Batman R.I.P.
Il
Joker se ne stava sprofondato su una poltrona di pelle marrone,
logorata dal tempo, posizionata davanti ad un piccolo televisore
impolverato. Teneva un braccio in grembo a reggere l’altro e
il capo inclinato da un lato, tutto intento a massaggiarlo con un paio
di dita guantate.
Che la vita lo
avesse preso in giro lo aveva già capito da molto tempo
ormai. Ma quella era davvero la beffa più ridicola che gli
stava mettendo in conto.
“Ancora
nessuna traccia del Cavaliere Oscuro. Ha abbandonato i cittadini di
Gotham? Gli è forse successo qualcosa? Fonti molto in alto
hanno messo in circolazione voci di un possibile decesso
dell’uomo che per anni si è preso cura della
nostra città e che…” così stava
dicendo il giornalista del notiziario locale.
Batman
deceduto. Ridicolo!
Poteva esserci
battuta più triste di quella?
Col suo bel
mantello e tutti i suoi gingilli non aveva mai perso tempo a farsi vivo
per gli stupidi abitanti di Gotham. Che poi, perché li
avesse così a cuore proprio non lo capiva.
In quel
momento fece il suo ingresso nella piccola stanza dove si era
mestamente rifugiato il Joker un uomo stempiato dai capelli biondo
cenere e la barba incolta. A seguirlo, un omaccione alto e robusto,
pelato ma con un paio di folti baffi scuri.
Il primo
esordì dicendo “Capo, gli uomini sono pronti per
andare…” ma il Joker lo interruppe.
“Sono
confuso, Bob. Che senso ha organizzare tutte queste feste se poi lui
non viene?”
“Beh
capo, probabilmente ormai ha paura di lei, capo!” rispose lo
scagnozzo, terminando l’assunzione con una rauca risata da
fumatore. Accanto a lui, Lawrence confermò annuendo
vigorosamente e mettendo in mostra i due incisivi sotto i baffi.
“Paura
di me? Non dire idiozie, lui non teme nulla! E poi perché
dovrebbe? Noi ci divertiamo insieme, sì, ci divertiamo un
mondo!” esclamò alzandosi di scatto dalla poltrona.
“Quando
balliamo posso vedere i suoi occhi scintillare per
l’emozione, sai Bob?” aggiunse facendo un paio di
piroette su se stesso, poi si fermò e guardò il
suo tirapiedi con occhi colmi di preoccupazione.
“Pensi
che si sia stancato di me?” chiese con tono esageratamente
affranto.
Bob non aveva
idea di cosa rispondere. Cosa dire ad uno fuori di testa che avrebbe
potuto tranquillamente farti saltare le cervella per una qualunque
risposta negativa o che non gli andava bene?
“No,
capo, no! Forse deve solo preparare un colpo particolare che attiri la
sua attenzione e farlo tornare in pista!” propose in fretta,
lisciandosi nervosamente la corta barba ispida, sperando di averlo
convinto o quantomeno distratto dal revolver che aveva appena estratto
da una tasca della giacca. Il Joker guardò l’arma,
poi Bob, poi di nuovo l’arma. Infine sorrise.
“Hai
ragione, Bob, proprio ragione” disse, improvvisamente
eccitato “devo organizzare il più bel colpo mai
visto a Gotham, una sorpresa davvero speciale per Batsy!”
La pistola che
teneva in mano prese a volteggiare pericolosamente mentre
l’uomo gesticolava.
“Dovrei
dare un bel party e invitare qualche pezzo grosso, tipo il sindaco, il
caro commissario Gordon… magari l’intero
dipartimento di polizia!” prese a elencare mentre faceva
avanti e indietro per la stanza di fronte ai due uomini.
“Tieniti
pronto e avverti i ragazzi: abbiamo un pacco da consegnare!”
Andò
verso la porta e si fermò sulla soglia dicendo
“Batsy rimarrà contento...!”
Quella era
un’affermazione ma chiunque, anche un ascoltatore poco
attento come Bob, avrebbe colto l’insicurezza nella voce e
visto lo sguardo perso a fissare malinconicamente un punto indefinito
di fronte a sé. Anche il sorriso parve vacillare per un
istante.
Poi si
riscosse, distese il più possibile l’inquietante
ghigno e lasciò la stanza, non prima però di aver
fatto fuoco a casaccio col revolver.
Bob
serrò gli occhi istintivamente ma non provò
nulla. Accanto a lui, invece, il povero Lawrence cadde a terra con un
tonfo.
*****
Il sole stava
sparendo, quasi del tutto nascosto dai palazzi mentre timidamente e con
incertezza i lampioni cominciavano ad accendersi lungo le strade. Una
di queste, stranamente poco trafficata rispetto alle altre rumorose e
congestionate, portava all’unico parco della città
degno di questo appellativo. Sebbene a volte fosse il ritrovo di
piccoli spacciatori e di signorine ben poco vestite, costituiva
comunque una rigogliosa oasi verde contro il grigiore del degrado che
affliggeva la città.
In quel
momento il sindaco si trovava su un palchetto allestito proprio al
centro del parco per inaugurare una fontana dedicata alla memoria di
chissà quale fondatore della città, o qualcosa
del genere. Insomma, era l’ennesimo evento cittadino che
avrebbe dovuto suscitare l’interesse della popolazione ma che
invece pareva aver attirato solo pochi curiosi e qualche ragazzino che
già si trovava lì per giocare. Nonostante quel
basso consenso, il sindaco non sembrava scoraggiato e continuava ad
osannare la bellezza del monumento e delle piccole cose che avrebbero
potuto sicuramente salvare Gotham. Una manciata di poliziotti, oltre
agli uomini del sindaco, controllava la situazione supervisionati
dall’onnipresente commissario Gordon. Era tutto tranquillo,
fin troppo, ma agli agenti pareva non importare, continuando a
spostarsi pigramente lungo il perimetro del palco e qua e là
nel parco.
“E
dunque, cari amici, io ritengo che finora l’arte di Gotham
sia stata ampiamente sottovalutata e che è giunto il momento
di riscattarla come merita...” stava dicendo il sindaco
quando una voce acuta e leggermente stridula si levò dalla
folla.
“Ha
perfettamente ragione signor sindaco, sono pienamente
d’accordo con lei!”
“Chi
è? Chi ha parlato? Si faccia avanti, prego. È
bello avere dei cittadini impegnati!” disse il sindaco
rivolto alla folla, cercando con lo sguardo chi avesse parlato.
Allora un uomo
cominciò a farsi largo tra la gente. Era alto e piuttosto
smilzo, con un elegante trench viola dal colletto sollevato e un
cappello dello stesso colore calato sul volto. Nessuno
sembrò farci particolarmente caso e l’uomo
raggiunse il palco senza difficoltà.
“Prego,
prego! Si avvicini pure!” continuò il sindaco
tentando di scrutare il viso dell’uomo. Riattaccò
il microfono all’asta facendolo fischiare un poco e si
approssimò al bordo del palco per accogliere
l’uomo misterioso. Fu solo allora che si accorse di un
particolare che gli fece gelare il sangue nelle vene e riconoscerlo
all’istante: un enorme e inquietante sorriso. Come un lungo
solco gli tagliava il volto da un orecchio all’altro, tanto
era disteso. Era il suo tratto distintivo ma quando il sindaco se ne
rese conto ormai era troppo tardi.
In un attimo
si trovò con le mani bloccate dietro la schiena e un
revolver puntato alla tempia mentre i poliziotti, colti alla
sprovvista, cominciarono a brulicare come formiche impazzite andando a
formare un cordone intorno al palco. Allo stesso modo, gli scagnozzi
del Joker uscirono allo scoperto e presero a loro volto posto
circondando gli agenti e, spaventata la folla, misero in bella vista il
loro arsenale di pistole e mitra.
“Fate
qualcosa, per l’amor del cielo!” urlò il
sindaco con voce malferma.
Un giovane
agente, evidentemente fresco di accademia, si apprestò a
salire sul palco ma il Joker lo fermò dicendo “Io
non lo farei se fossi in te, ragazzo” e aprì
l’impermeabile mostrando un grosso telecomando, poi aggiunse
“I miei ragazzi hanno disseminato il parco con tanti bei
pacchettini colorati. Vogliamo fare una caccia al tesoro? O forse
dovrei dire te-so-ret-to? AH! AH! AH!”
La risata
stridula risuonò potente e il clown non poté
trattenersi dal battersi ripetutamente una mano sulla coscia facendo
trasalire tutti, compresi i suoi uomini, al pensiero di cosa sarebbe
successo se avesse inavvertitamente urtato i tasti sul telecomando. O
il grilletto del revolver.
“Joker!
Lascialo andare!” urlò deciso un poliziotto
facendosi cautamente strada tra agenti e delinquenti, che lo fecero
passare senza toccarlo solo perché lo identificarono come il
commissario Gordon.
“Oh,
Jim!” esclamò il Joker mentre con una manica si
asciugava le lacrime, ultimi strascichi della risata
“Aspettavo proprio te!”
“Cosa
vuoi Joker?”
“Andiamo
Jim, così mi deludi...” disse a mo’ di
rimprovero scuotendo il capo.
“Cosa?
Parla chiaro e forse troveremo un accordo” disse Gordon
mentre il sindaco annuiva spasmodicamente.
“Sai
bene cosa voglio. Io voglio danzare e per farlo ho bisogno di
lui!” rispose sognante.
Il commissario
parve iniziare a capire ma chiese nuovamente “Chi? Chi
vuoi?”
“Per
diamine Jim... voglio Batman! Batman, mi hai capito?”
“Ma...
è impossibile, non c’è
più!”
“Sì,
sì... ho sentito la notizia alla tv ma secondo me questi
giornalisti raccontano solo frottole!” disse stringendo la
presa sul sindaco.
La voce era
stata calma e precisa ma Gordon colse l’ombra del dubbio
nascosta in quell’affermazione, quasi stesse chiedendo
conferma direttamente a lui.
“No,
ascolta, è tutto vero. Ho dato io stesso
l’informazione alla stampa!”
“Non
sei affatto divertente... forse dovrei insegnarti qualche battuta
simpatica!”
“Davvero,
ascoltami ti prego...” insistette il commissario.
“NO!”
sbottò improvvisamente il Joker “Questo non posso
accettarlo!”
Di colpo
incollerito, colpì il sindaco alla nuca con il calcio della
pistola facendolo stramazzare privo di sensi sul palco. Poi
sparò un colpo in aria e iniziò a chiamare la sua
nemesi.
“Dove
ti sei nascosto, Batman? Su, esci fuori!” urlò in
un misto di rabbia e implorazione.
Tutti i
poliziotti puntarono le armi contro di lui, ora che non c’era
più pericolo di colpire il sindaco, ma Gordon fece segno di
non muoversi e disse ancora, ormai esasperato “Tu non
capisci, non vuoi capire: è morto, non verrà
più!”
Il Joker smise
di guardarsi intorno. Fissò il commissario in silenzio.
Le
cose stavano così, eh?
Allora forse
era il caso di iniziare i festeggiamenti senza di lui. Magari avrebbe
cambiato idea e sarebbe giunto all’improvviso, ricambiando la
sorpresa! Sì, sarebbe andata così. Dopotutto
Batsy non aveva mai mancato un appuntamento.
Vivevano
l’uno per l’altro.
Il clown
sorrise.
Prese il
detonatore dall’interno del trench, sollevò il
braccio e prima che qualcuno potesse intervenire premette il grosso
bottone rosso al centro del telecomando, aprendo così le
danze. Una serie di esplosioni si susseguirono a distanza di qualche
secondo l’una dall’altra scatenando il panico tra i
pochi civili rimasti e i poliziotti.
Agli occhi del
clown, però, quello era il più bello degli
spettacoli: l’aria si riempì di gas esilarante
dalle tinte viola e verdi, colori che Gotham negli anni aveva imparato
a temere, cosicché le persone non ferite direttamente dagli
scoppi e dalle schegge che schizzavano da tutte le parti scappavano
mescolando urla di terrore a risate incontrollabili.
Mentre
infuriavano gli scontri, il Joker scese dal palco e prese a camminare
lentamente. C’era troppa confusione perché
qualcuno si concentrasse su di lui così, seppur spintonato
qua e là, raggiunse il centro della piazza e vi si
fermò. Allora sentì un forte pizzicore al petto,
poi un altro. Guardò di fronte a sé per
incontrare lo sguardo spalancato del giovane poliziotto che poco prima
lo voleva ingaggiare e che ora gli stava puntando contro la pistola con
mani tremanti per l’adrenalina – o la paura
– che gli scorreva in corpo. Abbassò gli occhi sul
suo petto, dove una chiazza scura si stava velocemente espandendo
macchiandogli il gilet di seta verde bottiglia. Scosse il capo e disse
“Diamine ragazzo... hai idea di quanto sia difficile levare
questo tipo di macchie dai tessuti senza stracciarli? È un
lavoraccio...!”
Fece qualche
passo incerto verso il giovane il quale, deciso a fermarlo, rispose
sparando un terzo colpo, riuscendo nel suo intento. Il Joker si
piegò in avanti e scosse una mano in segno di resa.
“Ok,
ok... Ho capito. Chiaramente non ne hai idea... ma devo ammettere che
sei coraggioso, ragazzino...” aggiunse quasi senza fiato.
Detto
ciò, l’ennesima esplosione separò i due
scaraventandoli da parti opposte. Il Joker perse la presa sia sul
telecomando che sul revolver e, ritrovandosi sdraiato sulla schiena,
stette a fissare il cielo ormai tendente al viola scuro con brillanti
striature arancioni. Erano proprio dei bei colori e lui, modestamente
parlando, aveva sempre avuto buon gusto.
Sentì
un familiare sapore ferruginoso risalirgli in bocca e nel naso mentre
un fastidioso bruciore gli tormentava il capo. Un rivolo di sangue gli
percorse un sopracciglio per poi appannargli l’occhio,
velandolo di una calda patina rossastra. Si era ferito alla testa.
Ma in
realtà era come se stesse piangendo.
Così
come il suo cuore, che stava sanguinando, non faceva altro che urlare
tutto il proprio dolore.
“Preparati
Batsy, sto arrivando...” disse sorridendo.
Un sussurro,
poco più che un bisbiglio nel frastuono intorno a lui.
La risata,
resa roca dal groppo che aveva in gola, lo fece sobbalzare leggermente.
Poi si quietò, ormai libero.
Ed ecco che il
Clown, il Principe del crimine, sentì la vita scorrergli via
mentre il suo sorriso vermiglio, più vivido che mai, sarebbe
rimasto lì dispiegato per sempre.
Per lui.
Credits: Joker e
Gordon appartengono a Bob Kane e alla DC, mentre Bob e
Lawrence sono liberamente presi dal film di Burton - credo
appartengano, quindi, a lui -
Note
dell'Autrice:
Questo è il mio tributo al Joker, uno dei miei
personaggi preferiti in generale, nonchè villain preferito
in assoluto. Ho voluto descrivere quello che secondo me è il
suo conflittuale rapporto con Batman, questa sorta di amore-odio tra i
due, tema che nella graphic novel "Arkham asylum: una folle dimora in
un folle mondo" è ampiamente affrontato da un punto di vista
sia psicologico che sessuale. Qui mi sono concentrata sulla psicologia
del personaggio ma mi piace l'idea di un bisogno quasi fisico che hanno
l'uno dell'altro (qui solo il Joker). Piccola precisazione: quando
Joker viene colpito al petto (ben tre volte, come sono crudele!)
è chiaro che soffra molto ma ho parlato solo di 'pizzicore'
perché in quel momento è troppo preso dal
tormento interiore per accorgersi della gravità delle ferite
(come è comunque probabile che faccia uso di medicinali e/o
droghe). E... basta. Spero di aver saputo esprimere al meglio la sua
meravigliosa psiche contorta!
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