Stette
immobile, a fissare la porta, come se quel legno scuro potesse in
qualche modo
cancellare quanto accaduto. A Davide non piaceva litigare con le
persone, e non
era certo un tipo da attaccabrighe, infatti quanto successo gli cadde
addosso
come pioggia, gelida, pesante, paralizzante.
L’aveva
cacciata di casa; diamine, l’aveva fatto per davvero. Ora non
c’era più, se
n’era andata. Non gli piaceva affatto il mattone che teneva
sullo stomaco, ma
non sapeva come liberarsene.
Provò
a convincersi che ora aveva un problema in meno, che non doveva
più
preoccuparsi di quell’assurda storia. Ma non era un
insensibile, e purtroppo
per lui, il rimorso anche se non era proprio in errore, lo sentiva. Lo
sentiva
eccome.
La
ragazzina bionda camminava a passo veloce per la strada, e sapeva che
era
semplicemente ridicola con quello zaino e il borsone, contenente tutte
le sue
cose, appresso. Ancora arrabbiata per prima, incapace di sbollire se
non
sfogandosi contro qualcosa, ad un certo punto gettò a terra
il borsone, accanto
una panchina, e si sedette.
Strinse
forte le mani e piantandosi le unghie nei palmi sbatté i
piedi a terra. Si
fissava le scarpe accigliata, la fronte corrucciata. Sapeva che sarebbe
stata
incapace di pensare a qualsiasi cosa se prima non avesse sfogato la sua
rabbia.
Così
si mangiò letteralmente il labbro inferiore
finché non le fece male, poi
incrociò le braccia, imbronciata, e borbottò fra
sé insulti.
Quando
credette di essersi sfogata abbastanza, pensò al da farsi.
Era
sola, in mezzo alla strada, sbattuta fuori di casa. E per giunta
iniziava a
farle male la testa.
Quello
non era proprio il momento di mettersi a fare i capricci.
Il
problema principale era, in quel momento della giornata, trovare un
posto dove
dormire, anche perché l’indomani aveva scuola.
Dove
sarebbe potuta andare?
La
prima ipotesi che formulò aveva il nome di Damiano, ma
questa venne
immediatamente scartata dalla sua mente, ben decisa a chiuderla con lui.
Però
ne aveva bisogno in fretta, di una casa.
Ma
per quanto provasse a pensare a chi potesse aiutarla, le tornava in
mente
sempre lo sguardo che il ragazzo le aveva rivolto poco meno di
un’ora fa.
Al
che, ricordandoselo, ebbe un momento in cui vacillò.
Tentennò e non si sentì
più così tanto sicura. Ma l’attimo
dopo, avvertendo che era vulnerabile, subito
provvide a scacciare quel pensiero che le stava scomodo.
Voleva
farlo sparire. Sparire, ridurlo in cenere.
Ma
prima aveva altre faccende più urgenti da sistemare.
Prese
dalla tasca del giubbino bianco il suo telefonino e fece il numero.
-Ciao
Pa’- incominciò, la voce incerta.
Dopo
un rapido scambio di convenevoli educati, le domandò
-Senti
ho un problema. Un grosso problema. Posso dormire da te stanotte?-
La
voce dell’amica che le dava il consenso funse meglio di un
ricostituente per i
suoi nervi.
Almeno,
se non altro, aveva un posto dove dormire.
Qualche
ora dopo, consumato un buon pasto caldo, era infilata tranquilla sotto
le
coperte di un letto a castello, nel materasso inferiore.
-Cosa
è successo?- domandò Paola, quando la guardia
della madre si fu abbassata,
sporgendosi verso sotto.
-Ho
litigato con Davide- rispose la bionda, girandosi nel materasso.
-Come
mai?-
-Ha
scoperto che volevo abortire- confessò senza mezzi termini.
Paola
si girò a pancia in giù per guardare
l’amica negli occhi, per osservarne la
reazione.
Francesca
non era arrabbiata come prima, non era triste. Era tranquillamente
infilata
sotto le coperte e sbadigliava piano.
-E
ora?- si azzardò a domandare la ragazza dai capelli neri.
-Ora
niente. L’ho lasciato perdere-
Stettero
entrambe in silenzio, l’una troppo timorosa per parlare,
l’altra decisa a
eliminare quel nome per sempre.
-Tanto
non mi serviva più, oramai... sai che penso di fare?-
-Cosa?-
-Rimettermi
con Bruno-
-Ma
sta con Elena-
-No
che non ci sta. Lo so che si sono lasciati. Devo solo far finta che in
questo
mese non sia successo nulla- spiegò la bionda.
-Insomma,
non è che non sia successo nulla...-
-Sì,
ma non ha importanza- ribatté subito e aggressiva Francesca,
rivolta al
materasso superiore –Domani parlerò con Bruno e
vedrai. Tanto i suoi gli hanno
regalato un appartamento per i diciannove anni, vero?-
-E
ci credo, sono ricchi quelli...-commentò Paola, che
già cominciava ad
addormentarsi -comunque davvero farai finta che non sia successo
nulla?- chiese
ancora.
La
risposta arrivò, come prima, fredda e secca.
-Certo.
Non ha significato nulla per me-
Paola
si rassegnò e si limitò a chiudere gli occhi.
Ormai aveva imparato a sue spese
che, quando l’amica rispondeva così, o era troppo
incavolata per ragionare,
oppure non voleva ammettere una cosa.
Ma
era anche lei troppo stanca per decidere quale fosse la
verità nascosta dietro
quel suo tono.
Erano
le otto e cinque, e lei era già lì, seduta sul
muretto di pietra, appoggiata al
cancello, a guardare due sue amiche fumarsi una sigaretta prima di
scuola.
Si
controllava costantemente in un piccolo specchio, aggiustandosi i
ciuffi biondi
per acconciarli meglio.
Francesca,
al sentire il motore di una macchina parcheggiarsi, e riconoscendo il
profilo
che tante volte si era sognata ad occhi aperti, fissò lo
sguardo sul ragazzo
che stava scendendo.
Lui
e la sua auto, lui e la sua giacca nera, lui e il suo viso bello.
Quante
volte aveva desiderato potergli anche solo parlare, quando era
più piccola. Ma
lui era solo uno studente del quinto. E poi, il miracolo.
Quella
serata finita per caso con un bacio. E poi un altro, e un altro ancora.
E
come era bello sentirsi dire quelle cose, in un sussurro o poco
più, capaci di
scaldarti il cuore. Come era bello sentirlo abbracciato, sentirsi
invidiata
dalle sue amiche.
Quei
due mesi passati insieme a lui, ora dimenticati, le tornavano utili.
Francesca
non voleva assolutamente rimettersi insieme a lui, né
provava ancora qualcosa
per quel ragazzo che ora le gettava uno sguardo.
Ma
aveva imparato a mentire benissimo, e a rigirare le cose, quando
serviva, a suo
vantaggio. Perché non bastava avere le
potenzialità per ottenerle, bisognava
anche saperle chiedere.
Decisa
a compiere quel passo, saltò giù dal muro e si
avvicinò a lui.
Bruno
si liberò dei suoi amici quando lei gli domandò
se potevano parlare.
-Cosa
c’è?-
La
bionda lo fissò negli occhi marrone scuro, vedendoli
fiduciosi e per nulla
arrabbiati o sospettosi.
-Sai,
ho pensato tanto in questi giorni-
Bruno
non ribatté, ma si sedette e la ragazza si
avvicinò.
-Forse...-
Se
una delle sue qualità era l’intelligenza, la
caparbietà e l’essere testarda e
tenace, possiamo aggiungere all’elenco che la ragazzina
sapeva dire bugie.
-...volevo
parlare un po’ con te. Sai, ho fatto un po’ di
scemenze in questo mese-
-No,
ma dai...- sorrise il ragazzo.
-...tra
cui trattarti malissimo- proseguì astuta e finta dispiaciuta
lei. Lo guardò
negli occhi; sapeva qual era l’espressione che lo faceva
sciogliere.
E
Bruno si sciolse.
Inclinò
la schiena avanti in modo da esserle più vicino.
-Dici
che posso provare ancora?- mormorò, facendosi sempre
più vicino.
-Credo
di sì- rispose piano la ragazza.
Dopodiché
Bruno congiunse le loro labbra.
Francesca
tentennò al suo gesto, incerta se ricambiare o meno. Poi,
pensando che sarebbe
sembrato sospetto il contrario, protese anche lei le labbra per
baciarlo.
Ma
era un bacio acquoso, impacciato, come di chi non sa bene dove mettere
le mani.
La bionda non voleva davvero baciarlo, ma ci fu costretta. Impacciata
fra le
sue mani forti che la tenevano ferma, cercò di staccarsi. In
quel momento le
tornò in mente l’ultima frase di Davide.
‘Sono
solo deluso’.
E
d’improvviso si sentì falsa, ipocrita e sporca.
Quella sensazione non le
piaceva affatto, e immediatamente fece pressione sul torace del ragazzo
per
spingerlo via. Lui si staccò e le sorrise, ricambiato.
Almeno
sapeva fingere.
Davide
si svegliò di soprassalto, quando erano ancora le otto della
mattina; guardò
l’orologio e subito disse
-Oh
mi sa che fai tardi se non ti muovi-
Non
ottenne alcuna risposta, e perciò ancora rintontito dal
sonno si voltò a
destra. Ma non c’era nessuna ragazzina addormentata che gli
avrebbe risposto
male. Meditò per un po’ sulla situazione
finché non ricordò come stavano le
cose.
Di
prima mattina non era certo molto sveglio, ancora intorpidito dalla
dormita.
In
un’altra parte, in un’altra casa, in un altro letto
ma alla stessa ora, una
chioma bionda scapigliata si rigirò nel cuscino.
Incontrò
col braccio un corpo accanto a sé, e prima di potersi
rendere conto di chi
fosse, venne avviluppata da un braccio.
-Buongiorno-
le mormorò qualcuno all’orecchio, incominciando a
baciarla sul collo.
Francesca
si contorse leggermente sotto la sua pseudo tortura.
Non
era abituata a ricevere attenzioni che entrassero nel contatto intimo,
in fondo
era un mese che non baciava un ragazzo e dovette ammettere che
l’intrusione sul
suo collo le dava fastidio.
Davide
non aveva mai osato toccarla, rispettando fedelmente i suoi spazi.
Si
rannicchiò contro la propria spalla, mugugnando versi senza
senso.
Bruno
rise e la lasciò stare, mettendosi su un fianco. Quando la
ragazza riemerse dal
cuscino vide che lui la fissava sornione, col petto scoperto.
-Che
ore sono?- domandò per prima cosa.
Lui
si chinò su di lei, dandole un bacio e staccandosi con uno
schiocco leggero.
-Ora
di baci- rispose.
Ma
prima che ricominciasse, Francesca lo spinse su e si sedette. La
maglietta
larga del pigiama le calò giù per le spalle.
Assonnata,
si passò una mano fra i ciuffi biondi sbadigliando, poi
guardò l’orologio.
Bruno,
eccitato dalla vista della pelle delle sue spalle scoperte, si
precipitò a
baciarla anche lì.
La
bionda lo lasciò fare, ma poi si accorse che era tardi.
Terribilmente tardi.
-Oddio!-
esclamò, spingendolo via e scivolando giù dal
letto.
-Dove
vai?-
-A
scuola- rispose, affrettandosi a vestirsi. Ma perché diamine
la mattina doveva
fare sempre così tardi?
Anzi,
era molto tardi, più delle altre volte.
-Che
pa**e, eddai...- Bruno cercò di tirarla nuovamente sul
letto, ma lei si oppose.
Vedendo che lui persisteva, iniziarono a saltarle i nervi.
Si
girò verso di lui, rabbiosa.
-Senti
se tu non ci vuoi andare fatti tuoi, ma io ci tengo e ci vado!- rispose
stizzita, liberandosi dalla sua presa e afferrando le scarpe.
Il
ragazzo si ritirò fra le lenzuola.
-Scusa,
scusa... calmati...- fece insaccando la testa nelle spalle.
Lei
detestava che le dicessero di calmarsi. Anzi, era peggio
perché si incavolava
ancora di più. Le salì alla lingua una brutta
risposta, che però trattenne
mordendosi a sangue il suo labbro inferiore ormai provato.
Non
era lo scenario più adatto per litigare con il ragazzo che
la ospitava.
Infondo,
tutto quello che doveva fare, era liberarsi del bambino e far finta che
fosse
innamorata di lui.
Gli
ultimi giorni di un maggio caldo scivolavano via, assieme con le
fatiche che
comportava quell’ultimo sforzo prima del traguardo. La scuola
ed i professori
esigevano sempre più attenzione in vista delle valutazioni
finali. Francesca
era preoccupata anche di questo, poiché temeva che Damiano
potesse venire a
scuola a controllare i suoi voti. Inoltre il caldo la rendeva isterica
e
spossata, e andava a letto sempre più tardi nel tentativo di
finire i compiti.
Prendeva
sempre buoni voti, ma il crollo fisico fu evidente.
Come
le fece notare Paola una mattina, la sua pancia stava lentamente
iniziando ad
arrotondarsi, cosa che la spaventò tantissimo. Non ci teneva
affatto che il
mondo sapesse il suo segreto.
Bruno
le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto pur di far finire quella
storia il
prima possibile, e per ora la bionda sapeva soltanto che era andato a
parlare
con un dottore.
Dopodiché,
nessuna notizia incoraggiante per lei.
Affianco
alla minima crescita della pancia, come per un rapporto inversamente
proporzionale, si andava sempre più sciupando.
Il
caldo, i troppi pensieri forse, le facevano passare
l’appetito con un
conseguente deperimento; perse ben cinque chili in una sola settimana,
e per
lei che era stata sempre di piccola costituzione, non era una bella
notizia.
Bruno
cercava di non farle mancare nulla, ma molte volte era costretto a
rimediare
una cena scarsa, o un pranzo alla buona. Non era un gran cuoco.
Lei
stringeva i denti e teneva duro, era certa che con lo scomparire del
bambino,
sarebbero scomparse anche tutte le sue fatiche.
Ma
non sapeva fin quando avrebbe potuto reggere.
Capitò
che un giorno si sentisse all’improvviso mancare la forza, la
testa le girava
tantissimo senza un perché. Il vomito meno frequente aveva
lasciato il posto a
piccole perdite, che non miglioravano il suo morale.
Mano
a mano che andava avanti, scaricava tutte le colpe di quel suo stato
debole,
fragile, stanco e improduttivo che assumeva.
Come
se già non bastassero questi suoi problemi,
iniziò a sentirsi un po’ sola e
incompresa.
Paola
la rassicurava, la sosteneva e passava molte tempo con lei capendo il
suo
momento di disagio e sofferenza.
Ma
non poteva certamente capire come ci si sentiva, con quel peso nella
pancia. Il
bambino le sottraeva energie fisiche e mentali, rendendola ancora
più debole.
Anche
se non lo dava a vedere, e non voleva ammetterlo, Francesca sarebbe
presto
crollata.
Aveva
bisogno d’aiuto.
Era
seduta al tavolo a farsi i compiti, quando sentì la porta
aprirsi. Bruno le si
avvicinò alle spalle.
-Usciamo
stasera?- domandò allegro.
Ma
la bionda scosse la testa, tornando a guardare il suo libro.
-Devo
studiare-
Il
ragazzo sbuffò sonoramente, e le circondò le
spalle con un braccio,
schioccandole affettuoso un bacio sul collo.
-Ma
stai sempre a studiare, secchiona?- le domandò con un
sorriso.
La
ragazza si lasciò abbracciare e baciare, ma non vi
partecipò con tanto
entusiasmo. Poi si sciolse dal suo abbraccio.
-Sono
stanca. Sono stanchissima, non ce la faccio più-
Bruno
si fece serio e la guardò negli occhi.
-Ho
parlato col dottore. Ha detto che fra una settimana ci fa sapere-
Francesca
si lasciò andare con la schiena contro il suo torace,
delusa. La faccenda era
troppo lunga.
-Non
può sbrigarsi, pure lui?- chiese seccata.
-Non
dipende da me. Ancora una settimana, bimba-
Lei
chiuse gli occhi al nomignolo, imponendosi di non rispondere.
Lasciò che le
mani di lui vagassero alla ricerca delle sue forme, provando a
scacciare la
malinconia e la stanchezza che la attanagliava.
Quella
sera si trovò sdraiata nel letto, avvolta dalle lenzuola e
dalle mani del
ragazzo. Lo stava baciando, o per meglio dire cercava di farselo
piacere. Le
sue mani si infilarono sotto la maglietta larga del pigiama, alla
ricerca della
pelle.
Bruno
provò ad osare di più, infilandole la lingua fra
le labbra.
Francesca
si staccò, girandosi dall’altra parte.
-Ho
sonno...- mormorò chiudendo gli occhi.
Lui
brontolò seccato, cosa che la innervosì tanto da
farle rispondere.
-Senti
te l’ho detto! Non mi va di farlo!-
-E
ma scusa che ca**o, non ti posso baciare, non vuoi essere toccata, cosa
sto a
fare io qua?- domandò lui.
La
ragazza bionda avrebbe potuto rispondergli la verità, ma non
ritenne proficuo
farlo perché poi non avrebbe più avuto un posto
dove andare.
Contro
ogni suo principio aveva provato a chiamare Damiano, ma non ottenendo
risposta.
Il tutto stava, per lei, nel far scomparire il problema principale. E
farlo il
più presto possibile.
-Vacci
tu!-
-No
vacci tu, mi vergogno!-
-E
va bene, ci andrò io!-
Una
ragazza si alzò dal tavolo del bar, quasi vuoto di prima
mattina, e avanzò
verso il bancone. Arrivata lì ordinò, con voce
incerta e arrossendo, tre frappé
al cioccolato.
Davide,
senza nemmeno alzare lo sguardo, afferrò tre bicchieri e
incominciò a preparare
l’ordinazione.
La
ragazza, più che il frappé, guardava lui.
Quando
finì e gliene porse due, si offrì di portare il
terzo al tavolo.
-Grazie,
sei molto gentile- gli sorrise la ragazza.
Davide
alzò un sopracciglio, perplesso. A lui tutto ciò
non interessava.
La
maglietta nera si stava appiccicando al suo torace, e da una tempia
colava un
rivolo di sudore.
Fatto
il suo lavoro, si allontanò aggiungendo un sorriso extra.
Quel che non sapeva
era che le tre ragazze continuavano a guardarlo anche se se
n’era andato.
Lo
specchio grande e lucido posto dietro il banco gli restituì
la sua immagine.
Era serio e scocciato, del tutto preso dal lavoro di riporre con ordine
le
bevande sullo scaffale alle sue spalle.
Al
posto del mento rasato e pulito si faceva vedere un filo di barba che
non
guastava affatto, almeno secondo le tre ragazze. Non era un tipo
mingherlino,
anzi aveva due spalle larghe e un torace non magro ma ben tornito.
Se
non altro, non era da buttare.
Tornò
ad occuparsi del suo bancone in attesa che Bruto portasse le nuove
scorte.
Nemmeno un attimo dopo Silvia si sedette ad uno sgabello e mantenendosi
la
testa con una mano sorrise
-Hai
fatto colpo, a quanto vedo-
Il
ragazzo, meno che mai stupito e meravigliato in primis di tutta
quell’attenzione rivolta a lui, la osservò
sospettoso.
-Ma
che dici?- commentò imbronciato, certo che lo stesse
prendendo in giro.
-Peccato
che non sappiano che sei fidanzato con quella ragazzina, Francesca-
A
quella uscita lui fissò con sguardo serio e penetrante la
ragazza di fronte a
sé. Gli venne quasi da ridere.
-Io
e Francesca non siamo mai stati insieme- decretò deciso e
sicuro.
Fidanzati?
Ma come le veniva in mente? Per quelle poche volte che erano stati
insieme al
bar, non gli sembrava che avessero dato in atteggiamenti che facessero
sembrare
il tutto equivoco. Non facevano mica la coppietta felice. Anzi,
sottolineò in
mente, era tutto il contrario, perché di solito era il luogo
dove lei si
divertiva a sfotterlo e prenderlo in giro più spesso.
Per
quanto Silvia non fosse un genio, non credeva che quei loro
comportamenti
facessero pensare che stessero insieme.
Ma
la frase che lei disse dopo lo meravigliò ancora di
più.
-Allora
se non è così lei non si arrabbia se ti invito a
cena fuori una di queste
sere?-
E
quello cos’era? Un invito a cena? Un appuntamento? Il mondo
era per caso
impazzito?
Lei
era Silvia. Silvia, la ragazza perfetta, con i fianchi ondulati, le
forme
pronunciate, ammirata da tutti i clienti; la stessa ragazza che un mese
fa
aveva visto baciarsi appassionatamente con un tipo.
-Scusa
ma tu non hai il ragazzo?- domandò sospettoso.
-Sì,
ma mica lui deve saperlo per forza-
Davide
non rispose nulla, sbigottito. Stette zitto finché Silvia,
vedendo che non
accennava a risponderle, si alzò dallo sgabello dicendo
-Beh
non devi rispondermi subito. Pensaci, tanto io sto qua-
Così
si allontanò.
Il
vecchio Davide si sarebbe preso a cazzotti per non aver approfittato di
una
simile occasione. Era quello che aspettava da quando l’aveva
conosciuta, era
quello per cui aveva tanto faticato, il momento che aspettava da mesi e
mesi.
E
non era nemmeno stato lui a domandare, ma l’aveva cercato lei.
Attendeva
quel momento da una vita.
Ma
stranamente, per una strana legge del fenomeno fisico chiamato amore,
che non
segue né formule, né regole o misure, Davide
scoprì, con grande delusione, che
non gliene importava nulla.
Ciò
che un mese addietro gli avrebbe provocato le guance rosse, ora lo
lasciava
totalmente indifferente. Ciò che avrebbe dovuto dargli alla
testa peggio di un
vodka, lo rendeva sobrio e anzi gli scivolava addosso come acqua.
Quelle
forme che gli facevano perdere la testa, ora le guardava come troppo
oscene e
grossolane. Meglio qualcosa di più umano, no?
Si
stupì di quel suo pensiero, e per non pensarci
più continuò con più impegno a
lavorare.
Una
ragazza era seduta al tavolo, e mangiava con gusto il suo piatto.
-Davide
ti giuro... sei più bravo di mamma a cucinare!-
Il
ragazzo sorrise, osservandola mangiare il suo piatto soddisfatto e
contento,
seduto sul mobile della cucina.
-Visto
che quell’estate con zio è servita a qualcosa?-
-E
pensare che ti ho sempre preso in giro, scusami!-
Miriam
si pulì il muso con un tovagliolo.
-Non
dimenticherò mai che sono stato il primo capace di farti
mangiare gli spinaci!-
-Vero-
concesse la ragazza con un sorriso –quelli di mamma erano
immangiabili-
-Grazie-
Davide
osservò la sorellina versarsi da bere, poi domandò
-Come
va a casa?-
Miriam
finì di bere, poi non sorrise.
-A
dir la verità, mamma non sta tanto bene- confessò.
-Come
mai?- chiese preoccupato il fratello.
Lei
alzò le spalle.
-Sai,
penso che si senta sola. Rosario è andato
all’università, tu qui da solo,
papà...- lasciò cadere la frase nel nulla con
un’espressione malinconica.
Una
foto di un uomo sorridente campeggiava sul mobile della cucina,
infilata fra i
vetri.
Loro
padre era deceduto qualche anno fa per una malattia al fegato,
lasciando tre
figli ormai grandicelli e la moglie.
Davide
era il primo della famiglia, poi veniva Rosario e infine la femmina
più
piccola, di sedici anni, Miriam.
Ciò
che accomunava i tre fratelli erano gli occhi, verdi, anche se il
maggiore,
Davide, era quello che li aveva più vivi e belli.
Gli
altri due si limitavano a degli occhi chiari, mischiati con il marrone.
Rosario
era il secondo fratello; aveva frequentato il liceo classico ed era
stato
ammesso alla Cattolica di Roma, facoltà di medicina.
Lui
si differenziava dagli altri due per i capelli ricci.
Miriam
infine era l’unica femmina, con gli occhi più
scuri e i capelli lisci. Lei e
Davide erano molto legati, forse proprio grazie alla differenza di
età che li separava.
Era
stata sempre la piccolina di casa, ma non per questo non si era
meritata le
attenzioni particolari che le rivolgevano. Otteneva sempre buoni
risultati a
scuola.
-Sai,
mi ha raccontato che hai una ragazza- sorrise.
Davide
inevitabilmente arrossì, accigliandosi.
-Chi,
io?-
-Sì
sì, tu fratellone- proseguì scherzandolo
–dice che ha la mia stessa età-
In
un primo momento smarrito, poi riuscì a trovare il filo del
discorso e il
senso, e allora capì.
-Ah...-
disse –no, ma che dice, non è la mia ragazza...-
-Mamma
dice che avete mangiato insieme tutti e tre-
-Sì...
che imbarazzo...- si mise una mano sugli occhi, sospirando.
-Ti
capisco. Ora che sa che ho il fidanzato non fa altro che starmi
addosso...-
Davide
scosse la testa, complice della sorellina.
-Ma
perché non si preoccupa di Rosario, che non ce
l’ha mai avuta una ragazza?-
-Ottimo
argomento- assentì convinto il ragazzo.
-Mi
dispiace per mamma- aggiunse poi, dopo un attimo di silenzio.
-Beh,
ovviamente è contenta che Rosario va a Roma,
perché...- Miriam si interruppe a
metà frase, guardando preoccupata il fratello e temendo di
aver detto troppo.
Ma
Davide completò la frase, malinconico.
-Perché
io non sono stato capace di farlo-
Cadde
un imbarazzato silenzio.
Quel
fatto gli aveva sempre pesato sulla coscienza come una colpa; ogni
volta che
guardava suo padre negli occhi era come se vi leggesse un dispiacere,
un
rammarico. D’altra parte, avevano di che consolarsi con il
secondo fratello:
sempre ottimi voti, una personalità del tutto diversa.
Se
Davide era un tipo tranquillo, buono e calmo, Rosario era ambizioso e
competitivo.
Sapeva
che quando era morto suo padre, per lui era stata una grande
consolazione il
fatto di essere riuscito a dargli soddisfazione. Mentre invece lui, il
maggiore, lo aveva solo deluso.
D’un
tratto, riscuotendosi dai suoi pensieri, disse
-Mi
piacerebbe fare qualcosa per mamma. Lo so che è anche colpa
mia-
Miriam
si sedette sul mobile affianco a lui con un salto.
-No,
ma che dici?-
-Sì
invece. Lei è dispiaciuta perché invece di fare
come Rosario che è andato
all’università, io ho solo un misero lavoro con un
misero stipendio e in più
vivo da solo-
Di
nuovo silenzio. Quelle erano cose, antichi dispiaceri, per cui non
bastava una
risata o una parola buona per scacciarli, e Miriam sentiva che erano
questioni
troppo grandi, cose che il fratello doveva risolvere da solo. Si
limitò ad
osservare
-Guarda
che mamma ti vuole bene. Davvero, te ne vuole tanto ed è
sempre preoccupata di
te. Sai, era molto contenta l’altra volta, quando
è tornata a casa, che avevi
una ragazza-
-Davvero?-
-Sì.
Ha detto che finalmente le facevi capire qualcosa di più
della tua vita, che
eri un po’... scomparso...-.
-Mi
dispiace che si sia illusa. Ma vorrei davvero fare qualcosa-
Stettero
in silenzio, poi Miriam scese dal mobile.
-Torno
a casa, devo studiare. Domani ho l’ultima interrogazione-
Davide
salutò la sorellina, ancora perso nel discorso di prima, e
anche quando la
porta si fu chiuse dietro la ragazza restò a rimuginarci su.
Ma che poteva
fare?
Grazie mille a chi ha
messo la storia nei preferiti e anche a chi la legge solamente.
MissQueen: mi dispiace
per il nodo allo stomaco. è vero, Francesca è
solo una ragazzina, e cosa dovrebbe fare? E cosa tante altre ragazze
fanno? Insomma, il succo è che questa è la
soluzione che a volte prendono un po' tutte. Francesca però
è confusa, non ha le idee tanto chiare, soprattutto ora.
"Tanto forte fuori, e tanto fragile dentro". Ottima sintesi.
Emily Doyle: Non voglio
anticipare nulla, perciò continua a leggere.
Marty McGonagall: Hai
ragione anche tu, ci si trova ad un bivio ma Francesca, anche se fuori
sembra tanto sicura, non ha ancora ben deciso quale delle due strade
vuole imboccare. E tra parentesi, certo che mi sopravvaluti.
wanda nessie:
è la seconda volta che mi fai morir di risate.
Bé, per ora la situazione si mantiene in stallo, ma per
sapere che succede devi continuare a leggere. Grazie per i complimenti.
Jiuliet: come altre
volte, riesci sempre a capire quello che voglio comunicare scrivendo.
"Come fai a capire così bene cosa può sentire una
donna da riuscire a scriverlo?": non lo so come faccio. Guardo.
Osservo. E ascolto, tanto. Sono felice che ti sia piaciuto in
particolare questo capitolo, è un momento importante della
storia.
Devilgirl89: no, ma dai.
Ripeto, anche se Francesca ha deciso così (e per fortuna che
stava Davide altrimenti addio bimbo) ora si trova da sola. Confusa. Ma
tu continua a leggere per sapere come finisce.
FeFeRoNZa: grazie mille,
ma di sicuro io non farò mai lo scrittore. Grazie comunque.
Francesca-testa-dura? Leggiti il capitolo.
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