Giustizia, fortezza, prudenza e temperanza di Juliet88 (/viewuser.php?uid=232926)
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La mattina successiva il risveglio parve essere più problematico
del solito. Fu la suoneria del mio cellulare, a causarlo. Avrei dovuto
prendere la buona abitudine di silenziarlo prima di andare a letto.
Cercai di allungare una mano verso il comodino, dove sapevo giacesse il
mio cellulare, nel tentativo di afferrarlo, ancora confusa, e con gli
occhi fermamente decisi a non aprirsi.
Tastai più volte quella superficie, mentre il suono della
chiamata diveniva sempre più fastidioso di secondo in secondo.
Quando finalmente l'ebbi preso, lo portai al mio orecchio, pronunciando
un debole "Pronto?" con una voce talmente roca che mi sorpresi potessi
essere davvero stata io a parlare.
"Pronto? Sana, sei tu?" fu la risposta, una voce femminile, che non riuscii a riconoscere, intontita com'ero dal sonno.
"Sì, ehm, sono io. Con chi parlo?"
"Ti sei già scordata di me? Ma brava!" esclamò, la donna.
In quell'istante mi sembrò obbligatorio dover finalmente
schiudere i miei occhi, per decidermi a controllare se potesse apparire
un nome che potesse darmi un indizio sull'identità.
Lessi il nome di Natsumi.
"Oh, scusami, scusami Natsumi! Stavo dormendo, e...ti assicuro che in
circostanze come questa non ricordo neanche il mio, di nome!"
Rise per ciò che avevo detto.
"E così tu credi di tornare qui in Giappone e non farmi nemmeno
una piccola visita? Sono davvero infuriata con te" rispose, tornando
seria, ma con una punta di ironia che mi facesse intuire quanto in
realtà arrabbiata non lo fosse nemmeno un po'.
"Hai ragione, davvero. Ma ho avuto così poco tempo! Mi
farò perdonare, te lo prometto! Ti va bene oggi, nel
pomeriggio?" mi affrettai a rispondere, sinceramente risentita.
Finse di pensarci qualche istante.
"Sì, andrà bene. Non vedo l'ora di riabbracciarti!"
"Allora ci vediamo oggi pomeriggio" le ripetei, preannunciando il termine della conversazione.
"Certo, ma...ehm, Sana? Non riuscirò mai a perdonarti se non
porti con te quei mervigliosi biscotti che prepara la signora Shimura!"
scherzò.
Risi, per poi accettare la sua ragionevole proposta, e chiudere, stavolta in via definitiva, la chiamata.
Appena posato il cellulare nuovamente sul mio comodino, mi misi a
sedere sul letto, improvvisamente colta da uno strano senso di
malessere. Emicrania? Spossatezza? Inappetenza?
Mi portai le mani alle tempie, che sembravano voler giocare a scandire i secondi del tempo con il loro pulsare a mio discapito.
Rimasi qualche secondo ferma, a meditare su una qualche ragione che
potesse farmi spiegare il motivo della mia indisposizione. Non
trascorse molto tempo prima di trovare le risposte a quella domanda.
Tutti quei fastidi erano i classici e banali postumi di una sbornia, la sbornia che mi ero abilmente procurata la sera prima.
Cercai di farmi tornare in mente quanti più dettagli potessi su
cosa avessi combinato, ma in risposta a questo sforzo che stavo
richiedendo al mio cervello arrivò solo qualche immagine confusa
e discontinua.
Riuscii a ricordare solo bicchieri su bicchieri, contenenti i liquidi
dai più diversi colori, odori, sapori. Fu inevitabile non
avvertire velocemente la nausea assalirmi. Mi domandai se avessi
davvero ventun'anni, o sedici.
"Maledetto Hayama, lui e le sue (solo sue) manie competitive. Era tutta colpa sua" bisbigliai, seccata.
Andai verso le tende, determinata ad aprirle per permettere alla mia
stanza di illuminarsi, beando anche me, con un po' di Vitamina D che
sicuramente non avrebbe fatto che bene. Solo ad azione compita mi resi
conto che non fosse affatto una buona idea, quando avvertii i miei
occhi bruciare come se mi avessero appena gettato dell'acido in viso.
Subito mi gettai per la stanza, alla disperata ricerca di qualcosa che
potesse aiutarmi a proteggerli. Dovevano pur esserci degli occhiali da
sole, da qualche parte.
Con gli occhi obbligatoriamente socchiusi trovai ciò che stavo
cercando in un cassetto della mia scrivania, e solo dopo averli portati
più vicino mi accorsi di quanto questi fossero ridicoli.
Erano degli occhiali con dei finti occhi disegnati sopra le lenti, di
quelli che avevamo utilizzato io, Rei ed Asako per tentare di sfuggire
ai paparazzi. Non potei impedirmi di ridere, come era mio solito fare,
indossandoli, e cercando di immaginare come sarebbe potuta sembrare la
mia figura. La risata si intensificò quando decisi di scoprirlo,
dirigendomi verso il bagno della mia stanza.
Avevo un aspetto orribile, con delle occhiaie violacee, quasi
cianotiche e capelli arruffati a incorniciare il tutto, come una bella
ciliegina.
Doccia. Avevo un disperato bisogno di farmi una doccia.
"Buongiorno, mamma" dissi, scandendomi la voce ancora leggermente roca,
e con quegli occhiali ridicoli a cui non avevo voluto rinunciare.
"Buongiorno, cara. Hai un aspetto terribile" furono le prime parole che
mi rivolse, senza staccare gli occhi dalla tastiera del computer.
"Mamma, ti hanno mai detto che sei la persona più carina al
mondo?" domandai, con il tono più sarcastico che riuscii a
donare.
"Sono solo sincera. Maro, qui sopra, ha avuto un tremolio quando ti ha
vista" rispose, altrettando sarcastica, ridendo ma cercando di non farsi
notare.
Mi simbrò quasi che le mie tempie, le stesse tempie che
continuavano a pulsare, adesso avessero anche scoperto la
capacità di fumare.
Mi misi a sedere a tavola, prendendo del latte, e i pancakes che la
signora Shimura aveva cucinato. Mi ero abituata bene alla colazione
americana, lì nella West Coast.
"Che ha combinato ieri la mia ragazzaccia?" domandò, all'improvviso, i suoi occhi ancora sullo schermo.
"Nulla, mamma. Sono solo stanca, ieri i miei amici non sono andati via molto presto..." mentii.
"Sana, sei sicura di fare l'attrice? Non ho creduto neanche per un
millesimo di secondo alle tue parole!" cantò, alzandosi e
portando un'aspirina sul tavolo.
"E' stata colpa di Hayama!"
Con un movimento talmente veloce da rendere difficoltoso seguirla
persino con i miei occhi, mia madre fu accanto a me, con un'espressione
di malizia, e il ventaglio che le copriva le labbra.
"Avete chiarito, voi due?"
"Non farti strane idee. Sto cercando di recuperare il rapporto con lui,
così come con tutti gli altri miei amici. Ma se prima era
più difficile per colpa dei nostri sentimenti, adesso lo
è solo perchè complicato è rimanere amici stando
lontani. Ma sono sicura che ce la farò!"
"I tuoi amici, Akito Hayama compreso, ti vogliono già bene. Non devi riconquistare l'affetto di nessuno, cara."
"Sì, forse. Per tutti sono tornata qui solo per via del
matrimonio di Aya e Tsuyoshi, ma in realtà...in realtà meditavo da prima di
abbandonare per un po' l'America e tornare qui a casa mia. Nessuno di
loro mi ha domandato quando tornerò negli Stati Uniti, forse non
vogliono pensarci...ma io so che non ho voglia di tornare lì,
per adesso. Volevo dirlo a te prima di chiunque altro. Che ne pensi,
mamma?"
Mi osservò per qualche secondo.
"Cara, ho sempre preferito che prendessi le tue scelte da te,
consapevole di doverne poi affrontare anche le conseguenze. Ti ho cresciuta
con questo pensiero, e so che nonostante il comportamento qualche volta
"volutamente" infantile, sei una donna matura. Prendi le scelte in base
a ciò che ti rende più felice.
Felice solo come mia figlia sa essere" asserì, prendendo posto
sulla sedia accanto a me, per poi avvicinarsi con un meraviglioso
abbraccio capace di infondermi benessere e calma.
Dopo quel breve momento, tornai subito guardinga, andando svelta dalla
signora Shimura a chiedere se potesse prepararmi quei suoi famosi
biscotti con le gocce di cioccolato, in modo da portarli a Natsumi.
Salii nuovamente in camera mia, ostinata a cambiarmi d'abito e truccarmi, nel
tentativo di di nascondere quelle occhiaie così determinate, con
una sola destinazione in testa.
Mi ricordai, infatti, delle informazioni che Rei mi aveva fornito sulla
nuova serie de "Il giocattolo dei bambini" che avrebbero girato.
Passare per un saluto mi avrebbe fatto davvero piacere, ed era proprio ciò che avevo intenzione di fare quella mattina.
Presi le chiavi delle macchina, e dopo aver salutato mia madre con un
veloce bacio sulla guancia, sfrecciai verso gli studi televisivi con
tanto di occhiali da sole e copricapo, in modo da non rendermi
facilmente riconoscibile nel caso avessi incontrato qualche paparazzo.
Solo poco prima di scendere dalla macchina mi accorsi che probabilmente
trovarmi nel parcheggio degli studi televisivi non era esattamente un
luogo ideale se l'intenzione fosse non incontrare giornalisti, o farti
scattare qualche foto.
Diedi un ultimo sguardo ai miei capelli, e mi resi conto che un leone
sarebbe stato sicuramente invidioso. Passai le dita tra alcune ciocche,
sperando che questo potesse bastare ma fu tutto inutile. Non mi rimase,
quindi, che sperare perchè non ci fosse nessuno.
"Ehy tu! Ma t-tu sei Sana?" una voce alle mie spalle, a cui cercai
disperatamente di poter abbinare un viso conosciuto, ma la risposta
arrivò quando quell'uomo girò attorno, in modo da vedere
il mio viso.
Ecco che cominciò a scattare qualche fotografia, in cui mi
immaginai già essere apparsa ridicola, dati i movimenti
sgraziati e frettolosi che feci pur di arrivare in quel portone in
fretta.
Fu davvero una soddisfazione quando il buttafuori gli comunicò
che avrebbe dovuto arrestare la sua corsa, permettendomi invece di
rinchiudermi lì dentro. Non potei fare a meno di fargli una
linguaccia, per poi riprendere il mio itinerario.
Sapevo ancora orientarmi bene in quegli studi, sebbene sembrarono
fossero cambiate alcune cose. Lavori di restaurazione avevano,
infatti, reso l'ambiente più grande, più moderno,
luminoso. Era piacevole alla vista.
Arrestai il passo solo dinanzi al set che riconobbi essere quello de
"Il giocattolo dei bambini", sorridendo guardando quei piccoli banchi
dove una volta mi sarei seduta anche io.
"Sana? Non è possibile. Sei davvero tu?"
Mi voltai immediatamente per capire chi sarebbe stato il mio
interlocutore, e passarono solo due secondi prima che corressi verso di
lui, abbracciandolo fino a quasi farlo diventare cianotico.
"Zenjiro! Oh, Zenjiro! E' così bello rivederti!" esclamai, sincera.
"Non sapevo fossi qui, quando sei tornata?" si affrettò a rispondere.
"Solo due o tre giorni fa"
Mi abbracciò di nuovo.
"Ho guardato ogni tuo singolo film, ogni apparizione, ogni intervista.
Meriti davvero il successo che hai avuto." mi rivolse, davanti un
caffè che insistette per offrirmi.
"Grazie, Zen. E tu? Sarai sempre tu a presentare la "nostra" cara trasmissione?" domandai, curiosa.
"Beh, sì. Hanno voluto che fossi io a condurre nuovamente questo
programma, e ne sono stato felice. Anche se il conduttore non è
più bello e affascinante come un tempo..." pronunciò
guardando un punto in alto, toccandosi la barba in modo teatrale.
"Oh, sei sempre affascinante, Zenjiro" dissi sarcasticamente, imitando i suoi gesti melodrammatici di qualche secondo prima.
"Vedo che quella lingua saccente sta ancora al suo posto!" esclamò, divertito e dintamente offeso.
Gli sorrisi.
"Sana, ho appena avuto un'idea! E' fantastico! Che ne dici di fare
qualche puntata de "Il giocattolo dei bambini" con me, come conduttrice
anche tu?"
"Io? Condurre quella trasmissione?" dissi, in tono incredulo.
"Sì, beh, con me" precisò, Zenjiro.
"Oh, mi farebbe tanto piacer...ehm, lasciami prima parlare con il mio
manager" asserii, cambiando radicalmente tono di voce dall'inizio, alla
fine della frase. Nella prima parte allegro e lusingato, moderato e
razionale nella seconda. Parlare con Rei di qualsiasi offerta di lavoro
mi fosse proposta era stata sempre una mia buona abitudine, anche
durante i miei anni a Beverly Hills.
"E vorrei dirti anche che Hiroshi sta cercando una persona famosa che
possa girare una pubblicità per la catena di ristoranti che sta
aprendo tra Giappone e Cina. Mi aveva detto di aver bisogno di qualcuno
abbastanza in vista, ti dispiace se ti indico?"
"Oh, no, mi renderebbe felice aiutarlo!"
"Perfetto, allora dammi pure il numero del tuo agente Rei, in modo da
parlare e accordarmi con lui anche sull'aspetto legale e negoziale"
Annuii decisa, mentre Zenjiro mi passò un pezzo di carta sul
quale scrissi il recapito mio e di Rei. Finii l'ultimo sorso di
caffè, per poi ringraziarlo e salutarlo allegramente.
La mia passeggiata agli studi televisivi continuò serenamente,
incontrando anche Asako, e alcuni ragazzi conosciuti quando con lo show
"Il giocattolo dei bambini" giocavo a fare l'attrice, non rendendomi
conto che sarebbe stato proprio ciò che avrei fatto anche in
età adulta.
Tornai all'uscita, allegra per l'ottimo svolgimento della mattina,
stavolta prestando più accortezza nel guardarmi intorno in cerca
di paparazzi. Sembrava ci fosse via libera.
Presi il cellulare, cercando in rubrica il nome del mio manager, che,
tutt'altro che sorprendentemente, rispose dopo soli tre squilli.
Gli parlai dell'offerta di lavoro che avevo ricevuto, e si
dimostrò davvero felice per quanto mi avessero proposto. Rei
diceva che tornare a girare qualche puntata speciale dello show che mi
aveva lanciata avrebbe dato una buona immagine di me, come una ragazza
che non dimentica le proprie radici, e sinceramente riconoscente. Non
potei che trovarmi d'accordo con tutte le sue parole. Disse anche che
si sarebbe occupato lui dell'organizzazione, quando Zenjiro gli avrebbe
telefonato. Chiusi la conversazione, preparandomi a guidare, dritta
verso casa, in modo da portare con me i biscotti che Natsumi mi aveva
domandato. Guardando l'orologio mi resi conto di quanto avessi fatto
tardi, mentre l'ora di pranzo fosse già passate da qualche giro
di lancette, avevo perso assoluatmente la cognizione del tempo, non che
fosse una cosa nuova per la sottoscritta.
Mangiai velocemente qualcosa fuori, in un ristorante accanto casa, per
poi dirigermi verso essa e prendere tutto ciò che la signora
Shimura mi aveva accuratamente e pazientemente preparato. Scelsi di
andare a piedi, ricordando che casa Hayama fosse solo alla
distanza di qualche passo. Camminare un po' mi avrebbe fatto bene.
Durante il tragitto, presi la scorciatoia verso il parco, trovandomi
senza che davvero l'avessi premeditato proprio dinanzi il gazebo. Quel
gazebo.
Il gazebo che aveva visto nascere quella strana, ma sincera amicizia
tra me e Hayama, spettatore silenzioso anche di tutte le nostre
incomprensioni e successivi chiarimenti. Sorrisi nostalgica, mentre i
pensieri e ricordi arrivavano veloci. Non potei fare a meno di sedere,
anche solo per pochi secondi, su quella panchina, e con le gambe
incrociate, osservare il cielo blu primaverile. Il leggero vento non
fece che giovare al mio umore, noncurante della mia capigliatura
già precedentemente messa a dura prova.
Rammentai quando, qualche anno prima, finsi di essere la madre di
Hayama, per aiutarlo a superare quel dolore che per tutta la sua
infanzia aveva portato con sè. Era stato per me un gesto
semplice, spontaneo, di cui avevo capito l'importanza solo
qualche anno dopo. Rammentai tutte le nostre chiacchierate, e le nostre
litigate, sorridendo amaramente per il tempo e il destino che non aveva
mai avuto nessuna pietà per me, e in particolar modo per lui.
Scossi leggermente la testa, per risvegliarmi da quel torpore, da quel
flusso di coscienza da cui non mi ero riuscita a sottrarre, fermamente
convinta che fossero momenti appartenenti solo ad un passato ormai
inesistente. Ripresi a camminare.
Solo qualche altro metro e mi trovai dinanzi la deliziosa casa Hayama,
che ritrovai essere, almeno all'esterno, esteticamente la medesima.
Bussai con due piccoli pugni alla porta, con un odore di biscotti che
mi stava quasi facendo impazzire. In fondo, era giunta anche l'ora del
thè.
"Kurata. Che ci fai qui?" domandò, in segno di saluto, una testa bionda che conoscevo come me stessa.
"Ciao Hayama. Scusa se mi presento in questo modo, ma questa mattina ha
chiamato tua sorella per incontrarci...pensavo ne fossi a conoscenza"
risposi, ancora con il vassoio in mano.
"Forse non lo ero perchè Natsumi non abita più qui"
disse, rendendo la voce un po' più acuta verso la fine della
frase, facendo assumere una sfumatura beffarda e ovvia alle sue parole.
"Oh, io..avrei dovuto chiedere! Che stupida! Scusami, allora"
"No, sta' tranquilla, vive in una casa vicina a questa. La chiamo e le
dico di venire qui. Entra" mi informò, spostandosi di due passi
indietro per consentirmi di entrare.
Mi presi qualche secondo per guardarlo bene, in quella tenuta
casalinga. Portava un pantalone di una tuta grigia, e una maglia
bianca, leggermente scollata sul collo, che lasciava notare i muscoli
sul petto e torace. I capelli sempre volutamente scombinati, le ciglia
anch'esse chiare a fare da cornice a quegli occhi intensi. Hayama era
diventato davvero un bel ragazzo, era innegabile persino per una
cocciuta come me.
"Stai usando un nuovo profumo, o sento odore di biscotti?"
domandò, guardando con sospetto il piccolo vassoio che avevo
appena posto sul tavolino in salotto.
"Giù le mani, sono per tua sorella" esclamai, arrivando lesta tra lui e ciò che avevo portato.
Alzò gli occhi al cielo, scocciato per l'obbligo che gli avevo imposto.
Si scusò per qualche istante, andando a telefonare alla sorella
per informarla della mia solita sbadataggine. Clichè.
Mi offrì un bicchiere d'acqua, mentre aveva già preparato
la teiera per quando sua sorella sarebbe arrivata. Mi sedetti sul piano
cucina, toccando distrattamente la testa che ancora non desisteva dal
farmi male.
Lo sentii sorridere, in modo scanzonatorio.
"Beh? Che hai da sghignazzare?"
"Mi chiedevo se ti facesse male la testa, data la sbornia che ti sei procurata ieri..."
Credetti di divenire un tutt'uno con i miei capelli, rossa di rabbia com'ero.
"E i tuoi capelli...sembri un pulcino!" continuò, prendendosi gioco di me.
"Hayama, razza di stupido! Avrai sicuramente barato, gettando di nascosto i bicchieri che ti passavo"
"Non ho barato, ho solo vinto" susurrò, beffardo, avvicinandosi poco a me.
"Di nuovo..." aggiunse, successivamente.
Voleva farmi infuriare, era più che evidente. Si divertiva a
farlo, e non tolleravo ammettere che ci stesse anche riuscendo.
"Hai vinto una battaglia, non la guerra, sprovveduto. Ti
batterò!" esclamai, con un pugno chiuso, mentre lui ancora
sorrideva per la mia ultima battuta, forse gli era sembrato che
scherzassi.
Se ne sarebbe reso conto, avrebbe perso, una volta o l'altra.
"Allora...come vanno qui le cose?" domandai, sviando la discussione.
Si poggiò in un punto della cucina accanto a me, con le gambe incrociate, e portando le mani al petto.
"Intendi con la mia famiglia?"
"Sì"
"Beh, normalmente, credo. Mio padre è fuori per lavoro da quasi
tre mesi, nonostante chiami almeno due volte al giorno, mentre
Nat...beh, Nat si è sposata"
"Si è sposata?" gridai, scendendo giù dal piano in uno scatto felino per lo stupore.
"Puoi evitare di starnazzare come una gallina, Kurata?"
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
"Sì, si è sposata, e...ha avuto anche una bambina"
continuò, poco dopo, accertandosi che non decidessi di parlare.
"Cosa?" urlai, nuovamente.
"E io non ne avevo idea! Oh, che maleducata! Non le ho portato nemmeno
un piccolo regalino! E com'è? Somiglia a te? A lei? Al padre? Al
signor Hayama?" chiesi, in un solo respiro, curiosa di quel nuovo
arrivo nella loro famiglia.
Hayama chiuse gli occhi, evidentemente importunato dalle mie piccole urla.
"Ricordami di sbatterti la porta in faccia, la prossima volta che ti
vedrò alla porta di casa mia" si decise a parlare, mantendendo
un'espressione accigliata.
"E rinunciare a questi? So che ti piacciono da impazzire" chiesi,
provocatoria, facendo ondeggiare quei biscotti profumati dinanzi al suo
naso.
"Non mi dispiacciono" mi corresse.
Lasciai cadere quel discorso superficiale, chiedendogli altre
informazioni sulla piccola nipotina che avevo appena scoperto avesse.
"Arriverà a momenti, potrai anche conoscerla da sola" tagliò corto, come al solito.
Giusto il tempo di strozzarlo leggermente incastrandolo nell'incavo del
mio braccio, intimandogli quanto mi facesse innervosire la sua solita
laconicità, per poi sentire il suono del campanello.
Andò ad aprire, liberandosi in pochi secondi dalla mia stretta,
sussurrando un "che seccatura" indirizzato, ovviamente, proprio alla
sottoscritta.
"Ti ho sentito" lo informai.
"Meglio"
Era incredibile quanto quel ragazzo riuscisse a farmi perdere le
staffe. Io non sono un tipo paziente, lo riconosco, ma nessuno, davvero
nessuno, riusciva in così poco tempo.
"Ciao, Nat" salutò sua sorella, con un breve abbraccio, per poi
piegarsi sulle gambe e schioccare un leggero bacio anche a quel piccolo
angioletto biondo.
Vidi Nat correre verso di me, sinecramente felice e gioiosa nel
rivedermi. Parlammo per qualche secondo di quanto ci fossimo mancate, e
del fatto che non perdesse mai di recarsi al cinema quando sapeva
esserci un mio film. Mi accorsi dei capelli, e di quanto li portasse
lunghi adesso. Il fisico fanciullesco era chiaramente andato via, per
lasciare il posto ad un fisico più maturo, più femminile,
seppure fosse in forma smagliante.
Mi presentò la piccola che, per mia sorpresa, corse affermando con quella voce campanellina di conoscermi molto bene.
Mi piegai sulle ginocchia per permettermi di guardarla negli occhi, che sembravano essere di un bel grigio lucente.
"Mi conosci?" chiesi.
"Sì! La mamma mi ha parlato di te, e ho visto anche gli episodi
dello spettacolo che facevi quando eri piccola come me! Sei simpatica!"
"Grazie piccolina, tu invece sei bellissima" le risposi.
"Grazie, zia Sana! E' merito di questo vestito che mi ha regalato il nonno" sussurrò, piroettando.
Mi aveva chiamata "Zia Sana"? Per me fu impossibile evitare che mi si
riscaldasse il cuore. Davvero quella bambina sentiva già
così affetto per me?
"Oh, io non ho portato nulla per te...Colpa dello zio Akito che non mi
ha avvisata" dissi, e subito ci voltammo entrambe verso lui,
comodamente seduto sulla poltrona. Seppure utilizzando due sguardi ben
differenti; in cagnesco io, curiosità e adorazione per la
piccola Koharu.
Poi mi venne in mente un'idea.
"Aspetta, forse qualcosa dovrei avere..." le bisbigliai, cominciando a
frugare nella mia borsa, sotto lo sguardo attento e stuzzicato della
bimba. Quando ebbi tirato fuori la versione in miniatura del mio
piccolo martelletto, sentii Hayama pronunciare un "Oh, no...", mentre
io me la stavo proprio spassando.
"No! non darai quell'oggetto infernale a Koharu! Sia mai dovesse trasformarsi in una stramba come te!" esclamò.
Gli intimai di stare zitto, mentre la piccola prendeva già
confidenza con il piccolo regalino che le avevo dato, colpendo
leggermente il ginocchio dello zio, sotto mio attento consiglio.
Hayama guardò il soffitto, silenziosamente divertito da quella scena.
Così prendemmo il thè tutti insieme, con gli immancabili
biscotti, mentre ascoltavo interessata ciò che era successo a
Natsumi da quando ero partita.
"E così...era un tirocinante che lavorava con tuo padre? Che romantico..." sospirai.
"Sì!" sorrise. "Adesso sono entrambi all'estero, ma dovrebbero
tornare tra qualche giorno. Mio padre sarebbe così contento di
rivederti!"
"Farebbe piacere anche a me!" risposi, sincera.
Lo squillo del suo cellulare interruppe la nostra chiacchierata. Si
scusò per qualche istante, dicendo che si trattasse di una cosa
importante.
Spostai il mio sguardo su Koharu, tutta presa a giocherellare con il nuovo martelletto che le avevo dato. Sorrisi amabilmente.
Impovvisamente la vidi farsi un po' più seria, e guardare sia me che Hayama, che rispondevamo con un'espressione confusa.
"Ehm, io...ho un po' di fame!" tintinnò.
"Hai fame? Hayama cosa possiamo darle da mangiare?" chiesi e mi
ritrovai a domandarmi come un'idiota cosa mangiassero i bambini,
nemmeno fossero creature di un altro universo.
Mi guardò distrattamente. "Dalle uno dei tuoi biscotti, senza andare in paranoie" soffiò, stendendosi sul divano.
"Cosa? No! Ha bisogno di crescere, deve mangiare qualcosa di sano!"
Bisbigliò qualcosa che non riuscii a interpretare, forse qualche maledizione contro di me.
"Non hai nulla di appropriato in frigo?" domandai, alzandomi dalla sedia.
"Qui ci vivo solo io, e mio padre quando è di ritorno dai viaggi d'affari. Non compro cibo per mocciosi"
Feci un verso di disappunto e d'esasperazione.
Gli intimai di alzarsi, per trovare qualcosa da far mangiare a Koharu,
ma sembrò non volesse ascoltarmi. Così, decisi di passare
ai miei vecchi metodi, seppure non ortodossi, facendolo cadere dal
divano, e provocando anche le risate di Koharu.
"Ahi! Ma sei matta?"
"Su, adesso vieni con me in cucina. Dovrai pure avere un po' di frutta!"
Mi seguì, indicandomi un contenitore con delle pesche, mentre
notai anche strane bevande colorate con sali minerali, di quegli
intrugli che utilizzano gli atleti. Mi ricordai della sua passione
verso il Karate.
Tagliai in piccole parti la pesca, e mentre la consegnavo ad Akito,
affinchè potese darlo a Koharu, mi sedetti accanto a lui.
"Non mi hai detto nulla sul karate, Hayama. Come va?"
Sembrò irrigidirsi.
"Ho aperto una palestra mia in cui tengo delle lezioni a bambini e ragazzi" rispose, senza staccare lo sguardo da Koharu.
"Davvero? E' molto bello voler trasmettere una passione a
qualcun'altro" gli riferii, incuriosita da ciò che stesse
dicendo, ma soprattutto ciò che non stesse dicendo.
Finalmente si girò verso di me, sussurrando un debole "Sì".
"A volte, quando qualcuno dei docenti della scuola media prende dei
periodi di assenza dal lavoro, vado anche ad insegnare educazione
fisica" continuò.
"Hayama in una struttura scolastica che insegna, non riuscivo a immaginarlo.
"E tu? Non sei più andato avanti con i gradi?"
"A breve dovrò fare l'esame per il decimo dan cintura nera"
disse, con il solito tono piatto, ma con qualcosa di diverso nel suo
sguardo. Sembrava quasi dovessi tirare le frasi una alla volta, ma ci
avevo fatto l'abitudine. Con Hayama era così.
Hayama era davvero impossibile da decifrare quasi per tutti, se non chi
lo conosceva davvero bene. Era come se come strumento di comunicazione
non utilizzasse mai le labbra, le parole, solo gli occhi, ed era
proprio attraverso quelli, mi roicordai, che tentavo di interpretare i
suoi sentimenti quando eravamo bambini.
"E cos'è che ti turba, allora?" chiesi, consapevole di aver centrato il punto.
Tornò a guardarmi, dapprima sorpreso, incerto, poi rassegnato,
come se si aspettasse che non mi sarei fermata a quella breve frase di
prima.
"Non lo so. E' già la seconda volta che tento questo esame, temo di non poter avere le capacità giuste per farlo"
"Se non sbaglio, lo credevi anche quando eri solo al primo dan, eppure
li hai scalati tutti, perchè hai del talento, e perchè so
che credi in questa arte, esattamente come io credo nella mia. Hai
tutte le carte in regola per poter arrivare al tuo obiettivo" gli
confidai, stringendogli lievemente il braccio.
Mi osservò intensamente per qualche secondo, per poi stringere
la mia mano, ancora poggiata sul suo polso. La breve scossa che
avvertii a quel contatto fu inaspettata e terribilmente scontata al
tempo stesso, talmente scontata che mi arrabbiai con me stessa.
Ci guardammo per qualche secondo, fortunatamente o sfortunatamente interrotti dallo squillo del mio cellulare.
Subito tornammo alle nostre postazioni iniziali, mentre io mi lazai per prendere il telefono lasciato all'interno della borsa.
"Pronto?"
"Sana, sono Rei. Ho ricevuto la telefonata di Zenjiro, accettando per
quelle puntate speciali de "Il giocattolo dei bambini". Dobbiamo solo
andare a firmare."
"Perfetto" dissi, felice.
"E...subito dopo anche Hiroshi ha telefonato, per la pubblicità.
Ho accettato anche quel piccolo spot, e mi ha chiesto un favore."
Non parlai, curiosa di sentire cosa altro volesse dirmi.
"Mi ha chiesto di procurargli delle comparse, solo piccoli ruoli per la
pubblicità nulla di che. Così ho pensato potessi dirlo ad
alcuni dei tuoi amici. Che ne dici?"
Immaginai un Hayama tutto impacciato davanti la cinepresa, e risi senza che Rei potesse capirne il motivo.
"Sana?" mi chiamò, facendomi riprendere dalla mia immaginazione.
"Oh, sì, Rei. Beh, posso chiedere cosa ne pensano.
Sarebbe...interessante!" dissi, quasi cantando, pregustando già
cosa avrei costretto a fare quell'Hayama ancora ignaro.
"D'accordo, ci sentiamo più tardi. Un bacio" riferii, posando il telefono sul tavolo.
Tornai in cucina, dove trovai anche Natsumi.
"Hayama, chiama Aya, Fuka, e Tsuyoshi. Dì di vederci al parco tra mezz'ora. Ho qualcosa di interessante da dirvi."
Mi guardò interrogativo, e fui abile nel riuscire a scorgere
anche una sfumatura di preoccupazione, consapevole di non immaginare
cosa aspettarsi da me.
"Su, sbrigati!" gli ripetei.
"Sana, che cosa ti frulla in testa?"
"Oh, l'idea non è mia, ma sono sicura vi piacerà. Su, ti
aspetto in macchina" riuscii a dire, mentre già riprendevo la
giacca e la borsa, dopo aver salutato Natsumi e la piccola Koharu.
"Tu sei matta, Sana!" esclamò, Fuka.
"Sono d'accordo!" fu la risposta di Tsuyoshi.
"Avanti, ragazzi! Non è nulla di brutto! Dovrete solo essere ripresi per qualche secondo. Per favore!"
"Sì, beh...forse non è così male come idea.
Potrebbe essere divertente!" si contrappose Aya. Finalmente qualcuno
che la potesse pensare come me.
I ragazzi sembrarono pensarci su per qualche secondo. Assaporavo
precocemente il fatto di averlo convinti, con l'aiuto di Aya, mentre
osservavo Hayama, che non aveva proferito alcuna parola.
Lo richiamai.
"Hayama, tu...tu che ne pensi?"
"Dico che non se ne parla nemmeno. Potrai convincere loro, ma non me." mi informò, deciso.
"Su, Hayama!" parlai, mettendomi di fronte a lui.
"No. Odio le telecamere. Non sopporto quegli aggeggi, e quelle persone
strane. Già ho te, e in quanto a stranezze, sei già
sufficiente."
"Sei soltanto accecato dai preconcetti"
"No."
Lo tirai per un braccio, allontanandoci un po' dal resto dei nostri amici.
"Ti ricordi poco fa? Quando ti ho detto di credere nella mia arte,
così come tu credi nella tua? Non dicevo bugie. Ma oltre a
credere in ciò che faccio io, sono tua amica, e credo anche in
ciò che fai tu. Per te non è così?" gli domandai,
parlando d'un fiato, mentre sentivo Aya e Fuka domandarsi a cosa
potesse riferirsi "poco fa".
Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
"Kurata, io...io detesto quelle cose lì, le detesto più o
meno da quando avevo tredici anni" mi rivelò, serio, lasciandomi
intuire un probabile motivo per cui potesse provare tanta antipatia
verso il mondo dello spettacolo. Ma forse era solo uno stupido pensiero
che la mia mente si divertiva a fare arrivare.
Continuai a guardarlo, senza dire alcuna parola.
Sospirò. Un sospiro che suonò come un guerriero in ritirata, arreso.
"D'accordo" pronunciò, scocciato.
Gli sorrisi, uno di quei sorrisi luminosi che a poche persone donavo.
Tornando, successivamente dai miei amici, dissi che saremmo stati tutti
favorevoli, mentre immaginanai di tenere un astratto premio tra le mani.
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