Beneath The
Debris – EarthQuake
All’Abruzzo:
Metà del
mio sangue,
metà del
mio cuore;
sperando che una
storia come questa possa esistere anche lì,
sebbene sia solo una
mia illusione.
-Rika-
Kurogane
aveva perso
i suoi genitori in un terremoto.
Erano rimasti schiacciati sotto
quintali e quintali di
cemento armato e tegole rotte, spappolati dal peso dei loro sacrifici e
del
loro sudore.
Il loro stesso impegno che si era
rivoltato contro di loro.
Il bambino dai capelli neri era stato
salvato dalla madre,
che l’aveva gettato fuori dalla finestra pochi istanti prima
che il tetto le
piombasse sulla testa ed una trave di legno spezzata le trafiggesse il
petto. Gli
aveva lanciato un ultimo sguardo ed uno dei suoi sorrisi dolci che il
bambino
tanto amava, prima che i
calcinacci e le
piastrelle dei pavimenti ostacolassero
il contatto visivo fra lei e il figlio, sollevando una nube di polvere
grigia
che odorava di morte.
Il grido del bambino era stato
coperto dal rombo della casa
che piombava senza pietà sulla sua felicità, il
suo passato e il suo futuro.
Le sue lacrime s’infransero
sui detriti, i suoi singhiozzi
risuonarono come un’eco nella strada distrutta.
I suoi vicini di casa lo trovarono
così, davanti ai resti
della sua casa, e cercarono di convincerlo ad alzarsi con parole di
conforto.
Nulla, però, sembrava smuoverlo.
Fu la loro giovane figlia, Tomoyo, a
scuoterlo dalla sua
apatia, prenderlo gentilmente per mano e rivolgendogli poche parole
decise con
gli occhi umidi.
Kurogane
odiava i
terremoti, ed era per questo che cercava di combatterli.
Gli era sembrato naturale, dopo
quell’evento, sacrificare la
sua vita tirando fuori cadaveri e persone vive
da sotto quell’inferno soffocante e buio.
Anche quando diventò
qualcuno continuò ad andare nei luoghi
dove la terra si era smossa, continuando a sporcarsi le mani nella sua
lotta
disperata contro il tempo, per non aggiungere un’altra tacca
al numero delle
vittime.
Scavava a mani nude, totalmente privo
della paura di ciò che
avrebbe potuto trovare lì sotto.
Non c’era braccio spezzato
o gamba amputata che lo
impressionasse.
Non c’erano brandelli o
interiora che lo fermassero.
Continuava a trascinare vivi e morti
con la stessa
espressione scocciata.
Ma Kurogane
non
avrebbe mai creduto di trovare qualcosa da amare sotto le macerie.
***
C’era la solita baraonda
indecente di ruspe, badili e grida.
Gli uomini della Croce Rossa
continuavano a correre a destra
e a sinistra urlando richieste di medicinali e bendaggi, facendogli
venire una
voglia matta di tappargli la bocca con una tegola dritta sulla testa.
Forse non era un’idea
geniale, ma Kurogane odiava quei
volontari che strillavano come oche impazzite quando lui cercava di
cogliere un
respiro, un sussurro da sotto i massi che potesse indirizzarlo verso
una giusta
direzione, invece di proseguire a casaccio in mezzo a mobili frantumati
e
lampadari accartocciati su sé stessi.
Erano passate diverse ore dalla
scossa, e l’uomo sapeva bene
che molti rinunciavano a gridare aiuto dopo nemmeno mezz’ora,
abbandonandosi
alla stanchezza e alla disperazione.
Per questo voleva silenzio, silenzio
assoluto.
Dopo qualche minuto la sua richiesta
sembrò realizzarsi, e i
soccorritori si spostarono un vicolo più in là,
lasciandolo apparentemente
solo.
Un paio di passi strascicati
attirò la sua attenzione, e
sollevando lo sguardo Kurogane vide il suo diretto sottoposto Shaoran
Li
guardalo con aria stanca, con pala posata sopra una carriola piena di
massi e
un taglio sopra l’occhio destro.
“Kurogane-san, ci stiamo
spostando. Lei rimane qui?”
Dopo aver riportato lo sguardo sulla
casa crollata l’uomo
grugnì in assenso, continuando a spostare le macerie con le
mani, in un chiaro
invito a non disturbarlo per le successive ore.
Prima che il ragazzo se ne andasse,
il moro disse con voce
leggermente roca: “Come te lo sei fatto quel taglio sopra il
sopracciglio?”
Il ragazzo si portò la
mano sulla parte incriminata,
costatando con una smorfia la fuoriuscita del sangue.
“Poco fa, con un coccio di
vaso, credo. Ma non è nulla” disse,
riprendendo in mano i bracci della carriola e iniziando a girarla per
raggiungere il resto dei soccorritori.
“Vatti a far mettere un
cerotto da Sakura. Se entra della
polvere dopo sarà dura pulirla.” Disse
l’uomo, senza distrarsi dal lavoro.
Il ragazzo arrossì
prepotentemente a sentir nominare la
dolce volontaria con il quale ormai era fidanzato da più di
un mese, e sparì
velocemente per andare ad eseguire l’ordine del suo superiore.
Kurogane sospirò,
immaginando la faccia paonazza del ragazzo.
La sua visione però fu
distratta da un suono indistinto
sulla sinistra.
Immediatamente l’uomo
aguzzò l’udito, spostandosi
velocemente di lato e seguendo quello che ora si era trasformato in un
respiro accelerato
e pesante.
E poi, una voce che sembrava il
ritratto della disperazione
lo scosse, più di quanto era riuscita a fare qualsiasi altro
accento prima di
quel momento.
Era una semplice parola, la
più ovvia e la più sconfortante.
“Aiutatemi…”
Fu questione di pochi minuti.
Il punto da cui proveniva il richiamo
era coperto da detriti
piuttosto leggeri, e per i muscoli dell’uomo fu
più che facile spostarli.
Una trave in cemento armato aveva
riparato lo spazio
sottostante dalla caduta del soffitto, creando una nicchia riparata dal
crollo
dove, leggermente rannicchiata nella penombra, stava una figura in
pigiama.
Capelli biondi a cui il buio del
luogo e lo sporco non
rendevano giustizia si smossero appena quando un tenue raggio di luce
pomeridiana penetrò nel sottosuolo, illuminando un angolo
stracciato della
veste che indossava la vittima, di un tenue blu scuro. Il colore faceva
pensare
che fosse un ragazzo, sebbene la corporatura fine e le caviglie sottili
gli
avessero fatto pensare di avere davanti una giovane donna.
Kurogane concentrò tutta
la sua forza per spostare un pezzo
di muro che gli faceva da impedimento, allargando la falda di luce e spingendosi in
avanti, cercando di
raggiungere con un braccio il corpo accasciato, senza però
arrivarci.
“Oi!”
gridò, facendo sobbalzare la figura, che a poco a poco
girò la testa.
Due occhi blu, grandi ed allucinati,
lo guardarono estraniati.
Il ragazzo aprì la bocca, ma non gli uscì nemmeno
un suono strozzato. La
richiuse, umettandosi prima le labbra con la lingua, ottenendo
però ben pochi
risultati.
Forse
è in stato di
shock, pensò Kurogane. Dopotutto ne aveva visti
fin troppi in quelle
condizioni prima di essere estratti dalle macerie.
“Oi!”
ripeté, abbattendo un altro pezzo di muro crepato e
sporgendosi ancora più in avanti.
Il ragazzo sembrò allora
risvegliarsi, mutando l’espressione
di stupore in una smorfia a metà fra il dolore, la gioia e
il sollievo.
Allungò un braccio,
permettendo finalmente al suo salvatore
di tirarlo bruscamente a sé, comportandosi come una bambola
di pezza che si fa
maneggiare da una bambina un po’ rozza ma, a suo modo,
gentile.
Il moro riuscì a prendere
in braccio il ragazzo,
sollevandolo senza sforzo e portandoselo vicino al petto, stringendolo
a sé mentre
cercava di uscire da quel grezzo agglomerato di pareti e piastrelle.
Quando entrambi videro nuovamente
appieno la luce del sole,
il giovane biondo strinse con forza la tuta del suo salvatore, portando
la
testa vicino alla sua spalla.
“Acqua” chiese,
grattando il fondo dei suoi polmoni per
trovare la forza di dire quell’unica parola, e Kurogane si
diresse a passo
spedito verso il suo zaino che aveva abbandonato poco lontano.
Da una tasca a reticella esterna
prese la sua bottiglietta d’acqua,
aprendola cautamente e mettendosi poi in ginocchio per far posare a
terra le
gambe del biondo.
“Ecco” gli disse
semplicemente, portando la bottiglia alle
sue labbra.
Fu allora che si guardarono veramente
per la prima volta.
Il rosso si perse nel blu, e fu un
attimo solo per loro, in
piena luce.
Il suono di una sirena lontana
interruppe quel momento,
facendo sobbalzare il ragazzo biondo che accostò velocemente
le labbra alla
bottiglia, aspettando che il moro la reclinasse per prendere a bere
ferocemente
il liquido trasparente.
Quando anche l’ultima
goccia sparì fra quelle labbra rosate,
la giovane vittima sorrise.
Era un sorriso un po’
stupido e anche falso, ma Kurogane
pensò che era il massimo a cui poteva aspirare da un tipo
simile.
Non che aspirasse ad altro, che fosse
ben chiaro.
Lui salvava vite umane, tutti
l’avevano calorosamente
ringraziato, ma alla fine non aveva mai visto nessuno più di
due o tre volte.
Eppure, in fondo al suo cuore, il
moro non desiderava
lasciar andare quel ragazzo.
C’era qualcosa di strano
nel suo sorriso, qualcosa di
diverso nei suoi occhi, che lo spingeva a non portarlo un isolato
più in là per
lasciarlo nelle mani dei medici.
Qualcosa che lo rendeva ingordo.
“Grazie.”
La sua voce, adesso un po’
più chiara e cristallina,
interruppe i suoi pensieri e lo spinse a recuperare il suo solito
cipiglio corrucciato.
“E’ il mio
lavoro.” Rispose brevemente, rimettendosi
svogliatamente in piedi per eseguire l’ultimo dei suoi doveri
verso quello
strano biondo, sebbene una parte della sua mente fosse incredibilmente
contrariata.
“Io sono Fay. Fay Fluorite.
– disse il biondo, alzando i
suoi occhi azzurri verso lo sguardo infuocato del moro - Potrei almeno
sapere
il nome del mio salvatore?” chiese il ragazzo ridacchiando
appena e portando
Kurogane ad inarcare ancora di più un sopracciglio.
Perché stava ridendo?
Aveva preso una botta in testa?
“Kurogane Suwa”
disse, camminando lentamente (troppo
lentamente) e con passo
cadenziato.
“Che nome pauroso! Che ne
dici se ti chiamo, non so… Kuro-pon?”
La marcia del moro
s’arresto di botto, e gli scavatori nei
vari isolati vicini sentirono chiaramente l’urlo del loro
comandante forte come
mai prima di allora.
“CHE COSA?!”
***
Kurogane ringhiò qualcosa
di indistinto al ricordo (ormai
perenne) della figuraccia fatta due ore prima con l’idiota
biondo.
Dopo l’urlo disumano che
aveva lanciato non aveva esitato a
scaricare il suo “dolce peso” nelle mani di medici
e di infermieri accorsi sul
posto, raccomandandosi con un borbottio seccato di controllargli bene
la testa,
perché di sicuro aveva preso una botta bella forte.
E invece lo smilzo stava benissimo,
aveva solo riportato
qualche livido qui e là ed una contusione ad un gomito. Un
miracolo, dicevano
tutti, e una parte del cervello di Kurogane si era sentita sollevata
alla
notizia che il ragazzo non aveva nulla di serio.
Aveva ripreso a scavare per
alleggerire il ricordo, sia
positivo che negativo, del salvataggio di Fay Fluorite, e in parte
c’era
riuscito… Il problema era che aveva smaltito solo
l’incazzatura, mentre gli era
rimasta una mezza specie di nostalgia al ricordo del volto del biondo.
Come se non bastasse aveva iniziato
anche a piovere, e
Shaoran aveva insistito per fargli fare un turno di riposo
finché l’uomo non
era crollato.
Kurogane girò casualmente
fra le tende dei soccorsi, senza
ammettere a sé stesso che l’unica cosa che gli
interessava in quel momento era
localizzare una testa bionda nella massa di sfollati.
Alla fine lo vide, seduto al riparo
di una tenda umida, che
gli rivolgeva un altro di quei sorrisi idioti.
Sbuffando lo raggiunse, lasciandosi
cadere al suo fianco e
chiudendo la tenda per evitare che l’aria fredda entrasse,
senza dire nulla.
Era sicuro che sarebbe stato il biondo ad iniziare la conversazione, e
difatti…
“Perché sei
venuto a sederti proprio qui, Kuro-sama?” chiese
con voce canzonatoria l’idiota, fissandolo con quei dannati
occhi blu.
“Non c’erano
altri posti liberi” mugugnò Kurogane, e difatti
non era poi così errata come risposta: gran parte delle
tende erano occupate da
famiglie o coppie, e Fay sembrava l’unico ad avere uno spazio
abbastanza largo
da poter contenere un uomo grosso come lui.
Il biondo fece una faccia alla
so-che-stai-mentendo-ma-stavolta-la-passi-liscia,
prima di sorridere di nuovo.
“Hai avvisato qualcuno per
dire che sei ancora vivo?” chiese
Kurogane con apparente casualità.
Il viso del biondo, però,
si fece stranamente triste.
“Non ho nessuno da
avvisare…” disse, abbassando gli occhi.
Poi, quasi si stesse rendendo conto di essersi esposto troppo, fece un
gran
sorriso e si lasciò andare disteso sul pavimento della
tenda, atterrando con la
testa sul una giacca che gli faceva da cuscino improvvisato.
“Oi,
fai piano” lo ammonì
l’uomo, seguendo il movimento del suo gomito fasciato.
“Oooh, Kuro-sama, ti stai
preoccupando per me?” trillò il
biondo, attaccandosi con il braccio sano al busto del suo salvatore.
“Smettila con questi nomi
idioti!” ruggì l’altro,
afferrandolo per il colletto del pigiama e tirandolo a sé
per fissarlo dritto
negli occhi.
Pessima mossa,
si
disse poco dopo.
Si erano ritrovati con i volti a
pochi centimetri l’uno dall’altro,
con i loro respiri caldi che si incontravano e si sfioravano in tenue
nuvolette
nella fredda aria di quella giornata piovosa d’Aprile.
Improvvisamente, tutto era scomparso:
il terremoto, le
vittime, i pianti, le urla, il dolore, la disperazione, il freddo, le
lacrime…
Tutto.
C’era rimasta solo quella
tenda e nient’altro.
Fay socchiuse un poco gli occhi,
tirandosi ancora più su per
andare incontro al viso e alle labbra di Kurogane, che non faceva nulla
per
fermarlo.
Le loro labbra si sfiorarono appena,
in un contatto appena
accennato, che caricò entrambi di una voglia spropositata di
approfondire
quello sfiorarsi così piacevole.
Stavano per incontrarsi di nuovo,
stavolta con le labbra
semi-aperte, quando la tenda s’aprì di scatto,
rivelando la figura di un uomo
con un paio di occhiali rettangolari ed un sorriso fin troppo pacifico
per
essere vero, accompagnato da una graziosa ragazza dagli occhi verdi.
Kurogane fece un salto
all’indietro, e Fay si voltò di
scatto, nascondendo il viso nella coperta di lana che gli avevano dato
in
precedenza e rivolgendosi al medico con sguardo allarmato.
“Seishiro-san…”
iniziò a dire, ma l’uomo lo interruppe
subito.
“Fluorite-san, sono qui per
verificare le sue condizioni…
Come si sente?” disse l’uomo con un sorriso
smagliante, senza scomporsi
minimamente di fronte a ciò che aveva visto.
“Ah…
Ecco… Bene, grazie…”
biascicò il biondo.
Nel frattempo, Sakura aveva posato il
suo sguardo
interrogativo su un Kurogane decisamente imbarazzato, che trovava
stranamente
interessante la parete della tenda.
“Ottimo! Ah, Suwa-san,
hanno richiesto di lei: hanno trovato...”
“Bene, vengo
subito” disse l’uomo, senza permettere al
medico di finire la frase.
Uscì dalla tenda senza
guardarsi indietro, rosso d’imbarazzo
e vergogna, seguito da due sguardi incuriositi e da uno molto triste.
***
Kurogane evitò
accuratamente di incrociare il biondo per
tutta la nottata e la mattinata seguente, riprendendo a scavare.
Trovò diversi cadaveri, ma
nessun sopravvissuto.
Il macabro evento gli fece venire una
strana voglia di
tornare da quello smilzo, per perdersi ancora un po’ nei suoi
occhi e dimenticare
tutta la distruzione che permeava quel luogo.
All’ora di pranzo vide una
Sakura decisamente agguerrita
corrergli incontro, con un’espressione imbronciata sul viso.
“Kurogane-san! Ho parlato
con Fay-san!” lo chiamò, e l’uomo
immediatamente le diede tutta la sua attenzione.
La ragazza gli si
avvicinò, rivolgendogli poche parole, e Kurogane
smise di avere quell’espressione più accigliata
del solito che si portava
dietro da diverse ore.
Raggiunse a grandi falcate la tenda
del biondo e ci si
infilò dentro, senza badare minimamente alla sua espressione
di puro stupore.
Pochi istanti dopo erano
l’uno nelle braccia dell’altro.
Per restare.
***
Assistettero al funerale celebrativo
delle vittime assieme,
fianco a fianco.
Non pronunciarono preghiere,
né fecero segni della croce. Entrambi
non credevano in Dio, ed entrambi credevano solo l’uno
nell’altro.
Quando tutto si concluse
passeggiarono via, fra le macerie,
e quando Fay fu sicuro che nessuno li stesse guardando
azzardò un mano nella
mano e un bacio a fior di labbra.
Intorno a loro, solo distruzione.
Eppure, mentre camminavano, Kurogane
vide di sfuggita
qualcosa che interpretò come un segno.
Fra le macerie, solitario e
bianchissimo, era spuntato un
piccolo fiore.
Note d’autore:
Bene,
ammetto d’essermi
persa a metà fan fiction.
Volevo
scrivere una
storia piena di angst, con la morte di qualche personaggio conosciuto,
e invece
non sono riuscita a farlo: sono caduta inevitabilmente nel buonismo
assoluto.
L’ho
sempre detto che
il drammatico non è il mio forte…
Comunque…
Eccoci qua.
La colpa di questa fic va alle ragazze del forum GRD
sull’Horitsuba Gakuen, che
a forza di parlare di KuroFay e fan fic mi
hanno fatto venire voglia di scrivere di nuovo.
Questa fic
è anche per
loro, in fondo (ma molto in fondo XD).
A presto,
forse… XP
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