I - Breathe
In
questa storia sono presenti importanti riferimenti ad avvenimenti che
si differenziano molto, tra prima serie e Brotherhood. Vi prego di
tenere a mente che la mia unica fonte di ispirazione è stata la
serie del 2003, e il film ad esso conseguente. Gli avvenimenti saranno
trattati sotto quest'ottica, senza eccezioni.
D'altronde, senza considerare Roy come il giustiziere dei Rockbell, questa storia non avrebbe alcun senso di esistere.
A TheCorpseBride,
Che mi ha seguita in questo breve, lungo viaggio
E ha sostenuto me
Mentre Winry e Roy imparavano a sostenersi a vicenda.
Il telefono squilla che non sono ancora le quattro di pomeriggio.
Winry Rockbell si ferma, una chiave inglese in mano e i capelli
appiccicati sulla fronte per via del sudore, sollevando lo sguardo
dall’automail incompleto che dev’essere ultimato per il
giorno dopo, per posarlo sulla cornetta che vibra periodicamente ad
ogni segnale acustico.
C’è qualcosa di curioso in quel suono. Non è lo
squillo pieno di aspettativa dei clienti dell’officina, o quello
allegro e un po’ nostalgico di un vecchio amico desideroso di
condividere qualche ricordo insieme. Non ha il tono impersonale di un
messaggio preregistrato, né quello lugubre che porta cattive
notizie. Lo sa che non si tratta di nessuno di questi casi, così
come sa che razionalmente parlando non ha alcun
senso aspettarsi che il suono cambi in base al contesto,
all'interlocutore. Ma non le resta alcun briciolo di razionalità
a cui
aggrapparsi, ormai.
Sente una sgradevole sensazione di inquietudine serrarle le viscere,
mentre quel suono insistente sembra chiedere di lei, e non lasciarle
tregua. Non aspetta telefonate, e quello squillo non le piace. Sembra
lo squillo pretenzioso e imbarazzante di qualcuno che ha sbagliato
numero.
Winry opta per la resistenza passiva e decide testardamente di farlo
squillare a vuoto. Sta quasi per rimettersi al lavoro, quando la voce
della nonna, irritata e piena di urgenza, arriva dall’altra
stanza: “Winry! Vuoi rispondere a quel telefono o no?”.
Sussultando, colta con le mani nel sacco, si accorge di non avere
scelta.
Sospira, si deterge il lubrificante dalle mani con una salvietta e
solleva la cornetta del telefono, senza darsi il tempo di pensarci
ancora su.
“Sì, pronto? Qui è l’officina Rockbell,
automail e affini!” Annuncia, con la sua più brillante voce
professionale.
C’è silenzio dall’altro capo del telefono, un
silenzio pressoché tombale. Non si sente il respiro del suo
interlocutore, ma in qualche modo se ne avverte la
presenza. Non le piace.
“Pronto?” Tenta ancora.
“Sei Winry, vero?”
Winry trattiene il fiato bruscamente, e la sua mano si serra attorno alla cornetta.
“Mi immagino che sia strano, ricevere una telefonata da
me”, riprende intanto quella voce bassa, un po’ vibrante,
incredibilmente priva di ornamenti espressivi e preamboli. Una voce del
genere non viene soffocata neanche dalla bufera più impetuosa.
“Strano e inquietante, forse. Mi sono arrogato un diritto che in
realtà non mi spetta.”
“Colonnello Mustang”, lo riconosce Winry con un filo di voce.
Lo sente ridere, e quella breve risata non mette allegria. “Non
sono più un Colonnello oramai”, risponde. “Non
c’è bisogno di tanta formalità.”
Lo dice in tono casuale, ma quell’informazione la coglie del tutto impreparata.
“Non … non è più Colonnello?”
“No. E neppure Generale di Brigata, se è per
questo.” Winry pensa confusamente che non sapeva neppure lo fosse
diventato, un Generale di Brigata. “Sono stato degradato.”
Come?
“Degradato?”
“Non ha importanza.”
“Ne ha eccome!” Esclama lei, la bocca improvvisamente
arida. “Perché io non … non saprei proprio in che altro modo rivolgermi a lei.”
E’ solo quando quelle parole hanno finito di lasciare le sue
labbra che Winry si rende conto di quanto suonino stupide. Che
significa che non sa come rivolgersi a lui? Potrebbe domandargli il suo
nuovo rango, ed ecco qui. Sarebbe molto semplice, in realtà.
Solo che semplice non lo è per nulla.
Mustang, per lei, non riesce ad essere altro che Colonnello. Lo
è sempre stato, in fondo. Colonnello, che per lei è
sinonimo di sicurezza, autorità, perseveranza nel porsi degli
obiettivi fermi, determinazione nell’affidarsi solo alle proprie
risorse per andare a conquistarli, con la forza se necessario.
Colonnello, che per lei vuol dire vincente, a qualsiasi costo, a
qualsiasi prezzo – a discapito di qualsiasi vita.
E invece qualcosa ha fatto precipitare quel vincente nel baratro scuro
e gelido di una sconfitta, e il solo pensiero riempie Winry di
sconcerto. Cosa è successo? Non ha forse sconfitto quel malvagio
homunculus? Non dovrebbe star facendo carriera nell’esercito? Lei
non capisce nulla di politica e militari, ma c’è qualcosa
di profondamente sbagliato in questa situazione. Che ne è stato
di Mustang?
Il suo sguardo si posa sulla finestra di fronte alla quale si è
fermata, sul riflesso che vi appare – i capelli disordinati, gli
abiti sporchi di lubrificante per automail, le guance pallide, gli
occhi smarriti, le labbra incurvate all’ingiù da
chissà quanto tempo.
Che ne è stato di lei?
“Mi perdoni, io …” Inizia, mortificata, senza sapere come continuare.
“Non hai davvero nulla di cui farti perdonare.” E’
difficile stabilirlo, ma non sembra arrabbiato. Winry si chiede
che razza di idea si sia fatto di lei. “Anzi, che tu non lo
sapessi è rassicurante, in qualche modo. Dimostra solo che la
campagna è tanto diversa dalla città da non aver affatto
bisogno di pettegolezzi. Ultimamente non si fa che parlare di me
– ah, più del solito, intendo. Mi sento come un attore
famoso colto in flagrante in una storia di gossip piccante.”
“Qualche volta vorrei che la campagna assomigliasse di più
alla città.” Sussurra Winry. “Qui a Resembool
nessuno sa mai niente.”
Io sono sempre l’ultima a sapere.
“Le serviva qualcosa?” Taglia corto, decidendo che
preferisce cambiare argomento piuttosto che sentire il commento dell’uomo
al suo sfogo a mezza voce: lo sa che la farebbe star male, qualunque
cosa dicesse. Così come la fa star male parlare con lui, in primo
luogo.
Qualunque cosa voglia da lei, la parvenza di normalità che Winry
si è impegnata a difendere a qualsiasi costo in queste ultime
settimane andrà in pezzi non appena Mustang aprirà bocca.
E lei non può tapparsi le orecchie e coprirsi gli occhi, non
può riattaccare. Non può impedirlo.
Una breve pausa. “Sì”, risponde Mustang. Winry
stringe i denti, la mano attorno alla cornetta trema. Si prepara.
“Ho saputo che Alphonse è lì da voi.”
La normalità si strappa come carta velina, e resta solo il
dolore. Quel dolore senza nome che la rosicchia dall’interno,
insidioso, e che la riempie di vuoto.
Winry sospira, e si arrende. Afferra la sedia più vicina e ci si
accomoda, si aggiusta la bandana sui capelli. Piccoli gesti senza
valore che la aiutano a non andare in pezzi.
“Sì, vive da noi ora. Da quando Rose lo ha … beh, trovato.”
Più piccolo, senza ricordi, confuso. Disperatamente alla ricerca
di sua madre, e di un fratellone che non vede più accanto a
sé.
“Come sta?”
Si può definire lo stato di Al come uno stare bene?
Winry non lo sa, così non risponde direttamente. “Ancora
non riesce a ricordare.” Esita. “Lei lo sa che ha
perso la memoria, vero?”
“Me lo hanno riferito.”
“Oh, per quanto riguarda me mi riconosce, certo. Si sorprende sempre al vedermi così grande,
ma mi riconosce.” Le scappa una risata, e ha il sospetto che
anche la sua suoni vuota come quella di Mustang. “Beh, siamo
pari: io mi sorprendo al vederlo in carne ed ossa.
Dopo tutti questi anni, dopo essermi abituata ad avere
un’armatura sotto agli occhi tutto il tempo … Lo vedo
ridere. Lo vedo piangere. Lo vedo arrabbiarsi, fare smorfie di dolore.
Come se questi anni non fossero mai passati, mentre io quasi mi
dimenticavo come fosse il viso di Al – il vero viso di Al.”
“Fossi al tuo posto sarei ancora più spiazzato di te.
Vedi, io il viso di Alphonse non l’ho mai visto”, commenta
Mustang. “L’ho conosciuto che era già
un’armatura.”
Rendersi conto che quello che l’uomo dice è vero, che
è già passato tanto tempo da quando quell’assurda
storia è iniziata, sconvolge Winry. Tutti questi anni … e ancora non abbiamo trovato la pace che volevamo.
“Allora non può immaginare com’è fatto
neanche volendo. A parte qualche tratto del viso, non somiglia poi
tanto a-”
La voce le si strozza in gola: non può impedirselo, non riesce
ad avere volontà propria sul dolore che la investe. Non sa dire
quel nome, non più. Non ricorda neanche più quando sia
stata l’ultima volta che lo ha pronunciato a voce alta. Forse
quando ha scoperto che Al era tornato a casa, e che lui … no.
E ora si sente una bimba sciocca e fragile, e vorrebbe tanto continuare
a parlare, ma annaspa inutilmente. Perché non ci riesce?
Perché non può pronunciare quella sillaba? Sono solo due
lettere …
Solo due lettere.
“Capisco.”
Mustang pone fine al suo patetico affannarsi, e lascia cadere il
discorso. E’ praticamente impossibile stabilirlo, visto che il
suo tono si mantiene impenetrabile e pacato come sempre, ma potrebbe
averlo fatto apposta per venirle in aiuto, per offrirle una scappatoia.
Dovrebbe sentirsene sollevata, e invece tutto ciò che sente
è la gola che brucia, e gli occhi che si riempiono di lacrime.
Perché è una sconfitta.
Perché, finché quel nome resterà impronunciabile, lei non riuscirà ad andare avanti.
Odia le sue lacrime, così si passa rabbiosamente il dorso della mano sugli occhi, e se li asciuga con forza.
“Mi chiede di lui”,
finisce per dire, e stranamente sono proprio quelle parole tirate a
forza dalla sua gola a darle una sensazione di sollievo inimmaginabile.
E’ come rendere concreto un fantasma, si accorge: un fantasma
che assume sembianze visibili non fa paura a nessuno. “Al non fa
che chiedermi di lui. Vuole sapere dove sia finito, perché
nessuno lo stia cercando. Vuole sapere che cosa ha dimenticato, per
cercare suo fratello anche all’interno dei suoi ricordi perduti.
E anche quando sta zitto, sono i suoi occhi e i suoi silenzi a fare
domande.”
Mustang tace. Winry non riesce a smettere di sfogarsi, non ora che ha
iniziato. Le parole che sente incastrate nel petto bruciano, deve per
forza buttarle fuori.
“Ma cosa posso dirgli io? Dovrebbe essere lui a spiegare a me come stanno le cose! Era lui che era lì in quel momento, no? Io ero a Resembool. Io sono sempre stata
a Resembool, non ho mai saputo niente, dei loro viaggi forsennati. Non
sapevo niente neanche prima che tentassero di far rivivere la loro
mamma, mi sono ritrovata con tutto già fatto, col danno
già compiuto-”
Si arresta bruscamente, rendendosi conto che l’uomo al telefono
non può sapere cosa significhi. Non sa cosa sia essere bambini e
vedere l’alchimia prendersi i suoi migliori amici, i suoi
fratelli, i suoi compagni di vita, e riportarglieli indietro mutilati,
e ridotti a oggetti senza carne né umanità. Non sa cosa
sia crescere nell’attesa che quel telefono suoni, che una qualche
lettera arrivi, che una notizia qualsiasi sul giornale parli anche solo
di sfuggita di un giovane Alchimista di Stato e di suo fratello
–che un qualche estraneo le racconti quello che la sua famiglia
non le dice. Non sa cosa sia morire di gioia ogni volta che una treccia
bionda e un’armatura fanno capolino davanti a casa Rockbell, e
morire di dolore ogni volta che quella stessa treccia bionda e quella
stessa armatura le voltano le spalle e vanno via, troppo presto, senza
spiegarle che fretta ci sia.
Non sa cosa sia stato rivedere quel viso da bambino, quegli occhi
grigio-verdi dopo tanti anni, e sentirsi felici, e voltarsi a cercare
un paio di occhi dorati che non ci sono, non ci sono. E sentirsi desolati, incompleti, persi.
E lei non sa perché la cosa dovrebbe importare a un uomo del
genere, in effetti. Mustang ha chiamato solo per sapere come stesse Al,
non certo per sentire le sue confessioni deliranti.
“La verità è che ne ho abbastanza. Sono stanca:
vorrei delle risposte.” Conclude, gli occhi fissi su
quell’automail ancora smembrato sul quale la sua mente non riesce
a focalizzarsi.
“Domanda.”
Il tono perentorio di quella richiesta fa sussultare Winry, come risvegliandola da un sogno. “Cosa-”
“Domanda.” Ripete Mustang. “Se vuoi risposte non devi
far altro che porre domande. Quale risposta potrebbe farti stare
meglio?”
“Io … non …” Presa in contropiede, ammutolisce.
“Vuoi forse sapere perché Alphonse sia tornato al suo
corpo da decenne? Si può supporre che non sia mai cresciuto, dall’altra parte.
Che sia rimasto congelato, in attesa di ricongiungersi con la sua mente
e la sua anima. Non conosciamo la natura del luogo dove il suo corpo
è rimasto, ma le leggi vigenti lì devono essere
terribilmente diverse da questo mondo, così il corpo non
è deperito e non è scomparso.
“Oppure è la natura dello scambio effettuato a interessarti?”
Winry sta soffocando. Tutte quelle nozioni sicure la confondono e
basta, e non è soltanto perché si parla di alchimia
– qualcosa che lei non capirà, non apprezzerà mai.
Le sembra che Mustang le stia parlando in un’altra lingua.
“Si faceva per dire. Non volevo davvero …”
“Ti chiedi perché Alphonse abbia perso anche
la memoria?” Incalza l’altro, incurante delle sue proteste
senza convinzione. “In tutta sincerità non so risponderti
con certezza, dal momento che non è rimasta traccia del cerchio
alchemico attivato in quel teatro. Non so come sia stato impostato lo
scambio, ma a rigor di logica avrebbe dovuto essere un corpo per un
corpo. Per cui si può ipotizzare.” Un momento di silenzio,
il tempo di un respiro. “Si può ipotizzare che qualcosa
sia andato storto.”
Il suo petto si riempie di aria gelida. “Quando lei dice storto …” Non continua. Non può.
“Intendo dire che se cerchi risposte certe a riguardo, lascia
perdere: non c’è, attualmente, modo di stabilirlo. Non
sappiamo se sia rimasto qualcosa di lui dall’altra parte che
possa eventualmente essere recuperato. Ti conviene considerarlo
morto.”
E’ troppo.
Winry scatta in piedi, la sedia cade con un gran clangore, e non
è nemmeno lontanamente un clangore forte quanto il suono crudele
della parola che Mustang ha appena pronunciato. Non può
sopportarlo. Non vuole.
“Ed non è morto!” Grida, tanto forte che la sua voce
le graffia la gola. E’ una parola così orribile che non
può che ferire qualsiasi superficie con la quale venga a
contatto.
Anche l’orecchio che l’ha ascoltata brucia, e la ripete ossessivamente, e ogni volta fa più male. Morto, morto, morto.
Il suo sorriso birichino e sfrontato,
il suo corpo sempre in movimento, le sue premure accuratamente celate
da modi bruschi e occhi sfuggenti.
Morto.
Winry odia Mustang con un’intensità inimmaginabile, ed
è a un tratto come se lui avesse scoperchiato un calderone di astio
ribollente, uno che lei credeva di aver ormai spento da un po’. Lo
odia, perché morto non si associa a Edward Elric, ed è
mostruoso che lui abbia anche solo potuto pensare a una cosa simile.
“Ed non è morto. Non mi importa niente delle sue
congetture, non mi importa niente delle sue incognite. Io lo so che
è vivo – deve esserlo, non ha scelta. Non ho alcun dubbio
a riguardo. E lei può pensare quello che vuole, non mi
riguarda.”
“Davvero? Nonostante tutto quello che ti ho detto, è questo quello che credi?”
“Certo!”
“E allora che bisogno hai di risposte?”
Sta per rispondergli a tono, in modo automatico, ma poi registra il
senso di quello che ha appena sentito, e la voce le muore sul
nascere. Winry sbatte le palpebre, colta di sorpresa.
“Sai già quello che devi sapere. E se anche io avessi la
benché minima intenzione di convincerti che non ci sia la minima
speranza alla quale appigliarsi, non mi crederesti. Dico bene?”
Mi ha manipolata?, si rende conto la ragazza all’improvviso,
più sbalordita che arrabbiata – si sente così
esausta che non le è rimasta forza sufficiente per arrabbiarsi.
Voleva forse farmi arrivare a quest’ammissione? Voleva mettermi
alla prova?
Ma c’è altro che la colpisce, e registrare quel dettaglio la riempie di una strana emozione confusa.
“Se?” Domanda, titubante.
“Se.” Conferma Mustang.
Non si dicono altro a riguardo, non ce n’è bisogno. Winry capisce che non è l’unica a sperare.
E’ così strano condividere qualcosa di così intimo con un uomo del genere.
Si china, raccoglie la sedia, la risolleva, ci si risiede. Le mani in grembo tremano.
“Eppure … mi basterebbe avere almeno una risposta in
più, una definitiva. Una che potrebbe mettermi l’anima in
pace.” Mormora, più rivolta a se stessa che al suo
interlocutore. “Perché a Ed e a Al non è concesso
di essere felici? Perché non ci è concesso di stare di
nuovo insieme, dopo tutta questa sofferenza, dopo tutti questi anni
…?”
La voce le si spezza.
“Perché questo mondo non conosce giustizia.”
Risponde Mustang, la voce bassa. “Non si può cambiare una
cosa tanto al di là della nostra portata.”
Certo che non si può. Il mondo non è un automail che si
può correggere, alleggerire, migliorare a piacimento, o rendere
più efficiente e sicuro.
“Eppure si può ancora scegliere”, continua lui a
sorpresa. “Scegliere come andare avanti, e come lottare, con
tutte le forze che abbiamo. Tu ti sei trovata tanto spesso di fronte a
scelte non tue – e questa situazione che vivi è il frutto
di una scelta compiuta dai fratelli Elric, e da loro solamente. Non ti
resta che trovare il tuo modo di combattere.”
“Come posso combattere? Non c’è nulla che io possa fare”, sussurra Winry, disperata.
“Sei ancora viva, non è così?”
E’ il concetto più semplice del mondo, eppure colpisce
Winry come nessun’altra frase pronunciata fino a quel momento.
Respira, in modo un po’ accelerato, e il suo cuore batte, lo
sente perfino nelle orecchie: sa che è viva, è naturale.
Ma da quanto non lo percepisce più?
Proprio lui mi ricorda che sono viva, quando è stato lui a togliere la vita ai miei genitori?
E’ un pensiero istintivo, ma è disgustoso, e Winry avverte
una forte sensazione di nausea all’altezza dello stomaco,
provando orrore per se stessa. Mustang sta cercando di aiutarla. Che
bisogno ha lei di reagire così?
Perché dev’essere tutto così difficile?
“Non ti trattengo oltre”, fa a un tratto Mustang, rompendo
il silenzio pesante calato tra loro. “Volevo solo informarmi
sulle condizioni di Alphonse. Sei stata molto gentile.”
Il senso di colpa di Winry si accentua in modo insopportabile nel
sentire il ringraziamento che è solo implicito nelle parole
dell’uomo. “Ho saputo che è stato ferito”,
dice in fretta, cercando di rimediare ai suoi pensieri cattivi,
cercando di essere educata. E’ questa la cosa giusta da fare.
“Si è rimesso in sesto?”
Forse lo sorprende un po’, perché passa un istante appena di silenzio.
“Sì, sto meglio. Ancora qualche tempo di convalescenza e potrò essere trasferito.”
“Trasferito?” Ripete Winry.
“Al Nord.”
C’è un certo tono enigmatico nella sua voce, un tono che
lei non riesce a decifrare. Apre la bocca, fa per parlare, ma la
richiude senza emettere un suono. Non sono affari suoi, in fondo.
E con quell’esitazione, il momento passa.
“Ti auguro una buona serata, Winry.” Dice Mustang, e non
aspetta risposta: riaggancia, lasciando la ragazza con
nient’altro che il suono acustico di fine chiamata che le
rimbomba nell’orecchio.
Winry lo ascolta per qualche secondo, come pietrificata, prima di
allontanare la cornetta dall’orecchio, e lentamente riporla al
suo posto.
Come se nulla fosse successo.
Si guarda intorno, registrando la familiarità della sua stanza
dopo quella che sembra una vita. Il letto ordinato, la scrivania piena
di viti e bulloni, l’automail ancora incompleto. Fuori dalla
finestra la nonna raccoglie legna per il camino, e se aguzza la vista
può scorgere i contadini rientrare in casa con le ceste di
vimini piene del lavoro di una giornata tra i campi, come tante altre.
Niente sembra cambiato. Eppure lo è, in modo incontrovertibile.
Solo allora sussulta, e si porta una mano sulla bocca, scossa da un tremito improvviso.
Ho fatto il nome di Ed.
Tante volte. Come se fosse di nuovo naturale per lei.
E mentre il cuore prende a batterle dolorosamente nel petto e le
lacrime le appannano nuovamente la vista, distrattamente Winry pensa
che Mustang, invece, il nome di Ed non lo ha fatto mai neanche una
volta.
***
Al è seduto sul divano, le gambe incrociate e un libro in
grembo; le sopracciglia aggrottate donano al suo viso infantile
un’espressione tremendamente seria, tremendamente adulta. Lei
avrà visto quell’espressione milioni di volte da bambina,
ma ora è grande abbastanza per non sentirsi risentita per tutto
quello zelo nello studio, che sottrae tempo a lei. Ora ha accettato che
l’alchimia avrà sempre un posto importante nella vita del
suo amico d’infanzia: è una cosa che non si può
cambiare.
Quando la sente avvicinarsi, Al solleva il capo, e il suo viso si apre in un sorriso.
Winry sorride a sua volta. “Ancora il libro che ti ha prestato la maestra Izumi?” Gli chiede.
Al annuisce con solennità. “Sono un po’ lento,
perché alcune cose sono troppo difficili da capire. Però
è molto interessante, sai? Se riesco a finirlo prima che la
maestra ritorni a trovarci, potrò chiederle di aiutarmi sui
punti complicati.”
“Oh, qualcosa che nemmeno Alphonse Elric capisce?
Dev’essere una tragedia”, scherza Winry, prendendo posto
accanto a lui sul divano. Non c’è nulla di strano in
questo, in fondo Al ha scordato tutti i progressi fatti durante i suoi
viaggi assieme a Ed. Ma non vuole che Al si senta sconfortato, si sta
impegnando tanto.
Al ride, passandosi una mano dietro al collo, in imbarazzo. “Che
dici? C’è tanto che non capisco, nell’alchimia. E
poi senza il fratellone è più difficile. Spesso discutere
con lui mi aiuta – aiutava, cioè, a risolvere molti miei
dubbi.”
Sta soffrendo tanto, anche.
Winry gli sorride dolcemente. “Guarda che spesso era Ed a chiedere consiglio a te. Te ne sei dimenticato?”
La risata di Al si spegne, e lui la guarda con grandi occhi sorpresi. Lei lo sa a cosa sta pensando.
Winry non parla mai di Ed.
Non può dire di non comprendere lo stupore di Al: lei stessa non
riesce a crederci. E’ tutto ancora nuovo e terribilmente fragile:
è come stringere tra le braccia un bambino prematuro un
po’ brutto che ha tirato fuori a forza dal suo corpo, e che ora
sfiora esitando, cercando di vincere il suo senso di rifiuto.
“Winry … hai pianto?” Le chiede il bambino a un
tratto, probabilmente notando i suoi occhi lucidi, le sue guance e il
suo naso rossi. Piccoli segnali che lei non è riuscita a nascondere, forse non ci ha nemmeno provato.
“Solo un pochino”, ammette, senza smettere di sorridere. Il
viso di Al si contrae in un’espressione triste - è
così bello vederlo esprimere emozioni. “Guarda che non
devi preoccuparti! Non è successo proprio niente. Stavo solo
pensando ad alcune cose, e mi sono sfogata. Ma va tutto bene ora.”
“Non è vero che va tutto bene.” Si infervora Al, gli
occhi pieni di sconsolato rimprovero. “E’ perché non
mi ricordo niente? E’ perché pensavi a Ed? Non mi piace
che piangi, Winry. Però ora sei più grande di quello che
ricordo, e non so che fare per consolarti, e così-”
“Ma che sciocchino che sei! Smettila di farti venire tutti questi
problemi.” La ragazza ride, e gli posa un bacio sul capo, tra i
corti capelli chiari. “Se stai zitto un attimo ti faccio una
proposta. Ti va di leggere qualcosa insieme? E prima che ti venga
questo pensiero no, non è un libro di alchimia.”
“Cosa, allora?” Al abbassa gli occhi, e nota le lettere che
Winry ha portato con sé, un po’ piegate e rovinate, ma che
sono state conservate per anni dentro una scatola che lei teneva
nascosta sotto il letto, come un tesoro.
Il sorriso di Winry si allarga. “Che ne dici, vuoi sapere le
sciocchezze che tuo fratello mi ha scritto in questi anni in cui voi
due siete stati via? Ti può aiutare a ricordare.”
Ti può aiutare a sentirlo vicino, conclude nella sua mente. Con me ha funzionato, per tanto tempo.
Al sembra un po’ turbato, quando osserva quella grafia un
po’ frettolosa vergata sulla carta con tanta forza da incidere
lievemente i fogli - l’essenza di Ed sembra voler fuoriuscire da
quelle lettere a ogni costo.
“Solo se ti va”, Aggiunge lei, con maggiore delicatezza. “Se non vuoi lo capisco.”
“No, no. Voglio sentire.” Al la guarda, determinato come
nessun bambino di dieci anni potrebbe mai essere. “Ti
prego.”
E poteva mai aspettarsi qualcosa di diverso, da Alphonse Elric?
“Direi che è deciso, allora.”
Al si appoggia contro la sua spalla, e Winry gli cinge le spalle col
braccio, accarezzandogli piano i capelli, perché a questo nuovo
Al piace molto il contatto fisico, forse perché inconsciamente
ricorda di non aver potuto avvertire il contatto umano per quattro
lunghi anni; perché a questa nuova Winry piace molto coccolare
Al, forse perché inconsciamente è una vita che desidera
essere di qualche aiuto per la sua famiglia. Anche se solo per una cosa
così piccola.
La ragazza spiega la prima lettera davanti agli occhi di entrambi, e a bassa voce inizia a leggere.
“Ciao Winry. Come sai, siamo a
Central City, e ci hanno messi a studiare in casa di un certo Tucker.
Ha fatto un sacco di ricerche sulla trasmutazione di esseri viventi, ci crederesti?
E ha una libreria strapiena di libri! Se non dovessi concentrarmi su
questo maledetto esame da Alchimista di Stato, li leggerei tutti. Ma
forse lo farò dopo che avrò superato l’esame. Ora
non ho proprio tempo per fare nient’altro che studiare, studiare
e studiare. Io e Al non ne possiamo più, ma non abbiamo dubbi
che ce la faremo. E’ per questo che abbiamo fatto tutta questa
strada!
Tu e la zia non aspettateci, non
torneremo a breve! Abbiamo tanto da fare, e sicuramente quando saremo
Alchimisti di Stato dovremo lavorare duro per riavere i nostri corpi.
Quando ci vedrai non crederai ai tuoi occhi!
E sarò anche più alto,
ah-ha. Che cosa credi, che resterò un moscerino microscopico per
tutta la vita, eh? Lo so che lo stai pensando, e non è vero!
Tu pensa a non fare la stupida
piagnucolona e stai bene. Al ti saluta, e ti dice che ti
scriverà anche lui. Io ho finito lo spazio, se no gli lasciavo posto.
La prossima volta che ti scriverò, lo farò come Alchimista di Stato!
Ed”
Winry aspetta alcuni istanti, il tempo di sentire il cuore meno gonfio,
il tempo di lasciar metabolizzare ad Al quello che ha appena letto. Poi
ripone la lettera, e afferra la successiva. Non smette di accarezzare i
capelli di Al.
“Ehilà, Winry! Indovina chi è un Alchimista di Stato? -”
Non piange più mentre legge, come ha fatto poche ore prima. Non
si stringe più al petto quei fogli fin troppo esigui,
singhiozzando senza rumore. Non si sente più così
disperatamente sola.
Può quasi immaginarsi Ed accanto a loro, a sbuffare e a
grattarsi il capo, lamentandosi che leggere quelle lettere non serve a
nessuno ed è stupido. Può farlo, e se ne sente confortata.
Può farlo perché Ed è vivo, da qualche parte dell’universo.
E’ vivo, così come -
Per un attimo la sua voce ha un’esitazione, e si spegne. Poi, a fatica, riprende la lettura.
Riesce a non far trapelare da essa l’inquietudine confusa che sta
provando in questo momento, ora che ha rievocato con la mente
il turbamento profondo che la telefonata enigmatica di quel pomeriggio,
e la voce salda, troppo salda di un ex Colonnello, le hanno suscitato,
scombussolandola completamente.
Eppure Winry la sente ancora, quella voce. Come se la cornetta del telefono fosse ancora contro il suo orecchio.
“Tu sei ancora viva, non è così?”
E a quelle parole lei trova, pur tardivamente, una risposta.
Così la pronuncia, nel segreto della sua mente, con quanta forza
ha. A Mustang, e a se stessa.
Sono ancora viva.
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