Protocollo
di Primo Contatto, Tearkia di Vrs.
Questo guida è da considerarsi obbligatoria
in scenari di primo contatto con civilizzazioni diverse dalla nostra.
Di
seguito non vi sono consigli, ma regole precise suggerite
dall’esperienza
empirica: la loro stretta osservanza da parte dei Midion è da
considerarsi garantita,
in nome della reciproca prosperità.
Letto e approvato dall’Accademia delle
Scienze.
L’Universo è
vasto, più di quanto possiamo immaginare o comprendere.
Il nostro
intelletto dispera di fronte all’immensità delle distanze che ci si
trova ad
affrontare: centinaia di migliaia è spesso l’unità di misura di base
che ci si
può trovare di fronte. Centinaia di
migliaia di anni luce, centinaia di migliaia di stelle, centinaia di
migliaia
di Galassie…
Noi siamo
Midion, figli di Vrs: nessuna nostra conquista, nessuna nostra
peculiarità però,
può o deve essere presa come riferimento con cui misurare l’Universo.
La nostra
sola galassia è immensa e sconosciuta, e noi siamo non più di un
granello di
sabbia nella sua vastità, trasportato dalle correnti cosmiche.
Conosciamo poco
e sappiamo ancora meno di questa grandezza: nel tempo forse, questo è
destinato
a cambiare. Tuttavia, verità e forza rimarranno
sempre al servizio della prosperità. Non il semplice motto della
nostra
Tearkia, ma la prospettiva con cui calchiamo da millenni le sabbie, fin
da
quando abbiamo abbandonato le illusioni della mente, mettendo fine alle
crociate del deserto. Ora che ci allontaniamo sempre più dal nostro
pianeta
natale però, ad esplorare le stelle e la meravigliosa notte che si
trova fra esse,
per giungere più lontano di quanto possiamo immaginare; dobbiamo
convincerci di
essere non la norma, ma piuttosto l’eccezione di questa Galassia: una
delle
molte.
La vita
trova sempre una strada: la nostra scienza ha dimostrato questo, ancora
e
ancora. La vita trova sempre una strada e la Galassia è immensa: vi è
una
matematica certezza che nella sua immensità vi siano altre
sfaccettature della
vita oltre a noi. E ad ogni sfaccettatura che concorra alla prosperità
comune
deve essere dato lo stesso diritto a prosperare.
I. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire
solo con civiltà che abbiano raggiunto la singolarità tecnologica
interplanetaria.
La Galassia
è immensa: esporre alla sua vastità civilizzazioni che non sono pronte
a, o non
vogliono, farne parte, sarebbe un terribile errore.
II. Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare solo
dopo aver raggiunto un metodo di comunicazione affidabile e
comprensibile ad
entrambi.
Perché non
vi siano fraintendimenti tra noi e loro, i nostri primi sforzi dopo
aver
individuato dove si trovino altre sfaccettature della vita dovranno
sempre
essere focalizzati nel determinare come comunicare efficacemente con
loro.
Quando un singolo messaggio può plasmare la storia, esso deve essere
composto
con cura.
III. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire in
un ambiente artificiale senza nessuna adiacenza con reciproche biosfere.
La vita
trova sempre una strada. Non per questo però, le interazioni fra
diverse forme
di essa sono necessariamente positive. Il rischio di contaminazioni più
o meno
accidentali deve essere prevenuto ad ogni costo: la vita è fragile.
Ecco perché
non ci esporremo, né ci faremo esporre, a contaminanti di qualsiasi
tipo in
scenari di primo contatto: ci incontreremo celati a loro, né
respireremo la
loro aria fino a quando la nostra scienza non ci abbia detto
altrimenti. Li
incontreremo celati da tute anticontaminanti, ma con mente e cuori
aperti.
IV. Ogni nostro primo contatto dovrà
avvenire con una sola nave e attraverso un numero limitato di emissari.
C’è paura
nei numeri, nello scoprire di essere in minoranza o in svantaggio:
ricordiamo
quel timore. Noi rifiuteremo la loro ospitalità e i loro doni fino a
quando non
sapremo quale significato abbiano nella loro cultura. Li incontreremo
armati,
non per intimorirli, ma per comunicare che sappiamo difenderli dai
pericoli
della vasta Galassia, e che così abbiamo fatto per noi stessi fino ad
oggi.
V. Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere con prudenza.
La vita è fatta
di molteplici sfaccettature e la mente ancora di più. Le differenze
devono
arricchire, non escludere, ma questa nostra conclusione non è
necessariamente
condivisa. Se a seguito di un primo contatto la loro reazione a noi
fosse di
sofferenza, di qualunque tipo, ci si sforzerà di comprendere le
motivazioni di
questo, e correggere il nostro approccio. Ogni nuovo incontro è in sé
un
mistero: non da temere, ma da esplorare.
VI. Ogni nostro primo contatto dovrà
temperare il desiderio col giudizio.
Per quanto
grande possa essere il desiderio di condividere con qualcun altro dopo
aver
creduto di essere stati soli così a lungo, scienza, tecnologia, storia,
arte…
sono soggetti così personali e straordinari, che non possono essere
scambiati
alla leggera, e senza valutarne attentamente le conseguenze a lungo
termine. Il
significato delle cose però, è solo quello che scegliamo che abbia: la
supposizione e la proiezione di valori sugli altri è un’illusione della
mente,
e dunque un ostacolo sulla via della comprensione.
VII. Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere sperando per il meglio, ma preparato ad ogni scenario.
La sete di
conoscenza e la gioia della scoperta non devono mettere in pericolo
nessuna
vita.
VIII. Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere con onestà.
Nessuna
fiducia può essere costruita sulla menzogna. Risponderemo con verità
alle loro
domande e crederemo alle loro risposte, senza celare quando una
risposta ancora
non può essere data.
IX. Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere senza essere influenzato da altri elementi.
Le altre
sfaccettature della vita non hanno merito né colpa del momento in cui
avviene
il nostro gioioso incontrarsi. Non vi sono soluzioni da cercare nel
loro
esistere, né è giusto pretendere qualcosa del genere. Un nostro primo
contatto
avviene quando un Midion incontra altre specie come emissario di tutti
noi,
nessuno escluso, e parla per tutti noi, nessuno escluso. Queste
condizioni sono
imprescindibili per un primo contatto: ritardarlo, se queste non sono
raggiungibili al momento, è la scelta più giusta da fare.
X. Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare
con l’invio di questo protocollo.
Così che
anche le altre sfaccettature della vita possano iniziare a comprendere
noi, e i
modi con cui all’inizio agiremo nei loro confronti.
***
“…Un po’ più
arido di quanto mi aspettassi. Che ne pensi Jim?”
“Mi chiamo
Hans, signor Presidente.” replicò il governatore continentale di Europa
e
Africa: nonostante il suo nome, il suo accento e il suo inesistente
senso
dell’umorismo, Hans Zimmerman era di chiara ascendenza africana.
Bizzarrie
dell’Umanità del 2250, in cui il melting pot era la norma: ed era anche
ora,
pensò ancora una volta il presidente Johnson. Uomo della folla e di
visione,
Fredrick Johnson era il 17° presidente dell’Umanità Unita e, a
differenza del
suo predecessore, i nazionalismi gli facevano venire l’orticaria:
“Credo che
il presidente stesse cercando di rompere il ghiaccio, Hans.” offrì Rose
Palomar, governatore continentale delle due Americhe: “…Non capita
tutti i
giorni che una nuova specie venga a bussare alla nostra porta. Per così
dire.”
aggiunse precipitosa: Hans non era persona di immaginazione, metafore o
spirito, ma non si poteva volergliene, specie perché compensava più che
egregiamente in altri campi.
Alta come un
pugno, Rose Palomar non toccava nemmeno terra quando era seduta
nell’ampia
poltrona dell’ufficio del presidente, il che contribuiva a darle il
gioioso
aspetto di una bambolina messicana, specie dati i suoi variopinti
abiti.
Tuttavia non era arrivata a diventare governatrice del Nuovo Mondo solo
grazie
al suo spirito o al suo aspetto.
Per tutta
risposta, il governatore di Europa e Africa si aggiustò i suoi occhiali
con un
sospiro di insoddisfazione, spingendo con la base del palmo perché
tornassero
in cima al suo naso.
“Doveva
succedere, prima o poi.” commentò Ayaka Yamamoto, governatrice di Asia
e
Oceania.
Miss
Yamamoto, come preferiva presentarsi, governatrice con forte base
popolare della
regione della Terra che ospitava quasi metà dell’umanità, vestiva un
abito nero
dal taglio molto severo, così come quello dei suoi capelli. Le dava
un’apparenza vagamente androgina, ma la moda del momento non
risparmiava
nemmeno i governatori continentali, soprattutto non quelli popolari
come Miss
Yamamoto. Unico stacco in quell'uniforme e severo look, era un mengu da uomo di metallo, la maschera
da samurai che copriva bocca e naso, portata
slacciata sul petto come una collana.
“…Ho idea
che la tua presidenza sia appena diventata molto più interessante,
Fredrick.”
“C’è n’è una
che sia davvero noiosa?” rifletté a voce alta Johnson, accavallando le
gambe
con un sorriso: essere presidente per lui era un po’ come pattinare sul
ghiaccio.
Esibire
sempre un sorriso nonostante gli sforzi, e sperare di non cadere mai
davanti
alla giuria: nel suo caso, il resto dell’Umanità. La sua era una
posizione
molto stressante: c’era un motivo se nessuno dei suoi predecessori
aveva voluto
farsi rieleggere per un secondo mandato. Johnson dubitava che sarebbe
stato il
primo:
“Gli esperti
cosa dicono?” chiese compita l’ultima occupante della stanza.
Susan
Ivanova, primo governatore della colonia di Marte, aveva molte doti e
una
storia davvero particolare alle spalle. Quando doveva descriversi però,
preferiva sempre farlo con sei semplici parole: russa figlia di ebrei e
divorziata.
Era anche la
più giovane nella stanza, ma non era strano dato quanto Marte stesso
fosse un
insediamento nuovo e dinamico: la più lontana frontiera dell’Umanità
per il
momento, e di cui Susan portava i colori nei suoi abiti, in toni di
rosso
ruggine e mattone.
“Non
accetterei nessun parere di un esperto che si definisse tale per una
cosa del
genere: nessuno ha idea di come procedere, perché nessuno di loro ha
mai
incontrato un non Umano. Ogni loro osservazione comincia con la frase, se fossero Umani. Il problema è che non
lo sono. Non lo sono affatto.”
“E se lo
fossero?” chiese Hans: “…O per meglio dire, come si rapportano gli
esperti con
questo protocollo?”
“Se lo
fossero, allora questo messaggio è da stringere le chiappe. Anche se
non per i
motivi che potreste pensare.” replicò Johnson facendo spallucce: “…Ci prendono sul serio. Dannatamente sul serio."
"Ed è
un male perché?"
“Per
cominciare, perché non sappiamo nulla su di loro. È probabile che
vengano da un
pianeta desertico, o che almeno il deserto abbia per la loro cultura un
significato particolare. È plausibile che siano notturni, e che abbiano
abbandonato un sistema di credenze religiose prima di avventurarsi tra
le
stelle…”
“...Se
fossero Umani, Fredrick.” comprese Yamamoto.
“Se fossero
Umani, sì. È certo invece, che conducono primi contatti con specie
diverse
dalla loro da abbastanza tempo da avere un’esperienza empirica sulla
quale
basarsi per i successivi...”
“E che la
loro nave si sposta più velocemente di quanto riusciamo a tracciarla.”
Le migliori
navi stellari dell’umanità, l’ultimo ritrovato della tecnologia e
dell’ingegno
terrestre, impiegavano circa cinque giorni a varcare lo spazio tra
Marte e il
pianeta natale della loro specie.
Questo però
solo grazie ad un carburante che era allo stesso tempo pericoloso e
instabile,
e che rendeva ogni viaggio una spesa estrema da sostenere: antimateria.
I motori
di Fermi, usati per spingere le grandi navi cargo, erano sì in grado di
legare
Gaia e Marte con un cordone ombelicale di merci e passeggeri, ma
consumavano 8
chili di quella difficile sostanza ad ogni viaggio, quindi 16 per
andare e
tornare. La colonizzazione di Marte procedeva, doveva procedere in
realtà, più
per gli sforzi dei locali piuttosto che grazie al resto dell’Umanità.
Non era
per indifferenza o crudeltà, Marte era sempre nei pensieri della Terra,
ma non
c’era ancora altro modo: acceleratori di particelle grandi quanto
piccole
nazioni riuscivano a fornire l’antimateria necessaria ad un viaggio
Terra-Marte
a malapena e solo in virtù del loro numero: l’LHC del CERN stesso, il
primo e
il più grande ancora a disposizione dell’Umanità, riusciva da solo a
produrre a
malapena antimateria per un chilo all’anno, e questo solo per essere
stato
modificato apposta per quel compito. A questa situazione già così
difficile,
andavano poi aggiunti i problemi logistici relativi a gestire un
materiale che
si annichiliva, non semplicemente esplodeva, se posto a contatto con qualunque altra cosa: 8 chilogrammi di
antimateria liberano energia per 14,4*1011 Joule. Il che
basta a
spiegare esattamente perché ogni passeggero sull'espresso tra la Terra
e Marte
viaggiasse sempre nervosamente e fosse obbligato a compilare un
testamento
prima di partire, riconsegnato all’arrivo. Fino a quel momento non
c’erano
stati incidenti, ma per la stessa natura della statistica e della
probabilità,
sapevano tutti che doveva accadere prima o poi.
Il primo
contatto dell’Umanità con una specie aliena era la ragione per cui
Susan
Ivanova si trovava lì in quel momento in effetti, dopo aver ordinato un
trasporto straordinario: il governatore della colonia di Marte avrebbe
volentieri preferito non tornare alla madrepatria.
“Dove si
trovano in questo momento?”
“L’ultimo
rilevamento tracciava la sua posizione attorno ai satelliti di Giove.
L’osservatorio del vulcano Olimpo l’ha persa… circa sei ore fa.” riferì
Palomar
controllando il suo orologio da polso, decorato con fantasie che
rimandavano ai
Dia de Muertos.
“Manteneva
ancora lo stesso comportamento?”
“Da quello
che abbiamo visto, sì: approcciano un corpo celeste, si inseriscono in
un
orbita alta stabile ed emettono un mix di particelle di varia natura e
forme di
energia ad ampio spettro. Laser, microonde, onde radio… compiuto un
rilevamento, passano al successivo.” rispose Ivanova.
“Stanno
compiendo rilevamenti… o ricognizioni?”
“Rilevamenti
probabilmente, dato che non sembra vogliano avvicinarsi a Terra e
Marte. Ancora.”
“Non
vogliono che pensiamo che ci stiano spiando?”
“Forse… ma
ha senso che si prendano queste preoccupazioni? Sono comparsi sopra
Mercurio
letteralmente dal nulla.”
“Non
esattamente dal nulla.” corresse Johnson: “…Rianalizzando le immagini
dell’osservatorio Sol, sono emersi nuovi particolari: sembra che
fossero in
decelerazione da velocità superluminari. Come sia possibile, è una
domanda che metà
dei miei esperti vorrebbe fargli. Il punto di origine è difficile da
stimare,
ma presumendo che abbiano sempre viaggiato in linea retta, è probabile
che
giungano da Beta Carina, a 113 anni luce da noi.”
“Hanno fatto
un lungo viaggio per incontrarci.”
“Lungo per
noi. E ancora non abbiamo risposto al loro messaggio. Tempus
Fugit, signori: se dovessero decidere che non vogliamo
comunicare con loro, non potremmo impedirgli di andarsene. E non
possiamo
tenere la cosa segreta ancora più a lungo: la censura di informazioni è
immorale in casi come questo, per quanto necessaria.” isterismo di
massa,
manifestazioni, disordini…
Nemmeno
Johnson sapeva come l’Umanità avrebbe reagito alla notizia:
“Sono
d’accordo signor presidente: una risposta si rende necessaria. Ma
quale?”
Fredrick
sospirò: non c’erano manuali per scenari come quello. Non ancora:
“Abbiamo delle domande?” chiese
allargando i palmi.
“Piuttosto…
riduttiva, signor presidente.”
“Avete idee
migliori? Da quello che abbiamo letto del loro protocollo di primo
contatto,
sembrano essere persone dirette, che prediligono la sincerità e la
schiettezza,
piuttosto che menare il can per l’aia. E sinceramente, non li biasimo.
Non ho
idea di come reagiranno a noi, ma so che l’Umanità intera, anche se
pronta, si
sentirà sommersa.”
“Dovremo
mettere in preallarme le forze dell’ordine, e sospendere le
contrattazioni
azionarie a livello interplanetario.”
“Per
cominciare.” annuì Hans: “…Ma ancora molto altro dobbiamo fare.”
aggiunse,
esibendo un datapad su cui l’inarrestabile afro tedesco aveva preso
molti
appunti: non appena però si aggiustò di nuovo gli occhiali, Susan lo
fermò con
un gesto.
“Esattamente,
di quanti punti si compone la lista questa volta?” le liste di
Zimmerman erano
famose: ti affogavano nello schema delle cose ancora prima di farle.
Il resto
degli occupanti della sala aveva imparato da tempo a lasciarlo fare e
adeguarsi
poi alle sue tabelle di marcia: per quanto inflessibili, erano comunque
sempre
impeccabili. Questa volta però, non era semplicemente possibile:
nemmeno
Zimmerman poteva decidere da solo per qualcosa del genere, e se ne
rendeva
conto perfettamente.
“103 punti e
25 commi.” rispose asciutto Hans.
“Schiavista.”
sospirò il presidente Johnson senza cattiveria.
Quel
pomeriggio, dopo essere stata informata dei discreti ospiti che si
trovavano nel
loro sistema stellare già da quasi una settimana, l’Umanità unita
trasmise un
singolo, breve messaggio ai quattro angoli del suo dominio, piena di
speranze
ed entusiasmo:
“Abbiamo
molte domande.”
La risposta
non si fece attendere. |