Ciao a tutti :)
In attesa dell'uscita della puntata in onda stasera, vi lascio questa
one-shot ambiendata subito dopo la 4x17 e prima dei fatti mostrati
nella 4x18. Vi siete mai chiesti come sia successo che Danny abbia
accompagnato Steve in Cambogia? Oppure cosa sia successo durante il
lungo viaggio di andata? Io sì e questo è quello
che ne è venuto fuori. Ovviamente non c'è bisogno
di ricordarvi che questa OS fa parte della serie "Hidden track" e segue
lo stesso filone di avvenimenti.
Non mi resta che ringraziarvi e augurarvi buona lettura! Alla prossima!
Vostra,
_Pulse_
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TWO PASSENGERS ON A PLANE
Appoggiato alla Mercury Marquis di suo padre, Steve pensava e ripensava
alle parole dell'agente Connors mentre dall'altura dove si erano
incontrati guardava le luci di Honolulu brillare più
intensamente delle stelle nel cielo scuro.
Una tomba. Per quale motivo suo padre avrebbe dovuto lasciargli le
coordinate per una tomba anonima in Cambogia? E sua madre - Shelburne -
che cosa c'entrava? Doveva assolutamente trovare le risposte che
cercava e non si sarebbe fermato di fronte a nulla.
Aprì la portiera dell'auto e si mise al volante, mentre
contattava Joe perché gli organizzasse il viaggio verso lo
stato asiatico, ovviamente off-radar. Quando terminò la
conversazione con l'ex SEAL, si rese conto che c'era un'altra persona
che doveva contattare prima di partire. Armandosi di tutto il proprio
coraggio, Steve selezionò il numero del partner e si
riportò il cellulare all'orecchio.
Dovette attendere solo un paio di squilli, come se Danny avesse saputo
che l'avrebbe chiamato e l'avesse aspettato sveglio. Forse si illudeva
troppo, credendosi così importante. Magari stava
semplicemente guardando un film, oppure non era ancora riuscito a
prendere sonno. La speranza però era tutto ciò
che aveva ormai.
«Ehi», rispose il detective del New Jersey.
«Ciao. Ti ricordi delle coordinate che Jerry ha trovato sulla
cassetta degli attrezzi di mio padre?».
«Sì, indicavano un punto in mezzo al nulla in
Cambogia. Hai scoperto qualcos'altro?».
«Beh, Joe mi ha messo in contatto con un agente della CIA, un
certo Sam Connors. L'ho appena incontrato».
«E che cosa ti ha detto? Non farmi stare sulle
spine».
«Ho dovuto cavargli le parole di bocca, ma alla fine mi ha
rivelato che quelle coordinate portano ad una tomba».
«Una tomba? Stai scherzando? E di chi diavolo
sarebbe?».
«Non ne ho idea, ma ho intenzione di scoprirlo. È
per questo che ti ho chiamato».
«Aspetta. Mi stai dicendo che vuoi andare in
Cambogia?».
Steve non rispose, bensì si passò una mano sul
volto, soffermandosi un attimo di più sulle labbra. Sapeva
che chiamarlo avrebbe comportato sentirsi in quel modo - per nulla
intenzionato ad allontanarsi - ma non poteva tenerlo all'oscuro come
aveva fatto due anni prima, quando a Osaka era riuscito a mettere le
manette a Wo Fat.
«
Steven,
rispondimi», lo incalzò Danny, con tono severo.
«Sì, voglio andare in Cambogia. Devo sapere di chi
è quella tomba e in che modo mia madre è
coinvolta in questa storia».
«Okay», rispose comprensivo. Una dozzina di secondi
dopo, quando ormai Steve credeva che fosse caduta la linea, aggiunse:
«Vengo con te».
Il SEAL dovette frenare bruscamente ad un semaforo rosso che non aveva
visto, troppo sconvolto dall'affermazione di Danny. Gettò
uno sguardo oltre il lunotto posteriore e scorse un po' di fumo e i
segni della frenata: un set di gomme originali della Mercury non erano
una spesa da poco.
«Va tutto bene?», gli domandò il
detective. «Lo so che ti piacciono le missioni in solitaria,
ma hai bisogno di qualcuno che ti copra le spalle».
«E tu saresti quel qualcuno?».
«Sono il tuo partner, non pensi che farei un buon
lavoro?».
«Non è quello che intendevo», rispose
con un sorriso sulle labbra. «Sei sicuro di voler venire? La
nostra missione non è autorizzata, se ci dovesse succedere
qualcosa...».
«Siamo da soli», continuò per lui, con
fare un po' annoiato. «È ordinaria amministrazione
ormai, Steve. Quando si parte?».
Il comandante sorrise e quando scattò il semaforo verde
pestò il piede sull'acceleratore, facendo stridere le povere
gomme fumanti.
*
Steve si alzò per andare a recuperare i loro zaini e sotto
lo sguardo di un Danny indispettito iniziò a srotolare un
sacco a pelo, spiegando: «Dovremmo sfruttare queste ore di
volo per dormire un po'».
Il detective si guardò intorno, ora anche scettico. Dormire?
Nessuno, eccetto forse un certo SEAL di sua conoscenza addestrato a
tutto, sarebbe mai riuscito a chiudere occhio in quell'aereo-cargo
militare rumoroso e strapieno di scatole dal contenuto sconosciuto
dirette in Cambogia. Erano fortunati ad avere avuto due posti a sedere,
col suo metro e ottanta dove pensava di sdraiarsi Steve precisamente?
Dovevano passare le prossime dieci ore insieme in quella scatola di
metallo, perciò era di vitale importanza mettere da parte
l'odio per i trasporti forniti da Joe White e cercare di non sollevare
discussioni inutili: in fondo si era offerto lui di accompagnarlo.
Danny si alzò a sua volta e lo imitò, chiedendo:
«A che ora atterreremo?».
«Ad Honolulu sarebbero le undici del mattino, mentre in
Cambogia... le cinque del mattino di dopodomani, più o
meno».
Forse tutto quel prodigarsi nel non aprire bocca era inutile, se le
proprie espressioni facciali dicevano molto più delle
parole. Avrebbe dovuto ricordarsene, in futuro.
«Mi dici che cosa c'è che non va?»,
sbottò McGarrett, lanciando da parte il proprio sacco a
pelo. «È da quando siamo partiti che non fai altro
che guardarmi storto ad ogni cosa che dico».
«Io ti guarderei storto?», replicò,
indicandosi con le mani posate sul petto.
Steve sollevò per un attimo gli occhi al cielo, mentre una
vena si gonfiava d'irritazione sulla sua fronte.
«Sì! Di solito sei tu a dire che ti guardo in modo
strano quando non mi va giù qualcosa, ma anche tu hai le tue
facce e quella che hai ora dice chiaro e forte che non sei contento di
essere qui».
«Beh, la verità è che non mi aspettavo
la prima classe, ma nemmeno il vagone merci...»,
ironizzò, indicando tutto ciò che li circondava
sotto le sfarfallanti luci al neon.
Steve sbuffò e recuperò il proprio sacco a pelo,
spiegando stancamente e ad occhi bassi: «È
già tanto che Joe abbia convinto i piloti a farci salire a
bordo. Qualcos'altro?».
Danny scosse le spalle, senza rendersi conto che forse Steve non si
aspettava veramente una risposta. «Non mi piace che tu vada a
caccia di fantasmi, illudendoti di trovare davvero qualcosa».
«Che cosa?». Gli occhi di Steve si erano venati di
rabbia, in modo così violento ed improvviso che il detective
ebbe per un attimo paura che potesse rovesciargli addosso una pila di
scatoloni.
«Due settimane fa mi hai detto non potevo capire che cosa
provavi perché non avevo figli, ma sai che c'è?
Tu non puoi capire che cosa si prova quando si perde un padre,
né quando si è costretti a sentirlo morire
dall'altro capo del telefono. Non puoi capire che cosa si prova a
scoprire che la propria madre, creduta morta per più di
vent'anni, sia in realtà un'agente della CIA. Non puoi
capire come ci si sente nel non sapere la verità riguardo la
propria famiglia».
Non aveva mai visto Steve così frustrato e ferito e allo
stesso tempo così aperto e sincero con lui: si era appena
strappato il cuore dal petto e glielo stava mostrando, sanguinante e
singhiozzante, e lui non aveva la più pallida idea di che
cosa dire. Danny non era uno che taceva - aveva un'opinione per tutto -
ma quella era proprio una di quelle rare situazioni in cui
preferì il silenzio.
Osservò il partner addossare contro la fiancata dell'aereo
un paio di scatole ed impilarne sopra altrettante, fino a crearsi
abbastanza spazio per stendersi dentro al sacco a pelo e voltargli le
spalle. Danny non poté far altro che imitarlo, mettendosi
supino al suo fianco ed ascoltando il suo respiro ancora agitato, senza
provare nemmeno a chiudere gli occhi.
*
Steve chiuse gli occhi e sentì il contraccolpo delle parole
che aveva appena rovesciato addosso a Danny, doloroso come un calcio
nei denti. Non era stato giusto prendersela con lui in quel modo: lo
conosceva, sapeva che l'unico motivo per cui gli aveva detto chiaro e
tondo che avrebbe preferito evitare di andare fino in Cambogia alla
ricerca di "fantasmi" era perché teneva a lui. La prova? Non
aveva cercato di fermarlo, sapendo quant'era importante per lui. E
aveva fatto di più, decidendo di accompagnarlo
perché non si caricasse quel fardello sulle sue sole spalle.
Aveva ormai deciso di chiedergli scusa, quando Danny lo
anticipò dicendo: «Questa volta ti devo dare
ragione. I miei genitori non sono mai stati complicati come i tuoi,
anzi: ci dicevano sempre quello che avevano da dire, senza girarci
intorno, e si aspettavano che anche noi figli fossimo onesti con loro.
Il fatto della separazione è stata l'unica cosa di cui mi
hanno tenuto all'oscuro, ma non è durata molto».
Steve aspettò che aggiungesse qualcosa riguardo alle sue
abilità di detective, ma quella volta Danny
rinunciò alla propria gloria per avvicinarsi ancora di
più a lui e sussurrare: «Mi dispiace».
Il SEAL impiegò qualche secondo per processare quelle due
semplici parole e il loro pesante allegato di significati. Quindi si
stese sulla schiena e fissando il soffitto dell'aereo si
schiarì la gola mentre chiedeva: «Com'è
andato il loro secondo primo appuntamento che stavi organizzando in
gran segreto?».
«Bene, credo. Il peggio è passato. Grazie per aver
chiesto».
Steve si umettò le labbra e poi deglutì, cercando
le parole di cui aveva disperatamente bisogno. Non gli piaceva parlare
dei propri sentimenti, ma sapeva riconoscere quando era giunto il
momento di condividerli con chi gli stava accanto, specie se ne andava
del proprio benessere. Ora come ora, parlare con Danny era l'unica cosa
che lo avrebbe fatto stare meglio.
«Non sapere la verità riguardo a mia madre
è come aver piantato un picchetto nel cervello, che ad ogni
domanda penetra sempre più in profondità. E mi fa
impazzire, perché penso a mio padre, il quale anche lui ha
scoperto chi era veramente solo quando ha indagato sulla sua presunta
morte. Penso a quanto deve aver sofferto e... e mi terrorizza pensare
che un giorno potrei diventare esattamente come lei e fare del male
alle persone che amo».
«Che cosa stai dicendo, Steve? Tu non potresti
mai...».
«L'ho già fatto, Danny»,
confessò e per la prima volta incrociò lo sguardo
del partner. «Almeno un paio di volte sono andato alla
ricerca di risposte senza avvisare nessuno. Non ti ho mai parlato delle
mie missioni di quando ero un SEAL...».
«Sono informazioni confidenziali», provò
a difenderlo Danny, inarcando le sopracciglia.
«Questa è una scusa che funziona perfettamente,
quando quello che avresti da dire aprirebbe ferite dolorose come se non
fosse trascorso un solo giorno». Scosse il capo, tornando a
guardare il soffitto. «Credi che Catherine, solo
perché è del settore, sappia più di te
in merito? Ti sbagli. Sono così arrabbiato con gli scheletri
di mia madre perché ne ho anche io un armadio pieno e ho
troppa paura di aprirlo».
Steve avrebbe voluto ricordargli che gli aveva anche nascosto la
verità, lasciandolo senza una risposta per diversi giorni,
quando non era riuscito a dirgli subito che non aveva potuto lasciare
Catherine. Era stato tanto codardo anche in quella situazione, pur
sapendo che l'avrebbe deluso moltissimo.
Nessuno dei due però ebbe modo di parlare, sballottati
improvvisamente di qua e di là da una forte turbolenza. Un
paio di scatole che il SEAL aveva precedentemente impilato
perché avessero lo spazio per sdraiarsi caddero verso di
loro e questi fece la cosa più istintiva: rotolò
sopra il detective per proteggerlo col proprio corpo. Le scatole gli
caddero sulla schiena e qualche minuto dopo, quando l'aereo si
ristabilizzò, Steve aprì gli occhi per accertarsi
che Danny non avesse nemmeno un graffio.
«Stai bene?», gli domandò guardandolo
dritto negli occhi, accorgendosi finalmente di quanta poca fosse la
distanza che separava le loro labbra.
«Sì», rispose il detective con fare
quasi spiritato, probabilmente a causa dello spavento. Ci volle poco
però perché si riprendesse del tutto e il suo
viso si arrossasse di rabbia.
«Sei impazzito?! Poteva esserci di tutto in quelle scatole,
avresti potuto farti male!».
Steve sorrise, facendolo alterare ancora di più. Alla fine
lo interruppe: «Le ho spostate io quelle scatole, sapevo che
non mi avrebbero fatto male. Però sei carino quando ti
preoccupi per me».
«
Carino.
Sì, certo», borbottò, evitando il suo
sguardo.
Passarono una dozzina di secondi e nessuno dei due aveva accennato al
volersi separare. Specialmente Steve, il quale si sentiva
già più leggero e rasserenato grazie al contatto
col corpo del partner.
Avrebbe dovuto iniziare ad essere onesto da subito, ammettere che
nonostante qualche tempo prima gli avesse chiesto espressamente di
impegnarsi con Amber, lo amava ancora e non avrebbe mai smesso, come di
desiderarlo.
Ancora una volta fu l'istinto a prevalere sulla ragione e infilandogli
una mano tra i capelli lo baciò.
*
Danny avrebbe dovuto sottrarsi, ricordargli che stava cercando di
iniziare una relazione con Amber, ma ovviamente non ci era riuscito.
Era stata un'agonia fare a meno di lui in quelle settimane e in
particolare quando se l'era ritrovato seduto davanti a casa sua e aveva
deciso di non invitarlo ad entrare, consapevole che gliel'avesse
permesso... beh, si sarebbero ritrovati a fare ciò che
avevano fatto su quell'aereo.
Era perfettamente consapevole che la colpa era anche sua, eppure non
poteva fare a meno di essere arrabbiato con Steve: perché lo
metteva sempre in quelle situazioni? Perché donargli un'ora
di Paradiso per poi guardarlo cadere di nuovo sulla Terra, lasciandolo
col cuore spezzato e i sensi di colpa?
«Da qui dobbiamo procedere a piedi», lo
informò Steve, fermando la jeep sul sentiero sterrato.
Il detective si riscosse dai propri pensieri e scese dal mezzo con un
piccolo saltello per aprire la portiera posteriore e recuperare lo
zaino con tutta l'attrezzatura necessaria ad una scampagnata nella
provincia di Pursat.
«Va tutto bene?», gli domandò il SEAL,
guardandolo con la fronte aggrottata. «Non hai aperto bocca
da quando siamo atterrati».
«Sì, sono solo stanco»,
mentì. «Avevi ragione tu: avremmo dovuto
dormire».
Steve non si accontentò di quella risposta e lo
afferrò per un braccio perché lo guardasse negli
occhi. «Lo so che non dovevamo, però con tutto
quello che sta succedendo...».
«Oh, quindi io sarei solo una valvola di sfogo? Questa mi era
nuova».
«Non era quello che intendevo dire, lo sai».
«No, non lo so!», sbottò, sottraendosi
bruscamente dal suo tocco.
Gli sarebbe piaciuto dire che raramente perdeva la testa in quel modo,
ma la verità era che discussioni come quelle erano
all'ordine del giorno, un po' per carattere e un po' perché
Steve era in grado di sbloccare i suoi sentimenti più
intensi - nel bene e nel male.
Quindi con gli occhi fiammeggianti e il viso paonazzo per la
frustrazione, continuò: «Sei stato tu a non voler
lasciare Catherine! Sei stato tu ad incoraggiarmi perché ci
provassi seriamente con Amber! Ciò nonostante, alla prima
occasione mi salti addosso come un animale, sfruttando l'amore che
nutro per te per tenere un piede in due scarpe! Che razza di persona
sei?!».
Steve boccheggiò come un pesce fuor d'acqua e Danny ne fu un
po' orgoglioso, anche se i mille piccoli aghi che sentiva perforargli
il cuore avevano molto più spazio nei suoi pensieri.
Sospirò, posando gli occhi sul machete che Steve teneva
nella mano sinistra. Lo afferrò e portandoselo sopra la
spalla disse: «Andiamo a cercare questa tomba,
avanti».
Il SEAL lo guardò inoltrarsi nell'erba alta, diretto verso
la foresta oltre la radura.
«Danny...».
«Niente chiacchiere, sbrigati!», urlò
senza farlo finire, sfogando tutta la propria rabbia con l'erba che gli
intralciava il cammino.
«Danny, ascoltami!».
Il detective si fermò col machete a mezz'aria e dopo essersi
concesso un respiro profondo si voltò.
*
«Hai perfettamente ragione ad essere incazzato: non posso
pretendere di avere te e Catherine allo stesso tempo. Il fatto
è che io non... non ho ancora preso una decisione».
Ammetterlo gli era costata un'enorme fatica, ma sapeva che era la cosa
giusta da fare - essere onesto con Danny era giusto, anche a costo di
mettere a dura prova il loro rapporto, sentimentale e lavorativo.
C'era un motivo per cui quasi tutti sconsigliavano o addirittura
vietavano le relazioni d'ufficio: le cose tendevano a complicarsi, e
non di poco.
L'espressione di Danny passò dalla furiosa alla
semplicemente delusa, eppure fu proprio la seconda a ferire
maggiormente il comandante.
«Se ci fosse un modo per renderla semplice per tutti, giuro
che a quest'ora non saremmo qui a parlarne».
«Lo so», mormorò il detective,
sospirando. Quando rialzò gli occhi per incrociare i suoi,
Steve notò il sorriso triste che gli incurvava le labbra che
aveva baciato tantissime volte e di cui non si sarebbe mai stancato.
«Non so nemmeno perché me la sto prendendo con te.
Se siamo qui a parlarne è colpa mia, in realtà.
Se non avessi avuto così tanta paura...».
Steve era già avanzato di una decina di metri quando Danny
se ne accorse e si interruppe, per poi affondare il viso nell'incavo
della sua spalla e respirare profondamente.
«Non è stata solo colpa tua»,
mormorò tra i suoi capelli. «È stata
anche mia, dato che ti ho permesso di rimanere bloccato dalla paura per
quattro anni. Non avrei mai dovuto accettare il tuo accordo sin
dall'inizio».
«Chissà se avrebbe funzionato?».
Steve non ne aveva idea, così come non sapeva chi avesse la
precedenza nel suo cuore, perciò chiuse gli occhi e si
lasciò accarezzare la schiena dal detective.
Sarebbe rimasto lì per sempre, protetto nel suo abbraccio,
ma il motivo per cui avevano fatto quel viaggio li attendeva. Di certo
il cadavere non sarebbe andato da nessuna parte da solo, ma conoscendo
gli agenti della CIA non c'era da fidarsi.
Come se Danny gli avesse appena letto nel pensiero, si
scostò leggermente e disse: «Dovremmo andare a
dissotterrare una bara».
Steve annuì, tirando fuori dalla tasca dei cargo il
navigatore satellitare portatile che avrebbe fatto trovare loro il
punto esatto dove scavare. Indicò la foresta dietro la quale
si trovava un lieve pendio che avrebbero dovuto scalare.
Si scambiarono un'occhiata e senza bisogno di parole capirono che per
ora erano a posto, tanto che tornarono a concentrarsi sulla loro
missione. O almeno ci provarono.
Il tratto da fare a piedi si rivelò essere più
lungo ed insidioso del previsto e nel silenzio non poterono evitare di
domandarsi per quanto tempo avrebbero retto prima di cedere di nuovo
alla passione, alla rabbia e al gioco delle colpe. Una cosa era certa:
qualunque sarebbe stato l'esito della loro missione, sarebbero dovuti
tornare a bordo di quell'aereo-cargo e quella volta non ci sarebbero
state le scatole che li avevano indotti in tentazione. E le turbolenze?
Se non da questioni metereologiche, sarebbero state causate dai loro
cuori in tumulto.