“L’anoressia
non è come un raffreddore. Non passa così, da
sola.
Ma
non è nemmeno una battaglia, che si vince.
L’anoressia
è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa male
dentro. La paura, il
vuoto, l’abbandono, la violenza, la collera. È un
modo per proteggersi da tutto
ciò che sfugge al controllo. Anche se a forza di proteggersi
si rischia di
morire.
Io
non sono morta”
(“Volevo
essere come una farfalla –
Michele Marzano)
Il
peso di un Colibrì
PROLOGO
“Sono passati
dieci anni. Per dieci anni non ti ho più vista, sono rimasta
lontana per ben
dieci anni e ora che sei, sei...” Non trova le parole ma non
è questa la cosa
importante. Calypso è lì –con il viso
incorniciato da cortissimi ciuffi chiari,
quand’è che si è tagliata i capelli?
– davanti a Zoe che davvero non riesce a
concepire, ma nemmeno in minima parte come possa essere passato
così tanto
tempo dall’ultima volta che ha visto quegli occhi a mandorla
e quei capelli
color caramello, anzi, a dir la verità gli sembra solo ieri
di averla lasciata
in lacrime quando estremamente determinata abbandonava di nascosto
villa Ogigia.
Se ci pensa bene, quella è davvero l’ultima
immagine che ha di Calypso, poi non
l’aveva più incontrata.
“Cosa sono,
Zoe?” chiede la ragazza con voce mesta occupando il silenzio
sconfortante
lasciato dalla frase a metà della sorella.
Preferisce
ignorare la sua domanda perché non riesce davvero a dirlo.
“Cosa ci fai qui?”
domanda invece. Calypso abbassa le ciglia lunghe sfiorandosi le guance
come se
ci stesse pensando su, ma poi ripunta lo sguardo verso la donna.
“Non
ero pronta ad accettare quella
situazione. Mi sono sentita tradita ed esclusa proprio dalla persona in
cui
avevo risposto tutta la mia fiducia, a cui avevo permesso di sbirciare
dentro
la mia corazza. Non riuscivo a capire, anzi, meglio: non volevo capire.
L’unica
soluzione giusta per me era andarmene e questo ho fatto, ma se pensi
che sia
più appropriato dire che sono scappata allora ti
dirò che è vero, sono
scappata. Sono scappata davanti alle mie responsabilità,
davanti alla mia
famiglia e a tutto quello che i miei genitori avevano costruito per me.
Sì,
sono scappata, non nel modo in cui lo hai fatto tu ma la mia si
può definire in
ogni caso una fuga. La fuga di una codarda.”
Zoe tuffa il viso
fra le mani e scuote la testa perché tutto quello che sta
dicendo la sua
sorellina minore non ha senso, almeno per lei che non la vede da dieci
anni e
non sa nulla di quello che sia capitato da allora alla famiglia che si
è
lasciata alle spalle. “Sei scappata da Villa Ogigia anche
tu?” chiede alla
fine, l’unica ipotesi che quella cascata di parole le ha
dato, almeno questo
spiegherebbe perché sia andata da lei.
“No”
dice
abbassando il viso e incupendosi “Per quanto ci abbia
provato, non sono mai
riuscita a compiere un gesto così estremo”
“Ma hai appena
detto che sei scappata anche tu!”
“Non nel modo
comune in cui intendiamo di solito” sbotta, prende una corta
ciocca di capelli
chiari e la liscia distrattamente come se stesse cercando tra
sé e sé le parole
esatte da usare. “E’ difficile da
spiegare” risolve infine.
Zoe scuote la
testa borbottando qualcosa talmente sottovoce che Calypso non riesce a
capire,
sembra stia maledicendo una qualche divinità. Poi, rialza lo
sguardo su di lei.
“Senti, ma com’è che mi hai
trovata?” è abbastanza sicura che nessuno della
sua
famiglia conosca la sua attuale ubicazione, quando è fuggita
ha fatto le cose
per bene rendendosi non rintracciabile.
“Oh”
questa
domanda sembra far precipitare la sorella minore direttamente dal mondo
sulle
nuvole e lascia cadere la ciocca di capelli sulla sua spalla, adesso la
guarda
con occhi grandi e incerti. “Ecco... conosci Will
Solace?”
Zoe aggrotta
la fronte pensierosa. “Solace? Intendi il figlio di Apollo?
Ma! Lo sai che lui,
lui...” spalanca gli occhi e si sorprende quando
l’altra annuisce senza battere
ciglio per nulla turbata dalla cosa. Al che si schiarisce la voce con
una
leggera tosse un poco a disagio, ma poi continua nelle sue domanda.
“Come lo
conosci?”
Calypso si
morde il labbro con gli incisivi, apre la bocca per dire qualcosa ma
sembra
ripensarci e la chiude guardandola con sguardo colpevole.
“...è difficile da
spiegare”
A questo
punto, tutto ciò che Zoe può fare e lasciarsi
andare in un sonoro sospiro, non
sa proprio come capire quella situazione. È tutto
così inaspettato, dopo dieci
anni ha davanti la sua sorellina che parla per enigmi; si chiede se non
sia
tutto un piano ideato da loro padre Atlanta ma le basta guardare dentro
gli
occhi della sorella per capire che non è così.
Sposta lo
sguardo alla finestra dove i timidi raggi del sole autunnale bussano
sul vetro
chiedendo il permesso di entrare per riscaldare la casa.
“Ti preparo il
tè, ok? No, almeno ti fa bene e fai discorsi un pochino
più sensati” blatera
alzandosi e si dirige verso il piano cucina.
“Senti Zoe, ma
secondo te è possibile programmare le
benedizioni?” la voce limpida e dolce di
Calypso emerge attraverso il rumore di stoviglie mentre la donna
continua a
fare tutto quel chiasso cercando chissà cosa negli stipetti.
Lei le rivolge uno
sguardo di sbieco di pochi secondi prima che il pentolino pieno
d’acqua calda
ri-catturi la sua attenzione.
“Certo che
no”
risponde “Le benedizione scendo dal cielo per grazia di
qualche volubile dio
fancazzista. Se proprio ce le facessimo da soli saremmo tutti
più contenti” e
mentre lo dice indica con un dito il soffitto per indicare
metaforicamente quel
dio che si diverte a far dannare questi piccoli e teneri e inutili
esseri
umani.
Calypso si
limitare ad allungare le labbra in
un
morbido sorriso e guarda attentamente la sorella maggiore come se
volesse
imprimersi nella mente ogni singolo particolare di quel viso che non ha
visto
per molti – troppi – anni.
Zoe aveva
sempre avuto quella postura sicura tipica delle guerriere con le spalle
larghe,
i muscoli definiti sulle braccia e la sua considerabile altezza, ma
è anche
armoniosa così che la pelle scura e i tratti delicati del
viso la fanno
assomigliare a una principessa persiana. Da piccola l’aveva
invidiata, perché
era quella grande e poteva fare più cose che a lei erano
precluse ma ora riesce
a comprendere quanto in realtà la vita della sorella fosse
stata piena di
rinunce. Come la sua. Però ora Zoe è una donna,
una donna vera forgiata dalla
vita e con i fianchi morbidi e sensuali e si chiede distrattamente se
anche lei
avrà quelle dolci forme o se resterà impigliata
in quel corpo gracilino.
Sorride al pensiero rendendosi conto che forse le cose possono davvero
cambiare.
“Tutto quello
che è successo non era nei miei piani, ma proprio per questo
è stato una
benedizione” mormora sfiorando dolcemente le vene sul legno
chiaro della cucina
“Ma non credere che io l’abbia capito subito, eh,
se così fosse stato non sarei
mai venuta qui, starei ancora vagando per Los Angeles completamente
sola”
aggiunge mentre sorride socchiudendo gli occhi scuri.
Zoe si lascia
scappare un mezzo sospiro, forse di stanchezza o di esasperazione,
magari no,
magari è solo il sollievo di riavere quella piccola
sorellina con sé, e intanto
continua a osservare l’acqua sul pentolino bollire, si stanno
già formando le
prime bolle ma sta andando comunque troppo lenta per i suoi gusti.
“Senti”
dice
grattandosi una guancia, di guardare Calypso negli occhi non ha la
forza e
quindi resta girata a darle la schiena con sul volto una leggera
smorfia di
preoccupazione “Che
è successo?”
La Nightshade
più giovane si irrigidisce appena e le sue labbra ancora
tirate in un sorriso
tremano un poco, tamburella con le dita della mano sinistra sul tavolo
–
sorride al ricordo di chi le ha attaccato questo vizio –
mentre appoggia il
viso sul palmo della mano destra. “Ecco, mhh—
quando sei andata via di case le
cose non andavano proprio bene, sai... Papà era furioso, ti
hanno cercata per
tutto il continente” inizia decidendo di prenderla alla
lontana, ma molto
lontana. “Le cose sì, erano proprio pessime. Tu
sei stata proprio pessima, non
hai lasciato nemmeno un bigliettino” continua a blaterare
mentre il cuore le
batte velocissimo: non ha mai raccontato a qualcuno quello che
è successo, mai
di prima persona, altri raccontavano ad altri solitamente.
“Io... sono stata
male. Parecchio male. Ero tipo depressa, una roba simile”
borbotta mangiandosi
le parole e attorcigliandosi una ciocca tra le dita
“All’inizio non ci ha fatto
caso nessuno, erano tutti troppo occupati a cercarti. Poi,
però, hanno iniziato
a farsi qualche domanda, a notare che non toccavo cibo e che non
parlavo con
nessuno e—“
“Mi
dispiace”
la interrompe Zoe prendendo due tazze da un ripiano “Non era
mia intenzione
farti stare così male, lo sai” ha un groppo in
gola e il senso di colpa le
attorciglia le budella.
“Lo so”
conferma Calypso, poi prende un grande respiro “Hai mai
sentito parlare del
College Olympus?”
Zoe si volta a
guardarla spandendo qualche goccia d’acqua fuori dalla tazza,
ha un’adorabile
espressione confusa sul viso. “Ah-ah” conferma
“Ci ho lavorato otto anni fa. È
lì che ho conosciuta Artemide. Ma cosa
c’entra?” domanda mentre mette le
bustine da tè dentro le tazze. Ne porge una alla sorella che
l’accetta con un
tenue sorriso.
“L’Olympus
non
è solo una scuola. O meglio, lo è ma...”
“E’ una
scuola
un po’ speciale” annuisce Zoe soffiando sopra il
liquido della sua tazzina.
“Vuoi dello zucchero? Miele? Latte?” elenca poi
guardando tra gli stipetti.
La più piccola
spalanca gli occhi e si morde l’interno guancia a disagio
mentre l’altra prende
fuori un barattolo di miele e chiede ancora. “Ne vuoi? Io lo
metto”.
“No”
dice
pianissimo, poi scuote la testa e si schiarisce la voce “Anzi
sì. Cioè, no. Sì.
Io—“
“Lo vuoi o non
lo vuoi?” vocia Zoe “E’ semplice: o lo
vuoi o non lo vuoi”.
Calypso
sorride a quella frase, con nostalgia, come se le abbia ricordato
qualcosa di
estremamente dolce e doloroso insieme, stringe la presa sulla tazzina e
scuote
la testa, lentamente. “No, grazie”
Zoe annuisce,
come se avesse capito tutto quello che frulla nella testa della
sorellina.
“Allora, si diceva dell’Olympus. Tu come lo
conosci?”
Distoglie lo
sguardo e inizia a mescolare con il cucchiaino. “Io... quando
la situazione è
diventata critica mi hanno mandata lì”
“Calypso”
la
ferma con determinazione “Che situazione? Cosa avevi? Eri
triste, ok, ma cos’è
successo da mandarti in un centro per ragazzi problematici?”
Adesso la
guarda con gli spalancati e pieni di incertezza e timore, sembrano
dire: posso fidarmi di te?
Perciò un morbido
sorriso compare sulle labbra della maggiore, ammorbidisce lo sguardo e
dice:
“Sono tua sorella” se non
ti fidi di me,
di chi allora?
“N—on...
non
mangiavo... più” tentenna con una voce piccola e
piccola, proprio come lei,
nota Zoe, che ha la pelle pallida e molte ossa che sporgono.
È il suo turno
di spalancare gli occhi. “Sei anoressica?” sbotta
ad alta voce.
Le labbra di
Calypso si stirano in una linea sottile, priva di qualsiasi sorriso, e
gli
occhi si incupiscono. “E’ un po’
più complicato di così” sibila. Ha
sempre
odiato chi si liquidava con quella parola davanti a lei, come se
bastasse
quella a spiegare tutto quello che aveva dentro, come se bastasse a
rinchiuderla dentro una definizione che, se ci pensate, è un
po’ come una
prigione. L’ennesima in cui qualcuno la metteva quando, no, a
lei era
semplicemente sembrata l’unica soluzione, l’unica
chiave alla sua libertà.
“Semplicemente,
da quando te ne sei andata ogni cosa si è definitivamente
distrutta,
fondamentalmente mi hai abbandonata in una prigione togliendomi ogni
possibilità di fuga. Come potevo anche solo pensarlo dopo
tutto il dolore che
avevi creato a nostra madre? Fondamentalmente ho creato una falsa me
per
adattarmi all’ambiente che mi circondava, a quella situazione
che tu avevi
creato. Fondamentalmente, mi sono sottomessa per sopravvivere.
Inizialmente,
desideravo di smettere di respirare per non essere un peso agli altri.
Poi, ho
desiderato di essere così leggera da essere spazzata via da
un colpo di vento e
smettere, definitivamente, di essere un peso. Alla fine, tutto quello
che
chiedevo era di avere lo stesso peso di un colibrì per
volare via da quella
prigione”. Respira affannosamente come se avesse appena corso
la maratona di
New York quando ha solo detto una cosa che si portava dentro da troppo
tempo
alla diretta interessata.
“Dopo la tua
fuga, mamma e papà erano terrorizzati che io potessi fare lo
stesso. Erano
terrorizzati dal mondo fuori la villa e credevano che lo fossi anche
io.
Spaventata, intendo. Ma... non si trattava di accettare il mondo
esterno, anzi
quello lo agognavo fin troppo. Il fatto è che non potevo
accettare me stessa. Perché lo ha
fatto? Mi domandavo. Io non le
bastavo? Io... non ho mai
rifiutato il mondo, rifiutavo solo me stessa. Ma loro non lo hanno mai
capito,
almeno finché le cose non sono diventate troppo gravi e
hanno pensato che
l’unica soluzione ormai fosse il College Olympus.”
“E lo
è
stato?” chiede, poi aggiunge pensierosa.
“E’ pieno di bambini disagiati, là
dentro”
Calypso fa una
smorfia di malcontento davanti a quelle parole, non perché
lei ci sia stata –
beninteso, sa di essere stata alquanto disagiata – ma quei bambini disagiati là dentro
sono tutti i suoi amici (o erano, non
lo sa. Adesso che è scappata le cose sono confuse).
“Il College
è
un bel posto” riprende a parlare “Sul serio, ma non
credo sia stata
propriamente la scuola ad aiutarmi. O meglio, sì: lo scopo
del college è
maggiormente quello, ma non ha agito in prima persona. Forse sono stata
solo io
a mettermi in gioco, avevo bisogno di una spintarella, tutto qui. O
forse no,
non saprei dirlo con certezza. Non saprei nemmeno dire se sono... guarita da me stessa.”
Zoe
prende un lungo respiro, poi la guarda con
occhio critico mentre l’altra sorride alla tazza e riprende a
parlare.
“Più
che altro
lì dentro ho conosciuto molte persone. Sai, è
stato difficile all’inizio: non
mi fidavo di nessuno, avevo il terrore di vedere tutti scomparire
improvvisamente dalla mia vita e perciò non ho mai dato
fiducia a nessuno. Però
ho incontrato Rachel, che forse è disagiata –
molto – ma non nel senso che
intendi tu; poi ho trovato Percy, che ai miei occhi era come un eroe,
forse un
po’ tonto ma un eroe perché era lì a
salvare la sua fidanzata; c’era anche
Nico, che forse è quello che mi ha capita meglio subito
perché anche lui aveva
questo piccolo problema di fiducia verso gli altri, anche lui aveva
perso la
sorella –ma per sempre; c’erano Hazel, Will,
Annabeth, Jason, Chirone, Estia,
Frank, Piper.... ma soprattutto c’è stato
lui” ha un sorriso così dolce sul
volto che sembra fatto di zucchero filato, o forse è la
stessa consistenza
delle nuvole “Nonostante tu te ne sia andata ho scoperto che
non ti eri portata
via con te anche il mio cuore, come credevo all’inizio.
Tutt’altro, altrimenti
non mi spiegherei come sia così facile amare Leo, credo sia
la cosa più facile
di questo stupido mondo”
Zoe fa una
smorfia di disappunto piegando impercettibilmente le labbra mentre
Calypso
continua a guardare la tazza con quegli occhi pieni di luce e un
sorriso
spontaneo sulle labbra, di quelli che puoi nascondere solo abbassando
il viso e
mettendo una mano davanti alla bocca.
“Non volevo
metterti in imbarazzo, ehm! Dico solo quello che penso, proprio come mi
hai
insegnato tu!” Schiude la bocca e ride chiudendo gli occhi,
già l’aria nella
cucina torna più leggera, ma non di tanto. La maggiore si
è appena vista
catapultata nel passato e davanti ha una Calypso più piccola
con i capelli più
lunghi e un viso rotondo come la luna lavato dalle lacrime,
può anche sentire
quella dolorosa sensazione degli
addii
muti.
“Scusami”
prorompe interrompendo quella risata che le ricorda che davanti a lei
adesso
c’è una Calypso più alta con i capelli
corti e un viso magro e quel sorriso
amabilmente ipocrita.
“Eeh?
Perché
me lo chiedi? Non devi?” mormora confusa, o forse
è solo stupita, ma con quel
sorriso sul volto che non ha intenzione di far cedere.
“Se non me ne
fossi andata, se fossi restata tu non saresti mai caduta in questa
situaz...”
“Oh, con i se e con i
ma la storia non si
fa” vocia perentoria, addirittura irritata, e
adesso non sorride proprio
più, la guarda con occhi colmi di rimprovero. “Mi
hai già chiesto scusa”
“Non mi sembra
abbastanza” ammette mortificata “Io, davvero, Cal,
ti chiedo perdono per
essermene andata e per tutto quello che è successo, che ti
ho fatto soffrire.
Sono stata solo una povera idiota”
“Ma
insomma!”
sbotta facendo colpire con un rumore secco il fondo della tazzina sul
tavolo
“Smettila di prenderti tutte le responsabilità di
questo mondo! Specialmente se
non ce n’è il bisogno. Cosa avresti fatto,
altrimenti? Preferivi passare tutta
la vita chiusa in una casa odiata a fingere ciò che non sei,
prigioniera non
solo in una villa, ma nella tua stessa famiglia e nel tuo stesso corpo?
No, hai
fatto fin troppo bene. Che poi io abbia usato la cosa come scusa per
arrendermi
è affare mio, piuttosto sono io l’idiota che si
è chiusa frignando in sé stessa
perché non aveva più la sorellona a darle
attenzioni. Oh, sì! Sono stata
davvero una grandiosissima scema che ha preferito addossare le colpe ad
altri
che a sé stessa, quando erano solo sue.” Continua
a voce alta ed aspra
puntandosi il petto con una mano per sottolineare le sue parole
“Sono io
l’idiota, Zoe, sono io che non ha nemmeno provato a fuggire
quando era
prigioniera ma che invece è fuggita senza pensarci due volte
quando ha visto la
libertà perché ne ha avuto paura. Come se fossi
l’eroina di chissà quale
scadente libro. Guarda sorellona, hai davanti a te la più
grande e gigantesca
idiota che sia apparsa in questo mondo!”
Cala il
silenzio per qualche secondo mentre la più giovane la guarda
infervorata, ma
poi Zoe annuisce. “Sì, se la metti in questo modo
ha proprio ragione” e si
passa una mano tra i capelli in un timido sorriso che dovrebbe stare a
significare
che sì, va bene così. Anche se non è
vero perché non saranno quelle parole a
cancellare dieci anni di rimorsi.
Calypso guarda
fuori dalla finestra gli alti grattacieli della città e il
sole che fa capolino
tra di essi, da lì può vedere il traffico
cittadino. È una giornata ventosa ma
anche estremamente calda lì, a San Francisco. Il sorriso di
mediazione della
sorella le ha ricordato una cosa che le avevano detto tempo prima.
A
volte ho la sensazione che le nostre vite non
siano altro che una gara a chi collezione più rimorsi e
sensi di colpa nel
cuore rispetto all’altro.
Se
così fosse, Jason, comunque, per ora sta
vincendo.
Maledetta
sindrome del supereroe.
“Senti”
la
richiama Zoe, ha il viso mollemente appoggiato sul palmo della mano e
fa di
tutto per non guardarla “Perché sei
qui?” che alla fine è la domanda a cui
hanno girato intorno per tutto il tempo.
Calypso si
prende qualche secondo per pensarci studiando le decorazione sulla
tazza, il tè
si è raffreddato del tutto ormai. Poi alza lo sguardo.
“Zoe, ti va se ti racconto una
storia?”
Angolino
dell’autrice:
E così, dopo
tanto tempo, approdo nuovamente in questo fandom con questa sottospecie
di
long-fic. Sì, lo so che ormai mi davate per dispersa, ma
sono tornata!
Questa idea è
saltata fuori da un’enorme bisogno di leggere una Caleo, o
almeno una storia
con Leo protagonista, ma ahimè, sembrano essere rare quanto
gli struzzi in
technicolor c__c Ormai il sito è sommerso dalle Solangelo!
E dal momento che
la mia autrice preferita su questa coppia sembra essersi volatilizzata
nel
nulla (Mikiriseeee, dove seeei!) ho deciso di intervenire in prima
persona
peccando decisamente di ubris.
Quindi sì,
questa è una Caleo ma ci saranno anche i Solangelo e i
Percabeth perché sì. E
come avete visto, non tratta di cose proprio leggere (amo complicarmi
la vita).
Mi rendo conto che l’anoressia sia un argomento complicato,
frainteso e spesso
liquidato con un “ma mangia, basta quello!”.
È un argomento a cui sono molto
legate, anche, e spero quindi spero di poterlo rendere bene.
Ovviamente, non è
pro-ana o pro-tuttoquellochesuccederà. Semplicemente,
considero la scrittura un
modo come un altro per schiaffeggiare al mondo certe verità
che si tende ad
ignorare o a liquidare con i soliti luoghi comuni.
Ovviamente
parte II, mi rendo conto che non posso fare una cosa totalmente cruda,
cercherò
di renderlo in maniera leggere (anche se è pesante come un
macigno in realtà)
per non far star male le persone troppo empatiche come me –
vi capisco!
Questo è il
prologo e può risultare un pochino incasinato per via del
fatto che tutta la
storia sarà un flashback di Calypso (anche se
sarà narrata in terza persona),
quindi la storia parte in media res,
molte cose sono già avvenute ma i lettori non le conoscono,
quindi sì: la
confusione iniziale è tutta programmata!
Un’ultima
precisazione: il College Olympus. Ecco, mi sono informata in giro e ci
sono
varie strutture che ospitano ragazzi con determinati problemi
(odio definirli così, ma non so come altro spiegarmi!).
possono variare dai disturbi alimentari all’autolesionismo e
altre mental illness. Io ho optato
per fare
una cosa più easy
(sì, usiamo
l’inglese alla cazzo!), perciò nasce questo
College adibito sia
all’insegnamento, ma che ospita questi ragazzi aiutandoli a
ritrovare sé stessi
e a guarire. Ho aggiunto, che in estate – periodo in cui
è ambientata la storia
– esso diventi un campus estivo cosicché i ragazzi
possano trovare una casa per
tutti i giorni dell’anno nel caso i propri genitori o non ci
siano o non siano
in gradi di aiutarli/mantenerli. Altra cosa che ho aggiunto: sempre in
estate,
c’è la possibilità che degli esterni
possano aiutare i prof nella gestione del
Campus, queste persone vengono chiamate Magliette arancioni (spoiler:
Will e Percy
sono dei loro)
Spero di aver
detto subito. Come al solito, recensioni, pareri e critiche possono
aiutarmi
non solo a capire se la storia sia apprezzata ma anche a migliorare
nello
scrivere. Perciò, non siate timidi!
Sappiate che
regalo biscotti a chi recensisce xD
A presto!
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