era in grado di vedere.
- Potter! – Harry si ridestò.
- E’ tornato fra noi o è ancora a
spasso per chissà quale mondo sconosciuto? Per quando rientro la voglio in
pigiama, profumato di sapone e con il tovagliolo già sulle ginocchia. Intesi? –
- Si. Signore. – Severus non
capiva quello sguardo sognante. Probabilmente le emozioni di quella giornata
erano state troppe. E se ne diede la colpa: non avrebbe dovuto portarlo a
Diagon Alley.
Raccontò ad Albus che
l’aggressione era stata commissionata su due piedi da Lucius. Aveva trovato i
tre energumeni in una bettola e li aveva assoldati. Il bambino era figlio di
amici di Silente quindi si poteva far passare a Silente qualche brutta ora
facendo sparire il moccioso e gettando i suoi genitori nel panico totale. Una
piccola vendetta per un mangiamorte che aveva perso molto dopo la sconfitta di
Voldemort e che girava libero solo perché non c’erano prove delle sue bieche
frequentazioni. Albus e il suo pozionista erano sollevati ma consci che per
Harry Potter il pericolo di vita non era del tutto escluso: quel giorno poteva
succedere il peggio sebbene fosse stato un bersaglio accidentale. I due uomini
si lasciarono con un moto di inquietudine: l’identità di Harry era salva ma la
sua incolumità non così al sicuro come si erano augurati.
Severus rientrò nel suo
appartamento e trovò il bambino pulito, in pigiama e seduto a tavola. Il pasto
iniziò nel più totale silenzio. Poi Severus prese la parola, perché temeva che
la disavventura avesse aggiunti nuovi traumi a quelli già esistenti.
- Si è spaventato oggi
pomeriggio? –
Harry scosse la testa. Aveva la
bocca piena e non voleva sputacchiare il cibo.
- Mi impegnerò affinché non venga
più coinvolto in episodi così incresciosi signor Potter, temo che oggi sia
stata colpa di una mia leggerezza e mi… dispiace. –
Harry continuava a masticare in
silenzio. Non capiva tutto quel parlare forbito del suo tutore, a volte era
davvero difficile seguirlo. Gli sembrava più cupo del solito ma di una
tristezza diversa dalle altre volte. Ma come si faceva ad essere tristi dopo
una giornata del genere? Non sapeva cosa dire in realtà, lui si era divertito
tanto invece anche se aveva avuto un pochino di paura, però quando erano
spuntati fuori quei tre brutti ceffi era stato davvero il momento migliore di
tutti. Il signor Piton non sembrava dello stesso parere. Eppure era stato forte,
aveva vinto no? Gli aveva stesi in quattro e quattro otto quelli là. Appena ebbe modo rispose:
- Signore grazie per questa bella
giornata. So che è una brutta cosa da dire ma… domani mi spiace un po’ tornare
a scuola. –
Severus guardò il bambino con
perplessità. Beata incoscienza: sembrava proprio non essersi reso conto di aver
corso un rischio reale in quel vicolo.
- Bene allora…. allora meglio
così, se non si è spaventato troppo intendo. Comunque se dovesse presentarsi
ancora l’opportunità di lasciare il castello per una passeggiata sceglierò
meglio la destinazione. – Harry ancora non capì. Ma sentiva come se avesse
qualcosa di caldo che lo scaldava dentro, un benessere che non aveva mai
provato prima. Si sentiva a casa, al sicuro. E l’uomo che viveva con lui… beh
adesso non lo avrebbe più voluto cambiare con nessun altro.
Andò a dormire con il sorriso
sulle labbra. Aveva fatto una cosa mentre il signor Severus era dal preside. Un
piccolo segreto che il signor Severus avrebbe presto scoperto. Era un po’
curioso ma glielo avrebbe chiesto il giorno dopo, se gli era piaciuto.
Piton era distrutto: la giornata
era stata impegnativa, sia fisicamente che moralmente. Passò come di consueto
dalla camera di Potter, lo vide dormire abbracciato al suo orso. Notò che gli
aveva tolto la maschera nera. Gli sfuggì una smorfia di biasimo: il tempo di
Zorro, evidentemente, come era venuto era anche già passato. Vide invece che i regali di quel giorno
facevano bella mostra di sé sullo scrittoio e di ciò ne fu, volente o nolente,
compiaciuto. Ancora non sapeva che di lì a qualche minuto, entrando nella propria
camera, si sarebbe misurato ancora con nuove emozioni, sbattendo il naso contro
la sua nuova vita. Come ogni sera avrebbe aperto la porta, si sarebbe diretto immediatamente
in bagno per una doccia scaccia stanchezza, avrebbe raggiunto il cassettone per
recuperare la biancheria pulita, poi, con delicatezza, avrebbe sfiorato il
ritratto dei Lily che teneva sulla libreria lì accanto. Dalla stessa libreria
avrebbe scelto qualcosa da leggere e infine si sarebbe avvicinato al letto. A
allora l’ avrebbe ritrovata, la maschera. Appoggiata sul suo cuscino, come un
fiore lasciato da un innamorato. Zorro non se ne era affatto andato. Avrebbe
vagato per quelle stanze ancora per lungo tempo, tenendo per mano un ragazzino
impaurito e insicuro. Lo avrebbe protetto e incoraggiato. Lo avrebbe elogiato e
anche rimproverato, quando necessario. Ma non lo avrebbe mai deluso e lasciato
solo. Severus ancora non lo sapeva: il segno di Zorro, quel giorno, aveva preso
il posto del marchio nero sulla sua pelle.