Capitolo 1 - Imperfect
Numb
I've become so numb
I can't feel you there
Become so tired
So much more aware
I'm becoming this
All I want to do
Is be more like me
And be less like you
(Linkin Park, Numb)
Capitolo 1: Imperfect
Con un ultimo sforzo delle braccia sottili, Tina riuscì a
sollevarsi quel tanto che bastava per portare il suo viso all'altezza
della finestra senza sforzare le deboli gambe. Sbirciò
timorosamente fuori, immaginandosi che loro fossero
sempre lì, ai lati della porta, appoggiati allo stipite, in
agguato come falchi pronti a balzare sull'indifeso topolino. Invece
niente, neanche l'ombra di quei loschi figuri per tutta l'estensione
della stradina asfaltata della periferia. Con un sospiro di sollievo si
lasciò ricadere sulla sedia a rotelle, le gambe che, nonostante
non funzionassero più da mesi, tremavano come budini, come se
percepissero la sua ansia. Tina sbuffò: le succedeva da quando
era uscita dall'ospedale, due settimane dopo l'incidente, che le gambe
le tremassero sempre dopo ogni sforzo fisico che faceva, anche il
semplice appoggiarsi troppo solo alle braccia.
Tina si passò una mano sul viso, sostandosi qualche ciocca
castana dagli occhi, di un azzurro straordinario, ma spento, come se
fosse opaco o scurito da qualche giocca di nero e grigio. Dopo
l'incidente i suoi occhi non avevano più brillato di gioia,
mostrando quelle piccole sfumature verde mere che si notavano in quei
momenti, nè il suo viso aveva più visto un sorriso. La
sua espressione era rimasta mesta, triste, la stessa di una persona a
cui hanno tolto i suoi tesori più preziosi.
Spingendo le route della carrozzella, Tina riuscì faticosamente
a raggiungere la sua camera da letto nel suo piccolo appartamento nella
periferia di Trieste. Mesi prima, quando poteva ancora scorrazzare
liberamente per i corridoi piastrellati, la casa le sembrava sempre
accogliente e famigliare. Invece, ora che era bloccata su una sedia a
rotelle, paralizzata dalla vita in giù, a Tina quei muri
sembravano le sbarre di una prigione, una prigione che le impediva di
muoversi liberamente e la teneva segregata dentro di sè a causa
del suo handicap.
Sulla scrivania di legno attaccata al muro in mezzo alla stanza dalle
pareti blu notte, capeggiava una foto che ritraeva delle persone
abbracciate, che sorridevano felici. Una donna poco più che
quarantenne, abbronzata, con lunghi capelli castano-rossi, mossi, che
sembravano fragili come se fossero di cristallo, un viso ovale in mezzo
al quale brillavano due grandi occhi azzurro cielo che brillavano di
felicità.
Un uomo poco più grande di lei le cingeva la vita sottile con un
braccio muscoloso, il sorriso un pò nascosto dalla barba nera,
corta e ispida, anche lui felice, l'età che trapelava a malapena
dalle piccole rughe attorno agli occhi e ai lati della bocca, dalla
gaiezza degli occhi color cioccolato fondente e dai capelli nerissimi,
appena attraversati da qualche filo grigio o bianco.
Vicino all'uomo c'era un ragazzo sulla ventina, alto e robusto, ma
snello, i lunghi capelli castano scurissimo, tendente al nero, che
ricadevano in ciocche ribelli sulle spalle non troppo larghe, e gli
occhi azzurrissimi che brillavano in mezzo al viso dai tratti marcati
ma delicati, pallido.
Tina sospirò tristemente, asciugandosi con il dito una lacrima
che era scivolata dal suo occhio destro. Infine...c'era lei. Lei,
Valentina Fiorini, chiamata Tina dagli amici, con i suoi capelli lunghi
color castano scuro, la meches bionda sul lato destro, e con i suoi
occhi uguali a quelli della donna e del ragazzo: sua madre, Elisabetta
Marisi, e suo fratello, Marco Fiorini. L'uomo che stringeva la donna...
era suo padre, Stefano Fiorini, quell'uomo che aveva trascurato la
moglie e i figli i primi anni e, dopo una separazione di poco
più di un anno, era tornato in famiglia e si era finalmente
comportato come un padre che si rispetti.
Lei, Tina... era l'ultima persona ancora viva di quelle ritratte in
quella foto che traboccava di gioia e felicità. L'ultima, dopo
quell'incidente... Tina abbassò lo sguardo sulle proprie gambe,
innaturalmente immobili sulla sedia a rotelle, un po' storte... era
stato lo scotto da pagare per la sua vita... le sue gambe. A volte si
chiedeva come avesse fatto lei a sopravvivere, sotto quel peso che
sembrava intenzionato a schiacciarla, e i suoi genitori e suo fratello
a morire.
Altre due lacrime sbucarono dalle folte ciglia nere della ragazza,
scivolando lungo le guance pallide e paffute, gocciolando poi sulle
gambe. Tina neanche se ne accorse... avrebbero potuto trafiggerle con
un pugnale o tagliargliele di netto che lei non se ne sarebbe neanche
accorta. L'unica cosa che dimostrava che le gambe fossero ancora parte
del suo corpo e non delle semplici protesi, era il loro tremito dopo
ogni sforzo fisico. Un'infermiera le aveva detto che spesso le persone
sentono di più la presenza degli arti solo quando
questi vengono loro asportati o smettono di funzionare. Come era
successo alle sue gambe.
Il suono del campanello riportò bruscamente la ragazza con i
piedi per terra, metaforicamente parlando. Tre suoni vicini, una breve
pausa, poi altri due suono ravvicinati. Tina si asciugò le
lacrime che le rigavano le guance, e le sue labbra rosee si incurvarono
in una specie di mezzo sorriso. Guardò fuori dalla finestra,
dove il sole brillava allegro nel cielo azzurro di inizio giugno. Loro,
i suoi angeli custodi... avrebbero vegliato su di lei anche quel giorno?
Scrittoio dell'autrice
Ed eccomi qui con questa nuova pseudo-fanfic. Pseudo perchè
più che una fic èuna cavolata immane. Insomma, chi l'ha
mai vista una ragazza sulla sedia a rotelle nel mondo di Saint Seiya
(non includo Seiya nell'Overture Tenkai, perchè per me quel film
non esiste!)? Comunque ho voluto comunque tentare di scriverla e
pubblicarla, a voi giudicare se devo continuare o se è meglio
che la interrompa e la cancelli. Sapete, tra una stesura e l'altra di
"The owl. The lily. The vellum." mi capitano dei momenti in cui non so
cosa scrivere, così mi concentro su questa fic. La parola alla
giuria.
Il titolo della fanfic, Numb, è ispirato all'omonima canzone dei
Linkin Park (il cui ritornello apre questo capitolo), e alla condizione
in cui versa la protagonista: "numb" significa "paralizzato", come lo
è Tina, immobilizzatta sulla sedia a rotelle, ma anche
"insensibile", al dolore fisico e a quasi tutte le emozioni.
Un breve scorcio sulla protagonista: Tina è il mio alter ego
"imperfetto", ha il mio stesso nome, ricalca parte del mio carattere e
il mio aspetto fisico, tranne il fatto che io cammino benissimo e non
sono sulla sedia a rotelle, e inoltre, per adattarla meglio alla
storia, ho cambiato l'età: io ho 14 anni, mentre la mia alter
ego ne avrà quasi diciotto.
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