Note
dell'autrice:
Non ci
sono parole davanti a fatti del genere, e mi vergogno
profondamente di appartenere a una specie animale così
crudele come l'uomo. Non riesco mai a giustificare ne riesco
a provare a capire gesti del genere, credo che siano incomprensibili.
Mi viene solamente da chiedere scusa a tutta la
comunità LGBT per questa strage, ma non perché
siete esponenti di questa comunità, ma perché
siete persone, e un attacco e tante morti di persone innocenti
è innaccettabile nel 2016 con tutta questa tecnologia ed
evoluzione umana in questo senso.
Detto
questo, vi auguro buona lettura, non so come sono riuscita a mettere
insieme, è da stamattina che tra varie interruzioni ci sto
lavorando, e sono le 3.10 di notte al momento della pubblicazione.
Ammetto che non ho revisionato perché l'orario e gli impegni
dei prossimi giorni non me lo consentono, quindi segnalate tutti gli
errori che trovate.
Broken
Rainbows
Idea
di Arwen297 – Personaggi di Naoko
Takeuchi
Dedicata
alle vittime della strage
del
12 Giugno
2016, di Orlando.
I suoi
occhi
blu si posarono sull'orologio appeso alla parete, mentre finiva
di mettere il mascara e il rossetto che aveva scelto per quella
serata. Era in perfetto orario ma sapeva anche che Haruka, la ragazza
che frequentava da qualche mese, spesso e volentieri si presentava in
anticipo agli appuntamenti sotto casa sua.
Quella
sera sarebbero andate in compagnia delle altre in un locale
conosciuto in zona come un ritrovo per omosessuali, le loro amiche
non lo erano ma avevano comunque accettato con entusiasmo la loro
proposta, complice il fatto che nessuna di loro lo conosceva.
L'idea
era stata proprio la sua quel pomeriggio, ed era felice del fatto che
le ragazze non si fossero fermate alla classificazione conosciuta in
zona nata in onore del fratello della proprietaria, omosessuale anche
lui per l'appunto. Sarebbe stata una bella serata, ne era sicura.
Aprì
l'armadio per prendere il cappotto nero e lo indossò, le
arrivava
circa a metà coscia, poco sotto il vestito nero con il
corpino pieno
di glitter che aveva scelto. Le gambe erano coperte dal leggero
tessuto dei collant fino al ginocchio. Da li in poi a loro si
aggiungeva lo strato degli stivali alti con tacco in velluto sempre
nero.
Afferrò
la borsa dal letto e prese le chiavi dimenticate il giorno prima
sulla scrivania, dopo di che si diresse verso l'uscita
dell'abitazione.
Poco
dopo le squillò il cellulare, segnale che l'altra era giunta
a
prenderla. Accelerò il passo nell'impanzienza e
nell'emozione di
rivederla ancora, di rivedere ancora i suoi occhi verdi circondati da
capelli biondi come il grano e il suo fisico longilineo.
«Buona
sera sirenetta». La voce vellutata dell'altra le
accarezzò
dolcemente i timpani non appena entrò in macchina. La
chiamava così
da quando le aveva confessato di amare il mare più di
qualsiasi
altra cosa presente sulla faccia della Terra, lei lo stesso giorno le
aveva confidato di sentirsi molto affine al vento.
Strana
la coincidenza di come fossero in natura legati i due elementi,
strano come lo fossero anche loro fin dal primo momento che si erano
incontrate.
«Buona
sera Ruka». Rispose, usando il diminutivo del nome giapponese
dell'altra, erano entrambe di origini orientali, e entrambe avevano
uno dei loro genitori di puro sangue giapponese. Si protese nella
direzione dell'altra per darle un bacio, ogni volta che le loro
labbra si sfioravano sentiva un estremo bisogno di ossigeno. Quello
stesso ossigeno che era la presenza stessa dell'altra a donarle.
«Sei
uno splendore stasera, mi toccherà essere gelosa e marcare
il
territorio al Pulse». Le sussurrò a fior di labbra
dopo averla
osservata per bene.
«Ma
smettila, sai benissimo che a me interessi solamente tu e non
guarderei nessun'altra». La rassicurò lei,
sorridendo. Sapeva farla
sentire bellissima anche con poco. Anche con la sua gelosia.
«Sarà
meglio andare, le altre ci staranno aspettando ormai da un bel pezzo
fuori dal locale». Esclamò, ignorando le parole
dell'altra di
proposito. Quando si trattava di Michiru, non ci vedeva più.
Era
sua,
sua
e basta. E nessuno
poteva permettersi di metterle gli occhi addosso. Nessuno
poteva permettersi di farle del male. Come le aveva detto
più volte in passato, l'avrebbe protetta da qualsiasi
pericolo.
***
Erano
passate più di due ore da quando erano entrate al Pulsed,
erano
giunte a destinazione circa una quarantina di minuti più
tardi e
avevano trovato come previsto le loro amiche ad aspettarle fuori.
Come immaginava Usagi non si era presentata, troppo impegnata a
passare il tempo libero con il nuovo ragazzo con cui stava uscendo,
per quanto quel comportamento non le piacesse molto aveva ormai
imparato a farci l'abitudine. E come ogni amica che si rispetti era
sempre stata pronta a consolarla nel momento del bisogno, l'instinto
però le suggeriva che questa volta sarebbe stato quello
giusto.
Questo Mamoru le sembrava la persona adatta alla biondina dai lunghi
codini che conosceva ormai dai tempi del liceo.
«Tutto
a posto?». La voce di Hotaru, la più giovane del
gruppo la riportò
alla realtà formata da musica moderna, bassi accentuati e
rumore in
quantità smisurata.
«Si
sono solamente un po' stanca, ho ballato fino ad ora con Haruka e ora
la sto aspettando. E' andata a prendere qualche cosa da
bere».
Rispose lei, cercando di mettere a tacere la strana agitazione che
era insorta nell'ultima mezz'ora, troppo simile a quella che sentiva
a volte, quando poi si verificavano fatti non felici nella sua
cittadina. Il suo era un dono che non conosceva nessuno, e che
preferiva tenere per se: aveva troppa paura che non lo capissero e
che la giudicassero; e ne aveva fin troppe di rogne in famiglia per
via della sua sessualità. Senza aggiungere anche le
pre-cognizioni che la colpivano ogni tanto.
«Ti
ho vista un po' assorta nei tuoi pensieri e pensavo che ci fosse
qualcosa che non andasse». Le spiegò l'altra
sistemandosi la frangetta
corvina.
«Tutto
a posto stai tranquilla, te come stai?». Le chiese a sua
volta,
cercando di farsi sentire sopra al rumore della musica. Si
perché
per lei quello era un rumore, nulla a che vedere con la musica
classica che tanto amava. Mentre con lo sguardo osservava Setsuna
scatenarsi in pista da ballo.
«Bene
dai, non c'è male», le rispose al brunetta.
«Tieni
Michi». Era Haruka a parlarle nell'orecchio, non l'aveva
sentita
arrivare, e sobbalzò appena, prima di prendere il bicchiere
con
dentro un aperitivo alla frutta alcolico.
«Mi
hai fatta spaventare, non ti avevo vista arrivare».
Assaggiò il
liquido ghiacciato che portò subito sollievo al suo corpo
accaldato
dal calore del locale e dai balli fatti fino a quel momento.
« Che
ore sono?».
«Manca
poco alle due, è ancora presto...». Le parole
della sua compagna
furono interrotte da dei rumori fin troppo poco equivoci. Erano molto
simili a degli spari, ed erano vicini troppo vicini.
Ma
che diavolo sta succedendo? Questa musica non ha effetti sonori del
genere.
Pensò preoccupata. Gli occhi verdi che guardavano nervosi
tra la
folla per cercare di captare qualcosa di più.
La
sua preoccupazione non sfuggì alla violinista, come al
solito in fin
dei conti.
«Haru
qualcosa non va?».
Poco
dopo la domanda della ragazza, la bionda tra le luci vide un qualcosa
che non avrebbe mai voluto vedere: nel locale c'era un uomo armato. E
stava sparando, vide diverse persone cadere inermi sotto i suoi
colpi, e ciò che la spaventava di più era il
fatto che si dirigeva
velocemente verso la loro direzione.
Si
voltò improvvisamente verso la ragazza che amava, che
fissava
terrorizzata ciò che stava avvenendo sotto i suoi occhi,
Hotaru
invece come la maggior parte delle persone dentro a quelle mura non
si era accorta di nulla. Non c'era tempo da perdere, dovevano
nascondersi, cercare di scappare. Cercare di mettersi in salvo in
qualche modo. E subito. Prese per mano Michiru, e la scosse appena
per riportarla in se.
«Dobbiamo
scappare, scappa più veloce che puoi, corri verso i bagni
Michi..io
ti sto dietro. Hotaru fai la stessa cosa anche tu».
Urlò per farsi
sentire sopra alla musica. Le due ragazze alle quali aveva parlato
sembrarono animarsi improvvisamente mentre si alzavano in piedi il
più veloce possibile. Le seguì subito dopo,
tenendo il polso della
sua compagna. Intorno a loro ora, parecchie urla. Se
le persone si fanno prendere dal panico moriremo tutti come in una
trappola per topi. Dobbiamo fare in fretta.
«Corrì
Michiru più forte che puoi». Urlò,
accelerando verso i bagni.
Farsi strada tra la calca di persone terrorizzate e quelle ancora
ingnare era sempre più difficile, lo era senza interrompere
il
contatto con la sua sirenetta.
Erano
a poca distanza dai bagni quando sentì uno sparo
più vicino degli
altri e la presa intorno al suo polso venire meno, d'istinto si
girò
e vide la ragazza di cui era innamorata cadere in terra.
No,
no.. Haruka no! Ebbe
l'istinto
di girarsi, ma fu bloccata dalla loro amica che la tirò via
infilandosi nel bagno insieme a lei.
«Haruka,
devo sapere come sta.. non posso lasciarla di la..no non
posso».
Sentiva il panico invaderle il corpo fino a farle attorcigliare le
viscere. La paura causata dalla situazione si sommava a quella data
dal non sapere come stesse l'altra.
«Non
puoi andare di la ora Michi, ci sarà l'inferno per
favore». Le
disse sottovoce Hotaru, sentirono poco dopo altre persone arrivare
terrorizzate nel bagno. Sentirono porte chiudersi, e un silenzio
surreale riempire la stanza. L'unico rumore nitido e persistente il
battito del loro cuore nelle orecchie. Vide l'amica tirare fuori il
cellulare dalla tasca dei jeans per chiamare il padre nella speranza
che sentisse per avvisare i soccorsi.
Ma
per lei l'unico pensiero fisso era la sua compagna, non osava pensare
al destino che l'aspettava. Non sapeva se lei fosse ancora viva, se
fosse solo inciampata o se fosse stata ferita, e quell'essere
all'oscuro di tutto era un'incognita insopportabile. In sala la
musica si era fermata già da un pezzo, e alle loro orecchie
arrivarono altri spari, altre grida. Il tutto ad alimentare la loro
ansia: non appena il pazzo si sarebbe accorto dei bagni per loro
sarebbe
stata la fine; era certa che non avrebbe più rivisto le
persone che
amava, non avrebbe più potuto portare avanti i suoi sogni in
campo
musicale, per i quali fin da piccola aveva donato anima e corpo. Non
avrebbe più potuto...
La
porta principale dei bagni si aprì una seconda volta, e dei
passi
lenti e calcolati risuonarono nell'ambiente, consapevole di chi
poteva trovarsi dall'altra parte le venne quasi instintivo trattenere
il respiro per non produrre alcun rumore, gli occhi blu puntati in
quelli quasi violacei di Hotaru.
Seguì
il movimento dell'ombra sul pavimento, la vide allontanarsi
leggermente dalle porte, il respiro leggermente affannato. Dopo pochi
istanti le sue orecchie furono colpite da una raffica di spari,
seguiti da un dolore lancinante in diversi punti del corpo.
Buio.
***
Quando
riaprì gli occhi sopra di lei c'era un soffitto sconosciuto
accompagnato da un odore quasi fastidioso di disinfettante, mosse
leggermente la testa verso destra e si rese conto di essere in
ospedale. Qualche secondo dopo la sua mente registrò la
presenza di
diverse fasciature sul corpo, per quanto aveva dormito? Quanto tempo
era passato da quando...
Haruka,
devo sapere come sta.. devo saperlo. Chissà quanto tempo
è passato.
«Stai
calma, non muovertì è meglio se per ora non ti
alzi». La voce di
Usagi giunse alle sue orecchie, i suoi genitori chissà
dov'erano..
probabilmente nemmeno erano andati in ospedale.
«Usagi..
dove sono? Quanto tempo è passato?». Le fasciature
erano veramente
fastidiose.
«Sei
in ospedale Michi, e ti hanno operata sono passati circa quattro
giorni da quando è successo..». Le
spiegò l'amica.
«Hotaru
e Haruka come stanno? Dove sono?». Chiese di getto, con il
cuore in
gola. Una parte di lei sapeva già, si ricordava pochissime
cose di
quella notte, e riguardavano loro, aveva paura di sapere la risposta.
Una risposta che tardò ad arrivare, e che la costrinse a
spostare il
suo sguardo sul viso della biondina in cerca di spiegazioni, quelle
stesse spiegazioni che erano dipinte sul viso di lei senza lasciare
una dubbia interpretazione visti gli occhi azzurri e lucidi.
«No...no...
non ci credo..non può essere possibile.. non può
essere andata
così». Il cuore le accelerò nel petto,
improvvisamente le sembrava
che dovesse esplodere per il dolore che quel viso che la guardava in
silenzio le aveva comunicato; non poteva crederci, era solamente uno
scherzo. Non potevano essere morte. «Usagi dimmi che non
è
vero...dimmi che è solo uno scherzo e che loro sono sane e
salve».
«Mi
dispiace … il...il funerale lo hanno fatto ieri a
entrambe...abbiamo chiesto se era possibile poter aspettare che tu ti
fossi svegliata e ripresa...ma purtroppo non è stato
possibile... mi
dispiace amica mia...». Mormorò mortificata
l'altra, abbassando lo
sguardo sulle ginocchia, per trattenere le lacrime. Aveva sperato tanto
di
non dover essere lei a darle quella notizia, ma purtroppo il destino
aveva
voluto diversamente.
«Non..non
è colpa tua Usagi...». Le lacrime le rigarono le
guance, forse
avrebbe dovuto rimanere tranquilla viste le fasciature di cui nemmeno
era a conoscenza della causa grazie ai suoi vaghi ricordi.
Unica
cosa di cui era certa e che Haruka non sarebbe stata più al
suo
fianco, e tutti i loro sogni erano andati spezzandosi così
da un
momento all'altro in quella che doveva essere una semplice serata tra
amiche senza pretese particolari; e in parte era solamente colpa sua:
era stata lei a proporre quel locale, se non lo avesse fatto non
sarebbero stati tutti in quella condizione. Non sarebbe stata in quel
letto di ospedale, ma sopratutto loro sarebbero state ancora vive.
«Si
sa almeno perché lo ha fatto?». Parlare le era
immensamente
difficile, avrebbe solamente voluto urlare, piangere e urlare.
«Solo
che probabilmente era un cliente abituale del locale, e quindi si
pensa che non abbia accettato la sua omosessualità e che
quindi sia
un attacco omofobo..alcuni dicono che faceva parte di una cellula
terroristica.. troppo presto per dirlo».
Come
poteva un omosessuale commettere un gesto così crudele,
ammazzare
altre persone, altre vite.. solo perché non riusciva ad
accettare la
propria esistenza. Che male aveva commesso lei? E tutti gli altri? E
la sua Haruka sopratutto, il suo grande amore, che l'aveva protetta
fino all'ultimo mettendo a repentaglio la sua stessa vita per
permettere a lei di vivere la sua; ma che senso aveva vivere senza la
sua amata? Nessuno. Non avrebbe avuto alcun senso. Come non aveva
senso la motivazione di un attacco così folle.
Haruka
ti prego perdonami, ovunque tu sia se mi senti cerca di farlo. Avessi
saputo ciò che ci attendeva non avrei mai proposto di andare
li
amore mio...non lo avrei mai fatto.
Non
avrebbe mai messo in pericolo le persone che amava, e nonostante
tutto non era riuscita a proteggerle come avrebbe voluto e dovuto
fare.
Michiru
non potevi proteggerle, in altre circostanze si, ma in questa no. Era
imprevedibile per tutti una strage del genere.
Cercò
di consolarsi, mentre tentava di capire le motivazioni che avevano
portato a un gesto simile, era impossibile anche solo pensare che chi
le aveva sparato fosse guidato dall'odio per se stesso in primis, un
odio da proiettare sugli altri come lui. Altre persone,
perché al di
là dell'orientamento sessuale loro erano persone, non
pupazzi e
oggetti. Era forse così difficile da capire? Era forse
così
insensato accettare il loro modo di essere, le loro preferenze del
tutto naturali.. forse nella società in cui vivevano lo
erano.
In
fondo non avevano fatto del male a nessuno, la sua Haruka non aveva
fatto nulla. Si a volte era un po' impulsiva, ma tolto questo era
buona, dolce e anche fragile sotto certi aspetti. Senza dimenticare
Hotaru, uccisa solamente perché si trovava li quella sera, a
prescindere dal suo orientamento e così tutte le loro amiche.
I
singhiozzi le salirono forti, non riuscì più a
trattenerli. Al solo
pensiero di essere rimasta nuovamente sola dopo aver trovato l'amore
della sua vita si sentiva morire.
Avrei
dovuto morire io non te, avremmo dovuto morire insieme.. io ora come
faccio senza di te? Senza il tuo appoggio in tutto? Come
supererò
tutto questo?
Avvertì
la presenza nel suo campo visivo della bionda giusto un attimo prima
di essere abbracciata.
«Forza
Michiru..non è colpa tua... fatti forza.. non potevi
saperlo,
nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile. L'uomo
alle volte è cattivo, agisce senza senso..senza preoccuparsi
degli
altri e del dolore che provoca a chi lo circonda. Ma non accusarti,
non è colpa vostra. E' colpa esclusivamente di
quell'assassino, che
purtroppo hanno ammazzato i poliziotti perché meritava di
marcire in
galera». Poteva solamente immaginare il dolore che sentiva la
sua
amica. E lei non era nemmeno così brava a consolare.
«Chiamo
l'infermiera, così magari ti da un tranquillante, hai
bisogno di
riposare e non devi agitarti». Le bisbigliò
all'orecchio ottenendo
in risposta solamente l'ennesimo singhiozzo.
***
Era
stata dimessa quel giorno stesso dopo circa una decina di giorni,
durante i quali i suoi genitori e le sue amiche si erano alternate in
ospedale per non lasciarla mai sola visto il trauma che doveva
superare. Aveva insistito per fare una tappa al cimitero per vedere
finalmente la sua tomba, le
avevano detto
che anche quella di Hotaru era nello stesso cimitero e così
sarebbe
stato tutto
più semplice, quando andava da una sarebbe andata a far
visita anche
all'altra.
I
suoi genitori avrebbero voluto accompagnarla fin dalla lapide, ma
aveva rifiutato, voleva andarci da sola, voleva ancora una volta
essere solo loro due e sentirla vicina come più volte era
accaduto
nei mesi precedenti.
Non
le fu difficile individuare la lapide, era ancora piena di fiori tra
i quali faceva bella mostra di se il suo casco preferito. La sua
compagna lo aveva utilizzato sempre nei mesi precedenti; erano andate
insieme a comprarlo e in qualche modo i
disegni che lo adornavano rappresentavano anche loro. I suoi occhi si
posarono sulla foto che avevano scelto i genitori della ragazza,
ricordava come fosse il giorno prima anche le circostanze in cui
avevano scattato quella foto; erano al mare con le altre, e in quel
ritratto era rappresentata Haruka così com'era: orgogliosa,
forte e
a tratti anche fragile. Erano i tratti del suo carattere che
più
l'avevano fatta innamorare.
Amore
mio, che brutto scherzo che mi hai fatto questa volta, mi dicevi
sempre che mi avresti protetta da qualsiasi cosa e fino all'ultimo
non ti sei affatto smentita. Ma ora io senza di te, da sola su questa
Terra cosa posso fare? Come posso andare avanti e ricostruirmi una
vita? Avevamo tanti progetti da realizzare insieme...dovevamo andare
a convinvere appena ne avevamo la possibilità e ora tutto
ciò che
rimane di noi e solo un insieme di ricordi che fanno un male cane. Me
l'hai fatta davvero grossa... troppo davvero...ero convinta di aver
trovato il mio filo rosso*, l'altro capo del gomitolo del destino e a
quanto pare nonostante faccia così male non sarai
tu.
Si
abbassò per accarezzare la superficie liscia del marmo,
prima di
appoggiare le tre rose rosse che aveva comprato appositamente.
Da
quando mi sono svegliata in ospedale e ho saputo che tu non eri
più
in questo mondo, non ho mai smesso di darmi la colpa per tutto
quanto. Se non avessi proposto il Pulse a quest'ora non saremmo
qui..di noi ci sarebbe tanto altro e non solo questa superficie
fredda a contatto del mio palmo. Non so nemmeno se potrai mai
perdonarmi ovunque tu sia... non riesco nemmeno a capire come ne
verrò fuori da tutto questo senza di te. Senza il tuo
appoggio e la
tua forza..
La
mano corse ad asciugare le lacrime prima che le scivolassero sul
viso, bagnandolo.
Scusami
amore mio, e perdona anche il tuo assassino se puoi, sono arrivata
alla conclusione che era solo un disperato.. che non aveva capito
niente della vita. Pieno di frustrazioni e pervaso
dall'incapacità
di accettare se stesso così com'era.
Sono
una stupida a pensare che tu mi possa sentire... solo un'illusa.
I
suoi pensieri sembravano un fiume in piena, così come le sue
lacrime
che le scendevano sul volto. Mentre lo sguardo si alzava a osservare
meglio la lapide, ad accarezzare il volto una leggera brezza.
Sarò
forse sciocca ma voglio credere che questo leggero venticello sia un
tuo segno... ti amo, e non smetterò mai di farlo. Mai.
Sulla
lapide oltre alla data di nascita e di morte, era incisa in lettere
in corsivo di colore dorate altre parole, di cui si era accorta
solamente in quel momento:
“Quando
la mia ora sarà arrivata, l'arcobaleno brillerà
anche là sopra, al
di là delle nuvole.”
Alzò
gli occhi verso il cielo e ammirò l'arcobaleno che era
uscito subito
dopo la pioggia che l'aveva accolta al suo arrivo al cimitero, fu
consapevole del fatto che nel bene o nel male, gli arcobaleni dopo le
tempeste sarebbero sempre esistiti e con loro anche lei sarebbe stata
nel suo cuore.
* La leggenda del filo rosso
è originaria del Giappone, narra che alla nascita ciascuna
persona sia legata a un filo rosso. All'altro capo del filo
c'è la persona a cui essa è destinata a
condividere la vita, e tutti i passi fatti dal giorno della nascita in
poi non sono altro che piccoli passetti verso l'incontro
dell'altra metà della mela legata
all'estremità opposta di questo filo.
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