love will keep us alive
AUTORE:Gojyina-chan
DISCLAMER: Inoue li ha fatti e io li
accoppio
NOTA: il titolo è quello di una
canzone degli Eagles, come testo mi sembrava appropriato, ma non ho
voluto fare una song fic vera e propria per non spezzare la trama
inserendo le strofe.
Un gigantesco grazie a
seika
super-maxi-mega-beta! ^*^
LOVE
WILL KEEP US ALIVE
Kim
parcheggiò la Maserati GranTurismo rosso fuoco nel garage
sotterraneo.
Arrivato
all'ascensore schiacciò il pulsante dell'ultimo piano.
L'attico
che gli
aveva procurato la sua efficientissima manager dava su Central Park.
Vista
magnifica,
città piena di vita.
Ma
ad una persona
come lui, fotomodello da più di sei anni, abituato ad avere
il
meglio, tutto era venuto a noia, persino l'esistenza stessa.
Tutto, tranne lui.
Avevano
appuntamento quella sera: per questo Kim aveva lasciato prima del
tempo il cocktail party di un famoso stilista italiano, sua vecchia
conoscenza.
Quelle
feste
erano pur sempre incontri di lavoro, un modo per restare nel giro,
per trovare ingaggi e nuove amicizie miliardarie; ma Kim aveva altro
per la testa.
Accese
la sua
gigantesca televisione al plasma e sorrise debolmente.
Lui
era già arrivato.
Quel
giorno aveva
legato i lunghi capelli in una morbida coda, attorno alla fronte
spiccava una fascia bianca che contrastava con la sua pelle ambrata.
Lo
vide
posizionarsi al centro del campo, mentre il capitano gli mormorava
qualcosa all'orecchio.
Negli
ultimi
tempi non era al massimo della forma, ciò nonostante restava
il
cardine sul quale poggiava l'intera squadra.
Rimbalzi
e
stoppate erano il suo punto di forza e questo gli permetteva di
manovrare a suo piacimento il ritmo delle partite.
Maestoso.
Ecco
cos'era.
Uno
dei più
grandi campioni di basket che l'America avesse mai ospitato.
In
campo un
trascinatore, fuori una persona schiva e poco avvezza ai flash.
Testimonial
di
vari prodotti quasi sempre legati allo sport.
Negli
ultimi
tempi era stato fotografato un paio di volte con una starletta della
televisione.
Kim
rimase
ipnotizzato dalle sue azioni.
Non
era al top,
ma dava sempre il meglio di sé.
Al
fischio di
inizio, i suoi occhi scuri ardevano sempre come braci incandescenti.
'Cos'è
che ti spinge a lottare con tanta foga?'
Se
lo chiedeva da anni, ma ancora non era riuscito a darsi una risposta.
Si
toccò il
ginocchio, accarezzandolo distrattamente.
Da
ragazzo anche lui aveva vissuto per il basket, prima che un incidente
di gioco gli lesionasse i legamenti e...
Sbuffò
contrariato.
Non
era il
momento per simili pensieri.
Doveva
guardarlo.
Il
rosso, con la maglia numero undici dei Lakers su cui spiccava il nome
Cherry, stava compiendo uno dei suoi salti migliori,
realizzando
poi uno slam dunk che mandò in delirio la folla.
La
partita finì di lì a poco e Kim poté
così gustarsi la sua
intervista, ascoltando quella bella voce che commentava il risultato
della gara.
Alla
fine del
programma spense la televisione e si sdraiò sul divano, al
buio.
Il
mattino seguente, per la prima volta da mesi, si svegliò
naturalmente, senza il trillo incessante del cellulare.
Quel
giorno non
aveva impegni di lavoro, ma solo un incontro con la sua manager
lì
da lui.
Con
un sonoro
sbadigliò fece la doccia e si preparò un
caffè, sedendosi sul bel
divano color crema.
Bastarono pochi minuti e la sua mente vagò fino a
lui e alle
immagini della partita della sera prima.
Come
sempre, fu preso dalla voglia di rivederlo, così
andò in camera e
prese dal cassetto del comodino un voluminoso fascicolo rosso scuro,
che conteneva tutti i ritagli di giornale riguardanti Cherry:
dall'inizio della carriera fino all'incontro della sera prima, con
tanto di foto pubblicitarie e interviste.
Ricordava
ogni
singola partita, ogni dettaglio.
Perso
in
quell'oceano di immagini, non si rese conto del tempo che passava.
Lo
squillo del
telefono lo fece trasalire violentemente.
Infastidito
da
quell'interruzione andò a rispondere.
Era
il portiere,
che gli comunicava l'arrivo della sua manager.
Ripose il suo tesoro ed uscì dalla
camera.
Buttato
il caffè ormai freddo nel lavandino, andò ad
aprire la porta con un
sospiro rassegnato.
“Ciao,
tutto bene?” trillò la donna entrando, senza
aspettarsi una
risposta, con il solito passo deciso e prendendo possesso dello
spazio circostante.
Il
tailleur celeste metteva in risalto i suoi occhi chiari, mentre una
massa di riccioli lunghi e ben definiti le incorniciavano il volto.
“...”
“Non
è stato carino il tuo comportamento, ieri sera. Ma tanto
è inutile
parlarne! So che avevi un impegno, però... – parve
leggermente in
difficoltà, ma si riprese quasi subito e continuò
con la solita
energia – Ho sistemato la faccenda del profumo
MoonSun.” annunciò
con un sorriso soddisfatto, mentre andava in cucina a prepararsi un
caffè.
“...”
“Venerdì
prossimo. Sarà un allestimento mitologico. –
spiegò la donna –
Sono due profumi da uomo: Sun per il giorno, lavoro, appuntamenti,
incontri diurni e Moon, per le serate tra amici e appuntamenti
galanti. Lo sponsor vuole due modelli che impersonino Artemide e
Apollo e...”
“Tsk!
Che
fantasia!” sbuffò il suo assistito.
“La
smetterai di essere così indifferente e caustico quando ti
dirò chi
sarà il co-protagonista del servizio fotografico.”
sussurrò senza
voltarsi.
“...?”
“Ci
sono tanti
tipi di droga e tu hai solo cambiato marca.”
sbuffò, decidendosi
finalmente a guardarlo in faccia.
“Aya...”
la
ammonì il fotomodello, sedendosi pesantemente sul divano.
Avevano
affrontato quel discorso almeno un centinaio di volte.
Dopo
l'incidente che stroncò la sua carriera sportiva, alla fine
del
terzo anno di liceo, Kim sprofondò in uno stato di profonda
depressione che però durò pochissimo, grazie
all'energica amica che
riuscì a procurargli il primo ingaggio.
Con
il suo
bell'aspetto fu semplice per Kim diventare uno dei modelli
più
richiesti del mondo.
Ma
quella fama,
ottenuta solo grazie all'aspetto fisico, un regalo, come lo definiva
lui, non riuscì a compensare la sua perdita, portandolo
così ad
affogare il dolore nella cocaina.
Ma
dopo un anno,
quando persino la sua manager aveva iniziato a disperare, avvenne il
miracolo.
L'incontro.
Una sera di primavera, facendo zapping tra i canali satellitari, Kim
vide lui e tutta la forza e la determinazione che
aveva smesso
di ascoltare iniziò nuovamente a ruggirgli nelle vene.
Spronato dalle
sue gesta sportive, si prese tre mesi di pausa,
ufficialmente
chiamata vacanza, e si disintossicò.
Completamente
da solo.
Solo,
ma con gli
occhi scuri di Cherry nella mente.
Da
quel giorno in
poi, non smise mai di seguire la sua carriera.
La
manager lo
prendeva spesso in giro, dicendo che era divento dipendente da...
“HN?!”
tuonò il modello, voltandosi di scatto verso la donna, che
lo
guardava con un misto di tenerezza e rassegnazione.
“Alla
buon'ora! Sì, hai capito bene! – rise lei,
divertita dal suo
stupore – Il servizio sul profumo lo farai insieme a... Cherry!”
annunciò trionfante.
Lo
avrebbe rivisto.
Dopo
tutti quegli
anni.
Lo
avrebbe
rivisto.
Cherry
arrivò agli studi accompagnato dal suo agente.
Dalla
faccia
truce che aveva era bene chiaro che non avesse assolutamente voglia
di perdere tempo in simili pagliacciate.
Ma,
come era
sovente ricordargli il solerte manager, quelle perdite di
tempo
fruttavano milioni di dollari.
“Aspettami
qui,
vado a cercare il fotografo!” sussurrò il suo
accompagnatore,
mentre spariva dietro una delle porte della hall.
Il
giocatore cominciò a spazientirsi, camminando avanti e
indietro come
una tigre in gabbia.
In
quel momento
sarebbe dovuto essere in palestra ad allenarsi e non lì a
fare la
bella statuina, dannazione!
Era
tutta colpa
di Susy e della sua lingua lunga.
Va
bene farle da
accompagnatore a qualche festa di celebrity, giusto per farle un po'
di pubblicità, visto che era l'amante di Michael May, uno
dei
maggiori sponsor della squadra, ma che adesso si mettesse pure a
fargli perdere ore preziose di lavoro, quello era troppo!
Ma
di che si
lamentava?
Lo
sponsor della
squadra era proprio il tizio di quel dannato profumo!
Distrattamente
si accorse del rumore della porta elettronica dell'ingresso che
scattava.
Cercò
di darsi
un contegno, senza prestare alcuna importanza ai passi che sentiva
avvicinarsi.
Non
era
dell'umore adatto per firmare autografi.
Quel
flusso
ininterrotto di pensieri, fu bruscamente spezzato dal suono di una
singola, conosciuta, maledetta parola.
“Do'hao.”
Hanamichi
Sakuragi, stella del basket americano, si voltò lentamente,
trovandosi faccia a faccia con il suo incubo peggiore.
“R...
Rukawa!”
balbettò sconvolto.
L'incontro dei due rivali inseparabili, fu
bruscamente
interrotto dall'arrivo dell'assistente del produttore che volle a
tutti i costi condurli nell'ufficio di May, per le presentazioni
ufficiali.
Kaede
Rukawa, Kim per gli americani, guardò
di sottecchi l'ex
compagno di squadra, che adesso appariva sicuro e tranquillo. Ma
pochi istanti prima, quando si era voltato a guardarlo, i suoi occhi
scuri gli erano sembrati addirittura atterriti.
Perché?
Si
chiese la
volpe, entrando nell'ufficio insieme a lui.
“Benvenuti,
carissimi!” esordì lo sponsor, alzandosi per
salutarli.
“Hn”
“Grazie,
capo!”
scherzò il rossino, recitando la propria parte.
Udendo
la sua
voce, Susy uscì da sotto la scrivania di May.
“Oh,
Cherry! Ma
allora sei venuto davvero!” trillò l'ochetta,
ignara di aver
causato un silenzioso imbarazzo tra i tre uomini.
“Do'hao,
ma
dove cazzo siamo finiti?” sbuffò la volpe, mentre
il milionario
balbettava qualche scusa improbabile.
“Hana,
davvero,
perdonami! – ripeté Yohei per l'ennesima volta da
quando era
entrato nel suo camerino – Giuro che non sapevo che il
modello
fosse Rukawa!”
“Ho
capito! Me
lo hai ripetuto durante le tre ore di trucco e me lo stai dicendo
anche adesso. Non sono né sordo né
rincoglionito!” scherzò il
giocatore, ridendo dell'espressione mortificata del suo manager.
“T...
Ti prego,
non metterti a fingere anche con me!” lo supplicò
il suo migliore
amico, terrorizzato dalle conseguenze di quell'incontro.
“Il
fotografo
mi aspetta.” annunciò Sakuragi, con una freddezza
nella voce che
fece rabbrividire Mito.
Giunto
sul set
fotografico, ammirò la bellezza delle scenografie.
Una
notturna, per
Moon, blu e argento e l'altra rossa e dorata per Sun.
Tra
colonne e
capitelli corinzi, i due modelli avrebbero dovuto posare
singolarmente per uno dei due profumi.
Le
scene
successive che presentavano i due prodotti insieme, erano in
allestimento a Los Angeles, città in cui abitavano i due
testimonial.
Insieme...
Hanamichi
lottò contro la nausea che gli attanagliò lo
stomaco e fece il suo
ingresso, salutando educatamente la troupe.
Anni
e anni di
interviste gli avevano insegnato a nascondere i propri sentimenti.
Quella
dote era
stata la sua fortuna, circondato com'era da squali e sciacalli,
pronti ad immortalare la più piccola imperfezione con un
flash o una
domanda trabocchetto.
Trattenne
impercettibilmente il respiro, udendo le voci del fotografo e di
alcuni assistenti che spiegavano al fotomodello più pagato
al mondo
come doveva posare.
“Kim,
conosci
Cherry Baby, vero? – gli domandò l'uomo
– Ha un allenamento fra
un paio di ore perciò, se non ti spiace, comincerei con lui.
Tu vai
pure al trucco, Kartioca ti sta aspettando!”
“Hn.”
“Hana?
Hanamichi!” si sentì chiamare da una voce
femminile.
Erano
in pochi a
conoscere il suo vero nome da quando gli americani lo avevano
ribattezzato Cherry Baby, in onore della sua chioma
rossa e
della giovane età con la quale aveva esordito nell'N.B.A.
Ma
questo non
valeva per la giovane donna che lo stava guardando con un affetto
quasi materno, con i suoi profondi occhi azzurri e i riccioli scuri
così dannatamente familiari.
“A...
Ayako?!”
azzardò il giocatore, poco prima di essere abbracciato dalla
sua
vecchia amica.
“Non
sai quanto
sia felice di rivederti! E quanto sia orgogliosa di te! Mi sembra
ieri che ti prendevo a sventagliate per farti fare i
fondamentali!”
“Ah!
S-sì...
sono passati secoli! – riuscì a dire il rossino,
sorridendo senza
allegria – Ti chiedo scusa, mi piacerebbe molto parlare con
te,
dopo tutto questo tempo, ma ho un allenamento... domani c'è
la
partita... devo sbrigare in fretta questa faccenda, o chi lo sente il
mister!” scherzò, prima di essere rapito dal
fotografo che
impartiva ordini a destra e a manca, urlando coloriti epiteti in
francese.
Sakuragi
riuscì
a rilassarsi solo quando manager e assistito si furono allontanati
dal set.
“Strano
comportamento...” commentò Ayako, quella sera
stessa, a cena.
“Hn.”
“Ho
incrociato
Mito, nei corridoi. Era felice di rivedermi ma... qualcosa lo
bloccava... Non lo so, sembrava aver...”
“Paura.”
mormorò il volpino, giocando con la sua insalata.
“Esatto!
– il
bel volto di Ayako si illuminò poi, con dolcezza,
proseguì il suo
discorso – Allora? Com'è stato rivederlo di
persona?”
“Hn.”
“Loquace
come
sempre, eh?” rise guardando fuori dalla finestra.
Aveva
fatto un
ottimo lavoro.
Si
complimentò
con se stessa per il magnifico albergo che aveva scelto.
Sobrio,
elegante
e vicino agli studi fotografici.
“È
spento.”
sussurrò Kaede, certo che lei capisse al volo.
“Ede,
sai bene
che sono l'ultima persona al mondo che può darti consigli
sentimentali... – mormorò con voce carica di amara
ironia –
Però... dopo tutti questi anni... Forse è
destino, capisci?”
“Hn...”
Più
facile a
dirsi che a farsi, pensò Rukawa, spostando il piatto di lato.
“Le
foto con la
biondina sono solo una farsa, lo sai bene! Magari...”
“Aya...”
l'ammonì lui, con uno sbuffo rassegnato.
“Ricevuto!
'Notte!”
La
manager si
congedò, con la solita allegria.
Ormai
quelle
scene si erano ripetute innumerevoli volte nel corso degli anni.
Ma
il fatto che
Rukawa non le avesse mai proibito di parlare del rossino le aveva
sempre fatto ben sperare.
Rimasto
solo,
Kaede accese la televisione sintonizzandosi sul canale sportivo,
godendosi l'ennesimo servizio sulla sfida dell'indomani.
Los
Angeles
Lakers contro Orlando Magic.
Cherry
Baby
contro Sandy.
L'argomento
del
giorno era l'ultima partita di Sandy con la divisa dei Magic, dato
che dalla stagione successiva sarebbe passato proprio agli avversari.
Rukawa
sorrise,
pregustandosi la sfida del secolo: Hanamichi Sakuragi contro
Akira
Sendoh.
Il
giorno
seguente ciondolò per casa ascoltando musica e rileggendo
gli
articoli che parlavano di Hanamichi.
Poi,
finalmente,
poté piazzarsi davanti alla televisione, in trepidante
attesa della
fine di quell'infinito, ultimo, fottutissimo blocco pubblicitario.
Era
paradossale
per uno che viveva facendo spot, ma l'attesa era stata snervante,
soprattutto dopo averlo rivisto di persona.
Finalmente
la
regia si collegò con il palazzetto dello sport, dove i
giocatori
erano già in campo.
Immediatamente
percepì la tensione fluire tra gli unici due giapponesi
titolari.
Sendoh
aveva
ancora quell'assurda capigliatura e il sempiterno sorriso; mentre il
rossino sembrava una tigre pronta ad afferrare la preda.
Al
fischio
d'inizio, infatti, parve liberare tutta la sua furia distruttiva.
Incredibile!
Mai
si sarebbe aspettato che i Lakers potessero vincere con ben trenta
punti di vantaggio.
Hanamichi
era
stato straordinario, anche se...
Kaede
si
corrucciò pensieroso.
Sembrava
mosso
dalla... disperazione?
Perché?!
'Che
cazzo ti prende, Do'hao?'
“Bella
partita, Cherry!” sorrise Akira,
appoggiato mollemente alla porta
dell'ascensore.
“Mmm.”
mugugnò il rossino, passandosi una mano sugli occhi.
Finita
la trans
agonistica, appariva molto, molto stanco.
“Che
c'è?”
domandò l'amico, schiacciando il pulsante del seminterrato dello stadio.
“No,
niente!”
borbottò il numero undici, aspettando con impazienza di
arrivare al
garage sotterraneo.
Infatti,
appena
la porta si aprì, tentò di allontanarsi
velocemente.
“Aspetta!
–
lo bloccò Sendoh, costringendolo a guardarlo in faccia
– Non hai
ricominciato, vero?” sibilò preoccupato.
“Lasciami
andare!” sussurrò il rossino, ma sembrò
più una preghiera che
una richiesta.
“Hana,
ma
che..?”
“Ciao,
Hentai!
Salutami il bacia piselli!” tentò di scherzare
Sakuragi,
dirigendosi verso la propria auto senza mai voltarsi indietro.
Non
voleva
preoccupare l'amico ma... aveva bisogno di stare da solo.
“Ok,
è
ufficiale: quei due mi hanno scardinato i coglioni!”
tuonò Mitsui,
alzandosi di scatto dal divano, dove si era accoccolato con il suo
compagno.
Era
il loro rito:
di ritorno a casa, lui e Akira si mettevano comodi per poi
raccontarsi la propria giornata.
“Hisa,
mantieni
la calma!” gli sorrise l'altro, restando poi ad ammirare il
suo
fisico scolpito, messo in risalto dall'aderenza sia della maglietta
color avorio, che dei jeans neri.
Pensare
che
quella splendida creatura era anche uno dei procuratori sportivi
più
richiesti del pianeta!
Seguiva
la
carriera di decine e decine di giocatori, ma il porcospino restava
sempre il suo assistito preferito.
Sarà
che era
stato il primo!
“Non
dire
sciocchezze! – lo sgridò Mitsui, lanciandogli
un'occhiataccia –
Guarda dove ci ha portato la tua idea di non impicciarci!”
“Non
è detto
che fosse a causa di...”
“Stronzate!
–
lo interruppe l'altro, con la stessa espressione decisa che aveva
quando era intenzionato a far firmare agli sponsor un contratto
milionario ad uno dei suoi ragazzi – Ho saputo dal
vicepresidente
che Hanamichi e Kaede saranno i testimonial della linea MoonSun. Si
incontreranno presto... se non lo hanno addirittura già
fatto! Hana
non può andare avanti così! Se non si allena,
dorme. E appena si
sveglia corre in palestra! Prima o poi
collasserà!” sbraitò,
tirando un pugno al vetro della finestra.
Silenziosamente
Sendoh gli andò vicino, abbracciandolo da dietro.
“Tesoro?”
“Questo
è un
brutto mondo, Aki. Ho visto così tanti ragazzi perdersi per
strada!
Ma Hanamichi ha già rischiato all'inizio. Adesso
è all'apice della
carriera eppure...”
“Lo
so. Si sta
dannando l'anima. Ma noi non ne conosciamo il motivo e...”
“Stronzate!
È
a causa di Rukawa e di quell'assurdo legame che li ha vincolati fin
dalla prima volta che si sono incontrati!”
“Errore!
Le
nostre sono solo congetture! – gli ricordò,
baciandogli una
guancia – Da quando sono qui in America non si sono mai
cercati.
Forse le nostre sono solo fantasie.”
“Neanche
noi lo
abbiamo frequentato.” gli ricordò il compagno.
“Già!
Ma è
per via del basket. Non volevo metterlo a disagio o farlo
immalinconire... Lui sognava l'N.B.A. Ma invece... – Akira
sbuffò,
dispiaciuto per quanto capitato a Kaede – Sono situazioni
delicate.
Mettendoci in mezzo rischieremmo solo di peggiorare le cose!”
sentenziò, cercando di fare ragionare il suo testardissimo
uomo.
“Non
mi piace
quando sei saggio!” borbottò Hisashi, guardandolo
di sbieco.
Le
rare volte in
cui Akira aveva ragione, diventava saccente da morire.
Meno
male che non
gli aveva parlato della mail che aveva mandato ad Ayako, un paio di
mesi prima. Che male c'era ad averle dato solo un semplice, misero
indirizzo?
“Invece
tu,
quando fai l'implacabile mi fai un certo effetto...”
sussurrò il
giocatore, cercando di baciarlo.
“Fermo
lì!
Abbiamo l'aereo tra poco! Prendi le valigie e andiamo!”
sentenziò
il procuratore sportivo, avviandosi verso la porta d'ingresso.
“Uffa!
Mi
trascuri!” s'imbronciò il porcospino, seguendolo
con la coda tra
le gambe.
“Devo
occuparmi
del trasloco e dell'arredo della nuova casa a Los Angeles, in
più ho
il lavoro. Comportati bene e tra qualche settimana riprenderemo la
vita di sempre!” lo rassicurò Mitsui, meditabondo.
“Hai
intenzione
di fare ciò che non dovresti fare, ma che farai ugualmente,
vero?”
sospirò il giocatore con rassegnazione.
“Andiamo!”
esclamò l'altro, chiudendo la porta della camera del loro
albergo.
Tsk!
Un'altra
telefonata ad Ayako non avrebbe mica ucciso nessuno, pensò
tra se
l'ex guardia salendo in ascensore insieme al suo sorridente compagno.
Ayako
entrò nel pub, salutando il gestore con un sorriso affabile.
Con
passo deciso
trovò il volto che stava cercando, seduto ad un tavolo
appartato.
“Ciao!”
la
salutò Mito, alzandosi al suo arrivo.
“Ciao!
–
rispose lei, prendendo posto di fronte a lui – Adesso voglio
sapere
tutta la storia. Particolari compresi!” sentenziò
con voce deciso.
“Hana
mi ucciderà!” le fece notare Yohei, sorridendole
tuttavia con
profonda gratitudine.
“Io
farò di
peggio!” gli rispose l'altra con un tono che non ammetteva
repliche.
La
settimana
dopo, Kaede rientrò a Los Angeles.
Il
suo nuovo
attico, procuratogli dalla sua efficientissima manager, era diventato
una tana in cui rilassarsi tra uno spot e una sfilata.
Certo
che Ayako
aveva un ottimo gusto in fatto di case.
Non
solo
l'appartamento era luminoso ed elegante, ma il vicinato era anche
molto silenzioso.
Le
doveva tutto,
si ripeté Kaede, stendendosi sul divano con la televisione
accesa.
Era
stata lei a
convincerlo a fare il modello.
Per
distrarsi,
gli aveva detto tirandogli una pacca sulla spalla.
Fortunatamente
l'infortunio non gli aveva pregiudicato né la camminata
né la
corsa, ma solo lo sport agonistico.
Che
era soltanto
la sua vita!
La
sua mente
ritornò al Do'hao.
Bello
oltre ogni
dire.
Un
perfetto
Apollo: vitale, allegro...
Finto.
Le
risate che gli
aveva sentito fare non erano neanche lontane parenti di quella che
ricordava lui.
C'era
quella
sguaiata da Tensai e quella bassa e roca che regalava al Guntai.
Avrebbe
tanto
voluto averne una tutta per sé, ma ormai non era
più possibile
tornare indietro.
Sakuragi
non lo
aveva mai sopportato ma, nonostante tutto, l'amore che provava per
lui non aveva intenzione di scemare, nonostante lo scorrere delle
stagioni.
Sorrise
tra sé,
la bella volpe, riflettendo sui risvolti paradossali dell'intera
faccenda.
Erano
sempre
stati come il sole e la luna.
Anche
in quel
momento.
A
venticinque
anni, lui era sul finire della carriera, mentre il rosso ne era
all'apice.
“Hn!”
D'improvviso
le
immagini del palazzetto dello sport lo riportarono al presente.
Scattò
a sedere
non appena lo vide inquadrato a bordo campo.
Furono
i suoi
occhi a scuoterlo fin nel profondo dell'anima.
Il
suo falso
sorriso, la finta sicurezza che mostrava alla telecamera.
Falso,
falso,
FALSO!
Guardò
l'incontro, muovendosi impercettibilmente seguendo le azioni di
gioco, come gli capitava sempre quando c'era il rossino in campo.
A
metà del
secondo tempo, Sakuragi stoppò un canestro sicuro da parte
dei
Chicago Bulls e rovinò a terra malamente, insieme
all'attaccante
avversario.
Alla
vista dei
medici in campo, Rukawa si alzò avvicinandosi allo schermo.
“Slogatura!
–
sussurrò tirando un sospiro di sollievo – HN?!
Do'hao!” tuonò
poi, alla vista di Sakuragi che tentava in tutti i modi di convincere
il mister a lasciarlo in campo.
Zoppicava,
dannazione!
Da
quando era in
America non aveva saltato una partita.
All'inizio
era
partito dalla panchina ma, una volta diventato titolare, era sempre
stato protagonista di tutti gli incontri, anche quando era fuori
forma e faceva fatica a giocare, aveva sempre fatto delle prestazioni
eccellenti.
Ma
c'era un
limite a tutto!
Appena
lo vide
sparire negli spogliatoi con il medico della squadra,
ritornò a
sdraiarsi sul divano.
Senza
di lui la
partita aveva perso d'attrattiva.
Il
pomeriggio seguente, Kim era sul nuovo set
allestito per la
campagna pubblicitaria.
Mentre
usciva dal camerino, ripulito dal trucco e con i propri abiti,
sentì
Ayako e Yohei discutere animatamente nella saletta accanto.
“Non
è venuto!
Hanamichi non c'è!” stava dicendo Mito,
aggrappandosi al suo
braccio.
“Non
essere
catastrofico, ti prego! – sbottò la manager
cercando di ragionare
con calma – Si è slogato una caviglia, la sua
ultima
preoccupazione sono le foto!”
“Ayako,
tu non
capisci! Hana ha solo il basket! Se glielo togli, potrebbe...”
“...
Potrebbe
ricominciare? – concluse la donna, con una voce
così tremula da
sembrare irriconoscibile – Fra poco arriverà
Kaede, non voglio che
sappia...”
“Hn!”
sbottò
la volpe, facendoli sobbalzare.
“R...
Rukawa...” mormorò Yohei, dilaniato tra l'affetto
per il suo
migliore amico e la sua parola d'onore.
“Voglio
sapere
cosa sta succedendo. Adesso.” sentenziò la volpe
con un tono di
voce glaciale.
“Rukawa,
ti
prego, aiutalo! – esordì Mito, passandosi una mano
sugli occhi –
Hanamichi è un ex alcolizzato. Ho paura che possa essere in
un pub,
in questo momento!”
“HN?!”
“Hana
si sta
uccidendo per te! – sussurrò la manager con gli
occhi
pericolosamente lucidi – Ti ricordi la dinamica del tuo
infortunio,
vero? Hana stava marcando l'attaccante dello Shoyo, se l'è
fatto
scappare e tu sei intervenuto. Cadendo ti sei lesionato il ginocchio.
Hana si è sempre sentito responsabile. È questo
che lo spinge a
giocare dando il massimo sempre. Perché gioca anche per
te!” gli
sorrise commossa.
“C...
cosa...?”
Per
lui?
Lo
aveva sempre
fatto per lui.
“Hana
ti...
Beh! – balbettò Yohei, imbarazzato –
Dopo l'incidente, coinciso
con la fine del liceo, Hana... insomma... ha capito che teneva molto
a te. Davvero molto. È stata la convinzione di far del male
a tutti
coloro che ama che lo ha spinto a riempire il primo bicchiere. Dopo
un intero anno passato nei bar, grazie alle conoscenze di Anzai e
all'idea di dover giocare per te, è riuscito a risalire la
china e
ad esordire nell'N.B.A., l'anno successivo. Da allora non ha mai
toccato nemmeno i cioccolatini al rum. Ma adesso non so... ti ha
incontrato all'improvviso, poi si è fatto male, oggi non si
è
presentato ad un incontro di lavoro... Lui che è
così ligio... ”
“Questo
è
troppo Do'hao persino per lui!” fu il commento della volpe,
ancora
sotto shock per quanto appena appreso.
Colpa
di
Hanamichi?
Ma
stava
scherzando?!
Era
una semplice
azione di gioco!
Ma
lui, per quasi
sette anni, aveva vissuto con quell'insensato senso di colpa?
...E
certo!
Era
un Do'hao!
Lo
squillo del
cellulare di Mito interruppe i suoi pensieri.
“Mitsui?
Che
significa 'cosa ci fa lì'. Ma di chi
parli? Dove lo hai
visto?! Grazie, arrivo subito! – concluse la conversazione e
li
guardò frastornato – Era Hisashi. Passando in
macchina ha
intravisto Hanamichi, o almeno così gli è
sembrato, vicino al bar
accanto alla palestra. Il cellulare di Hana è spento e ha
chiamato
me per sapere se stava bene.” sospirò, temendo di
rivivere un
incubo che sperava appartenesse al passato.
“Hn!”
Kaede
si fece
dare l'indirizzo del posto e corse dal suo Do'hao, prima che
commettesse l'ennesima sciocchezza della sua vita.
Dopo
tutta la
fatica che avevano fatto per cercarsi, adesso non lo avrebbe lasciato
andare via mai più.
Cherry
Baby se ne
stava seduto al bancone, osservando il suo riflesso nel liquore
ambrato che teneva in mano.
Da
quanto tempo
non beveva?
Tanto.
Troppo.
Sobrio
e senza
basket non sapeva vivere.
Sobrio
e con il
basket, non viveva lo stesso.
Ogni
notte
ripensava a quella maledetta partita.
Per
colpa sua
Rukawa aveva dovuto rinunciare al basket.
Solo
perché lui
era sempre stato un idiota, lento di comprendonio.
All'epoca
non
sapeva né giocare, né capire i sentimenti umani.
Solo
quando le
loro strade si erano divise, aveva capito di amare Kaede... e di
avergli rovinato la vita.
Così
come aveva
fatto con tutte le persone a lui care.
Rivederlo
era
stata una pugnalato al cuore e la slogatura il colpo di grazia.
Il
mister voleva
lasciarlo riposare fino alla fine della stagione, dato che era cinque
anni che non saltava una partita.
Al
diavolo tutto!
Almeno
da
alcolizzato nessuno avrebbe più preteso nulla da lui.
Sorrise
amaramente, mentre sollevava la mano verso il proprio viso.
Ma
la sua bocca
non toccò mai il freddo vetro del bicchiere,
poiché una presa
ferrea al suo polso lo bloccò a metà strada.
Sollevando
lo
sguardo vitreo, si ritrovò faccia a faccia con Kaede.
“Andiamo
a
casa, Do'hao.” mormorò trascinandolo per un
braccio fuori dal bar.
Hanamichi
lo
seguì, docile come un automa.
Giunti
a
destinazione, la volpe lo fece stendere sul letto e gli si
coricò
accanto, scrutando attentamente il suo viso inespressivo.
Sembrava
un
giocattolo a cui si erano scaricate le pile e questo non lo
tollerava.
Voleva
rivedere
la luce in quegli occhi scuri.
Fu
per questo
motivo che chinò il volto e lo bacio a fior di labbra,
approfondendo
il contatto appena udì un piccolo gemito da parte del
rossino.
Quando
pose fine
al bacio, affondò lo sguardo in quello disperato del
giocatore.
“È
stata...
colpa mia!” sussurrò Sakuragi, perdendo
miseramente la sua sfida
contro le lacrime.
“Shhh!”
la
volpe gli accarezzò le labbra con un pollice, ma l'altro
andò a
nascondere il viso sul petto di Kaede, aggrappandosi alla sua
maglietta.
“P...
perdonami! Ti prego, perdonami!”
“NO!
– tuonò
la volpe, afferrandogli il volto tra le mani –
Perché non ho
niente da perdonarti!” sentenziò tornando a
guardarlo negli occhi.
“Ma...”
“Gli
incidenti
di gioco fanno parte dei rischi del mestiere! Non voglio più
sentirti dire simili cazzate né, tanto meno, venirti a
riprendere
nei bar, mi sono spiegato?” sibilò con durezza.
“Già!
I
bar...” sussurrò Hanamichi con un sorriso
malinconico, guardando
la propria mano che tremava violentemente.
I
suoi occhi si
stavano nuovamente spegnendo.
“Hn.
Aspettami
qui!” gli ordinò il volpino, correndo in bagno a
riempire la vasca
da bagno con acqua tiepida.
Ricordava
che,
durante la propria disintossicazione, quella era una cosa che gli
aveva dato molto sollievo.
Mentre
l'acqua
scorreva, tornò da Sakuragi e lo spogliò, facendo
altrettanto con
se stesso.
Rukawa
entrò
nella vasca e aiutò l'altro a seguirlo, facendogli posare la
schiena
contro il suo petto.
Con
delicatezza e infinita cura gli bagnò i capelli e gli
massaggiò i
muscoli delle braccia, per poi imprigionargli la vita in una stretta
ferrea.
“Il
numero undici era per me, vero? – sussurrò al suo
orecchio. Quando
lo vide annuire, domandò ancora – Anche la tua
tenacia. La grinta
che metti in campo. È tutto per me, giusto?”
“Io...
Dovevo
giocare anche per te.” rispose il rossino, chiudendo gli
occhi.
Si
sentiva così
stanco.
“Hn.
Questo
risarcimento mi sta bene!” sentenziò la volpe,
sorridendo sulla
sua guancia ambrata.
“Mmm?!”
“Ti
amo,
Do'hao! Non potrei odiarti nemmeno se mi uccidessi!” gli
confidò,
sorridendo nel sentirsi quasi stritolare dall'abbraccio del suo
compagno.
“Anche...
Anche
io! Ti amo tanto, Ru! Ti amo!” ripeté Sakuragi,
incredulo.
Non
poteva essere
vero.
Dopo
tutti quegli
anni, era tra le braccia della sua volpe.
“Adesso
andrà
tutto bene!” gli promise, posando la guancia sulla sua spalla.
Parecchio
tempo
dopo, quando l'acqua era diventata ormai fredda, i due decisero di
ritornare in camera, stretti mano nella mano.
Si
stesero sul
letto, l'uno sull'altro, abbracciandosi in modo talmente naturale che
sembrava non avessero fatto altro nella vita.
“Smetto
di
giocare.” annunciò Hanamichi, rompendo il loro
prolungato
silenzio.
“Non
te lo
permetterò!” ringhiò la volpe,
voltandosi di scatto verso di lui.
“Devo.
Al liceo
era solo un gioco, adesso che amo questo sport, voglio lasciarlo per
espiare la mia...”
“Do'hao!
– lo
interruppe il modello, tirandogli un cazzotto in pieno viso –
Sei
diventato un professionista per me e smetterai quando te lo
dirò io!
Non devi espiare un cazzo!” sibilò, aprendo il
cassetto per
mostrargli il suo tesoro.
“Ma
sono...?”
balbettò il rossino, quasi incredulo.
Tutta
la sua
carriera era racchiusa in quella cartelletta.
“Ti
ho sempre
seguito. Sempre. Non hai nessun debito con me. Anzi, siamo pari. I
tuoi occhi mi hanno dato la forza di disintossicarmi dall'eroina!
Hn...” mugugnò alla fine, arrossendo per
quell'ultima frase,
sfuggitagli dalle labbra.
Proprio
a lui,
che non parlava quasi mai.
Dannati
effetti
collaterali della vicinanza di quello scemo.
“Ru!”
sussurrò il rossino, accarezzandogli una gota,
preoccupatissimo per
lui.
“Hn.
Sono
pulito da anni. Grazie a te! Perciò non fare quella faccia
lì,
Do'hao!” borbottò imbarazzatissimo, mentre
riponeva la
cartelletta.
“Tsk!
E io che stato a preoccuparmi per te, dannata Baka K... –
s'interruppe, sorridendo di quella frase quasi dimenticata –
Kitsune!” soffiò sulle sue labbra, con un sorriso
finalmente
felice.
Dolce
e
innamorato.
Quello
era il
sorriso di Kaede.
Finalmente
la
volpe lo aveva ottenuto.
Deciso
a
festeggiare il regalo, affondò le mani nella folta chioma
del suo
compagno.
Hanamichi
rispose
con trasporto, ma quando sentì la mano di Rukawa sul proprio
sesso
sobbalzò, interrompendo il bacio.
“Io...
con un
uomo non...” balbettò imbarazzato.
La
volpetta
sorrise e riprese a toccarlo con maggior delicatezza, baciandogli la
fronte, le palpebre e le labbra.
Scese
con la
lingua fino ai testicoli e leccò avidamente il suo sesso
pulsante,
dalla radice alla punta umida.
Sakuragi
si
inarcò, artigliandogli le spalle.
Non
si era mai
sentito così.
Con
le donne lo
aveva sempre fatto per noia, più che per un'esigenza reale.
La
sua pelle non
era mai andata a fuoco, non aveva mai urlato di piacere né
si era
mai sentito così sensuale come in quel momento.
Il
suo corpo
sembrava essersi risvegliato solo ed esclusivamente a beneficio della
sua Baka Kitsune.
Con
una carezza e
uno sguardo rassicurante, Rukawa si posizionò tra le sue
gambe
tremanti.
Un
palmo premuto
sulla guancia arrossata di Hanamichi e l'altra mano ad intrecciare le
sue dita.
Attendeva
il suo
segnale.
Quando
il rossino
annuì coprendogli la mano con la propria, si spinse dentro
di lui,
gemendo del suo calore.
Il
rossino
accettò il dolore delle prime spinte e godette del piacere
di quelle
successive, incrociando le lunghe gambe dietro la vita del
fotomodello.
Persi
in
quell'oceano di passione, morsi e gemiti, passarono l'intero
pomeriggio a fare l'amore, dimentichi del mondo che li circondava.
“Mmm...
Dovrei
passare a casa a cambiarmi!” sbadigliò il rossino,
guardando
l'imbrunire dalla finestra del soggiorno.
“Hn.”
A
Kaede il suo
abbigliamento piaceva così: un accappatoio.
Facile
da
slacciare e corto abbastanza per poter ammirare le sue lunghe gambe.
“Hentai!”
sbuffò Sakuragi, alzando gli occhi al cielo.
“Tsk!
Senti da
che pulpito!” borbottò la volpe, facendo per
andare in camera a
vestirsi.
“Ru,
non è
necessario!” rise il giocatore, avviandosi verso la porta.
“HN?!
Non ti
azzardare ad uscire in strada conciato così, Do'hao!
– sibilò il
volpino, afferrandolo per la vita – Non ti facevo
così depravato!”
“Ma...
MA...!
Cosa ti salta in mente, BAKA! Io abito qui di fronte!”
tuonò
Hanamichi, indeciso se essere indignato o imbarazzato.
Nel
dubbio,
arrossì fino alla radice dei capelli.
“Hn?!”
Rukawa
lo vide
attraversare il pianerottolo e aprire la porta di fronte alla sua.
Era
lui il suo silenziosissimo vicino?!
“Ayako!”
sibilò, passandosi una mano sugli occhi.
“Ma
no! Solo
Yohei sa dove abito e non lo direbbe mai a nessuno! Ah, già!
Mitsui
una volta era venuto a trovarmi... ma sono passati anni! No, no!
Questo è destino, Ru!” gli sorrise, facendolo
entrare.
“Hn”
a
dispetto del suo scetticismo, Kaede se lo strinse al petto,
guardandosi intorno.
Anche
se i due
appartamenti erano strutturalmente speculari, erano davvero come il
giorno e la notte.
Il
suo era
ultramoderno, essenziale, con il pavimento in marmo e le pareti
bianche, quello del Do'hao era un elogio al parquet, che dava una
sensazione di profondo calore, con muri color crema e mobili in legno
massiccio.
Erano
il sole e
la luna anche in quello.
“Che
c'è?”
gli domandò Hanamichi, guardandolo di sbieco.
“Ti
somiglia.”
si limitò a dire la volpetta, trascinandolo in camera da
letto.
“Di
nuovo?!”
domandò l'altro, sconcertato dall'appetito sessuale
dell'algida
Kitsune.
“Inauguro
l'appartamento.” sentenziò Kaede senza batter
ciglio.
Finite
le
fotografie per lo spot, i ragazzi organizzarono una cenetta a casa di
Hanamichi.
“Almeno
questo
è un appartamento e non la cabina dell'Enter
Price!” borbottò
Mitsui, suscitando l'ilarità del proprio compagno.
“Hn.”
“Il
Tensai è
geniale anche nell'arredamento!” sentenziò il
rossino, soddisfatto
di se stesso.
“Do'hao!”
“Baka
Kitsune!”
“Oh,
Kami!
L'incubo che ritorna!” guaì l'ex guardia,
tappandosi le orecchie
con le mani.
“Certe
cose non
cambieranno mai!” sorrise Yohei, sinceramente felice per la
gioia
del suo migliore amico.
“Ho
voglia di
andare a comprare un ventaglio.” borbottò Ayako
che, con quelle
semplici parole, riuscì a sedare l'imminente rissa.
A
metà serata la
manager si avvicinò alla neo-coppia e, per una volta nella
vita era
visibilmente a disagio.
“Kaede,
io...
Se non ti spiace vorrei... Avrei bisogno di una paio di settimane
libere. Se tu e Hana siete riusciti dopo tanti anni a... Devo fare un
tentativo!”
Senza
proferir
parola, il rossino prese una penna e scrisse due righe su un foglio
che le consegnò, con un sorriso di incoraggiamento.
“Questo
è
l'indirizzo di Miyagi.”
“Come
fai ad
averlo?!” domandò la donna, sbalordita.
“Abbiamo
sempre
mantenuto i contatti con il Guntai e quei tre hanno una rete di
spionaggio che avrebbe fatto impallidire Mata Hari!”
scherzò,
stringendole la mano.
“Hn.
Vai!” la
esortò la volpe.
“E
porta qui il
nano.” Hanamichi le strizzò l'occhio, facendola
ridere.
“Va
bene e...
grazie!” sussurrò Ayako, accomiatandosi qualche
minuto dopo.
“Andiamo
anche
noi. Abbiamo ancora mezza casa inscatolata!” li
salutò Mitsui,
certo di rivederli molto spesso, adesso che abitavano nella stessa
città.
“Hn.
Grazie!”
disse Rukawa, guardando la coppia di senpai e Mito, che stava
prendendo la propria giacca.
“Saranno
anche
passati gli anni, ma siete sempre i soliti piantagrane!”
borbottò
l'ex guardia.
“Si
è
imbarazzato!” lo giustificò il porcospino, subendo
l'ira del
compagno.
“TACI!”
tuonò
infatti Hisashi, rosso come un peperone, trascinandolo per la
collottola fino all'ascensore.
“Spero
che non
lo uccida lì o dovrò fare le scale! –
scherzò Yohei, salutando i
padroni di casa – Riposati tu!” si
raccomandò, guardando il suo
più caro amico.
“Hn.”
annuì
la volpe, rassicurandolo.
Si
sarebbe preso
cura lui del suo Do'hao.
Sorridendo
soddisfatto, anche Mito tornò a casa propria.
Rimasti
soli,
Hanamichi ripose i bicchieri nel lavello, trattenendo uno sbadiglio.
“Tutto
bene,
piccolo?” domandò la volpe, baciandogli una
guancia.
“Tsk!
Sei
l'unico al mondo che ha il coraggio di chiamare 'piccolo' un
gigante alto un metro e novanta!” lo canzonò il
Tensai, ridendo
sommessamente.
“Io
sono alto
quanto te e comunque mi riferisco al cervello, non
all'altezza.”
“Baka!”
“Do'hao!”
“Ho
sonno.”
“Hn.”
Mano
nella mano
andarono a letto, stringendosi l'uno all'altro.
“La
caviglia ti
fa ancora male?” gli domandò Kaede,
accarezzandogli i capelli
rossi.
“No,
sto bene.”
lo rassicurò, sorridendo delle sue premure.
“Dalla
prossima
stagione in poi verrò sempre a vederti, quindi cerca di non
fare il
Do'hao!”
“Verrai
allo
stadio? Davvero?! – volle sapere Hanamichi, guardandolo
allibito –
Stai dicendo che riuscirai a stare sveglio, Kitsune?!” lo
prese in
giro, ricominciando a ridere.
“Tsk!
Io ti
guardo sempre, pezzo di Do'hao!” borbottò Rukawa,
nascondendo il
viso arrossato.
“Adesso
lo so.”
sussurrò Sakuragi, con una punta di tristezza nella voce.
“Hn?”
“Se
penso a
tutto il tempo che abbiamo passato lontani, io...”
sussurrò
Hanamichi, adagiandosi sul suo petto con un sospiro.
“Hn.”
“A
questo
mondo, le cose non vanno mai come si spera!” gli disse,
voltandosi
a guardarlo con un pizzico di rimpianto.
“No, a
volte la
realtà è anche meglio!”
sussurrò la volpe, baciandolo con
trasporto.
OWARI
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