Sono forte perchè ho già perso chi
amavo, sono già sopravvissuto, so come
si reagisce, so che non si muore.
- S. Casciani
Il genere umano è la cosa più interessante che mi sia mai capitata di osservare e, nonostante possa vantarmi di aver visto un numero considerevole di stramberie, gli umani restano i miei preferiti.
Sono, così, dannatamente ossessionati dall’idea di dover essere abbastanza per meritarsi l’amore di qualcuno, per un lavoro prestigioso o – semplicemente – per essere accettati. La verità che tutti ignorano è che, in realtà, gli umani hanno paura di scomparire.
Polvere portata via dal vento, dimenticata.
Una vita intera passata a cercare di incidere a fuoco il proprio nome su questa esistenza per lasciare – a chi verrà dopo – la prova del proprio passaggio.
Spettri di una vita vissuta, ecco cosa si è destinati a essere.
Ci sarebbe qualcosa di incredibilmente poetico in tutto questo se non fosse che, alcuni di loro – o meglio di noi - , sono nati per essere degli spettri prima ancora di avere la possibilità di viverla una vita. Fatti di sogni negati, amori mancati e strade non percorse.
E si riconoscono, basta guardarli negli occhi anche per una sola frazione di secondo e riconoscere il vuoto che vi è al di là di essi.
Io sono una di loro e vorrei dire che la cosa mi dispiaccia, ma ho imparato a vedere le cose da una prospettiva diversa perché – serve essere pratici nella vita – alle volta bisogna sapersi accontentare di quel poco che si ha.
Forse è per questo – più una serie di motivi relativamente trascurabili – che mi ritrovai in mezzo alla folla irrequieta dello Smithsonian alla ricerca di un paio di occhi chiari. E – per quanto la mia fosse stata la scelta più avventata che avessi preso in quasi 24anni – non riuscivo ancora a trovare un motivo valido per girare i tacchi e andarmene da lì, a parte quello di morire prematuramente – ovviamente.
Avrei potuto cercare di racimolare quel po’ di buon senso che doveva essermi rimasto e andarmene da lì ma – si sa – non sono mai stata brava a seguire i consigli che fossero i miei, o quelli di qualcun altro. Fu così che mi ritrovai a muovermi in direzione della teca in vetro al centro di una delle tre sale principali fino a fermarmi a qualche passo da un uomo con indosso una giacca in jeans e un cappello calcato sulla testa.
Speravo di trovarti qui...
sussurrai semplicemente ignorando appositamente il rumore del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Lanciai appena un’occhiata nella sua direzione e vederlo restare immobile in quel modo mi fece capire che – no – quello non era assolutamente da prendere come un buon segnale. Quando lo vidi voltarsi nella mia direzione e puntare i suoi occhi chiari su di me, mi ritrovai a trattenere involontariamente il respiro.
No, decisamente quella era stata l’idea peggiore che avessi mai preso.