Di tedeschi
frustrati e di portieri che imperversano
Appena a qualche ora dalla vittoria contro la Germania,
nell’albergo di Parigi dove alloggiava la squadra giovanile
del Giappone si era scatenato l’inferno.
Guidati da un euforico capitano che aveva aperto la prima bottiglia, i
giocatori avevano festeggiato nel modo ritenuto più consono:
sana, meritata bisboccia. Tutti avevano tracannato un’ingente
quantità d’alcol e le conseguenze erano tra le
più disparate: Ken continuava a specchiarsi in un
cucchiaino, lamentandosi isterico delle doppie punte, Ryo
ballava sul tavolo la danza del ventre, incitato dagli altri, Hyuga
borbottava qualcosa con un sorriso soddisfatto e Tsubasa e Misaki erano
stretti in un abbraccio mozzafiato.
Gli unici due sfuggiti al delirio collettivo erano il povero Misugi,
obbligato all’astinenza forzata, e Wakabayashi. Il portiere
sedeva in un angolo, con un boccale di birra in mano, e osservava
ridacchiando i compagni di squadra peggiorare di minuto in minuto. Ogni
tanto Jun gli lanciava occhiate supplichevoli, chiedendo aiuto a domare
la ciurma, ma veniva puntualmente ignorato. Verso mezzanotte, quando
era ormai chiaro che non c’era più nulla da
festeggiare – tutti erano collassati o, peggio, impegnati in
altre rumorose occupazioni, come la Golden Combie imbucata nella stanza
accanto –, senza dire una parola, Genzo prese il cappello e
uscì.
Scese veloce le scale e camminò spedito fino alla hall
dell’albergo, poi, non appena fu fuori, rallentò
di colpo. Con le mani in tasca, il portiere camminava lentamente,
rinfrescato dal vento. Sorrise, trionfante, vedendo la bandiera
giapponese sventolare sopra lo stadio, illuminata da diversi faretti, e
alzò un braccio, in segno di vittoria: erano i campioni,
nulla gli aveva mai dato tanta soddisfazione.
Giunto a destinazione, si diresse verso la camera numero undici senza
esitare - aveva già fatto un paio di volte, quel tragitto,
sapeva come muoversi –, quindi bussò.
“Ti aspettavo più tardi.” fece Karl,
aprendo la porta.
“Beh, non c’è problema, se vuoi mi
faccio un giro.” Gli rispose beffardo Genzo, fingendo di
andarsene. Con uno sbuffo di sfinimento, il Kaiser lo prese per il
braccio e lo trascinò dentro la camera; quindi
lasciò che si stravaccasse sul suo letto, mentre lui si
appoggiava al muro di fronte.
Rimasero in silenzio per un po’, Schneider in piedi con le
braccia conserte e il portiere sdraiato, con le mani dietro la testa e
la visiera del berretto bassa sulla fronte.
“Quindi?” chiese infine retorico il giapponese,
sfoderando l’espressione più bastarda e
palesemente compiaciuta che Karl avesse mai visto.
“Quindi cosa?” Il Kaiser non era intenzionato a non
raccogliere la provocazione: non avrebbe mai permesso a quello stronzo
di giapponese di sfotterlo.
“Quindi come ci si sente ad aver perso la finale contro il
proprio ragazzo, nonché rivale da sempre?”
sogghignò Genzo, rigirando il coltello nella piaga: sapeva
bene che Schneider non gliel’avrebbe data vinta, per questo
era divertente istigarlo.
Il tedesco lo fulminò. Non gli dava così tanto
fastidio che i giapponesi avessero vinto: si erano dimostrati
più forti, meritavano il titolo. Quello che lo faceva
davvero andare su tutte le furie era il deficiente sul suo letto.
“Devi proprio tirartela così tanto,
Wakabayashi?” domandò stizzito, spostando lo
sguardo dal ghigno del portiere a un punto imprecisato sul soffitto.
“Non ti basta aver vinto?”
“Aaaah, brucia, eh?” gongolò il
portiere, tirandosi a sedere.
“Ma vuoi proprio che te lo dica, eh?” Con un colpo
di reni si staccò dal muro e si avvicinò al
ragazzo. Si chinò verso di lui e gli ringhiò
all’orecchio: “Sei un maledetto stronzo
egocentrico.”
Genzo ridacchiò, lusingato, e lo prese per la vita,
facendolo accomodare a forza sulle sue ginocchia.
“Bastardo,
prego. E non venire a farmi la predica, tu faresti lo stesso.”
“Bah!” ribatté Karl, scettico.
“Non verrei mai a gongolare in camera tua dopo una vittoria
simile. Terrei la mia gioia per me, io, senza sbattertela in
faccia.”
“Sicuro? Io non credo proprio. Se vincessi tu una partita
così importante, altro che sfottò: mi faresti
trovare bandiere tedesche dappertutto o gigantografie della squadra
giapponese con su scritto
perdenti a caratteri cubitali.”
L’altro fece una smorfia, indispettito: “Una cosa
così gretta non è mio stile. Kaltz probabilmente
farebbe qualcosa di simile. Io mi limiterei a farti sentire inferiore,
senza scendere a un tale livello.”
“E dici poco? Me la meneresti in continuazione.”
“Tu non hai intenzione di farlo, invece, eh?”
alzò un sopracciglio, provocatorio.
Genzo rise: “Certo, per chi mi hai preso?”
Il Kaiser di Germania piegò la bocca in un sorrisetto
malvagio. “Beh, se la metti così, forse manderei
Kaltz e Schuster a svolgere l’onorevole compito.”
“Ah, Stecchino e Donnetta Pedante che mi umiliano. Non ce li
vedo proprio.” Commentò sicuro di sé il
portiere. “Scapperebbero come conigli per paura della mia
reazione.”
Assunse poi un’aria pensierosa: “A proposito della
scimmia puzzolente, come mai non è qui a reggere il moccolo
come al solito?” chiese, accennando alla branda vuota di
Hermann.
Karl fece spallucce. “Ha avuto l’accortezza di
levarsi dalle palle prima che lo cacciassi. Avrà trovato
qualcosa di meglio da fare che stare qui a sentire le tue stronzate,
come faccio io. Forse è più furbo di quanto
sembra.”
“Figurati! Cosa vuoi che faccia per lenire lo smacco? Si
infili nelle lenzuola di qualcuno?”
Lo sguardo del Kaiser fece capire al portiere che l’ultima
ipotesi non era poi così
azzardata.
“Se ne è andato blaterando qualcosa a proposito di
Muller, ma non l’ho quasi ascoltato, quindi è
possibile che facciano qualcosa con i ragazzi.
Ma…” lasciò la frase in sospeso.
La mascella di Genzo cadde inesorabilmente a terra.
“Dieter – Mr mononeurone dopato – Muller
e Hermann?” boccheggiò incredulo, mentre Karl si
sedeva accanto a lui, scivolando giù dalle sue ginocchia.
“A quanto pare…” fu il commento
distratto di Schneider.
“La montagna e il tappo tracagnotto? Ah,”
ghignò “ non vorrei essere nei panni di Kaltz:
dopo i goal che ha incassato oggi, Muller sarà un bel
po’ frustrato e dovrà pur sfogarsi in qualche
modo, povero Magilla Gorilla.”
Karl schioccò la lingua contro il palato, annoiato.
“Dobbiamo discutere ancora a lungo di ciò che
Hermann farà, o che sta già facendo?
Genzo lo guardò, con un sorriso malizioso, e si tolse il
cappellino, lanciandolo sul letto di Kaltz.
“No, certo che no.”
Quindi si chinò su di lui, appoggiò le mani sulle
sue spalle, costringendolo a sdraiarsi, ma non lo baciò. Gli
rimase sopra, passando sul suo viso senza mai sfiorargli la bocca:
Schneider grugnì, infastidito, cercando di intercettare le
labbra del portiere con le sue.
“Siamo impazienti, oggi, eh Karl?”
sogghignò, continuando a provocarlo con lievi baci, evitando
appositamente di giungere a destinazione.
Schneider gli rispose con un amaro sorrisetto allusivo. “Sai,
Muller non è l’unico frustrato che deve
sfogarsi.”
“Oooh!” esclamò il portiere, allargando
il ghigno. “È per caso un’ammissione di
delusione, ciò che le mie orecchie hanno appena sentito? Il
grande Kaiser di Germania si sente depresso per via della partita
persa? O, meglio ancora, per via di quell’ultimo tiro che io
ho parato con grande classe?”
L’attaccante tedesco alzò gli occhi al cielo,
borbottando qualcosa che sembrava molto un
“fottiti”.
“Veramente pensavo di fottere te, sempre che tu sia
d’accordo, si intende.”
Lo sguardo di Schneider si fece attento e Genzo ridacchiò,
leggendo nei suoi occhi azzurri un chiarissimo: “Cosa stai
aspettando, idiota che non sei altro?”
Senza aggiungere un’altra parola, il giapponese
aprì le danze, sfilandogli la maglia e baciandolo con
passione. Karl ricambiò volentieri, per poi andare a
giocherellare con i suoi capelli neri.
Genzo aveva affondato il viso nell’incavo tra la spalla e il
collo del compagno e lo stava mordicchiando sapientemente, quando il
commento a mezza voce di Schneider lo distrasse, facendolo fermare.
“Mi brucia di più il secondo punto, ad essere
sinceri, ma non pensare che sia finita qui: giocheremo di nuovo come
avversari e mi prenderò la mia rivincita.”
Il portiere sogghignò, continuando da dove si era
interrotto: “Non vedo l’ora.”
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Shottina di 13 drabble di 100 parole - quindi di 1300 parole (sono
brava a contare, eh? xD) - senza arte né parte, scritta solo
per chetare la mia voglia incredibile di Gen/Karl.
La odio e la amo, perché a essere sincera i personaggi mi
sembrano loro ma forse non sono loro.
Non lo so, sono confusa ç.ç
Naturalmente, è ambientata dopo il torneo di Parigi e dopo
la disfatta della Germania. Lo so che i ragazzi hanno appena quindici
anni, ma è proprio nell’adolescenza che si hanno
gli ormoni a mille, no? xD
I due pair accennati (G&G e
Muller/Kaltz) sono rispettivamente per le mie care Kitsune999, a cui ho
allegramente ciulato l’idea della shot da 13 drabble di 100
parole ciascuna, e Pucchyko_girl,
che invece è tanto paFFolosa! I love you, girls!
Se i pg sono così tanto OOC, ditemelo e
provvederò a inserire l’avvertimento^^
Elena
Ancora una volta, commenti graditi! *smile*
Un grazie speciale a Kitsu per l’aiuto nella scelta del
titolo. Smack!
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