Commento/Sclero:
Allora, non so cosa sia uscito fuori da questo delirio. Come al solito, finisco
a mattina inoltrata e dopo una notte in bianco e… ucciderò il cane del vicino!
è_é che diamine hai da abbaiare fino alle 4:31? Accoppatelo!
Sclero a parte, è strana sta storia, veramente molto
°-°. Però mi ispirava ù_ù.
La canzoncina che si ripeterà spesso, va cantata
seguendo la musichetta del camioncino dei gelati americano ù_ù.
Penso basti… ah, Orochimaru non ha l’uso delle
braccia, per questo c’è Kabuto, ma usa tranquillamente altro XD.
Umh… quello che fa Itachi al pg a sorpresa, non è
nel manga (fortunatamente per Reki), ma è una cosa che chiedeva la
trama. Oltre a renderla tra il dark e l’Horror XD.
Sono arrivata Seconda *O* Yay! Rileggendo la storia,
però, ho in mente di renderla long. In realtà si potrebbe benissimo definire
una raccolta di one-shot collegate dalla filastrocca.
Quindi… aspettatevi un seguito ù_ù
Complimenti a tutte le partecipanti ^O^ e lasciate
un commentino, non siete mica cani che non sanno scrivere ù_ù che vi costa? Un minuto
ella vostra vita? Rendereste felice qualcuno almeno XD
Enchant Fragrance
[Incense]
Capitolo 1: [Chi ha ucciso il
pettirosso?]
Chi ha ucciso il pettirosso?
Io, ha detto il passero,
con un mio arco ed una mia freccia,
Io ho ucciso il pettirosso.
[Le filastrocche di Mamma Oca]
«E la palla rotola!
Rotola! Rotola! E la palla rotola! My poor Prince.»
Buio.
Oscurità.
Tenebre.
Semplici sinonimi
indicanti un’assenza di luce.
Dove gli occhi non possono
arrivare, costringendo chi vaga in quel luogo ad adoperare i restanti sensi.
Udito:
Una voce infantile canta
una nenia macabra e sconosciuta, ma che risveglia un sentimento nostalgico a
chi l’ascolta.
«E la palla rotola!
Rotola! Rotola! E la palla rotola! My poor Prince.»
Olfatto:
Un odore dolce e rilassante,
che sa di erbe e alcol; di selvatico; di qualcosa che è impossibile descrivere,
ma che impregna le pareti di una stanza dai contorni indefiniti.
Gusto:
Amaro. La fragranza
penetra insistente nelle narici, giungendo così alla bocca; poggiandosi dolcemente
sulla lingua per farsi assaporare, facendosi beffe di chi ha ingannato con il
suo buon profumo, rilasciando invece un gusto amaro.
Tatto:
Inutile. Le mani non
possono poggiarsi a nulla.
Vagano nel vuoto oscuro
che circonda la strana dimensione circostante. Impossibile identificare un
punto fisso.
Nessun sole che indica
l’Est o l’Ovest.
Nessuna stella che porta a
Sud o a Nord.
Si passa così al sesto
senso, che ad alcuni porta bene, ad altri conduce verso la morte.
Istinto puro, che guida in
quel cammino oscuro, apparentemente senza senso, una figura cieca e priva del
tatto.
Testa alta; spalle ritte;
sensi allerta; mano alla spada.
La voce infantile echeggia
tra le pareti invisibili, indicandogli la direzione da prendere.
Nessuna svolta. Nessuno
svincolo. Nessun ostacolo.
C’è solo lui. E quella voce.
Passi piccoli e rumorosi.
Passi lenti e cadenzati; silenziosi.
Luce.
Una piccola luce che brilla
in un punto lontano, ma che pare stranamente anche vicino.
Risa. Qualcosa che
rimbalza a terra. Risa. Fruscio. Risa. Passi.
Di nuovo.
All’infinito.
Eterno.
Nauseante.
E l’intruso di quel mondo,
continua a camminare lentamente, avvicinandosi un po’ di più. Allontanandosi un
po’ di più.
Risa. Parole sconnesse.
Canto.
In un misto di euforia e
terrore, quando brividi gelidi percorrono la schiena fino al cervelletto.
Tu-tum. Tu-tum.
Tu-tum.
Un cuore che batte
lentamente, rilassato per un motivo sconosciuto, quando invece dovrebbe
accelerare, ansioso di scovare un qualsivoglia nemico.
Fine.
L’irretire dei sensi.
Tutto pare ovattato, come
le tenebre avvolte attorno al suo corpo in un macabro abbraccio.
Caldo.
Troppo.
Fastidioso.
L’invasore di quello
spazio proibito e astratto, avanza per un tempo infinito; incalcolabile.
Secondi? Minuti? Ore?
Il corpo colmo di una
stanchezza strana, costruita apposta per lui.
Tessuta in una tela forte
e mai fragile.
Non appiccicosa, ma
delicatamente avvolgente.
E l’odore è più forte,
tanto che penetra senza sosta fino al cervello.
Confondendo ogni senso;
spingendolo a continuare senza una meta stabilita.
Ed il ritornello di quella
strana canzone continua. Immutata come la prima strofa. E la seconda.
«E la palla rotola!
Rotola! Rotola! E la palla rotola! My poor Prince.»
Ora ha la luce davanti a
sé, che illumina i lineamenti giovani ed ancora delicati del volto.
Capelli neri come la pece,
occhi del demonio. Rossi come il sangue.
Pelle nivea come la luna
più lucente.
Porta la mano sinistra,
dalle dita affusolate, verso la luce che tanto lo attrae.
«Così
stupidamente simile ad una falena.»
Ed è quasi un
parallelismo.
Lui, che ha sempre vissuto
nel buio del passato, ora vaga anelando a quella luce.
Tatto.
Le dita sfiorano qualcosa
di freddo e liscio, come di un vetro bel levigato ed intuisce che è uno
specchio.
Vista.
Vaga con lo sguardo la
superficie riflettente, aspettandosi che questa rimandi la sua immagine.
Occhi vuoti.
Labbra dalla piega dura.
Rigido. Composto. Esausto.
Vecchio.
Dannatamente vuoto.
Come il suo stato d’animo.
Nessun sentimento di paura
o eccitazione.
Ma è solo immaginazione
della sua mente, perché il riflesso non c’è.
In compenso, una bambina
dai lunghi capelli color carbone gioca tranquilla al di là di quel mondo irreale.
È lei che canta.
La stanza dove gioca è
colma di rose rosse.
L’invasore assottiglia gli
occhi, soffermandosi su quel particolare.
No. Non sono rose.
«…Papaveri.»
Constata a bassa voce.
La bambina pare sentire
quell’affermazione e ferma i giochi. Ed il canto.
Si inginocchia afferrando
quella che, almeno lui suppone, essere la palla che tanto decantava.
La vede voltarsi e sorridere
radiosa, mentre chiude amabilmente gli occhi.
Ha un volto famigliare.
La vede avvicinarsi
lentamente a lui e poggiare una manina pallida sul vetro, continuando a
sorridere come se avesse trovato un nuovo compagno di giochi.
Muove le piccole labbra
rosse, proferendo con voce stranamente adulta:
«Non è ancora tempo per
te, Sasuke-chan1.»
Troppo adulta. E troppo
famigliare.
La bambina apre gli occhi,
scoprendo iridi nero brillante dal taglio grande, nonostante allungato.
Indossa un grazioso kimono
nero, ricamato con cura da tanti piccoli petali rosa di ciliegio.
Sasuke sgrana gli occhi,
domandandosi se è mai possibile che quella bambina sia proprio colei che crede.
Qualcuno
ride malizioso e beffardo, ma non viene avvertito e ritorna alla sua oscurità,
lasciando che il ragazzo estraneo giunga alle sue ovvie conclusioni.
«…Kaa-san2?»
Sì.
Mikoto Uchiha sorride
ancora, ma il suo sguardo è malizioso; sbarazzino.
«E
la testa rotola! Rotola! Rotola! E la testa rotola! My poor...»
Accusatorio.
Una lama lucente affonda
senza la minima esitazione nel piccolo collo niveo.
Un taglio netto. E la
testa rotola.
Due tonfi.
E quella che credeva essere
una palla, tenuta saldamente fra le mani della Mikoto bambina, si rivela
invece un’altra testa. Quella di Fugaku Uchiha.
Il bianco perlaceo
dell’osso. La carne tenera rossa appena recisa con dovizia e precisione.
Un secondo.
Ed il sangue fluisce a fiotti,
imbrattando lo specchio.
E la sua mano ancora
poggiata sul vetro.
La linfa pregna di una
vita appena recisa davanti ai suoi occhi, pare prendere coscienza e, lentamente,
ricopre il tessuto chiaro dei vestiti che indossa.
Tu… tum… Tu…
tum… Tu… tum.
Il respiro mozzato in
gola.
Gli occhi sgranati dall’orrore;
dal terrore reverenziale che quella scena ha riportato alla sua mente.
Flash.
Due
cadaveri. Un vivo.
Due
vittime. Un carnefice.
Un
bambino.
Dolore.
Disperazione. Incredulità.
Incubo! Incubo! Incubo!
Le labbra socchiuse, che
lentamente si aprono in un muto grido di rabbioso.
Ed un volto, fin troppo
conosciuto, si delinea nello specchio.
Il proprio riflesso
mischiato a quello dell’assassino.
Occhi rossi. Lunghi
capelli neri racchiusi in una coda bassa. Profondi segni, simili a cicatrici,
ai lati del naso. Bocca inflessibile. Sguardo insondabile.
Voce bassa e sensuale.
«E la testa rotola!
Rotola! Rotola! E la testa rotola! My poor Otooto3.»
La persona che tanto ha
amato da bambino, si avvicina, sorpassandolo con tranquillità il vetro;
attraversando inesorabilmente lo specchio.
Prima il viso. Poi il
braccio sinistro, coperto da una manica nera con il ricamo di una nuvola rossa.
Sasuke rimane immobile,
bloccato da una forza sconosciuta.
Gli arti pesanti ricadono
inerti sui fianchi.
Il cervello funziona
normalmente, ma il corpo non recepisce alcun comando.
Il chakra, non riesce ad
impastarlo.
Ed è costretto ad
osservare inerme, come un topo in trappola, Lui.
Suo fratello.
Che lo afferra per i
capelli spingendoselo contro, mentre porta la bocca verso il suo orecchio, domandando
in un gelido sussurro:
«Chi
ha ucciso Kaa-san e Tou-san4?
…»
Un uomo dai lunghi e ben
curati capelli neri, si alza - ed esce - dal corpo che ha sotto di sé.
Gli occhi dall’iride serpentina,
dal taglio allungato e truccati di viola, brillano di una lussuria appena
placata, accentuata dal ghigno sinistro e soddisfatto che gli incornicia il
volto scarno.
Sasuke Uchiha apre
stancamente gli occhi, impiegando qualche secondo per capire dove si trova.
Fa un istante mente
locale, fissando, senza vedere realmente, Orochimaru che lascia la stanza,
sghignazzando soddisfatto.
Sposta lo sguardo sul
letto sporco di sperma, storcendo a malapena il naso dallo schifo che prova,
tanto la stanchezza l’opprime.
Sbuffando piano, chiude
gli occhi infastidito, sicuro che stia dimenticando qualcosa.
E non che Orochimaru se
lo è appena fottuto.
Si ricorda di quando il
Sannin - e Kabuto, anche se non lo considera nemmeno - è entrato nella stanza
per richiedere, come sempre, i suoi servigi particolari.
Sa anche che prima di
prenderlo ha fatto qualcosa, ma ecco una cosa che non ricorda di preciso.
Alzandosi lentamente a
sedere, non preoccupandosi nemmeno di coprirsi l’intimità, riflette.
Orochimaru che entra nella
stanza.
Lo ricorda.
Orochimaru che si avvicina
al comodino e…
Un odore dolce e
rilassante risveglia i suoi sensi.
Volta di scatto il viso
verso destra, trovando un bastoncino di incenso quasi del tutto spento, ma che
emana ancora un lieve profumo.
Lo afferra saldamente,
stringendo le labbra in una piega dura e rabbiosa.
Ora Ricorda. Tutto.
Orochimaru che, ghignando mellifluo,
gli spiega di come quell’incenso lo avrebbe favorito nella
concentrazione.
Stringe il pugno, mandando
in frantumi la base ancora accesa del bastoncino.
«Oppio. E assenzio.
Itachi.»
«Chi
ha ucciso Kaa-san e Tou-san?
Io. »
Tsuzuku…
Traduzioni (anche se ormai
dovrebbero saperlo pure i muri) e note:
1Sasuke-chan: la particella -chan, generalmente è usata
per le ragazze e letteralmente significa “piccola”. Mikoto, lo usa anche con
Sasuke, quindi…
2Kaa-san: Madre.
3Otooto: Fratello minore. Non serve la maiuscola, ma è
una mia piccola deformazione professionale, oltre al fatto che, come si è
notato, nelle parti inglesi c’è una maiuscola, una minuscola e ancora una
maiuscola ù_ù.
4Tou-san: Padre.
La faccenda del “Prince”,
riguarda un piccolo gioco di Mikoto di mia invenzione. Le mamme, si sa, quando
siamo piccoli magari ci chiamano: principesse o principi. Perché lei non
dovrebbe farlo? ù_ù così è nato il “Prince”. Il “poor”, povero, è facilmente
intuibile XD
Per l’oppio e l’assenzio,
c’è una specie di leggenda. Si pensa, ma non è attestato storicamente, che nell’ottocento
l’assenzio venisse adulterato con l’oppio, mischiando questo veleno con la
droga per prenderne le proprietà. Quindi rimane sì veleno, ma con le proprietà
della droga.