Tell me
Kuroo – Perché
non mi rispondi? Ti sto chiamando da ore.
Kuroo – Mi
stai facendo preoccupare. Kei, ti prego, rispondi.
Kuroo – Rispondi
a questo dannato telefono!
E Kei, chino sulla sua scrivania, non rispose.
Gli esami finali erano alle porte, tra poche
settimane si sarebbe diplomato. Ricordava ancora quando, durante il primo anno
di università di Tetsurou, era accoccolato contro il suo petto, nel suo piccolo
monolocale a poche fermate di metro dalla facoltà, e ascoltava i suoi
vaneggiamenti sul futuro.
“Il monolocale è piccolo, ma in due
persone ci vivremo bene. Ti trasferirai qui e andremo ogni giorno insieme alle
lezioni, e la sera ci racconteremo le cose successe. E poi sai che l’università
ha anche un’ottima squadra di volley? Andremo a fargli vedere come si gioca!
Vero, Tsukki?”
Il primo anno di università di Kuroo era stato il
migliore anche per la loro relazione. Era libero di ospitarlo quando gli
facesse più comodo, e grazie al lavoro part-time in una caffetteria riusciva
anche a pagargli qualche viaggio. Erano infiniti i weekend che Kei aveva
passato a Tokyo, intento a cucinare qualcosa di commestibile mentre attendeva
che Tetsurou tornasse dal lavoro. E non era mai stanco, anche dopo turni
infernali riusciva sempre a trovare la forza per passare del tempo con lui, e
per amarlo sul suo futon da quattro soldi.
Poi giunse il terzo anno di liceo per Kei.
Cominciò ad essere sempre più sommerso dallo studio,
dalle cose da recuperare, e dagli allenamenti che gli rubavano tempo prezioso.
Era stato costretto a dover rifiutare più volte gli inviti di Kuroo, a dover
rimandare viaggi programmati e a dover campare scuse su scuse. E così giunsero
i primi litigi, le prime incomprensioni, fino a quel giorno.
“Cosa devo fare per attirare la tua
attenzione? Sono giorni che non ti fai sentire! Capisco lo studio, ma diamine
anche io ho gli esami e il lavoro eppure trovo sempre il modo di farmi
sentire!”
“Lasciami in pace! Mancano due settimane
agli esami e sto maledettamente indietro per colpa di tutti i weekend persi con
te.”
“Ah, adesso è colpa mia? Scusami se ho
fatto i salti mortali per trovare il modo di vederti! Sai che ti dico, Kei, vai
a farti fottere!”
Kei era rimasto pietrificato. Non aveva mai sentito
Tetsurou arrabbiato in quel modo. In tre anni di relazione non si era mai
permesso di parlargli con tale ferocia. Agganciò il telefono senza pronunciare
altre parole, e non gli rispose più.
Kuroo si era pentito pochi minuti dopo e continuava
a subissarlo di telefonate, inutilmente.
Kei non avrebbe ceduto.
*
“Complimenti, amore mio!”
“Mamma, per favore, stai dando spettacolo.”
“Ma quale spettacolo, sono solo orgogliosa del mio
bambino! Guardati, quanto sei cresciuto, sei bellissimo!”
Era arrivato finalmente il giorno della cerimonia di
diploma. Kei e tutti gli altri del terzo anno accoglievano i complimenti delle
rispettive famiglie, con mamme commosse e padri che sferravano sonori colpi
sulle spalle dei giovani malcapitati.
“Tsukki!” Yamaguchi raggiunse l’amico correndo. “Ho
saputo che questo sabato ci sarà l’open-day dell’Università Imperiale di Tokyo.
Stavamo pensando di organizzarci per andare anche con Hinata e Kageyama. Sei
dei nostri?”
“Quei due ignoranti hanno anche intenzione di
iscriversi all’università? Poveri illusi.”
Yamaguchi ridacchiò a bassa voce. “Non farti
sentire. Dai, sarà divertente! Potremmo anche contattare Daichi-san e gli altri
per incontrarli!”
Kei abbassò il capo, pensieroso. Lui e Kuroo si
erano promessi molto tempo prima di incontrarsi per l’open-day, ma da
quell’ultima litigata non si erano più sentiti. E se lo avesse incontrato?
Sbuffò, e poi guardò di nuovo l’amico. “Va bene, ci
sono.”
Avrebbe corso il pericolo.
*
Tre settimane.
Tre settimane che non sentiva Kei.
Tetsurou fissava un punto indefinito del soffitto
della propria stanza e il calendario appeso al suo fianco segnava il giorno
dell’open-day, circondato da un cerchio rosso e una scritta: “finalmente Tsukki
a Tokyo”.
E invece…
E invece niente.
La borsa della Karasuno con il necessario per la
notte non era poggiata al solito angolo vicino l’armadio, e lui non era tra le
sue braccia.
Sarebbe venuto ugualmente? O il loro litigio era
stato così duro da fargli cambiare idea anche su quello.
No, Kei non cambiava idea facilmente. La facoltà di
Scienze dell’Imperiale era tra le migliori del Giappone, e Kei non aveva avuto
dubbi sulla scelta. Sarebbe sicuramente andato all’open-day, magari con i suoi
compagni di classe.
Lo avrebbe trovato. A qualsiasi costo.
La facoltà era strapiena di gente. Non sarebbe stata
di certo un’impresa facile, ma ne valeva la pena.
Kuroo si fece largo tra la massa, dirigendosi
direttamente alla facoltà di Scienze. I visitatori erano organizzati in gruppi
da dieci, forse così sarebbe stato più facile trovarlo. E poi era alto,
dannazione, il suo capo biondo lo avrebbe riconosciuto in mezzo ad un milione
di gente.
Si avvicinò all’entrata, trovando tra gli
organizzatori un suo conoscente.
“Kuroo-san, che ci fai qui? Sei anche tu tra gli organizzatori?”
“Ohi, Tachibana. No, sto cercando un amico. Ascolta,
quanti gruppi sono già entrati?”
“Mh, credo cinque.”
“E hai per caso notato un ragazzo molto alto,
biondo, con degli occhiali neri?”
“Biondo… alto… Sì, forse sì! Possibile che fosse con
altri tre ragazzi, tra cui uno bassino e rumoroso, con i capelli rossi?”
Hinata, sicuramente era lui. “Sì, bravissimo! Da
quanto sono entrati?”
“Guarda, credo da una decina di minuti. Dovrebbero
essere ancora al primo piano.”
“Grazie mille! Ti devo un caffè!” gridò Kuroo,
correndo verso l’entrata.
Sganciò qualche gomitata, scusatemi, non ho tempo
per le buone maniere, e seguì le indicazioni per i visitatori. Notò un
primo gruppo fermo davanti all’aula magna, un altro che usciva da una delle
aule di lezione, e un altro ancora che saliva al piano superiore. Kei non era
in nessuno di questi.
Salì le scale due alla volta e seguì le frecce che
indicavano i laboratori, scorgendo finalmente il tanto agognato capo biondo. Si
bloccò di colpo, restando dietro di loro. Le mani cominciarono a sudare e il
cuore ad accelerare la sua corsa.
Fu Yamaguchi a girarsi distrattamente e a notarlo. Gli
fece cenno di stare in silenzio e di non dire a Kei della sua presenza,
rimanendo in disparte ad osservarlo.
Era dimagrito, ancora, ed era più pallido del
solito. Stava mangiando? Stava bene? Ah, quel cretino. Se non era lui a
ricordargli di mangiare era probabile che se ne dimenticasse. Raccolse il
coraggio a due mani e approfittò di un momento propizio per avvicinarsi,
timoroso.
Kei dapprima non se ne accorse, ma fu Hinata a farlo
per lui.
“Ehi! Ma quello è Kuroo-san!”
Vide Kei sbarrare gli occhi e voltarsi di scatto
verso di lui. Si fissarono per qualche istante in silenzio, quasi con
imbarazzo. “Ciao” pronunciò, a bassa voce.
Kei fece un cenno con il capo. “Andate avanti, vi
raggiungo subito” disse, rivolgendosi ai suoi compagni. Poi tornò di nuovo su
di lui. “Mi hai seguito?”
Kuroo corrucciò la fronte. Dirgli la verità o fare
finta di essere lì per caso?
Ma quale caso.
“Sì. Perché non mi hai detto che saresti venuto?”
“Non ero tenuto a farlo.”
Freddo. Kei era più freddo che mai. Davvero avrebbe
voluto concludere così i tre anni di relazione?
“Kei, vieni con me, per favore” tentò Kuroo,
afferrandogli la mano.
Kei la ritrasse bruscamente. “Ti ricordi quello che
mi hai detto l’ultima volta, vero? Vai a farti fottere. Bene, io ci sono
andato. Ora vacci tu.”
Fece per voltargli le spalle ma Kuroo fu più veloce.
Lo prese per un braccio e cominciò a trascinarlo dietro di sé, con forza, senza
che Kei potesse tirarsi indietro. “Ora basta, mi ascolterai, anche a costo di
legarti!”
“Tetsurou! Fermati! Lasciami andare.”
Gli studenti si voltarono a guardarli, sconcertati,
mentre Kuroo tirava Kei giù per le scale, fino a chiuderlo dentro un bagno. “Adesso
mi ascolti!”
“Sei un pazzo! Ti sei reso conto di quello che hai
appena fatto?!” gridò Kei, spingendolo contro la porta. “Hai dato spettacolo in
mezzo a centinaia di persone! Persone che si ricorderanno la mia faccia e mi
prenderanno in giro per tutto il prossimo anno!”
“È di questo che ti preoccupi, Kei, davvero? Sono
settimane che non ci sentiamo, non mi rispondi ai messaggi, alle chiamate, sei
sparito senza darmi modo di spiegare, di scusarmi! Dopo tre anni buttati all’aria
quello che ti interessa è che le persone ti prenderanno in giro per oggi?!”
“Cos’hai da spiegare, eh? Che sei un dannato
egoista? Che non ti interessava che io fossi stressato e carico di impegni e
volevi solo che prendessi quel fottuto treno e venissi a scopare a casa tua?!”
Kuroo gli afferrò con forza i polsi, strattonandolo.
“Credi davvero che fosse quello il mio interesse? Credi davvero che avrei
litigato mille volte con i colleghi per farmi spostare i turni a lavoro per
avere il weekend libero con te? O a farmi mettere gli orari pomeridiani per
poter passare la serata insieme? Ogni mese spendevo la metà del mio stipendio
per pagarti i viaggi e credi che io lo facessi solo per una scopata? Davvero,
Kei?!”
“Adesso vuoi rinfacciarmi anche questo?”
“Non ti rinfaccio nulla! Avrei pagato anche tutto l’oro
del mondo per vederti ogni giorno, e l’avrei fatto perché ti amo, lo capisci?”
gridò, affannato. “Ti amo, dannazione, e anche se tu non me l’hai mai detto
sapevo che era lo stesso anche per te!”
Kei sgranò gli occhi. Gli angoli cominciavano a
pizzicare e le mani tremavano. Era vero. Non gliel’aveva mai detto in tre anni
di relazione. E Kuroo non gliel’aveva mai fatto pesare.
“Cosa vuoi da me, ora?” sussurrò, con un filo di
voce.
“Voglio sapere se c’è ancora un senso al fatto che io
passi ogni fottuto giorno in attesa di una tua chiamata, o di un tuo messaggio,
o di un cazzo di piccione viaggiatore, qualsiasi cosa. Dimmi se ha ancora un
senso tutto quello che abbiamo passato in questi anni, e tutto quello che ci
siamo promessi. Dimmi se ho ancora speranza di vedere il tuo spazzolino nel mio
bagno, o di trovare i tuoi occhiali sulla scrivania della mia stanza. Dimmelo,
Kei. Altrimenti uscirò da questo posto e non mi vedrai mai più.”
Silenzio.
Kei non rispondeva. Teneva gli occhi bassi, fissi in
un punto qualunque della sua maglia, ma non gli rispondeva.
Passarono secondi interminabili, minuti che
sembrarono ore.
Kuroo non disse altro. Lasciò la presa sui polsi e si
voltò verso la porta. “In bocca al lupo per l’università” sospirò, e afferrò la
maniglia.
Un colpo. Una testa poggiata al centro delle sue
scapole e due mani aggrappate alla sua maglia.
Chinò il capo in basso, scorgendo le lunga dita
affusolate di Kei che stringevano la stoffa.
“Sei un egoista.” Hai fatto tanto per me.
“Sì.”
“Sei la persona peggiore che abbia mai incontrato.” Sei
la persona migliore del mondo.
“Sì.”
“Ti odio.” Non è vero.
“Sì.”
Le mani si strinsero ancora più forte e un
singhiozzo spezzò la voce.
“Ti odio!” Ti…
Tetsurou si liberò
dalla presa e si girò tra le sue braccia.
“Sì, Kei. Mi odi.”
Si guardarono negli
occhi, ormai entrambi carichi di lacrime.
“Ti odio.” Ti amo.
Al diavolo l’università, al diavolo l’open-day, l’abbraccio
di Kuroo era l’unico posto in cui Kei voleva stare. Erano scappati a testa
bassa dalla facoltà, baciandosi contro ogni muro libero che trovavano. Si erano
trattenuti solo nella metro, ma non avevano mai sciolto la stretta delle loro
mani. Aprire la porta di casa con Kei premuto contro di essa non era stato
semplice, e forse le chiavi erano ancora attaccate alla serratura dopo che si
erano introdotti freneticamente nell’appartamento. Le scarpe erano state
lanciate chissà dove, e il pavimento dell’ingresso sembrava il posto più comodo
del mondo.
I vestiti erano stati sfilati alla rinfusa, e Kei lo
aveva anche rimproverato dopo aver sentito un inconfondibile strap
mentre gli tirava via la camicia. La bocca di Tetsurou però era già sul suo
corpo, e neanche se fosse stata la camicia più costosa del mondo lo avrebbe
fermato.
Se c’era una cosa che a Kei era mancata era il
calore dei suoi baci, che riuscivano ad incendiarlo anche nelle notti più
fredde dell’inverno di Tokyo. Le sue mani grandi lo toccavano ovunque, la sua
lingua assaporava ogni angolo della sua pelle, e il suo sesso lo portava all’ecstasy.
E dopo ore infinite d’amore erano lì, nudi,
abbracciati sul futon aperto solo perché diavolo questo pavimento mi sta
spaccando la schiena.
Il telefono di Kei aveva squillato più di qualche
volta, ma niente valeva la pena di liberarsi da quella presa.
“Dovresti avvertire i tuoi amici che sei qui” lo
consigliò Kuroo, mentre gli accarezzava i capelli.
“Lo avranno capito, ormai, credo. Avvertirò poi mia
madre che stanotte resto qui.”
“Ma non ti sei portato nulla per notte.”
“Mi stai cacciando?”
Kuroo sorrise, stringendolo ancora di più al suo
petto. “Vorrà dire che domani mattina uscirò a comprarti uno spazzolino nuovo.”
Kei mugugnò e lasciò un tenero bacio sul collo del
suo compagno. “Buona idea, tanto mi servirà ancora.”
E Tetsurou chiuse gli occhi. Quello era il suo modo
per dirglielo.
*
“Hai tutto pronto, amore? Non stai dimenticando
niente?”
“No, mamma, ho ricontrollato già mille volte. E se
poi avessi dimenticato qualcosa lo prenderò quando tornerò questo fine
settimana. Non preoccuparti.”
“Ah, il mio bambino.”
La madre di Kei si asciugò una lacrima,
abbracciandolo sull’uscio di casa. Il padre e Akiteru erano pronti in macchina,
dopo aver caricato il bagagliaio di tutto l’occorrente.
Kei stava per trasferirsi a Tokyo.
Con facilità era entrato alla facoltà di Scienza e i
corsi sarebbero iniziati dopo due settimane. Giusto il tempo di ambientarsi e
porre le basi per la sua nuova vita.
“Andiamo, o si farà tardi” incalzò il padre.
“Mi raccomando, Kei, qualsiasi cosa chiama. Mangia,
e non farmi preoccupare!”
Kei sbuffò, ma poi sorrise ricambiando l’abbraccio
alla madre. “Stai tranquilla.” Ho qualcuno che si prenderà cura di me.
Trascinare le valigie su per le scale non fu molto
semplice, soprattutto vista la quantità di cose di cui la madre lo aveva
caricato. Era seduto affaticato su una sedia della cucina, scrutando la massa
di scatoloni da sistemare e il suo nuovo paio di chiavi che giaceva su uno di
quelli. Il portachiavi a forma di dinosauro era forse un po’ troppo grande per
solo due chiavi, ma almeno non avrebbe fatto fatica a trovarlo.
Il padre e il fratello erano andati via da una ventina
di minuti e Kei girovagava per l’appartamento, studiando i posti in cui avrebbe
potuto posizionare le sue cose.
D’un tratto un rumore lo fece sobbalzare.
La porta si aprì e una figura sorridente si stagliò
sull’uscio.
Kei sorrise, si guardò intorno e allargò le braccia
per accogliere il suo coinquilino.
“Okaeri.”
Tetsurou quasi lacrimò di gioia e gli corse
incontro, abbracciandolo con forza.
“Tadaima, Kei!”
Note dell’autrice:
ah, quanto mi erano mancati questi due. Non sapete quante volte avevo
cominciato a scrivere qualcosa per poi lasciare tutto in sospeso, e invece
questa shot mi è uscita tutta in un giorno. Forse anche per questo sarà un po’
una cagatina, ma se non la concludevo oggi non avrei avuto più modo di farlo.
Attendo i vostri pareri ^^
Un bacione, Jes. (P.S. Facebook)