ALLA RICERCA DI UNA RISPOSTA
Marineford
era stracolma di gente,
esattamente come nelle ultime quattro ore. Nonostante molte persone
avessero
perso la vita, i loro corpi occupavano lo spazio nello stesso modo.
C’era
una puzza incredibile. Quella
moltitudine di persone probabilmente erano estranee alla doccia e alle
sue
implicazioni, perché il fetore di sudore era quasi meno
sopportabile di quello
del sangue. Sapone, questo sconosciuto. Nessuno si salvava, forse solo
le poche
donne che avevano il senso della decenza; nemmeno Ace era esentato da
questa
pestilenza, ma per lui si poteva fare un’eccezione: era
rimasto imprigionato in
condizioni pietose per tanto tempo. Chissà come riusciva ad
andare in bagno, in
quel periodo...
Ma
questo non è né il luogo, né il
tempo per discutere di queste cose assai disgustose.
La
piazza era gremita, ma il
prigioniero condannato a morte era riuscito a scappare dal patibolo, e
adesso
combatteva al fianco di suo fratello, il suo liberatore.
Ovviamente
non aveva perso occasione
per rimproverarlo, ma Rufy era immune a qualsivoglia discorso serio, e
non
aveva recepito una sola parola; anzi, si era pure messo a ridere,
sperando così
di non dover rispondere ad un qualcosa che fosse più lungo
di cinque parole,
che non contenessero cibo, carne, sonno.
“Scappiamo
Ace! Ce l’ha ordinato
Barbabianca!”
Dopo
che il possente vecchio baffuto
aveva ordinato loro di andarsene, Rufy stava cercando di convincere suo
fratello a fare ciò che suo padre gli aveva suggerito; senza
apparente
successo. Ace se ne stava immobile come uno stoccafisso, come se gli
avessero
infilzato un manico di scopa in un posto molto brutto; era impegnato in
gloriose elucubrazioni che a noi poveri mortali non è dato
sapere.
“Lo
so, e rispetto il suo volere”
disse infine, dopodiché lanciò una magnificente
fiammata in difesa del suo
babbo, che in quel momento era sull’orlo delle lacrime per il
troppo orgoglio
nei confronti del suo figlio più piccino. Non faceva che
dargli una
soddisfazione dopo l’altra. L’aveva circondato con
una montagna di fuoco, e la
luce che gli sbatteva delicatamente sui possentissimi muscoli, faceva
risaltare
la sua figura slanciata. In quel momento si chiese per quale motivo non
avesse
intrapreso la carriera di modello; avrebbe fatto miliardi, ne era
certo. Quello
era l’unico rimpianto della sua vita.
Una
volta che il vecchio capitano poté
nuovamente vedere mentre le fiamme continuavano a bruciargli attorno,
notò Ace
inginocchiato per terra quasi come se fosse in preghiera;
alzò lo sguardo
ansimando, ma sforzandosi di passare per un salutista. Doveva pur
sempre fare
bella figura con il suo papà!
“Questo
non è il momento dei discorsi”
disse Barbabianca, osservando la sagoma del figlio, a pochi metri da
lui.
“Ma
lascia che ti faccia una domanda,
Ace” non aveva resistito a quella tentazione. In
realtà c’erano molte cose che
avrebbe voluto chiedergli; da come gli stesse il suo mantello nuovo di
zecca
anche se era identico a quello vecchio, se trovava anche lui che le
fiamme gli
donassero un’aria da macho, oppure se i suoi baffi avessero
ancora il loro
fascino nonostante fossero stati mozzati.
“Dimmi
la verità. Io per te sono stato
un buon padre?” decise infine per la domanda meno
compromettente, che con tutta
probabilità conteneva nell’insieme tutte quelle
che avrebbe voluto esporre.
Ad
Ace in quel momento passarono per
la mente le immagini veloci di quello che era stato per lui il capitano
della
flotta dei pirati più potenti al mondo. Quando lo accolse
con lui, credendo fin
dall’inizio che sarebbe davvero diventato suo figlio, quando
aveva sopportato
tutti i suoi attentati che erano miseramente falliti, a quando si era
proposto
come cavia per dare sfogo alla vena artistica del suo figlioletto, il
giorno in
cui aveva deciso di dedicarsi alla pittura. Pose imbarazzanti gli erano
state
proposte, e l’idea di chiedergli persino di posare senza veli
era stata
allettante; per fortuna aveva ancora un po’ di sale in zucca
per evitargli
quella richiesta.
“Certo
che lo sei stato!” disse fiero,
abbassando lo sguardo e quasi mettendosi a piangere come un poppante.
Comprensibile, in fondo lui era un ragazzo molto emotivo, di quelli che
si
commuovono davanti ad un gattino bagnato.
Barbabianca
scoppiò a ridere, quasi
come se gli avessero raccontato una barzelletta che vedeva un italiano,
un
francese e un tedesco al bar.
“Ti
voglio bene!” pensò Ace, ma non lo
disse. In fondo aveva ancora quel briciolo di paura e reverenza nei
confronti
del vecchio, e non voleva fare la figura del sentimentale in quel
momento.
Peccato che tanto nessuno potesse sentire quello che i due si stavano
dicendo;
per quanto potessero immaginare quelli all’esterno del
cerchio di fuoco, loro potevano
anche solo semplicemente scambiarsi una ricetta di cucina, o Ace poteva
essersi
fatto dare dei consigli su come comportarsi con le donne. Si sa che i
papà
conoscono tanti trucchi che i figli bramano di conoscere.
Mentre
Bagy intratteneva il pubblico
scontento, Jimbei scortava i due fratelli di corsa, cercando di
metterli in
salvo; Ace si era deciso a lasciare la sua posizione da larva e darsela
a gambe.
Ma quel bontempone di Akainu non se ne stava con le mani in mano, e
lanciava
pugni di lava a destra e manca. Non aveva proprio quella che si diceva
un’ottima mira. Intanto cercava di provocare scompiglio e
risentimento nei
pirati di Barbabianca, attaccando il loro orgoglio e il loro capitano.
Sperava
che bastasse per fermare la loro fuga, ma loro erano troppo
intelligenti per
cadere in quella trappola.
Tutti
tranne uno.
“…insomma
in fin dei conti,
Barbabianca non è che un perdente della vecchia
guardia” disse risoluto, con un
sorriso maligno che si addiceva più a Crudelia Demon,
piuttosto che alla sua
faccia simile al cubo di Rubik.
Ace
si fermò di colpo, punto sul vivo,
e totalmente incapace di ragionare. Se solo ci avesse provato, avrebbe
evitato
uno, di fare la figura del completo idiota, e due, di finire a fette
come un
salame stagionato. L’intelligenza non era proprio il suo
forte; almeno, non in
quel caso specifico.
“Un
perdente?” disse iroso, ansimando.
“Sì”
fu la grande risposta
dell’Ammiraglio. Nemmeno lui brillava per
originalità, bisogna ammetterlo.
Le
mani di Ace presero immediatamente
fuoco, e il suo cervello si ridusse alle dimensioni di un fagiolo,
visto che
ormai era chiaro che non lo stesse più utilizzando.
Benedetto ragazzo.
“Nessuno
può insultare il mio papà!”
pensò. Prima gli avevano preso di mira la mamma, e adesso
pure l’altro suo
genitore; no, questo era decisamente troppo! Benedetto ragazzo, di
nuovo.
“Rimangiati
subito le parole che hai
detto!” gridò in preda alla rabbia, girandosi
verso l’uomo dalla deliziosa
camicia hawaiana –forse l’unica cosa deliziosa, nel
contesto-, prendendo
completamente fuoco in uno spettacolo pirotecnico davvero notevole. I
cinesi
avrebbero fatto carte false per averlo dalla loro parte per i fuochi
d’artificio.
“Non
stare ad ascoltarlo, non capisci
che lo fa apposta?”
“Lascialo parlare e vieni con noi, andiamo!”
Si
sentivano queste soavi voci della
verità, che avevano capito il semplice piano di Akainu, e
non ci erano cascati.
Ma
Ace era testardo, e pure un po’
stupido, e si liberò malamente dalla loro presa.
“Non
ti permetto di offendere mio
padre, è chiaro?”
Di
nuovo il capitano era sull’orlo
delle lacrime. Solo Dio sapeva quanto poteva essere orgoglioso di quel
pargolo;
di quello stupido pargolo, attenzione.
“Ace
basta!” gridava Rufy. Persino lui
era arrivato a capire che quella era solamente una trappola per idioti.
Ed è
tutto dire.
“Non
ritiro niente. Tutto ciò che ho
detto corrisponde a verità. E in fondo sai che ho
ragione” si era pompato il
marine, facendo uno sguardo che per lui doveva essere sexy e ammaliante.
Dopodiché
si mise a sproloquiare
nuovamente su Gol D. Roger, al che Ace nemmeno stava ascoltando
più. Era stufo
marcio di sentir parlare di cose che per lui non avevano il minimo
interesse.
Si limitò a fare uno sguardo più truce che
poteva, sperando di dare
l’impressione di stare assolutamente attento al discorso che
veniva
pronunciato. Ora l’uomo era passato a criticare Barbabianca,
e il piccolo
cervello a fagiolo di Ace si era ridestato a quel nome, come un
innamorato.
“Ecco
chi è Barbabianca, un uomo che
non ha ottenuto nulla”.
E
via dicendo, mentre Ace si
avvicinava minaccioso, con le sue fiamme fedeli a fargli compagnia.
“Chiudi
il becco” disse, scuro in volto
e arrabbiato più che mai.
Ma
quello continuava imperterrito.
“Siamo
onesti, non è una vita sprecata
la sua?” disse l’uomo che collezionava camicie con
le palme da abbinare a
pantaloni dello stesso colore, e diversi cappellini della Marina solo
perché
andavano trendy in quel periodo;
senza contare la rosellina rosa appuntata alla giacca. Molto credibile.
E
Ace continuava la sua marcia funerea
verso l’uomo-lava, mentre i suoi fratelli cercavano di farlo
rinsavire.
Intervenire no, eh? Troppo difficile?
“Nostro
padre ci ha dato un posto dove
vivere. È un grande uomo! E tu, putrido verme non hai nessun
diritto di
insultarlo!” gridò rabbioso il ragazzo
lentigginoso, mentre una lacrima
solitaria solcava il volto anziano di Barbabianca. Era un uomo forte
sì, ma era
pur sempre un essere umano con delle emozioni, e non era riuscito a
trattenersi; se avesse potuto, sarebbe corso ad abbracciare suo figlio,
per poi
scoppiare in un pianto liberatorio e riconoscente. Oh, era
così orgoglioso del
suo bambino!
Akainu
rispose prontamente, esponendo
che la legge va rispettata, e chiunque non lo faccia debba per forza
andare
punito e bla, bla, bla; intanto la sua mano destra andava a fuoco,
letteralmente.
“I
furfanti come voi devono essere
eliminati, estirpati come erbacce” rispose a tono, sperando
di non far
trasparire la sua passione per il giardinaggio per la scelta di quella
metafora. Adesso che ci pensava, non aveva dato l’acqua ai
suoi pomodori!
“Chiudi
la bocca!” gli gridò Ace per
risposta, con tutta la rabbia che aveva accumulato in quei trenta
secondi.
“Tuo
padre uscirà di scena da
perdente, perché questa la sorte che tocca a chi comanda dei
rifiuti umani!” se
si dovevano alzare i toni, lui era pronto; un urlo degnissimo di una
checca
isterica in piena regola.
“Barbabianca
è un grande pirata che ha
costruito quest’epoca! Non ti permetto di insultare il nome
dell’uomo che mi ha
salvato!”.
Gli
spettatori saltavano con gli occhi
dalla figura di Akainu a quella di Ace, quasi come se fosse una partita
di
tennis; benché loro non avessero la minima idea di che cosa
fosse il tennis.
Videro, con loro stupore, Ace che si ricopriva di fiamme e partiva
all’attacco,
gridando che il nome di quell’epoca era Barbabianca. Sembrava
un cinghiale
inferocito, e l’Ammiraglio non fece attendere il suo
contrattacco. Iniziò una
lotta inutile, senza capo né coda, e se solo qualcuno avesse
avuto il buon
senso di finirla lì, si sarebbero risparmiati molti bruciori
di pancia; in
tutti i sensi.
Successe
tutto velocemente: Ace era
sdraiato a terra, sembrava morto; mentre Akainu si sbrodolava a dire
che il suo
magma era più forte del fuoco. Quante manie di protagonismo.
Intanto
Rufy stava correndo verso suo
fratello per aiutarlo, ma come si sa bene in questi frangenti,
inciampò come un
deficiente in un sasso invisibile. Ovviamente la Vivrecard di Ace gli
cadde
dalle mani, e ovviamente si sporse per prenderla; cosa ancora
più ovvia, non si
accorse che l’Ammiraglio procedeva verso di lui con
l’intento di farlo fuori.
Ovviamente Ace si mise in mezzo ai due per difendere Rufy.
Qualcuno
urlò così forte da distrarre
Akainu dal suo intento. Tutti si voltarono verso la fonte del rumore,
impauriti.
“Eh
no eh! Non puoi morire dopo tutto
quello che ho fatto per te Ace! Non te lo permetto razza di
ingrato!” tuonò la voce
di Barbabianca, profonda e tremendamente incazzata.
Il
ragazzo sbiancò vedendogli l’espressione
che recava sul volto; non ricordava di averlo mai visto così
arrabbiato. Tre
minuti prima stava piangendo!
“Ma
papà io…”
“Niente
scuse! Smettila di fare l’imbecille,
cascando nei tranelli più idioti del mondo e
scappa!” ringhiò, allungando il
braccio.
“Ma
io volevo difenderti…” pigolò Ace
in preda allo sconforto.
“Ho
detto di andartene!” rispose
infuriato più di prima.
Intanto
Akainu era incredulo quasi quanto
tutti gli altri che stavano assistendo alla scena drammatica e irreale.
“Ma
papà…”
“OBBEDISCI
A TUO PADRE!” tuonò, ed Ace
non poté che approfittare di quel momento di distrazione
dell’Ammiraglio per
prendere Rufy per un piede e trascinarlo lontano. L’uomo
nemmeno se ne accorse,
troppo impegnato com’era a contemplare la figura rabbiosa di
Barbabianca; era
quasi ipnotico.
Quando
si rese conto di essersi fatto
fuggire le sue ambite prede, si lasciò cadere in ginocchio,
buttando la testa
all’indietro e gridando un sonoro “NO”
prolungato di dissenso e disperazione.
Posizione presa dai peggiori film di Caracas.
“Quando
un papà deve fare il papà, non
c’è magma che tenga!” esordì
il vecchio capitano, scoppiando poi rumorosamente
a ridere, tra lo sconcerto generale. Era un uomo dalle mille risorse.
ANGOLO
DELLA DEMENZA
*sbuca timidamente con la
testa da
dietro un angolo*
Hola miei cari! Sono
tornata con
un’ennesima stupidata! E te pareva…
Questa storia fa
coppia con l’altra,
“E allora?!”, dove il protagonista è
sempre quel baka di Ace. Qui ho voluto
prendere la sua morte come tema principale, perché non
smetterò mai di dire
quanto mi abbia fatto incazzare il modo in cui è morto.
Quindi ho voluto dargli
una possibilità, seppur tremendamente umiliante, di sfuggire
alla morte.
Il titolo è
preso da quello
dell’episodio (per chi lo volesse sapere è il
482), così come le battute, che
ho copiato papali papali da lì. Questa storia, a mio parere
non è così divertente come
l’altra, ma volevo
scriverla a tutti i costi; quindi, eccola qui! Andrà a far
parte di una serie
sulle mille e una minchiate di Ace. Se avete consigli, ditemi pure, che
sono
ben accetti. Più umilianti sono, meglio è!
Una piccola noticina
che spero mi
perdonerete. So che i baffi di Barbabianca vengono mozzati dopo questa
scenetta
da Barbanera, ma mi sembrava carino metterla comunque. Non negatemi
questa
licenza poetica!
Detto ciò,
spero di avervi strappato
almeno un sorriso! E concludo col dire che Ace è stato
davvero un grosso
imbecille a morire così; persino suo fratello aveva capito
che era una
trappola, andiamo!
A presto tortini!
Tanto ammmmmore!
|