Volti
gli occhi a fronteggiare il sole.
«Ma
chi disdegnerebbe di acquistare un mondo
per
una sola ferita, o anche pagando il prezzo
di
un qualche dolore più grave?»
John
Milton,
Paradiso Perduto, Libro X, vv. 499-501.
Capitolo
I –
Un segreto segretissimo.
«Max,
senti...
devo dirti una cosa.»
«Uhm,
sì?»
«Ho
una
figlia, Max.»
Ci
sono notti
in cui Max vorrebbe veramente sognare di annegare.
Pensa
che
l'acqua che sale, sale, fino a inghiottirlo e a soffocarlo,
sprofondandolo nel suo grembo azzurro e rassicurante, sarebbe l'unico
rimedio a quest'arsura che lo dilania.
Ma
tutto ciò
che Max riesce a vedere è questo grande sole caldo che
brucia e
irrora la terra dei suoi raggi che la inaridiscono. Non riesce a
guardarlo direttamente. È una grande sfera arancione,
sorprendentemente bassa sull'orizzonte, e molto più grande
di un
sole normale. La sua luce è così splentente che
sostenerne la
vista, persino in sogno, è impossibile.
Eppure
a Max
piacerebbe vederla, ma proprio non è possibile. Sente che
questo
sole conoscerebbe qualche risposta, se solo egli riuscisse a
guardarlo abbastanza a lungo da concepire dentro di sé le
domande.
Ma
davanti al
sole, Max si sente come nudo. All'improvviso si accorge che non ha
nulla con cui difendersi dal sole, che il calore è troppo
forte, è
insopportabile e bruciante e brucia la sua pelle come fosse fuoco!
Ogni
notte Max
si sveglia ansimante e sudato e fa fatica a ricordarsi dove si trova.
Rimane immobile col petto che si gonfia affannosamente
finché la
luce che filtra attraverso le persiane non abitua la sua retina a
distinguere nel buio quei tratti della loro camera che ormai stanno
diventando familiari: vede la cima dell'armadio in rovere, le lame di
luce delle persiane, la sagoma della porta rimasta aperta. Alla sua
sinistra, nel letto, sente quella grande massa di calore che
è Ivan.
Sarebbe
troppo
facile attribuire quegli incubi al calore emesso dal suo corpo
robusto, così vicino a lui nel letto. C'è una
parte molto razionale
della sua mente che vorrebbe convincersi di questo, attribuire le sue
angosce a ragioni fisiche, ma Max – in quei momenti di
straordinaria sincerità con se stesso che si concede nel
dormiveglia
– sa che si tratterebbe di una bugia. Se così
fosse, non sarebbe
possibile spiegare per quale motivo, non appena egli si accosta
maggiormente a Ivan sotto le coperte e si appoggia contro la sua
schiena, gli incubi cessano fino al mattino. Appoggiando l'orecchio
contro la sua pelle nuda, Max ascolta il suo cuore battere attraverso
la cassa toracica a un certo ritmo familiare e rassicurante e si
riaddormenta.
Max
spalanca la
finestra e il mattino irrompe nella stanza sotto forma di luce
dorata, ma di una luce tiepida e benevola, priva di qualsiasi
minaccia, e gli riempie le narici il profumo del mare. Vi è
un
continuo cinguettio di uccelli, fuori dalla loro casa, ma Max ha
finito col trovarlo rilassante. Si concede qualche minuto di silenzio
in quella luce e in quel canto.
«Hai
voglia di
parlare?»
Max
non si
volta. Anche così, continuando a dargli le spalle, riesce a
vedere
Ivan con precisione nella propria mente: sa che è seduto sul
letto,
a petto nudo, colle lenzuola drappeggiate attorno ai fianchi in modo
così casuale e vaporoso da risultare terribilmente
provocante, e che
lo sta fissando. Percepisce sulla schiena la forza del suo sguardo,
come una luce proiettata attraverso una lente.
Non
lo
sorprende che glielo abbia detto proprio ieri sera, soltanto ieri
sera, in fin dei conti. Vivono insieme da quasi una settimana, e di
certo può non sembrare molto, ma in realtà questi
cinque giorni
sono solo la punta di un iceberg che si protrae ormai da mesi
– un
iceberg di notti insonni e di giornate trascorse assieme in silenzio
e di una strana quotidianità che avrebbe fatto impazzire
chiunque se
solo non si fosse trattato di loro. Non che la decisione di vivere
insieme sia stata particolarmente studiata. Semplicemente una mattina
Max si è svegliato nel letto di Ivan con tanta naturalezza
che non
si ricordava più come o quando ci si fosse addormentato, e
Ivan
stava guardando il soffitto con aria pensierosa. Devo
comprare un
letto più grande, ha detto solamente, e questo
è stato l'inizio
ufficiale della loro convivenza.
«Certo.»
«Bene,
perché
io ho un sacco di cose da dire.» Sente che Ivan si sistema
meglio
sul letto: probabilmente sta cercando di fargli spazio, ma Max non ha
voglia di andare a sedersi accanto a lui. Non per ora, almeno.
«Da
cosa vuoi partire?»
Bisognerà
che
si decida ad affrontarlo, dopotutto, perciò Max si decide a
voltarsi
e a guardarlo in faccia, appoggiandosi al davanzale della finestra.
«C'è
qualche
motivo particolare per cui non me l'hai mai detto?»
Questa
è la
domanda più stupida, più infantile e forse
più egoista che
potesse fargli, è vero, eppure Max deve
sapere. Per quale
motivo conosce Ivan da più anni di quanti ne riesca a
ricordare, e
forse meglio di quanto conosca se stesso, ma non ha mai saputo che
avesse una figlia. E non è che sia arrabbiato, o deluso, o
che altro
– non prova niente di tutto questo – ma
semplicemente è qualcosa
di rivoluzionario. Lui e Ivan si sono inseguiti e braccati e
rifuggiti a vicenda in impeti d'amore e d'attrazione e di
rivalità
per quasi tutta la vita ch'egli conosce, e ora viene fuori che
durante tutto questo, in un piccolo mondo protetto e distante
relegato sullo sfondo del loro scontro, Ivan aveva una figlia. Max
non è arrabbiato, non gli importa di quella bugia, se tale
vogliamo
chiamarla – è solo un rimasuglio di quel passato
in cui entrambi
hanno sbagliato e perso e si sono confrontati, e Max non potrebbe mai
rinfacciargli niente che faccia parte di quel passato - ma vuole
sapere. Ivan è sempre stato ciò che si chiama un
libro aperto, che
tradisce i suoi segreti con la voce e col corpo, se mai ne ha, di
segreti... eppure, per tutto questo tempo, ha tenuto sua figlia
segreta più ancora dei suoi piani.
Anche
ora che
vuole capire, Max non si limita ad ascoltare. Osserva, e vede Ivan
nella sua solita postura aperta e disponibile al mondo, franca e
schietta, gonfiare il petto ed emettere un lungo fischio assordante.
«Ehi, Max, sei impazzito? Non è che non l'ho detto
a te. Non
volevo che questo potesse rientrare nello scontro tra i nostri
Team...»
«Sai
bene che
non me ne sarei mai servito!» protesta Max inorridito, e
forse non
lo è tanto perché Ivan ha appena prospettato
questa possibilità,
quanto perché non è davvero sicuro che non
l'avrebbe fatto.
Sta
cominciando
a rivalutare quello che ha fatto, Max. Non è una cosa che
ammetterebbe ad alta voce, ma è così: nei suoi
piani di
miglioramento del pianeta, la falla era tanto grande che non essere
riuscito a vederla gli dà un'idea molto precisa della sua
propria
cecità. Il suo piano così elaborato e ingegnoso
era perfetto, e
proprio il fatto che fosse tale ha rischiato di condannare tutta
l'umanità. Semplicemente, Max ha sbagliato, e le conseguenze
delle
sue azioni sarebbero state irreparabili, se non fosse stato per
l'intervento di altri. La verità è che Max non sa
ancora se
riuscirà a perdonarsi per ciò che ha fatto, ed
è proprio questo il
motivo per cui ora si domanda se davvero, se solo avesse saputo prima
della figlia di Ivan, non avrebbe tentato di sfruttarla pur di avere
la meglio sul suo Team.
Ivan
scaccia
quell'idea agitando la mano. «Non mi riferivo a te! Ma
andiamo,
credi davvero che se per caso questa cosa fosse venuta fuori, anche
solo per errore, qualcuno come Rossella non se ne sarebbe
approfittato?»
Rossella,
già.
Max non ha idea di cos'abbia fatto dopo ch'egli ha deciso di
sciogliere il Team Magma, e francamente neppure gliene importa. Si
augura che sia stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico, comunque,
perché non osa neppure immaginare cosa potrebbe combinare se
trovasse qualcos'altro a cui appassionarsi nel suo modo morboso.
Oppure che sia emigrata in qualche regione veramente lontana. Tipo
Unima, magari.
«Giusto»
conviene a bassa voce, ma il fatto che Ivan non lo reputasse capace
di una cosa del genere non gli dà il sollievo che sperava.
Forse è
ancora troppo suggestionato dal suo sogno divenuto ormai ricorrente,
quello di un grande sole caldo che brucia la terra.
Ivan
è ancora
lì, sul letto, e aspetta. Vuole davvero parlare di questa
cosa,
perciò Max pesca a caso dal mucchio di domande che gli
affollano la
testa.
«Come
si
chiama?»
Anche
stavolta
Ivan pare gonfiarsi tutto, ma stavolta è d'orgoglio. Max
scorge un
luccichio insolito nei suoi occhi.
«Hyra,
ha
sette anni. Vive a Ciclamipoli con sua madre. Ti piacerà,
Max,
vedrai: è una bambina intelligentissima.»
Max
deve ancora
incontrare un padre che sostenga di avere una figlia scema, e di
certo quello non sarà Ivan. È veramente
orgoglioso di
parlare di lei, come se il merito della sua intelligenza, o di
qualsiasi eventuale altra sua qualità, fosse interamente
suo. In
questo momento è un po' come un enorme piccione gozzuto che
si stia
mettendo in mostra, e Max decide di punzecchiarlo un po' per
allentare la tensione.
«In
tal caso,
suppongo che tu debba ringraziare la madre.»
Il
cuscino che
Ivan gli scaraventa contro sbatte con un suono sorprendentemente
forte contro l'intelaiatura della finestra, ma Max lo sa che non
è
arrabbiato. La sua grassa risata roboante riempie la stanza, e Max si
sente giusto un po' meglio.
«Aye,
hai
ragione, Max! Sua madre non è una scema, anche se non ha due
lauree
come te.»
Ivan
è così
dannatamente a suo agio. Stanno parlando di una cosa come la sua
figlia segreta, eppure è aperto e sereno e ci scherza anche
sopra. A
volte Max invidia la sua semplice visione del mondo (che comunque,
come non perde occasione di ricordare a se stesso, era migliore della
sua. Ivan ha cercato di fermarlo, anche se non ci è
riuscito. Ivan
sapeva che lui stava sbagliando).
Finalmente,
Max
si sente abbastanza a suo agio da andare a sedersi sul letto, accanto
a lui. È ancora caldo della notte movimentata che ha
passato, ed
egli deve cercare di reprimere tutti i pensieri correlati al suo
sogno.
«Chi
è sua
madre?»
Ivan
si stringe
nelle spalle, come se la cosa non avesse poi particolare importanza.
«Una ragazza che voleva entrare nel Team Idro, qualche anno
fa.»
«Sì,
e poi?»
chiede Max un po' spazientito. Non c'è bisogno che Ivan
abbia
riguardo dei suoi sentimenti proprio ora. «Ivan, ci hai fatto
una
figlia. Suppongo che tu la conoscessi almeno un po'.»
«Oh,
va bene.»
Ivan sembra dover raccogliere i pensieri per un po', come se
precisamente questo pensiero, quello di aver avuto una relazione con
una donna misteriosa sette od otto anni prima, gli desse un lieve
disagio davanti a lui. Ma perché, poi? Ha forse paura che
lui possa
essere geloso?
«Ha
seguito il
percorso di addestramento per diventare una Recluta, ma ha deciso di
smettere dopo che ci siamo lasciati. Non è stata una grande
storia,
alla fine» lo avverte. «E non molto romantica.
Forse volevo solo
dimostrare a me stesso che... non so, che ero veramente un uomo,
magari. Che riuscivo ancora ad andare a letto con una donna e roba
simile.» Max riesce quasi a vedere l'Ivan
di quasi dieci anni
prima, risentito e offeso con se stesso per quelle pulsioni che non
riusciva a dominare, comprendere e ad accettare (a dire il vero si
ricorda ancora com'era quando finivano accidentalmente l'uno nel
letto dell'altro le prime volte, ormai una vita fa, così
giovani e
un po' più inesperti e passionali di ora, forse. Si ricorda
bene la
rabbia negli occhi di Ivan quando si accorgeva che nonostante tutto
ciò che li separava lo voleva). Per
questo forse riesce a
immaginarselo così vividamente mentre si ritrova a letto con
questa
sconosciuta senza volto con il furioso proposito di farselo
piacere... non c'è dubbio, tutto questo
è molto da Ivan.
«Hyra
è
venuta fuori per caso, sai... un incidente. Io e Aima non siamo mai
stati insieme, neppure quando è nata lei, ma beh... penso di
poter
dire che siamo sempre stati due genitori piuttosto civili, e ci siamo
organizzati molto bene.»
Finalmente
Ivan
finisce queste poche parole che sembrano pesargli moltissimo, ma ora
eccolo lì, un colosso di quasi un centinaio di chili
d'orgoglio
paterno. Forse è il sentimento più delicato che
Max gli abbia mai
visto esprimere.
Ora
entrambi
rimangono in silenzio, per un po', e Max torna a guardare fuori dalla
finestra. In realtà Ivan gli ha detto pochissimo, ma a lui
sembrano
un mucchio di informazioni da analizzare. Ora che nessuno dei due sta
parlando, il canto degli uccelli sembra molto più forte e
insistente
fuori della finestra, ed egli socchiude per qualche istante gli occhi
in quella luce. È felice che il loro mondo ci sia ancora,
malgrado
le sue azioni, e che all'interno di quel mondo ci sia ancora spazio
per una casa modesta e confusionaria come la loro, e per una bambina
dal nome esotico che pare rendere tanto felice il suo compagno
(amante?, ragazzo? È una fortuna che Ivan non sia uno che
dà peso
alle definizioni, perché per quella loro strana relazione
Max non ha
voglia di trovarne nessuna).
Finalmente,
Ivan parla ancora. Max si volta verso di lui, e per una volta i suoi
occhi scuri sono forse quanto di più serio egli abbia visto
mai.
«Forse
avrei
dovuto parlartene prima, Max, ma è successo tutto in modo
così
rapido che non ho neppure capito quand'è che abbiamo
cominciato a
fare sul serio, e ora non posso più aspettare. Se
c'è una cosa a
cui penso di non poter rinunciare, quella è Hyra.
Perciò ho solo
bisogno di sapere che tu accetti mia figlia, Max. Credimi, non voglio
altro.»
Max
si ricorda
ancora perfettamente di quanto, nell'estate dei loro vent'anni, ha
disprezzato profondamente Ivan per la sua manifesta
incapacità di
mentire e per la sua sincerità totalizzante, palese, che
traspariva
persino dai suoi muscoli. Ivan non ha mai cercato di manipolarlo, e
non lo farà neppure ora. E questo, per come la vede Max,
è
straordinario, in parte perché per tutta la vita egli non ha
fatto
nient'altro che questo – manipolare e rigirare la
verità a proprio
vantaggio, cioè – ma soprattutto perché
in questo momento Ivan
avrebbe ogni genere di motivo e di opportunità per
ricattarlo
subdolamente, ma non lo farà mai. Potrebbe ricordargli,
direttamente
o per velate insinuazioni, che l'uomo che ha rischiato di distruggere
Hoenn non è proprio nella posizione migliore per rifiutarsi
di
accettare sua figlia, solo per fare un esempio, oppure ancora che,
semplicemente, Max gli deve così tanto per essere rimasto
con lui
nel momento della sua massima aberrazione che... ma Ivan non
è il
tipo di persona che ragiona così, fortunatamente. Quello
è lui.
Ivan, invece, non si accontenterà di nient'altro che del suo
pieno
assenso incondizionato e per quanto possibile entusiastico –
beh,
entusiastico per i suoi standard, naturalmente.
Perciò,
stringendosi le ginocchia al petto, Max alza le spalle e borbotta:
«Non sarò obbligato a guardare le tue foto di
famiglia, vero?»
Ivan
scoppia a
ridere – un suono caldo e avvolgente, basso e ritmico come
sentir
cannoneggiare in lontananza – e lo afferra per stringerlo a
sé.
C'è sempre un che di erotico nell'urtare contro il suo petto
nudo –
Dio, ma quand'è che quest'uomo scoprirà
l'utilizzo del pigiama? -
ma dato che stanno parlando di qualcosa di così serio Max si
sforza
d'ignorarlo.
«No,
niente
foto di famiglia, Maxie! Aye, non c'è mai stata una
famiglia, lo
sai: io e Aima non siamo mai stati davvero insieme, te l'ho
detto.»
Beh,
bene così,
dopotutto.
Che
poi, non è
che Max sia poi così sorpreso come dovrebbe essere dal fatto
che
Ivan abbia una figlia. Anzi, in un certo senso, avrebbe dovuto
aspettarselo. Insomma, se lui fosse stato nei panni della natura
nell'atto di un processo evoluzionistico e avesse dovuto scegliere il
maschio con più possibilità di riprodursi e
mandare avanti la
specie, avrebbe scelto Ivan senza neppure bisogno di pensarci troppo.
Da un punto di vista meramente biologico, questo ammasso di muscoli e
violenza è praticamente tutto ciò che una madre
potrebbe volere...
e quanto del resto all'orientamento sessuale, Ivan non è
certo il
tipo da porsi problemi, e Max, sin da quando lo conosce, non ha mai
creduto nemmeno per un momento che Ivan non andasse a letto anche con
qualche ragazza, oltre a lui (e anzi è piuttosto convinto,
anche se
non glielo chiederà mai direttamente, di essere stato
l'unica
relazione omosessuale della sua vita. Per quanto ne sa, Ivan non ha
mai guardato un altro uomo che non fosse lui, mentre di ragazze Max
gliene ha sempre viste attorno non poche e tutte diverse... ma deve
ammettere, pensandoci bene, che già negli ultimi anni, molto
prima
degli eventi di Groudon, ha avuto l'impressione che queste altre
relazoni si facessero sempre più rare e
inconsistenti).
Quanto
al lato,
per così dire, affettivo della faccnda, deve ammetterlo, non
ci
aveva mai pensato, ma tutto sommato non è così
difficile figurarsi
Ivan nei panni di una figura paterna. Ha la sensazione che Ivan sia
istintivamente molto portato a tutelare la prole, come gli Ursaring,
il che non è così sorprendente. Probabilmente, e
a maggior ragione
dato che gli è nata una figlia femmina, sarà uno
di quei padri
gelosi e protettivi, o roba del genere... bah. Lo vedrà col
tempo.
In
conclusione,
l'unico aspetto veramente sorprendente della faccenda è
proprio il
fatto che Ivan sia riuscito a tenerglielo nascosto per ben sette
anni. Questo, in effetti, per lui che conosce Ivan più di se
stesso,
ha davvero del prodigioso, insomma... è Ivan. L'uomo che non
riusciva a trattenersi dal venire a letto con lui nemmeno quando ce
ne sarebbe stato più bisogno è davvero riuscito a
tenere nascosta
sua figlia non solo a lui, ma anche alla maggior parte del suo Team?
(Perché Max è certo che se quest'informazione
fosse stata nota
anche solo a una recluta del Team Idro, nel giro di pochi giorni
sarebbe giunta anche alla sua attenzione. Non si gestisce una squadra
come la sua senza un buon servizio spionistico, che è
qualcosa che
Ivan non è mai riuscito a capire, per la disgrazia di
entrambi.)
Il
che,
probabilmente, è qualcosa che dovrebbe farlo sentire
quantomeno
ferito, o qualcosa del genere. Eppure, per quanto ci ripensi, Max non
può fare a meno di sentirsi persino (oh! quanto gli ripugna
collegare questo sentimento a Ivan) un tantino ammirato nei suoi
confronti.
Insomma,
chi
l'avrebbe mai detto che Ivan sapesse essere tanto bravo a mentire?
Buon
pomeriggio a tutti!
Confesso
che ho tanto esitato a pubblicare finalmente questa storia alla quale
lavoro ormai da quasi un anno (già, sembra impossibile,
considerando
che doveva trattarsi di una sciocchezza, nata per caso una mattina di
maggio in cui stavo pulendo il bagno. Non penso possa esistere una
genesi meno poetica per una storia), e che è stata tanto
gentile da
scriversi praticamente da sola mentre io ero troppo impegnata con
Cronache di Inenarrabili Eventi. Ho potuto dedicarle
più
tempo solo nelle ultime settimane, in effetti, ma questo non toglie
che è probabilmente uno dei miei progetti preferiti e una
storia che
adoro, e forse quella in cui, al momento, mi rifletto maggiormente.
Una
nota importante: per il momento, dato che non mi sembra di essermi
allontanata troppo dal canone dei personaggi, ho deciso di non
inserire l'avvertimento OOC alla storia, ma è una decisione
sulla
quale sono disposta a tornare. Sarei lieta di ricevere pareri in
merito per poter valutare nuovamente la questione, anche col
progredire dei capitoli.
Sento
di dover specificare, nel caso qualcuno fosse intenzionato a
proseguire con la lettura che gli aggiornamenti saranno con ogni
probabilità assolutamente irregolari (nel mio caso, questa
non è
esattamente una novità, ma suppongo che sia sempre meglio
avvertire!). Me ne scuso anticipatamente.
Nel
frattempo, i miei più sentiti ringraziamenti a chiunque
abbia deciso
di aprire comunque la storia e sia arrivato addirittura fin qui.
A
prestissimo (spero)!
Afaneia
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