EDIT: Capitolo revisionato e
corretto.
CAP.
8
LA
DURA REALTA’
BELLA
«Si
accomodi, prego.» Disse una voce femminile, ma con solo la
parvenza di un tono gentile.
Mi
avvicinai ad una poltroncina vicino ad una lunga scrivania di legno
cercando di avere un passo sicuro e mi lasciai cadere su di essa. La
situazione era molto peggio di quanto mi aspettassi.
Dinnanzi
a me c’erano non uno, ma tre visi che scrutavano con
distrazione dei fogli dinnanzi a loro. Erano due uomini ed una donna.
Mi guardai in giro nervosa: la stanza non era affatto accogliente. Ma
come poteva esserlo un posto dove si concentravano le angosce, gli
intimi problemi e le paure delle persone? Notai distrattamente un lungo
specchio riflesso in uno dei vetri dei tanti diplomi incorniciati
affissi dinnanzi a me. Sembrava che stessimo per prepararci ad un
interrogatorio più che ad una seduta di terapia
d’analisi e che quelli fossero giudici in attesa di emettere
un verdetto, piuttosto che medici aperti ad accogliere e districare le
reali ed immaginarie difficoltà dei loro pazienti.
Mi
riscossi dal corso dei miei pensieri quando l’uomo alla
destra della dottoressa si schiarì la voce e disse
«Signorina Swan, io sono il dottor Grange, lui è
il dottor Peterson, e lei la dottoressa Oliva. Io e la dottoressa Oliva
siamo psicologi, e siamo molto contenti che a questa seduta sia
riuscito ad intervenire anche il collega Peterson, che vanta una
lunghissima esperienza in questo campo … »
Osservai l’esperto. Era anziano, basso e tarchiato. Sembrava
annoiato da sotto gli occhialini cerchiati d’oro. Al momento
lo ritenni inoffensivo, senza neanche immaginare che a breve si sarebbe
rivelata una valutazione clamorosamente sbagliata.
«Allora
signorina Swan, ci parli un po’ della sua vita a
Forks.» Mi incoraggiò la dottoressa.
Inspirai
e cominciai a descrivere a grandi linee una mia giornata tipo. Ogni
tanto il dottore che mi aveva parlato per primo e la dottoressa mi
interrompevano per chiarire qualche passaggio, ma mi stupii di riuscire
a parlare così fluidamente. Mi complimentai con me stessa.
Stavo andando alla grande. Ero la tipica adolescente in crisi per la
separazione dei suoi genitori, non adattatasi al recente trasloco, che
aveva fatto un colpo di testa per la fine della sua storia con il suo
ex-ragazzo.
Presi
coraggio e continuai ancora più spedita.
Mi
stavo lamentando della perenne umidità di Forks, con aria
veramente afflitta, quando il dottor Peterson che era rimasto in
silenzio fino a quel momento parlò:
«Allora
Bella, la pioggia non ti piace?» Il suo commento mi
spiazzò. Mi riportò alla mente
l’aula di biologia, lo sguardo del mio compagno di banco su
di me, l’oro caldo dei suoi occhi fissi nei miei …
«No,
direi di no.» Risposi automaticamente e la voce mi si fece
d’un tratto un sussurro.
«Avrei
detto il contrario, vista la tua passeggiata notturna
dell’altra sera.» Continuò imperterrito
il dottore.
«Sì,
beh avevo bisogno di un po’ d’aria
…» Mi concentrai con attenzione sulla
“versione ufficiale” che avevo maldestramente
fornito a Charlie in veste da lavoro.
«Capisco.»
Disse lui ed ero certa che le sue parole stessero nascondendo qualcosa.
Continuava
a fissarmi da dietro gli occhialini con sguardo determinato. Non era
assolutamente predisposto a farsi rifilare la mia interpretazione da
attricetta di terza serie e sotto l’aspetto compito mi
sembrava provare disprezzo nei miei confronti. Arrossii fino alla punta
dei capelli. Quell’uomo non mi conosceva, eppure aveva
già deciso che fossi da condannare … non avevo
bisogno anche del suo sguardo sprezzante, mi bastava quello che ogni
giorno mi lanciavo allo specchio da sola a farmi sentire ripugnante.
«Allora,
cosa hai escogitato per la prossima volta? Taglio delle vene?
Avvelenamento da sonniferi?» La sua voce era di ghiaccio. I
suoi colleghi lo fissavano allibiti, io avevo aperto la bocca per
ribattere, ma l’avevo richiusa immediatamente. Quel Peterson
pensava che avessi tentato di suicidarmi. Compresi d’un
tratto la delicatezza della situazione in cui mi trovavo. Quegli
individui dinnanzi a me dovevano decidere della mia salute mentale e la
situazione aveva preso una piega pericolosa.
«Niente
di tutto ciò, dottore, le assicuro che non intendo affatto
togliermi la vita.» Sfoderai un tono che voleva essere
sicuro, convincente, ma che alle mie stesse orecchie suonò
implorante.
«Volete
seguirmi nella stanza affianco colleghi?» Il dottor Peterson
si rivolse agli altri due, senza staccare gli occhi da me. Io avevo
abbassato i miei, incapace di reggere l’accusa nei suoi.
Si
alzarono e uscirono dicendomi di attendere lì per qualche
minuto.
Quando
udii chiudersi la porta, mi appoggiai stanca allo schienale della
poltrona e chiusi gli occhi. Mi abbandonai allo sconforto. Avevo voglia
di fuggire da tutti e, invece, mi sentivo in trappola. Sospirai ed
aprii gli occhi. Avevo bisogno di muovermi. Mi diressi alla finestra
che dava sulla strada e guardai le auto scorrere veloci.
Chissà cosa si stavano dicendo, cosa dicevano di me in quel
momento, cosa avrebbero detto a Charlie.
Non mi
importava nulla del loro giudizio, ma mi dispiaceva che mio padre
potesse soffrire per me. Era solo per lui che stavo affrontando tutto
questo, per tranquill … Mi bloccai rigida e sbarrai gli
occhi.
Li
sbattei un paio di volte per mettere a fuoco e, poi, con entrambi i
palmi sul vetro mormorai debole il nome della persona che avevo
riconosciuto uscire da un noto atelier di moda
«Alice».
CHARLIE
Mi ero
alzato in piedi non appena i tre dottori erano emersi dalla stanza.
Bella era rimasta lì dentro per un bel pezzo, ma non
uscì con loro. Li guardai in preda all’ansia, ma
la donna mi sorrise con fare rassicurante e mi fece cenno di aspettare
che mi chiamassero. Poi, si chiusero in una stanzetta attigua. Ritornai
a sedermi e guardai Jacob. Sembrava che stesse seduto sui carboni
ardenti. Quel ragazzo era davvero un cuor d’oro, si stava
facendo in quattro per Bella, niente di nemmeno paragonabile a
quell’altro, quell’Edward …
Sentii
crescere in me la rabbia, un lusso a cui quelli che facevano il mio
mestiere non potevano abbandonarsi neanche un attimo, e la soffocai.
Era l’ennesima volta che Bella aveva rischiato la vita in
circostanze a dir poco ambigue, circostanze che vedevano più
o meno direttamente coinvolto anche Cullen. Il ragazzo apparteneva ad
una famiglia di tutto rispetto, si era comportato sempre in modo
irreprensibile, con fare compito, educato … quasi un
gentiluomo d’altri tempi! Ma, poi, l’aveva
abbandonata e Bella era come morta. Lei non ne aveva fatto mai parola
con me ed io avevo rispettato il suo dolore senza forzarla ad alcuna
confidenza. Non ne aveva voluto sapere di ritornare da sua madre a
Jacksonville e non l’avevo obbligata in alcun modo, ma adesso
la situazione mi stava sfuggendo di mano. Bella era diventata un
pericolo per se stessa, aveva bisogno di aiuto.
La
porta della stanza in cui i tre medici si erano riuniti si
aprì e fui invitato ad entrare.
Avevo
un’orribile sensazione, ma mi alzai lanciando uno sguardo
eloquente a Jacob indicando la porta della stanza in cui si trovava
ancora Bella. Il ragazzo annuì appena con un cenno del capo.
Entrai
nella stanza dei medici.
La
stanza era in penombra e loro erano in piedi vicino a quello che avevo
riconosciuto essere un finto specchio, di quelli che si usano in alcuni
distretti per osservare il comportamento degli indiziati sottoposti ad
interrogatorio. E loro stavano osservando mia figlia. Mi venne la
nausea al pensiero che la mia bambina fosse all’oscuro di
tutto e trovai la cosa una terribile violazione della sua privacy.
«Ma
è proprio necessario?» Ed indicai il vetro con un
cenno del capo.
«Si
tranquillizzi, Sig. Swan, siamo medici, non guardoni. E questo si
rivela a volte un utile strumento diagnostico.» Aveva parlato
un individuo bassino, doveva essere il pezzo da novanta di cui mi erano
state decantate le lodi in centrale.
Annuii
e attesi. Con un cenno mi fecero segno di avvicinarmi.
«Dunque,
Sig. Swan, sua figlia è in discrete condizioni psichiche. Ha
mantenuto una buona capacità di ragionamento e
lucidità durante tutto il colloquio, e non ha evidenziato
gravi disturbi emotivi, tuttavia, …» la dottoressa
che stava parlando con tono che pareva rassicurante,
tentennò lanciando uno sguardo a quello bassino.
«Tuttavia la lunga esperienza del dottor Peterson nel campo
adolescenziale e psichiatrico, ci suggerisce di essere molto cauti
nella valutazione di una giovane che ha vissuto traumi
ravvicinati.» Terminò più convinta.
Il
dottor Peterson mi guardò dritto negli occhi e
sembrò avere mille anni. «Le suggeriamo un
ricovero preventivo in una struttura adeguata dove potrò io
stesso seguire la ragazza con una terapia di sostegno psicologica ed
eventualmente farmacologica.» Disse senza mezzi termini.
Volevano
ricoverare Bella? Mi girai a guardarla interdetto. Si era avvicinata
alla finestra distratta e guardava la strada. La mia bambina in un
manicomio?
«So
cosa pensa, Sig. Swan, ma mi creda non è quello che
immagina. Le strutture di cui le parlo non sono quelle in cui venivano
abbandonati i pazienti decenni addietro. Sono strutture moderne, con
personale qualificato che sa far fronte alle situazioni di emergenza.
Sua figlia soffre di un disturbo di personalità, direi che
si tratta di un soggetto bipolare, alterna, cioè fasi
positive con fasi depressive.» Il dottor Peterson mi guardava
condiscendente, con compassione. Nei suoi occhi passò
un’ombra, ma poi si girò fissando Bella
attentamente.
«Sig.
Swan, so cosa prova. Ho avuto una figlia nelle stesse condizioni di
Bella, solo che a quel tempo non c’erano tutte le tecniche
attuali e non è stato possibile salvarla da se stessa.
Sarà in ottime mani, mi creda, noi …»
si bloccò, i suoi occhi divennero due fessure.
«MALEDIZIONE,
PRESTO!!» e si precipitò nell’altra
stanza. Lo osservai con perplessità, ma, poi, guardai Bella
e capii.
Singhiozzava
agitata e tentava di aprire istericamente le ante della finestra del
sesto piano di quel palazzo.
NOTA
DELL'AUTRICE:
cloe
cullen: Benvenuta nel nostro club di piccole disperate!! Spero
che non ti abbia ispirato una storia troppo triste, la mia in fondo
è
piena di amore… Baci
elenapg:
purtroppo Bella è destinata ad
altre dure prove… non mi picchiare! E hai ragione, Alice e
Jasper sono
una forza, io li adoro.
keska:
la penso proprio come te. Non era
possibile che due persone che si amano tanto non abbiano un legame
oltre il tempo e lo spazio … Grazie per la tua recensione,
non sei
obbligata a commentare sempre, ma mi fa piacerissimo quando leggo le
vostre opinioni! Baci
goten:
su, non fare così…! Per la legge di Murphy se
qualcosa deve andare storto, andrà storto di sicuro! Baci
|