La
mia paura
Il discorso di Kihara
“Ehi Taiga! Corri! Vieni a vedere questa!”
Ryuji alzò lo sguardo e vide Kitamura prendere la ragazza
per mano e trascinarla lontano dal gruppo, davanti ad una bancarella
piena di decorazioni natalizie. Vide il viso di Taiga diventare tutto
rosso per quel contatto improvviso e poi i suoi occhi illuminarsi di
fronte alle decorazioni.
Fece per raggiungerla, sapeva che era uscita con pochi soldi in tasca e
le avrebbe volentieri prestato i suoi per comperare qualcosa, ma Noto
lo fermò.
“Lasciali un po’ tranquilli Takasu, la Tigre
è in buone mani” gli disse, soddisfatto.
Lui li guardò un’altra volta... Kitamura aveva
tirato fuori il portafoglio dalla tasca del cappotto e stava pagando il
tizio della bancarella.
Ryuji provò una strana fitta allo stomaco... Ma cosa gli
prendeva? Era tutta colpa di Kihara e del suo discorso
strambo!
Taiga e Kitamura tornarono dagli altri.
“Yusaku ti ha fatto un regalino, Tigre?” chiese
Haruta, indicando il sacchettino di carta che la ragazza teneva stretto
tra le mani.
“Oh no... Mi ha solo fatto un piccolo prestito, domani gli
restituirò subito i soldi” rispose lei, arrossendo
di nuovo.
“Ti ho già detto che non li voglio, consideralo il
mio regalo di Natale” le sorrise Kitamura.
“Io ragazzi sono un po’ stanco, me ne torno a
casa” annunciò Ryuji.
Si sentiva strano, non vedeva l’ora di chiudere gli occhi e
dormire.
“Anche io, copiare gli appunti della presidentessa mi ha
distrutto” disse Haruta.
“Beh, a questo punto andiamo tutti... Ah, dimenticavo! Visto
che abbiamo due giorni liberi, vi va di trascorrerli tutti insieme
nella mia baita in montagna?” propose Noto.
Tutti accettarono con entusiasmo, così si organizzarono per
il viaggio.
Dopodiché Ryuji e Taiga salutarono e si avviarono verso casa.
“Accidenti, ho dimenticato di nuovo le chiavi! Mi tocca
passare da te” borbottò lei, mentre camminavano.
“Mmh mmh”.
“Sei silenzioso bastardino, che ti prende?”
“Te l’ho detto, sono stanco”.
Taiga lo guardò di sottecchi.
“Sei preoccupato per Minori, vero? Ma devi stare tranquillo,
sono sicura che domani ci sarà anche lei e riuscirete a
parlare”.
“Già”.
“Quanto sei noioso quando rispondi a monosillabi! Torna
in te, bastardino!”
“E’ stato gentile Kitamura” disse lui
all’improvviso.
“Mmmh? Ah, per il regalo! Aspetta, non te l’ho
ancora fatto vedere!”
Taiga si fermò ed estrasse il contenuto del sacchetto: era
una candela a forma di Babbo Natale.
“Non è bellissima?!” esclamò,
raggiante.
Ryuji la trovava orribile: il naso di Babbo Natale occupava tutta la
faccia e gli occhi erano strabici... Stava per dirglielo, ma
quando incontrò il suo viso pieno di gioia a pochi
centimetri da lui le parole gli si smorzarono in gola.
“E’ bellissima” sussurrò,
piano.
Lei gli sorrise soddisfatta, poi ripose di nuovo la candela e riprese a
camminare.
Arrivarono a casa di Ryuji.
“Ok, vieni a darmi una mano ad aprire la finestra”
disse Taiga, dirigendosi verso la camera da letto.
“Non ti fermi un po’ qui? E’ ancora
presto, prendiamo un tè”.
“Ma se sei stravolto! Hai una faccia orrenda bastardino,
sarà meglio se ti metti a dormire”.
“Non ho poi così sonno, davvero!”
“Ok, ok, come vuoi”.
Ryuji entrò in cucina. Stava per mettere a bollire
l’acqua per il tè, quando si accorse che il
lavandino era tutto sporco.
“Yasuko ha di nuovo sparso la sua maschera per il viso
dappertutto” borbottò.
Si mise a pulire per bene e quando ebbe finito preparò il
tè.
“Ecco qua” disse, portando le tazze nella sala da
pranzo.
“Taiga?”
La ragazza si era addormentata con la testa appoggiata al tavolino.
“Per fortuna che ero io quello stanco” sorrise
Ryuji.
Si sedette di fronte a lei e la osservò.
Perché il discorso di Kihara lo aveva tanto turbato? Cosa
provava per lei? Di sicuro le voleva bene... Era la persona a cui
teneva di più, dopo Yasuko; qualcosa, dal momento in cui si
conobbero, lo spingeva a prendersi cura di lei, a proteggerla, come si
fa con una sorellina. Ecco, sì, Taiga era la sua sorellina.
Doveva smetterla di preoccuparsi, si trattava solamente di affetto.
Si avvicinò a Taiga e con delicatezza la sollevò
e la portò in camera sua, dove la adagiò piano
sul suo futon, poi si sdraiò sul pavimento accanto a lei e
la osservò ancora per un po’.
Solo affetto. Tutto qui.