Rating: 14 anni
(presenza di linguaggio colorito).
Tipologia: One-Shot.
Lunghezza: 3972
parole.
Avvertimenti: Character
Death, Linguaggio Colorito.
Genere: Generale.
Disclaimer: Trama,
personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene,
sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: Canzone
utilizzata: You'll be in my heart, di Phil Collins. Tutte le citazioni
presenti provengono da questa canzone.
Note
dell'Autore: A fine
storia.
Introduzione
alla Storia: E
così, quasi per gioco, tutti cominciarono a chiamarle "Le
Tre Sorelle" per ribadire quel fenomeno così inusuale per un
paese così piccolo, associando le tre bimbe ancora prima che
queste potessero parlare o addirittura imparare a camminare.
Le Tre Sorelle
[24/12/08] Best
Friends
Non
c'era nessuno in quel piccolo paese di provincia che non conoscesse le
Tre Sorelle.
Quando
ci sono solo quattromila anime di cui parlare, anche l'evento
più insignificante può diventare motivo di
inutile sproloquio e chiacchiericcio; era per questo che quando tre
donne partorirono tutte nello stesso giorno, ad alcune ore di
differenza, nel piccolo ospedale poco distante da lì, tutti
ne ebbero a parlare per mesi e mesi; le donne si fermavano a
contemplare con un sorriso i tre fiocchi rosa che svettavano orgogliosi
su tre portoncini diversi; gli uomini coglievano la palla al balzo per
farsi una bevuta in più al bar in onore di quelle tre nuove
canagliette, che se ne stavano tranquille a dormire nelle braccia delle
rispettive madri, all'oscuro di tutto.
E
così, quasi per gioco, tutti cominciarono a chiamarle "Le
Tre Sorelle" per ribadire quel fenomeno così inusuale per un
paese così piccolo, associando le tre bimbe ancora prima che
queste potessero parlare o addirittura imparare a camminare.
Mano
a mano che crescevano, senza rendersi conto si trovarono loro malgrado
a dividere la maggior parte del tempo: all'asilo perfino le maestre le
mettevano sempre in gruppo insieme, e le tre bambine non si facevano
nessun problema.
Danièle
era in un certo senso la "maggiore": la madre aveva cominciato ad
imprecare in francese alle tre di mattina, e alle sei era nata lei, con
quella testolina scura e gli occhi blu che pian piano divennero verdi,
capaci di incantare chiunque.
Poi
era venuta Giò, subito dopo mezzogiorno. Il padre e tutte le
comari del paese era persuasi che sarebbe nato un maschio, e a nulla
era valso il testardo tentativo di Maddalena, la madre, di cercare di
convincere tutti che sarebbe stata una femmina. Ma quando nacque e
tutti scoprirono chi aveva ragione, sorse il problema del nome: il
padre, influenzato dai vecchi western e da quei Joe, uomini duri,
forti, senza paura di nulla, aveva deciso di italianizzare
così uno degli epiteti più comuni, con quello
strano Giò. Ma dopo sei mesi in cui tutti avevano preso
confidenza con quel semplice nome, cambiarlo sarebbe risultato quasi
offensivo nei confronti di quella piccola creaturina che si era ormai
abituata a sentirsi chiamata così, quindi rimase
Giò.
E
poi, c'era Veronica. La piccola prematura, la biondina con gli occhi
grandi che sembrava persa in qualsiasi contesto uno la piazzasse.
A
ben pensarci, non avevano poi molto in comune, ma quel fatidico 24
settembre le aveva unite, forgiando quella strana triade che sarebbe
andata avanti per anni e anni, facendo dimenticare a loro stesse spesso
e volentieri che non vi era nessun legame di sangue a tenerle insieme,
ma solamente un'etichetta data da altri.
Ma
Sorelle una volta, Sorelle per tutta la vita.
«Tu
dici che mi farà male?»
Mugugnò
contrariata Giò ad una delle sue due compagne di stanza.
Danièle sbuffò e roteò in alto gli
occhi, facendo poi scattare sicura il coltello davanti al viso
dell'altra.
«Ti
dico di no. Quando mi hanno tolto l'appendicite, mi hanno tagliata in
due e non ho sentito niente», si pavoneggiò, con
quell'aria da donna vissuta che riusciva sempre, bene o male, a
convincerle a compiere le più grandi cavolate della loro
ancora giovane vita.
«Bella
forza, eri addormentata!», sbottò Giò.
Se c'era una cosa che detestava, era il dolore fisico. Il solo pensiero
di potersi rompere qualcosa la faceva scappare via urlando in preda al
panico.
Danièle
portò il manico del coltello alle labbra, soppesando quanto
potesse divertirsi in quella situazione. Valutò anche il
livello di piagnucolamento dell'amica, e decise subito di non tirare
troppo la corda.
«Se
non lo fai andrò a dire a tutti di Marco»,
intervenne però Veronica, con uno strano sorriso sulle
labbra.
«No
che non lo farai».
«Io
dico di sì!»
"Ogni
volta così",
pensò affranta Danièle.
«Senti,
non devo tagliarti il polso, devo solo incidere appena la carne, giusto
per qualche goccia di sangue!»
Giò
fissò critica il piatto che era in mezzo al cerchio formato
dai loro corpi, in attesa del loro liquido vitale.
«Va
bene. Ma se sento anche solo qualcosa...»
«Sì,
sì, mi porterai alla corte marziale e mi farai fucilare,
d'accordo. Dammi qua», disse Danièle, riferendosi
al braccio della ragazzina.
Giò
glielo porse e chiuse gli occhi, girando decisa il capo verso il muro,
le labbra contratte. Danièle si concentrò e
Veronica si sporse per guardare meglio la scena; Danièle
prese il coltello e fece per passarlo sul palmo della mano...
«Si
può sapere cosa state combinando qua dentro?»
A
volte uno la sfiga se la chiama. La porta della camera da letto si
aprì di scatto, facendole sobbalzare e facendo tremare la
mano di Danièle.
Quando
Maddalena vide tutto quel sangue, lanciò un urlo che
svegliò persino i vicini della casa accanto.
[Why
can’t they understand the way we feel?
They
just don’t trust what they can’t explain
Perché non possono
capire quello che sentiamo?
Loro, semplicemente, non possono credere in ciò che non
riescono a spiegarsi]
«Ti
vuoi decidere a spiegarmi cosa diamine stavate facendo con un coltello?
Un coltello, maledizione, un
coltello!»
Giò
sbuffò e si appiattì ancora di più
contro il sedile della macchina, desiderando ardentemente di poter
scomparire. O di far azzittire la madre in qualche modo, qualsiasi
opzione le andava bene.
«Non
potete suggellare la vostra amicizia con il sangue! Ma dove
s'è mai visto?!»
«Nei
telefilm lo fanno sempre!»
La
madre strabuzzò gli occhi e si voltò a guardarla
inferocita.
«Nei
telefilm? In
quella spazzatura americana che ti propinano come se fosse una cosa
normale?»
«Non
è spazzatura!», si spazientì
Giò. Sua madre odiava gli Americani, la loro cultura ed il
loro cibo, ancora prima che la sua Miriam
diventasse la Giò di amici
e parenti. Se l'era legata al dito, oh sì.
«Signorinella
mia, se le cose stanno così ti vieto di guardare la
televisione per due settimane! Anzi, meglio, un mese intero!»
«Cosa?!»
«Non
ti sono bastati i sei punti di sutura a fartelo capire?»
Giò
si guardò la mano bendata; nonostante non lo desse a vedere,
le faceva molto male.
«Sei
tu quella che non capisce».
«A
dodici anni non potete programmare di rimanere amiche per tutta la
vita, è ridicolo! Con il tempo si cambia, si cresce...
Potreste anche non andare più d'accordo».
Fu
in quell'esatto istante che il tarlo del dubbio si insinuò
maligno nel cervello di Giò. E per quanto urlasse,
piangesse, stringesse i denti, ormai quella certezza, la certezza del "sempre", era
andata definitivamente perduta.
Erano
sempre state legate, ma ora che ci pensava erano amiche per abitudine
di stare insieme, non lo avevano deciso loro, non l'avevano scelto
spontaneamente. Era semplicemente stato così da sempre.
Quella
specie di rito che doveva sancire la loro amicizia aveva invece fatto
sì che una di loro tre cominciasse a domandarsi se l'affetto
che le legava era veramente puro.
E
per molti anni non riuscì a darsi una risposta.
[Come
stop your crying, it will be all right
Just
take my hand, hold it tight
I
will protect you from all around you
I
will be here don’t you cry
Dai, smetti di piangere,
andrà tutto bene
prendi solo la mia mano, tienila stretta
Ti proteggerò da tutto ciò che ti circonda
Io sarò qui non piangere]
«E
allora io gli ho detto... Ehi, ma mi state ascoltando?»
Danièle
socchiuse pigramente un occhio e agitò un piede in aria per
farle capire che poteva continuare a parlare, mentre Veronica
continuava a fissare un punto indefinito del soffitto. Era qualche ora
che faceva così, e Giò cominciò a
nutrire una seria preoccupazione nei suoi confronti. Stava per aprire
bocca per chiederle se stava bene, ma Danièle l'interruppe,
cogliendo entrambe di sorpresa.
«Cosa
c'è che non va, Vero?»
La
ragazza la guardò spaesata, e per un attimo calò
un silenzio terribile sulla stanza. Giò si strinse di
più nel largo pigiama di pile passandosi le mani sulle
braccia, in imbarazzo. Conoscevano bene Danièle, sapevano
che andava sempre dritto al sodo, ma a volte la sua schiettezza era
veramente disarmante.
«Di
cosa stai parlando? Guarda che sto benissimo!»
Danièle
guardò critica l'altra, e Giò si
ritrovò a pensare che costituivano di certo uno strano
quadretto, quelle due: l'eroina tragica e il boia mancato. E lei, lei
cos'era? Che ruolo aveva in quel dipinto,
perché si trovava lì? Per un
attimo le vennero le vertigini, e fu solo il forte sbuffo di
Danièle che riuscì a riportarla a terra.
«Vero,
se proprio devi mentire, almeno fallo meglio. Mi vergogno io al posto
tuo».
«Non
è colpa mia se spari balle anche a tua madre!»,
ribatté con rabbia all'attacco. Giò
spalancò la bocca, sorpresa, ma Danièle si
limitò solo ad alzare pigramente un sopracciglio.
«Quello
che faccio in casa mia e con le persone che non sono te, non ti
riguarda affatto».
"Oddio,
ora si picchiano",
pensò disperata Giò. Inaspettatamente
però dopo un iniziale turbamento, Veronica iniziò
a piangere e si gettò nelle braccia di Danièle,
farfugliando delle scuse e continuando a singhiozzare.
«I
miei... Papà se n'è andato di casa e mamma vuole
andarsene di qua!»
Per
loro fu come una doccia fredda. In sedici anni, non avevano mai pensato
di separarsi. Non era concepibile, punto.
«Come,
te ne vai?», domandò Giò senza fiato,
mentre Danièle si alzava dal suo letto ed usciva dalla
stanza. La sentirono sbattere con rabbia la porta del bagno, e Veronica
alzò gli occhi spaventata.
«Si
è arrabbiata?»
«Sai
com'è fatta... Deve solo riuscire a digerire la cosa. Vedrai
che tempo un'ora sarà tornata quella di prima».
Le
strinse forte la mano, tentando di rassicurarla. Veronica si strinse a
lei e piano piano si addormentò, mentre un peso sempre
più grande si faceva più opprimente nel petto di
Giò.
Danièle
non tornò nella sua camera fino a notte fonda.
«Allora,
dimenticato nulla?»
Veronica
rise forte, mentre finiva di sistemare uno scatolone nel bagagliaio
della macchina della madre.
«Nulla,
mammina...»
«Smettila
di prendermi in giro! Mi stavo solo assicurando che avessi preso
tutto!», sbuffò Giò, incrociando le
braccia irritata. Veronica le sorrise radiosa e l'abbracciò
forte, mentre anche la madre scendeva e finiva di mettere le ultime
cose nella vettura.
«Tranquilla,
ci sono solo un centinaio di chilometri da noi, tornerò
appena possibile. E ti giuro che non darò confidenza al
primo sconosciuto che passa, che chiuderò sempre la porta a
doppia mandata e che prima di rispondere al citofono
controllerò sempre chi ha suonato. Che ne dici?»
«Cosa
vuoi che dica... Divertiti, e ricordati di noi».
«Non
mi potrei mai e poi mai dimenticare di voi, tranquilla».
Danièle
si avvicinò silenziosamente ed il sorriso di prima
s'incrinò appena.
«Ce
l'hai ancora con me?»
Danièle
l'abbracciò e le sussurrò:
«Buon
viaggio».
«Stammi
bene. E controlla anche quella piagnucolona, mi raccomando!»
«Ehi!
Guarda che sono qui!»
Veronica
rise e le baciò velocemente sulle guance, come facevano di
rado. Non era da
loro.
«Non
preoccupatevi, resterà tutto come prima! Ve lo
prometto».
Quelle
furono le sue ultime parole prima di entrare in macchina ed andarsene
verso la sua nuova vita.
«Non
sarà mai più niente come prima,
invece». Danièle voltò le spalle a
Giò e si incamminò verso casa, lasciandola sola
in mezzo alla stradina secondaria.
Il
magone dentro Giò si fece sempre più pressante,
mentre quello che la tormentava da quattro anni sembrava aver preso
vita.
L'aveva
detto anche Danièle. Nulla sarebbe stato più come
prima.
L'illusione
del sempre si era
dissolta come neve al sole, cedendo il posto ad un futuro che ora non
sembrava più una semplice linea retta da attraversare tutte
insieme, piuttosto un baratro sotto di loro. Da una parte erano rimaste
lei e Danièle, mentre Veronica l'aveva oltrepassato ed era
svanita nella nebbia.
Non
ebbe mai tanta voglia di piangere. Ma quello che nessuna delle due
poteva vedere, erano le lacrime di Veronica una volta rimasta sola con
la madre in auto, e le occhiate tristi che quest'ultima continuava a
lanciarle, ben sapendo che in quel frangente non poteva fare nulla per
aiutare la figlia.
Maledì
suo marito con tutte le sue forze.
[For
one so small, you seem so strong
My
arms will hold you, keep you safe and warm
This
bond between us can’t be broken
I
will be here don’t you cry
Per uno così piccolo, tu
sembri così forte
Le mie braccia ti stringeranno, ti terranno al sicuro e al caldo
Questo legame tra noi non può essere spezzato
Io sarò qui non piangere]
«Come
va con l'università?»
«Come
vuoi che vada... A volte mi sembra di essere troppo intelligente
perfino per i miei professori. Basta qualche citazione in francese e
sembrano perdersi in chissà quale oceano senza
fondo».
Giò
ridacchiò. Conosceva Danièle e a volte le
dispiaceva veramente per quei poveri esseri che avevano il compito di
esaminarla.
«Dì
la verità, ti diverti».
Sentì
uno sbuffo dentro la cornetta e capì subito che stava
sorridendo.
«Ovvio.
Progetto di far venire una crisi di nervi il più presto
possibile all'insegnante di inglese. Con quello di francese ci sono
riuscita già il mese scorso, non c'è
più gusto a stuzzicarlo, ormai. Invece a te come
va?»
«Non
mi lamento... Piuttosto, sai chi ho incontrato l'altro
giorno?»
«Spara».
«Mauro
Salvoni».
«Il
padre di Veronica?»
«Quanti
Mauro Salvoni conosci?»
«In
effetti uno solo. Che voleva?»
Giò
si attorcigliò il filo del telefono intorno al dito, mentre
rifletteva meglio su quello che l'uomo le aveva detto.
«Non
è stato molto chiaro, ma credo fosse in ansia per la figlia.
Ma sai, alcolizzato com'è se la sarà anche
sognata».
«Mmh...
Quant'è che non senti più Veronica?»
«Tanto...
Penso tre, forse quattro mesi. O anche di più,
chissà».
Era
andata esattamente come Giò aveva temuto. Il trio si era
diviso, le Tre Sorelle avevano smesso di esistere, e con l'inizio delle
università era finita che anche con Danièle i
contatti erano sempre più staccati e lontani.
«Anch'io
non la sento da parecchio».
«Senti,
per te può avere seriamente dei problemi?»,
domandò titubante Giò, mentre l'altra valutava se
credere o meno a quell'uomo.
«Non
ne ho idea», ammise infine. «Però, per
quanto ubriaco, non credo che direbbe delle bugie del genere,
è pur sempre sua figlia».
Fu
quel qualcosa nella voce di Danièle a far scattare una
specie di molla nella testa di Giò.
«La
vado a prendere».
«Cosa?»
«La
vado a prendere», insistette lei, caparbia.
«Fa'
come vuoi».
C'erano
cose che Danièle non riusciva a capire. "E forse
non sarà mai in grado di farlo",
pensò tristemente Giò riabbassando il ricevitore
per andare a prendere la valigia.
Quando
le venne ad aprire, per un attimo Giò non riuscì
a dire nulla. Quella non era la
Veronica che ricordava, la ragazza avvenente e sempre perfetta, come
Danièle.
«Chi
si vede», mormorò l'altra senza alcuna convinzione
nella voce. Giò fissò sconvolta il trucco colato
del giorno prima, le profonde occhiaie sotto i suoi occhi, i capelli
sporchi e tinti di un biondo assurdo, platino, che non le apparteneva,
quella semplice canottiera con cui andava in giro e le gambe fasciate
da culottes che non potevano coprire la sua magrezza. Le
salì un improvviso groppo in gola, e dovette sforzarsi per
riuscire a modellare i suoi muscoli facciali in un sorriso di
circostanza. Il genere di sorrisi che Danièle odiava, ma che
più di una volta le avevano salvato le chiappe.
«Allora,
mi fai entrare? Il corridoio è carino, ma direi che proprio
non è il massimo...»
Veronica
si spostò lateralmente e tornò in salotto,
gettandosi a peso morto sul divano e guardandola da sotto in su.
«Cosa
vuoi?»
«Sono
venuta qui per qualche giorno e mi serviva un posto dove dormire,
così mi sono chiesta se tu...»
«Se
ti accontenti di una brandina, il posto c'è»,
liquidò il discorso Veronica.
Giò
non aggiunse altro, posando la valigia in un angolo ed ispezionando
velocemente il piccolo appartamentino dove l'altra alloggiava.
«E
così... Tu vivi qui, giusto?», chiese
Giò, passando due dita su un mobile e ritirandole ricoperte
di polvere. Veronica per tutta risposta si limitò ad alzare
le spalle, dirigendosi senza guardarla in cucina.
"Ah,
se solo ci fosse Danièle... Temo di non essere la
più adatta per dire certe cose".
Si
risolse a rimandare la chiacchierata ad un altro giorno, ma soprattutto
di riordinare quel caos che Veronica chiamava "casa" appena la
legittima proprietaria se ne fosse andata.
Giò
in un certo senso amava le faccende di casa, quando era arrabbiata
prendeva uno straccio e cominciava a pulire tutti i vetri delle
finestre, per smaltire il nervoso. Pulire quell'appartamento le aveva
donato però uno strano senso di benessere, come se togliendo
lo sporco da quei mobili fosse riuscita un po', giorno dopo giorno, a
rimuovere la patina che avvolgeva anche il suo rapporto con Veronica.
«Ti
sei trasformata in una massaia perfetta e non lo sapevo»,
commentò dopo qualche giorno Veronica, quando finalmente
riuscì ad entrare nel bagno senza dover tentare di
scardinare la porta.
«Mi
sento molto Cenerentola, effettivamente. Passano molti Principi Azzurri
qua intorno oppure dovrò andare al Gran Ballo e perdere una
scarpa per trovarlo?»
«Con
quello che costano qui le calzature, non te lo consiglio proprio. Se lo
vedi, dagli direttamente il tuo indirizzo, e chiedigli se ha un qualche
cugino disponibile anche per me».
Giò
rise e si sistemò una ciocca castana dietro l'orecchio.
Aveva dimenticato come fosse facile parlare con Veronica, come si
trovasse bene insieme a lei. Veronica d'altra parte non avrebbe mai
pensato che sarebbero tornate così unite in pochi giorni, e
questa cosa la commuoveva, facendo sciogliere un po' il carattere
esacerbato dovuto ad una delle tante delusioni d'amore, l'ennesima
subita.
«Visto
com'è facile? Una passata e via, torna tutto come
nuovo!»
Veronica
rise, mentre decideva in quel momento di togliere quella tinta assurda
che portava sui capelli. In fondo, non le era mai piaciuta.
«Fosse
sempre così facile, Giò...»
Giò
sorrise con aria complice, mentre continuava a lustrare a fondo i
fornelli della cucina.
«Il
numero di Danièle è lì, accanto al
telefono».
Glielo
disse senza guardarla, per non imbarazzarla.
«Perché...?»
«Fallo
e basta. Le Tre Sorelle si sono perse un po' per strada, ma vedi come
alla fine tutto torna apposto? A noi sono bastati solo pochi detersivi
e una buona bugia!»
Veronica
osservò il telefono.
«Credi
che vorrà parlarmi ancora?»
«Questo
non lo so, ma finché non provi non lo saprai, no?»
«Hai
ragione...»
Ed
il sorriso raggiante di Veronica alla fine della chiamata
scaldò il cuore di Giò, felice che i suoi
abbracci avessero ancora un potere consolatorio sulle lacrime di
Veronica, fossero pure di felicità.
"Ci
sono legami che non si spezzeranno mai".
[And
you’ll be in my heart
Yes,
you’ll be in my heart
From
this day on
Now
and forever more
You’ll
be in my heart
No
matter what they say
You’ll
be here in my heart
Always
E tu sarai nel mio cuore
Sì, sarai nel mio cuore
Da oggi in poi
Ora e per sempre
Sarai nel mio cuore
Non importa cosa dicono
Tu sarai nel mio cuore
Sempre]
Quella
mattina faceva freddo, ma splendeva il sole, che andava ad infrangersi
in mille luci diverse sulle pietre bianche di quel grande prato.
Giò
camminava da sola, le mani in tasca, fissando distrattamente il
marciapiede sbreccato e i ciuffi d'erba che lottavano contro il cemento
per venire alla luce, mentre il suono dei suoi passi sulla ghiaia le
risultava assordante in quel silenzio ma le dava anche una
rassicurazione quasi gentile.
Ad
un certo punto temette di essersi persa in quella specie di labirinto
ed alzò gli occhi. In lontananza vide due figure in piedi, e
le riconobbe subito.
«Scusa
il ritardo», sussurrò, appena arrivata, a Veronica.
«Figurati,
siamo appena arrivati anche noi».
Giò
guardò in faccia l'uomo che accompagnava l'altra e sorrise.
«Grazie
mille anche a te per essere qui. Per noi è
importante».
Massimo
scrollò il capo come per dire "non fa nulla" e Veronica si
sistemò meglio gli enormi occhiali da sole che portava.
«Sei
pronta?»
Veronica
annuì e lasciò la stretta del suo uomo, per
porgere la mano a Giò e prendere la sua. Insieme si
avvicinarono di più a quell'enorme tomba bianca e grigia che
campeggiava imponente di fronte a loro.
«Non
pensavo che sarebbe successo...»
«Io
non pensavo sarebbe successo a lei», confessò
Giò. «Era la più forte di noi, ci ha
sempre sostenute, non l'avrei mai immaginato... Non così,
perlomeno.»
Estrassero
dalle loro borse una busta chiusa ciascuna e le poggiarono tra la
lapide ed un vaso di fiori freschi, poi Giò posò
un bacio sulla punta delle dita ed accarezzò la foto messa
lì da poco, che ritraeva Danièle alla festa dei
suoi diciotto anni, con quel suo sorriso un po' strano e smaliziato che
l'aveva caratterizzata da sempre. Si rialzarono in piedi e Veronica
scoppiò a piangere; Giò l'abbracciò e
appoggiò il suo mento sulla sua testa, mentre guardava il
cielo e delle calde lacrime cominciavano a rigare anche il suo volto.
Sentiva il cuore dell'amica battere accanto al suo, e pensò
che era giusto così, che era quello il posto dove doveva
stare, dove si era trovato anche quello di Danièle solamente
fino a qualche mese prima. Accarezzò i capelli di Veronica e
li baciò, prima di staccarsi e dirle:
«Vai
da lui. Ha capito quello che proviamo, non farlo sentire
escluso».
«E
tu come farai?», chiese, con la voce rotta dal pianto, mentre
si toglieva gli occhiali da sole e si asciugava con una mano le lacrime.
«Non
ti preoccupare per me. In qualche modo ce la farò,
tranquilla. E se proprio sarò così
giù, verrò da te e mi farò viziare un
po', cosa ne pensi? Massimo sarà felice di vedersi sbattuto
sul divano?».
Le
rivolse un sorriso, mentre l'altra rideva piano.
«Quando
vuoi, Giò, quando vuoi».
Guardarono
per un'ultima volta la pietra che le separava da Danièle,
prima di voltarsi verso l'uomo che le aspettava.
«È
un bravo ragazzo, non farlo scappare», le disse
Giò cominciando ad incamminarsi.
«Ci
separiamo qui?»
«Sì.
Voglio andare a trovare la madre di Danièle, prima di
tornare a casa».
Si
fissarono per qualche istante, e quando il mento di Veronica
ricominciò a tremare impercettibilmente, Giò le
sorrise e le strinse la mano.
«Tranquilla,
lei è sempre qui», e si batté piano il
palmo contro al petto.
«Hai
ragione. Ti voglio bene, Giò».
«Anche
io, tesoro, anche io».
Perché
a volte può essere troppo tardi per dirlo.
Giò
rimase a guardare la coppia andare via, fissando serenamente il braccio
dell'uomo stretto sul fianco dell'altra. Aspettò che
scomparissero dietro ad una nuova fila di cipressi, prima di guardare
ancora quella foto dentro la piccola cornice dorata. La stretta che da
giorni le attanagliava il cuore si fece più forte,
lasciandola per un attimo senza respiro. Veronica non ricordava, ma lei
sapeva benissimo che in quella foto comparivano tutte e tre, e che
avevano tagliato il resto per far vedere solo il volto straordinario di
Danièle.
Alzò
lo sguardo al cielo, mentre un'anziana donna le passava accanto senza
curarsi di lei, con un mazzo di fiori ed un paio di cesoie in mano.
Mentre il rumore di passi si allontanava, lasciò finalmente
che il dolore la invadesse in pieno, come non si era mai permessa in
quei giorni. Era sempre stata brava a nascondere i propri sentimenti,
ma a volte ci sono cose che non possono essere tenute dentro troppo a
lungo. Cominciò a singhiozzare forte e si
inginocchiò di fronte alla faccia sorridente di
Danièle, stringendosi saldamente le braccia.
Non
sapeva se ce l'avrebbe fatta anche questa volta, sinceramente. Ma al
momento non se ne curava affatto, non riusciva a pensare a niente, il
dolore era troppo.
Continuò
a singhiozzare forte ancora a lungo, e quando la donna di prima
tornò, la trovò ancora così. Le
rivolse uno sguardo compassionevole e continuò a camminare,
stringendo forte il manico delle forbici nelle sue dita.
Lei
quel dolore se lo ricordava bene. Quello che la notte non ti fa dormire
e che continua a svegliarsi, non importa ogni quanto, ma sempre con la
stessa intensità.
Si
ritrovò a pregare fervidamente che quella ragazza imparasse
ad affrontarlo presto.
Danièle,
ti ricordi quando ci giurammo eterna amicizia? Ci aspettavamo di vivere
insieme il resto della nostra vita, divertendoci sempre al massimo.
Be', non è andata proprio così. Ad ogni modo, ci
tenevo a dirti una cosa che credevo non avrei più detto a
nessuno, men che meno a te.
Ti voglio bene, te ne voglio sul serio. Ma credo che questo tu l'abbia
sempre saputo, dopotutto. Tu sapevi sempre tutto.
Chiudo qui, Danièle. Fuori è una splendida
giornata, voglio uscire per pensare un po'. Non voglio bagnare
ulteriormente questa lettera, altrimenti sono certa che ti
arrabbieresti come facevi sempre quando piangevo, perché
odiavi vedermi stare male. Mi dispiace solo di essermene accorta
così tardi, ti prego di perdonarmi.
Un'ultima cosa: consola Giò, ti prego. So che sta
più male di quanto voglia dimostrare, ma questo non le fa
bene. Non ne fa neppure a me. Consolala, stalle vicino. Io
continuerò a farlo, nello stesso modo in cui voi avete
sempre fatto con me.
Sarai sempre nei nostri cuori, Danièle, sempre.
Ricordalo.
Un abbraccio,
Tua Sorella Veronica
Note
dell'Autore: In questa
storia ho messo del mio, molto più di quello che mi sarei
aspettata. In qualche modo, è stato doloroso per me
scriverla, e questo non me lo sarei mai aspettato. Ho scelto di non
descrivere la morte di Danièle, non ho scritto neppure le
cause, perché credo che alla fine non sia importante tanto
il come, quanto il fatto che ormai è successo.
Alla
fin dei conti, è sempre la solita storia di amiche. Spero
solo di essere riuscita a fare un buon lavoro con le psicologie delle
tre ragazze. Questo me lo saprete dire voi ^^
Adieu!
Giudizio:
Prima qualificata:
Le tre sorelle di Lely1441
Punteggio: 8.8
Questa
è la storia di tre amiche, unite apparentemente solo per una
banale coincidenza, che sviluppano un legame profondo e duraturo, un
legame che va persino al di là di quanto loro stesse non si
rendano conto. Si tratta di tre ragazze molto diverse tra loro,
complementari, ciascuna dotata di una propria personalità
ben distinta dalle altre. La forza del racconto è proprio
questa: le tre amiche, prima bambine e poi giovani donne, non vengono
ritratte solamente nel loro rapportarsi l’una con le altre.
Di ciascuna l’autrice riesce a tracciare un quadro chiaro,
descrivendo brevemente ma efficacemente tre diversi caratteri. Gran
parte della storia è raccontata dal punto di vista di
Giò, che per certi aspetti può sembrare la meno
“speciale” delle tre ragazze, ma che in
realtà mostra una sensibilità e un animo a cui
è difficile non affezionarsi. Vedere il rapporto con
Danièle e Veronica descritto proprio da Giò aiuta
a comprenderne le dinamiche, porta il lettore a dubitare di quella
amicizia come fa la stessa ragazza, ma alla fine ad accettarla come
qualcosa che non è soltanto stato imposto, ma che ad un
certo punto le ragazze hanno scelto.
Il
racconto si conclude in modo molto amaro, ma l’autrice
descrive anche il dolore con una delicatezza e una
sensibilità ammirevoli. La scelta di inserire alla fine la
lettera di Veronica è molto azzeccata, permette di vedere
anche Giò da una prospettiva diversa e dà grande
intensità al finale.
La
canzone scelta è stata utilizzata molto bene, le frasi
inserite accompagnano in maniera armonica il racconto, non disturbando
in alcun modo la narrazione. Dal punto di vista formale e stilistico si
tratta di un’ottima storia.
Grammatica
e sintassi: 9
Capacità
espressiva: 9
Capacità
argomentativa: 9
Capacità
critico-rielaborative: 9
Originalità
e creatività: 8
Al
solito, un ringraziamento speciale a Sonsimo, il cui giudizio mi ha
commosso sul serio (ancora grazie ç___ç), alla
mami che mi ha creato il bannerino, alle altre partecipanti e a chi
recensirà la storia ^^
Bando
Contest Best Friends
Kissoni!!
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