Il figlio amato

di ElyJez
(/viewuser.php?uid=318583)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


 
Il figlio amato
 
Jillian, tesoro, non fare rumore quando dormo, diceva sempre mia madre, ed io con la mia infinita bontà l’avevo accontentata in tutti i modi possibili.
Ora, le ragazze, una volta portate nello scantinato, le legavo ed imbavagliavo. (Le loro urla non l’avrebbero disturbata.)
Mi ero chiesto se avessi fatto a sufficienza anche quella volta, di solito ero abbastanza silenzioso, anche quando come in quel momento mi spingevo dentro la troia di turno troppo mediocre per ricordarmi che viso avesse o quale fosse il colore dei suoi occhi.
Almeno avevo la fortuna di non sentirla.
Iniziai a muovermi più velocemente, seguendo quei movimenti che conoscevo a memoria, alzandomi ed abbassandomi e, mentre con una mano stringevo le cinghie di cuoio a cui lei era ben stretta, con l’altra cercavo di recuperare la lama fissata sotto il tavolo.
Alzai gli occhi al cielo: guarda se il coltello si doveva incastrare proprio in quel momento.
Diedi uno strattone più forte e finalmente sentii la placca di metallo cedere. Rigirai il manico tra le dita.
Era il momento: mi spinsi più dentro, sempre di più, se non l’avessi imbavagliata forse avrebbe urlato e se non lo avesse fatto, ora, con la lama a mezz’aria illuminata dalle luci delle candele, almeno un piccolo gridolino lo avrebbe lanciato. A causa delle mie precauzioni, si limitò a dimenarsi con quella che doveva essere disperazione.
Sbuffai interiormente, non sapendo se quei movimenti convulsi mi eccitassero o annoiassero, forse ci avrei riflettuto più tardi, o forse no, l’unica cosa di cui ero a conoscenza era che avrei colpito. Una volta, due, tre, ed il sangue sgorgava come una fontana in festa.
Continuai a muovermi contento e a pugnalare finché non mi resi conto di essere completamente appagato.
Quando mi scostai da lei scendendo dal tavolo mi accorsi che non si muoveva più. I suoi polsi erano rossi per i banali e ripetuti tentativi di liberarsi, esattamente come il suo stomaco visibile attraverso lo squarcio nella pelle.
Lanciai un’ultima occhiata a tutto questo rimanendo come al solito soddisfatto soltanto a metà, per poi recuperare la camicia, i pantaloni, l’accendino e le sigarette. Ne presi una, infischiandomene se si fosse macchiata, ed accesi aspirando, aspettando che il fumo iniziasse a riempirmi i polmoni.
Mi passai una mano tra i capelli inzuppandoli di sangue, uscendo dalla stanza ancora nudo con i piedi sul pavimento gelato.
Come al solito Otis era lì a raccogliere i miei resti -chissà se si scopava i cadaveri che lasciavo, quella sì che era una domanda interessante, peccato che per un tipo iperattivo a volte sapevo essere irrimediabilmente pigro e per questo non mi sarei mai dato la briga di controllare.
<< Domani mattina di’ a mia madre che ho un regalo per lei >>
Ordinai facendomi strada verso la mia camera e lasciando al servo il compito di ripulire.

Angolo dell'autrice:
Salve a tutti =)
Allora, questa è la mia seconda storia di genere horror, quindi diciamo che ci devo ancora prendere l'abitudine; comunque, se vi è piaciuto, potete trovare il seguito della storia su questo link:  http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3417675&i=1
Fatemi sapere la vostra opinione, sempre se ne avete voglia naturalmente,
Ciao, ciao




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3434199