The
first page: the night of the Apocalypse
Buio…
Tenebre…
Oscurità…
In ogni momento, che sia
una mattina luminosa oppure la notte più scura, uno
spiraglio di buio rimane ovunque… Nell’ombra di un
albero su un marciapiede o in un vicolo ben nascosto dai grattacieli
più alti ed altro ancora, ma tutti questi piccoli pezzi
d’oscurità alla fine sono insulsi,
insignificanti…
Perché?
Perché rimangono sempre negli stessi posti, ogni singolo
giorno che passa… O forse perché hanno il
semplice difetto di essere unicamente quello che sono. Nulla di
più, nulla di meno.
Quale è un
esempio di “buio” che ha significato allora?
È qualcosa di più importante, ma facile o
difficile da gestire allo stesso tempo: le emozioni delle persone.
Ne esistono di positive,
come felicità, gioia, coraggio, spensieratezza, le quali
possiedono però un opposto, una corrispondente negativa:
tristezza, odio, paura, angoscia… C’è
chi le mostra tutte quante alla luce del Sole senza avere timore, ma
molte persone non vogliono mostrare alcuna forma
d’insicurezza di fronte agli altri, soprattutto di coloro che
ti stanno più vicino. Si prova ad essere forti, a non farsi
spaventare, a non farsi intimorire, ma è tutto inutile: si
può solo dissimulare la propria ansia, la propria
infelicità, poiché tutte queste emozioni
negative, la “Notte” di ogni persona,
l’altra faccia della medaglia, rimane sempre.
Resterà celata a tutti, meno che a noi stessi, ma su una
cosa si può stare sicuri: tornerà…
Quando meno ce lo aspettiamo.
Certo, non si
è mai troppo contenti di avere paura o essere arrabbiati per
qualcosa, ma tutti questi sentimenti, che siano positivi e negativi,
belli o brutti, che vorremmo avere o di cui ci piacerebbe sbarazzarci,
sono sicuramente tutti importanti. È una caratteristica che
ha sempre distinto le persone, rendendole diverse da oggetti inanimati
o animali guidati da semplici istinti di sopravvivenza ed
autoconservazione, e che non dovrebbero mai perdere o
sacrificare… Per nessun motivo.
Già…
Gli “esseri
umani” ... “Loro”
… Non tutti uguali ma nemmeno troppo diversi: non
è raro infatti che, su molti aspetti, si dimostrino deboli,
insignificanti, avidi ed assetati di gloria e potere, ma ognuno di loro
vive la propria vita, attimo per attimo, senza mai sprecarsi.
Come
li invidiava…
Già, quel
sentimento dolceamaro che si prova quando si vuole una
qualità altrui solo per sé, uniti ad una punta di
aspro disprezzo per chi invece possiede già quelle
caratteristiche. Riflettendoci un attimo è quasi ironico:
lei invidia qualcun altro… “Invidiare”
… Non è certamente nulla di bello, ma
è sempre un’emozione… Quando lei non
dovrebbe già più doverne provare.
Non
da quella fatidica notte… Non dall’incontro con
quell’essere che ha cancellato ciò che
aveva… Non dopo che una seconda entità le ha
tolto anche quel poco che le era rimasto…
Proprio
vero che nella vita non si può mai essere sicuri di nulla.
Gli umani credono di
essere gli unici ad esistere, ad avere una qualche importanza nel loro
piccolo mondo, ma è proprio in questo che si sbagliano di
grosso: altre creature si annidavano nell’ombra, in attesa
del momento buono per emergere e far sentire che
c’erano… Da dove provengono? Dalle diverse fedi,
che appartengano alla religione o al semplice occulto, che hanno spinto
gli umani a credere che in qualcosa che loro non possono vedere o
raggiungere, se non quando sarà giunta l’ora del
loro giudizio. Sta ad ognuno decidere se avere fiducia che i loro credo
si avverino oppure rimangano semplici dicerie senza fondamento.
Se si fermava un attimo
a ripensarci, lei non aveva mai creduto tanto all’esistenza
di entità ultraterrene (divinità, spiriti o
simili per intenderci), almeno finché non vide una di quelle
leggende divenire realtà davanti ai suoi occhi. Quella
leggenda possedeva diversi colori, che lei non era riuscita a
dimenticare… e che tuttora odiava.
Quel mito era di colore rosso,
come i gigli ragno dello stesso colore che fiorivano nel suo giardino
in tarda estate… Bianco
argentato, come la Luna che in quel momento illuminava un
cielo blu rannuvolato… E nero,
come le tenebre generate dai sentimenti più malvagi che
possano esistere… Non aveva né un buon profumo
né un bell’aspetto, ed aveva potuto confermare che
non fosse animato da buoni propositi: quell’essere
è stato l’inizio della sua sventura, di un cammino
lungo pochissimi anni che l’ha portata
dov’è ora, una strada che ha avuto inizio quando
una seconda persona l’ha aiutata a non essere spazzata via,
ma che in cambio le ha portato via qualcosa di fin troppo
importante…
Quella che era la
vittima di allora è andata avanti, in attesa del momento
adatto per rincontrare chi la aveva rovinata, ma anche aspettando
qualcosa che potesse distrarla da quella situazione di
tranquillità andatasi a creare… Non che la calma
le dispiacesse, ma c’era dell’anomalo in quel
momento: quella quiete era qualcosa di stagnante, come
l’acqua di un lago rimasta troppo tempo senza pioggia o vento
a incresparla un po’. Era qualcosa di forzato…
Oppressivo… E lei non ce la faceva più.
Chi è lei?
Lei era qualcuno che
sapeva cosa fosse diventata, ma ormai non era più troppo
convinta di sapere chi era,
che tra l’altro sono due cose diverse; tuttavia, erano
accadute così tante cose in troppo poco tempo che
nell’immediato non si era proprio capacitata di cosa era
successo, ma non è il momento di ripensare al passato che
pareva divertirsi a tornare a visitarla ogni anno nella stessa notte in
cui avvenne il fatto. Forse cosa le è successo
verrà raccontato più in là, anche
perché ora non è il momento adatto eppure si
tratta di una parte irrinunciabile del poco o nulla che le rimane.
Per il momento,
è sufficiente sapere che si trattava di qualcuno che si
è ritrovato schiacciato da quella assurda calma, nella quale
era sprofondato anche il luogo in cui si trovava: quello spazio
immenso, immerso nel buio e normalmente privo di qualsiasi cosa che non
fosse acqua limpida e pulita, ospitava ora un’unica figura,
longilinea e candida come la neve. Non un’imperfezione su
quella pelle bianca, se non un piccolo neo sotto un occhio ancora
chiuso; sospesi sulla superficie di quello specchio liquido e
trasparente, vi erano ciocche castane che parevano ondeggiare ed
allungarsi ad ogni lieve increspatura dell’acqua come tante
braccia che si alzano verso il cielo verso un punto indefinito.
Non vi era niente capace
di turbare quella persona, quella giovane ragazza. Niente…
Tranne
questo.
Da un punto imprecisato
si sentirono urla che invocavano un aiuto che non sarebbe mai giunto,
mentre i clacson incontrollati degli autoveicoli, schianti e rimbombi
insopportabili alle orecchie di lei ruppero il silenzio solenne che
aveva avvolto quella stanza nelle sue spire come un serpente velenoso
dal morso fatale… Probabilmente l’essere stati
morsi da un serpente sarebbe stato qualcosa di più rapido e
migliore di quello che stava succedendo di fuori; in ogni caso, lei non
ne sarebbe stata condizionata perché ormai perfino il veleno
di un cobra non la avrebbe ammazzata.
Ancora intrappolata
dagli ultimi residui di tranquillità che aleggiavano in quel
luogo, come dimentica del caos che si stava quasi sicuramente
scatenando di fuori, la figura aprì con una lentezza
impossibile gli occhi, mostrando due zaffiri che ora osservavano
pigramente il cielo: si aspettava di vederlo color blu mare e
d’argento lunare, ma purtroppo per lei non era
così perché era stato macchiato da screziature rosso sangue;
un movimento lieve nell’acqua, quanto il vorticare di una
piuma che si posava per terra, e numerosi gigli ragno rossi comparvero
sopra la sua testa, andando a macchiare quello specchio trasparente
illuminato dall’astro notturno ed i capelli di lei.
Era
arrivato il momento…
Alzò
pacatamente un braccio, con attenzione, quasi con timore che un
movimento troppo brusco potesse rovinare ulteriormente la quiete
già dissipatasi, e lasciando che uno dei fiori si posasse
sulla sua mano, mentre ella stessa si alzava, sempre lentamente, quasi
a non voler lasciare il posto dove prima dormiva placidamente. Al
contatto dell’aria fredda della notte con la sua pelle nuda e
umida, la ragazza rabbrividì leggermente, avvicinando alle
proprie labbra il fiore che ora reggeva con entrambe le mani: chiuse
gli occhi, sfiorando con tenerezza quei petali sottili che tanto aveva
amato e detestato durante la sua breve vita; nel mentre di quel gesto
innocente, un velo dell’acqua in cui prima era immersa si
sollevò, andando a circondare il corpo di lei in una spirale
trasparente. Il tempo di un battito di ciglia e l’acqua non
c’era più, sostituita da un telo sottile a coprire
le magre forme della ragazza alla Luna che la aveva osservata per tutte
quelle lunghe ore. Intanto, una voce si fece largo nel silenzio, o
piuttosto nella mente di lei:
- “L’ora
è giunta, signorina”. –
Una voce fresca e
pulita, come una brezza mattutina, appartenente ad un ragazzo. Nessun
intento nascosto o gioia di farsi sentire: c’era solo per
informarla.
- Lo so. Ora che ho
scontato la mia sospensione è finita, mi devo dare da fare.
–
Le sembrò di
udire l’altra voce sogghignare prima di risponderle:
- “Esattamente.
E… - la frase rimase sospesa a metà,
ma la castana non se ne curò troppo perché in
quel momento diversi dei fiori poggiatisi sull’acqua si
sollevarono e, spinti da una strana corrente ventosa, andarono ad
attorniare l’occupante della stanza che, inaspettatamente, si
ritrovò con la vita bloccata da due braccia di una sorta di
fumo rossastro e petali. Una delle mani però la
lasciò subito, solo per prenderle dalle mani il fiore rosso
e avvicinandolo nuovamente al viso di lei:
- “Quale notte migliore
di questa potevano darti per ricominciare?”
– ricominciò la voce maschile.
La ragazza non gli
prestò troppa attenzione (perché ascoltarlo se
aveva già intuito che volesse dirle?), troppo intenta ad
osservare il fiore che le aveva avvicinato: i petali si stava
lentamente scolorando, come se quel fumo che ne stesse assorbendo il
colore. In pochi attimi, un bianco puro aveva preso posto su quei
petali, facendo accigliare gli zaffiri e convincendo la ragazza a
volgere lo sguardo al cielo:
- “Mh. Sono passati
quattro anni e questi colori ti fanno ancora questo effetto? Intendi
farmi annoiare?" - se prima non vi era ombra
d’emozione nella voce, ora si notava una nota
d’irritazione mista a scherno.
La castana si
lasciò scappare una risatina e provò a girarsi
leggermente, non sorpresa di trovare una figura della stessa materia di
cui erano fatte le braccia.
- Credevo non ti
dispiacesse vedermi turbata per qualcosa. Non è una delle
cose per cui quelli come te vivono in fondo? - rispose lei sarcastica.
In realtà non aveva tanto voglia di quei giochetti
(là fuori poteva già essere accaduto qualcosa
d’interessante e non voleva perderselo dopo quei lunghi mesi
di sospensione), ma era l’unico modo per affrontare quello
che da quattro anni era diventato il suo partner.
- “Può anche
darsi. E tu farai bene a ricordarti il nostro accordo. Non sono
diventato il tuo compagno per niente”. - era
incredibile: bastava poco o niente per fargli perdere un po’
le staffe, ma si ripeté che non andava bene: aveva capito
che stava pensando. O lei teneva la mente chiusa a chiave con tanto di
lucchetto, o lui avrebbe fatto molto peggio.
- Certo che non mi sono
dimenticata, ma mi auguro che anche tu sia di parola: nemmeno io ho
deciso di diventare tua compagna senza nulla in cambio. –
liberato un braccio, provò a dare una gomitata al fumo
dietro di lei, il quale si scompose subito e la lasciò
libera:
- Ora però
dobbiamo andare. Ho idea che stia succedendo qualcosa di grosso
là fuori. - s’incamminò quindi verso
l’uscita della stanza, ma le braccia di fumo la avvolsero
ancora e stavolta non era semplicemente per immobilizzarla: era
qualcosa di più languido e possessivo, quasi
ansioso…
- “Oppure possiamo
restarcene qui ancora un po’. È da quando i tuoi
superiori ti hanno sospesa che non sento le urla convulse degli
umani… - un sospiro di piacere proruppe dalla
voce maschile, mentre fuori i rumori si facevano sempre più
forti ed incessanti:
- “è sempre
bello vedere quegli insulsi esseri andare incontro ad un tormento. E
credo proprio che questa volta ci sarà davvero da
divertirsi… Almeno quanto lo è stato
l’ultimo lavoro”. –
Lei però
emise uno sbuffo scocciato e, con un po’ più di
fatica, si liberò nuovamente dalla presa e
s’incamminò quanto più velocemente
verso una porta che la condusse in un piccolo spogliatoio; una volta
lì, con uno schiocco di dita il telo da bagno non
c’era più, sostituito dai suoi “abiti da
lavoro”: si trattava di un kimono bianco che però
le arrivava non alle caviglie ma a metà coscia, tenuto
stretto in vita da una fascia rossa che si chiudeva sulla schiena con
un grosso fiocco. Inoltre, il kimono le lasciava scoperte le spalle,
che però rimanevano celate da una maglia nera. Per terminare
con la parte superiore, aveva un girocollo rosso scuro e un nastro
dello stesso colore tra i capelli; per la parte inferiore, teneva una
semplice gonna di seta nera le arrivava fino alle ginocchia e, per
completare il tutto, calze rosse e sandali con tanti lacci bianchi. I
gigli ragno non la avevano abbandonata ancora: erano presenti in
diversi colori sulle varie parti del vestito, neri sul kimono, rossi
sulla gonna e bianchi sulla fascia legata in vita.
Poco dopo la figura di
fumo, passando dalla fessura sotto la porta, entrò nella
piccola camera:
- “Hai dimenticato
qualcosa di là”. – detto
ciò, allungò un braccio per posare sul laccio per
capelli della ragazza il giglio ragno bianco che le aveva sottratto
prima.
- “Ih ih. Fai spesso i
capricci perché quei colori non li puoi vedere, ma continui
a metterli? O sei strana, o ti comporti proprio come una
bambina”. -
Lei non lo
calcolò minimamente ed uscì, ritrovandosi in un
lungo corridoio, ma per quanto velocemente potesse camminare, il fumo
non la lasciava nemmeno un minuto:
- Ufff… Che
altro vuoi? Sai bene come funziona con me! O mi aiuti o te ne resti
comodamente qua, tanto non credo che per te faccia differenza.
– rispose scocciata lei, cercando però di darsi un
minimo di tono. Non poteva di certo scoppiare per qualcosa che accadeva
ogni singola volta che ricevevano un incarico.
- “Primo:
m’importa molto di quello che ti succede, anche
perché se muori io mi ritroverò con un pugno di
mosche tra le mani. Secondo: sappiamo entrambi che non riusciresti a
fare chissà cosa là fuori senza il mio aiuto.
Certo, per svolgere il tuo lavoro normalmente potresti, ma non per
portare avanti la tua piccola questione personale”.
– la castana continuava a ripetersi nuovamente di non dare
corda alle sue parole, anche se spesso quello si comportava come i
primi giorni in cui si erano conosciuti: irritante come non sapeva
più cosa fino al midollo. A volte si chiedeva davvero chi
fosse l’adulto tra loro due, ma all’altro non
sarebbe comunque importato questo.
Si girò verso
il suo interlocutore (perché ormai era chiaro che la voce
nella sua testa proveniva da quella massa informe rossa), ma prima che
potesse anche solo fiatare, lui le mise un dito davanti alle labbra e
le avvicinò un foglio di carta scritto al volto:
- “E terzo, per ordine
d’importanza naturalmente: dove credi di poter andare senza
nemmeno sapere il dove ed il quando succederà quel che
sai?” – rispose lui sarcastico come al
solito.
Lei allora
sospirò sconfitta e, scacciando la mano di lui che aveva
vicino alle labbra, allungò la propria per prendere il
foglio, quell’oggetto sottile, delicato e nostalgico:
profumava di casa, ma anche del lavoro che ora doveva compiere. Per un
motivo che non seppe spiegarsi, s’intristì nel
leggere quell’unica frase, ma scosse la testa per scacciare
quel pensiero e, girandosi nuovamente, riprese a camminare, sussurrando:
- Come to me, my sword.
–
Udita la frase, il fumo
si avvicinò nuovamente, stavolta avviluppandosi intorno ad
un punto della fascia rossa, scomparendo sotto l’indumento.
Il foglio era
già stato lasciato andare, dimenticato da colei che ormai
sapeva dove andare: il primo luogo che avrebbe visitato dopo quei
lunghi mesi di tedio.
Orfanotrofio
Hyakuya. Ore 24.00. 25-26 Dicembre 2012.
Angolo
dell’autrice
Come prima
cosa, piacere di conoscervi: sono nuova del fandom, ma non di EFP. Mi
chiamo Crow. Lo so che avrei fatto meglio a non scrivere subito quel
capitolo visto le grandi modifiche che ho dovuto fare, ma ho in mente
questo tentativo da un po’ e intendo provare a portarlo a
termine (impegni permettendo ovviamente). Salvo imprevisti, dovrei
riuscire a postare almeno una volta ogni 2 settimane (nei casi peggiori
s’intende, ma si vedrà).
I personaggi
comparsi qui sono due miei OC, ma non preoccupatevi perché
compariranno anche i nostri protagonisti di Owari no Seraph. Premetto
che ci saranno vari salti temporali sia in avanti che indietro, ma
certe cose mi perderei troppo a spiegarle in dettaglio.
Fatte queste
premesse, vi saluto.
Alla prossima
pagina della storia.
Crow
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