gli umani la chiamano kenopsia
Racconto scritto per il
contest "Per
Quando il Dizionario Non Basta" indetto sul
forum di EFP.
Prompt n. 8
- Kenopsia:
L’atmosfera
misteriosa e desolata di un luogo solitamente affollato di persone ma
adesso
deserto e tranquillo – il corridoio di una scuola di notte,
un ufficio durante
il weekend, fiere chiuse. Adesso non sembra vuoto, ma incredibilmente
vuoto.
Note
autore:
È possibile che in futuro questa one-shot diventi una
raccolta in cui narro altri eventi di vita dei protagonisti principali
che incontrerete nel testo. Tra gli avvertimenti, per il momento ho
messo “incompiuta”
proprio perché, ora come ora, la storia potrebbe sembrare
uno spezzone non ben indentificato di una storia che necessita maggiori
chiarimenti. Buona lettura.
Gli
umani la chiamano kenopsia
Gli
ambienti deserti dell’immensa residenza reale Astraliya
Ghaditti erano pervasi
da un ronzio sinistro; la prima cosa che veniva in mente era un vecchio
macchinario
arrugginito che arranca per svolgere il proprio lavoro,
o gli artigli di un mostro che tentano di
graffiare via l’intonaco, la malta e i mattoni da una parete
per uscire
dall’altra parte e divorare tutto.
Mentre
percorreva i corridoi di quella che era stata la sua dimora fino a poco
tempo
prima, Kathra ascoltava assorta quel rumore. Si stava dirigendo verso
la sala
da ballo, con l’intenzione di rivedere un’ultima
volta i luoghi che l’avevano
accompagna nel momento più bello della sua vita e
sperimentare nuove emozioni.
L’enorme
salone, ora vuoto, provocò nella giovane ghiacor1
una
sensazione indescrivibile
che, partendo dal petto, si andava diffondendo in tutta la sua persona.
I suoi
occhi dalle iridi lucenti e dorate si chiusero e si riaprirono con una
lentezza
esasperante. Ricordò le feste in maschera, le cerimonie con
ospiti d’onore, il
suo fidanzamento ufficiale con il principe umano Lerol. In tutte quelle
occasioni il luogo era pieno di persone che chiacchieravano e musica
che si
spandeva dal palco dell’orchestra. In tutte quelle occasioni
lo spazio era vivo:
ora invece sembrava un essere solitario abbandonato ai confini del
mondo, nudo,
svuotato da ogni sentimento, e questo a Kathra metteva i brividi.
Il
pavimento era in marmo rosso e, se si prestava attenzione, si potevano
notare
anche alcuni graziosi fossili rimasti imprigionati nel tessuto
roccioso. Le
quattro
pareti erano interamente coperte da dipinti immensi, circondati da
maestose
cornici bagnate in oro di Ra’ech, estratto dalla miniera
dentro la bocca del
vulcano più alto del pianeta. I soggetti delle tele erano
storiche battaglie
spaziali, città collocate all’altro capo
dell’universo –
e forse già scomparse
da millenni, eroi diventati divinità immortali dopo essersi
gettati tra le
fauci di una stella collassata. A Lerol piaceva molto quel tipo di
arte,
e
Kathra lo seguiva sempre volentieri nei ragionamenti sulle
impercettibili
differenze di stile tra un artista e l’altro.
La relazione tra Kathra e il principe terrestre era stata
caldamente consigliata –
per usare un eufemismo –
dal
Governo Centrale allo scopo di migliorare i
rapporti tra le due civiltà.
Lei aveva imparato ad amare l'umano, suo futuro marito, come ogni
ghiacor sapeva fare: senza rivelare mai nulla se non una scintilla di
comprensione quando i loro sguardi s'incrociavano. L'ottimismo iniziale
di Lerol svanì pian piano. Ad un certo punto si
sentì talmente ferito
nell'orgoglio, senza comprenderne pienamente il motivo, che
iniziò a
trattare la sua compagna in modo diverso. Non le riservava
più
certe attenzioni abituali, come un sorriso alla mattina, lo sfiorarle
la mano mentre passeggiavano nel giardino, piccole cose che nella vita
di tutti i giorni, fra l'aridità delle pratiche
governative
e burocratiche, rischiarivano la giornata.
Kathra non si capacitava di quel cambiamento. In ogni
azione dedicava a lui un pensiero, pensiero che restava inespresso e
che,
quindi, era noto solo a lei... ma agiva pur sempre amandolo.
Dopo un po'
aveva inevitabilmente iniziato a sentirsi sbagliata. A sottolineare la
sua
inadeguatezza era il vuoto opprimente della sala da ballo dove si erano
scambiati la promessa più importante. Un vuoto talmente
massiccio che finiva per saturare gli spazi fra una decorazione e
l'altra delle cornici splendenti, e che entrava con prepotenza
persino nella preziosa trama dei tendaggi rossi. Ogni cosa sembrava
emanare un sapore diverso, ora che lei era l'unica anima rimasta a
corte.
Kathra sollevò lo sguardo e i suoi occhi si persero nei
frattali
coloratissimi del soffitto cesellato, adornato da mosaici e scolpito
nel legno e nella pietra. Erano stati chiamati i più grandi
maestri da zone remote della galassia per impreziosire gli ambienti del
palazzo.
Il vento dell'ovest soffiava contro le vetrate minacciando di portare
maltempo. Il suo sibilo sembrava il lamento di un fantasma, il presagio
del futuro declino che gravava su Astraliya Ghaditti.
Non era unicamente la sala da ballo a essere vuota, ma l'intero
edificio. Il personale di servizio, infatti, era già stato
mandato nella residenza estiva collocata nell'emisfero sud del pianeta.
Una navetta cielo-terra attendeva Kathra davanti all'ingresso: i suoi
bagagli erano già stati caricati, ma lei con una scusa era
rientrata e si era lasciata conquistare dall'atmosfera desolata degli
spaziosi interni.
I lunghi corridoi silenziosi sembravano cunicoli infiniti che
conducevano a realtà invisibili. C'era il rischio di
impazzire a
rimanere a lungo in un posto così grande e deserto. E
pensare
che le sarebbe bastata un singola persona per colmare quel vuoto... ma
lui dov'era?
I rapporti tra ghiacor e umani erano sempre stati difficili. Gli umani
sembravano dei folli ad esternare le proprie emozioni senza vergogna,
come gioielli da esibire. I ghiacor, invece, si mostravano sempre
freddi e controllati; apparentemente erano indifferenti a qualsiasi
tipo di stimolo emotivo.
Tutto ciò non doveva essere un problema nella relazione tra
Kathra e Lerol. Entrambi erano informati, preparati e avevano una lista
di accortezze da seguire nel caso in cui la situazione diventasse
difficile. Eppure quando lui le aveva confidato che non sarebbe rimasto
a lungo in quel posto Kathra si era sentita tormentata dal dubbio che
fosse per colpa sua. Lerol aveva insistito che lei non c'entrava nulla,
che l'amava e la capiva. A suo dire il problema era la politica. Non
gli erano mai interessati i compiti formali; era arrivato fino a quel
punto sobbarcandosi il ruolo che gli era stato tramandato da suo padre
in punto di morte. In realtà preferiva passare il tempo
nella
grande biblioteca residenziale o recandosi alla vicina spiaggia di
Sabyazura a raccogliere particolari conchiglie, alghe e molluschi per
fabbricare colori con cui dipingere.
Era solito portare il cavalletto e la tavolozza in giardino. A Kathra
piaceva stare delle ore a guardarlo posare il pennello sulla tela.
Certe volte gli sedeva accanto, altre si teneva in disparte, lontano,
dietro un albero viola dalle foglie a imbuto. Quel suo atto paziente di
osservazione, immobile, a qualche metro di distanza, ammirata nel
profondo del cuore dalla vista dell'amato principe, sarebbe risultato
incomprensibile a qualunque essere umano. Non una singola parola poteva
esprimere ciò che provava, solo lo sguardo fisso su di lui,
come se volesse catturarne l'essenza e conservarla nell'anima.
Lerol le aveva detto che non sarebbe rimasto a lungo in quel posto, ma
Kathra non aveva inteso la gravità delle sue parole. Un
principe non poteva di certo abbandonare da un giorno all'altro le sue
mansioni politiche per un capriccio. Non immaginava nemmeno che avesse
ordinato all'ingegnere di palazzo la costruzione di una porta
dimensionale, finché una notte, svegliatasi in seguito a un
incubo, notò il posto vuoto accanto a lei e il varco
oscuro ai piedi del letto che risucchiava il pregiato
copriletto di seta leviana.
Non era vero che gli umani provavano una gamma di emozioni
più vasta rispetto ai ghiacor, e non era vero che amavano
meglio. Quando Kathra capì che Lerol l'aveva abbandonata,
sentì dentro di sé un vuoto immenso
indescrivibile. Pensava forse che appartenendo a una razza aliena
classificata come E-12
lei
non avrebbe sofferto e avrebbe continuato la sua esistenza come se non
fosse mai accaduto nulla? Gli occhi di Kathra sembravano spogli, privi
di vitalità, il
dorato dell'iride si era spento da quando l'amato se ne era
andato. Più volte aveva pensato di avvicinarsi al varco e
lasciarsi abbracciare dall'oscurità. L'aveva frenata solo il
dubbio che lui fosse partito per colpa sua e che non la volesse
più rivedere.
Due
giorni dopo il vortice creato dalla porta dimensionale si era
dimostrato instabile, tanto che aveva fagocitato l'intero arredamento e
persino la tappezzeria della camera da letto. Così si erano
presi provvedimenti e in breve la stanza era stata sigillata, impedendo
al mostro oscuro di espandersi ulteriormente. Da allora, passando nei
pressi del luogo, si udiva solo un rumore tremendo: un forte ronzio
sinistro come di un vecchio macchinario arrugginito che arranca per
svolgere il proprio lavoro, o come se gli artigli di un mostro stessero
tentando di graffiare via l'intonaco, la malta e i mattoni per uscire
dall'altra parte.
Quando il vento si
placava, il lamento del vortice dimensionale che
cercava di liberarsi giungeva più chiaro in ogni angolo di
Astraliya Gadhitti. Sembrava la voce della morte, della desolazione e
del mistero che avvolge ogni luogo spopolato e abbandonato dalla
civiltà. La giovane si sorprese a pensare che tutto
ciò le piaceva, le piaceva da impazzire!
Tutta quella
desolazione e solitudine, lì dove risiedeva il
governo planetario, si era venuta a creare per una fortuita
concomitanza di eventi: i crescenti dissidi tra umani e ghiacor in
primo luogo, mentre la scomparsa di Lerol era stata la goccia che aveva
fatto traboccare il vaso.
Kathra
immaginò l'intero palazzo reale avvolto dal vortice
dimensionale: le luci al gas ionizzato che tremano fino a spegnersi con
un flash, le porte delle stanze che vibrano e si aprono come sospinte
da una mano invisibile, la sterilità del luogo screziata dai
colori degli arazzi sulle pareti, e il vuoto che avanza e circonda ogni
cosa...
Fu in quel preciso
momento che la giovane ghiacor prese la decisione di
restare invece di raggiungere gli
altri nella residenza estiva. Quella scelta poteva sembrare una follia
senza senso. E se il
vortice dimensionale si fosse liberato? Tanto meglio! Kathra non
aspettava altro. Già rapita dalla l'atmosfera kenoptica3,
bramava di essere trasportata lontano: non avrebbe
più avuto alcun freno che le impedisse di raggiungere il
principe Lerol e dirgli per la prima volta apertamente quanto le era
mancato.
Mini-glossario:
1*
Ghiacor è il nome di una razza aliena inventata da me.
2*
E-1, nella classifica delle razze aliene (sempre
inventata dalla sottoscritta) vuole indicare una civiltà con
una razionalità
molto sviluppata ma un’emotività piuttosto arida.
In realtà non si tratta
d’incapacità di provare emozioni intense, ma
incapacità di esternarle nel modo
corretto.
3* Kenoptico:
aggettivo per il sostantivo kenopsia, italianizzazione di kenoptic. Non
so se qualcuno prima di me lo abbia già usato o io se abbia
a tutti gli effetti creato un neologismo.
Note
di chiusura:
Dovete sapere che odio i
finali e dunque mi piace lasciare aperte varie possibilità.
Questo dovrebbe spiegare la scelta di lasciare gli eventi un po' in
sospeso. Nonostante il pensiero di Kathra sia chiaro, non si sa cosa
succederà effettivamente di preciso in futuro.
Insomma, nel momento in cui deciderò di rendere la one-shot
una raccolta, nel prossimo capitolo potete aspettarvi di tutto!
Gli elementi poco chiari, dunque, sono voluti e, poiché amo
le libere interpretazioni, sentitivi liberi di fantasticare.
Critiche costruttive e commenti vari sono sempre benaccetti! ;)
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