Ahm. Per cominciare diamo a Cesare quel che è di
Cesare: la colpa è tutta di sour, che a tarda sera mi ha passato un’immagine che
mi sono sentita in dovere di
osservare estasiata per cinque minuti prima di decidere che dovevo scrivere
immediatamente qualcosa. Subito. E l’ho fatto.
Per correttezza e sperando di non contravvenire a regole di
sorta – ho guardato il regolamento ma non ho trovato il paragrafo giusto,
ritengo – l’immagine in questione è questa:
Father and Son
E naturalmente non mi arrogo
alcun diritto su essa. Appartiene a Damleg come
potete vedere dal link e la storia qui presentata non vuol essere in alcun modo
un’appropriazione indebita ma semmai un omaggio.
Idealmente, la colloco tra Balena
e Casa Uchiha, Cucina, ma non ha un’ambientazione particolare. Se non le
avete lette, fa lo stesso.
E, per inciso, non ci riesco a
vederlo OOC. Scusate, devo avere un disturbo mentale grave.
A presto.
suni
Dita
Sasuke sbadigliò a fondo, stiracchiandosi tra le
lenzuola fresche. Abbandonò pigramente la testa contro il cuscino mentre
il suo corpo registrava il freddo del posto vuoto accanto a lui. Socchiuse gli
occhi soltanto per trovare la conferma dell’assenza di Sakura, che
stranamente non aveva neanche sentito alzarsi. Pazzesco, quanto riuscisse a
dormire profondamente da quand’era nato Itachi. Tranne quando era il
pianto del bambino a destarlo, cosa che avveniva al suo minimo singulto, Sasuke
aveva ritrovato il sonno profondo dei suoi primissimi anni di vita.
“Buongiorno,” lo riscosse la voce di Sakura,
bassa e avvolgente.
Sasuke sollevò lo sguardo, scorgendo la moglie
già vestita sulla porta della stanza da letto. Strizzò gli occhi
con una smorfia che poteva vagamente rimandare a un sorriso, storcendo il naso.
“Ciao,” mormorò distrattamente.
Sakura accennò un sorriso, stringendosi le braccia
intorno al petto.
“Ti volevo solo dire,” iniziò,
sottovoce, “che la vecchia Yoko non sta bene, devo andare a vedere.
Probabilmente è questione di un attimo, ma pensa tu a Itachi,”
continuò, alzando poco a poco la voce.
Sasuke sbuffò rumorosamente, tediato.
“Devi andare adesso?” borbottò ritroso.
Sakura lo osservò severamente, rassegnata.
“E’ adesso che sta male, U,” osservò
condiscendente. “Il bambino sta dormendo, devi solo dare un occhio caso
mai lui…ma non succederà,” si affrettò ad assicurare
pragmatica, scorgendo il rifiuto negli occhi del marito. “Sta ronfando
come un ghiro, non si sveglierà mai,” aggiunse sicura.
Sasuke emise un altro rantolo sofferente, contrariato,
prima di puntare i gomiti contro il materasso per sostenersi.
“Va bene,” brontolò magnanimo.
“Vai pure.”
Sakura annuì con un sorriso, volteggiando fuori,
mentre lui si tirava a sedere controvoglia, sbattendo ripetutamente le
palpebre. Tese la mano alla cieca per afferrare il leggero kimono nero da
camera e se lo infilò sospirando mentre si tirava in piedi, stoico.
Gettò sul pavimento un’occhiata minacciosa, quasi volesse
intimidire le pantofole perché si palesassero all’istante, ed
eccole occhieggiare al fondo del letto. Trascinò i piedi fino a
raggiungerle e poi ciabattò fuori dalla stanza alla veloce, per
assentarsi meno possibile. Inutile rimettersi a dormire, perché ormai
era sveglio e l’assenza di Sakura lo rendeva vagamente inquieto; non era
sicuro di aver capito come si dovesse tenere in braccio un bambino molto piccolo, e se suo figlio si fosse messo a piangere l’unico modo in cui
avrebbe saputo farlo smettere sarebbe stato annegarlo, ma preferiva evitare
quell’eventualità.
Fu perciò con leggero nervosismo che scrutò
la culla in cui riposava Itachi, al ritorno dalla sua gita in cucina.
Poggiò il bicchier d’acqua appena riempito sul tavolino da notte e
si chinò sul lettino del bimbo, per verificare che stesse proprio
dormendo, poi si trattenne per qualche secondo a guardare.
La cosa minuscola che si chiamava Itachi era davvero
immersa nel sonno. Aveva le manine – microscopiche e cicciottelle –
contratte sul lenzuolo e la sua faccia tonda sembrava estremamente concentrata
nel dormire. Dalla cuffietta da notte che Sakura gli aveva calcato in fronte
sbucavano quattro degli otto peli corvini che al momento gli adornavano la
testa e le sue labbra erano strette coscienziosamente.
Era veramente una bestiola strana, ma Sasuke era sicuro di
non averne mai viste di così interessanti, specie quando Itachi era innocuo
e addormentato.
Si ritrasse con un lungo espiro, lasciandosi cadere a
sedere sul letto. La stanza vuota gli rimandò soltanto il lieve cigolio
delle assi sotto il suo peso, così flesse le gambe e si diede
leggermente la spinta dondolando ancora, e poi un’altra volta. Non aveva
nulla da fare, a parte star lì a controllare e sperare che Itachi
dormisse fino al rientro della madre. Sbuffò di nuovo, rimbalzando
più energicamente, e abbandonò indietro la schiena con un sobbalzo del letto. Il cuscino
rotolò di lato, urtando la lampada sul suo comodino, e quella
precipitò a terra di schianto.
“Dannazione,” sibilò Sasuke, storcendosi
indietro e tendendo il braccio per recuperarla. S’immobilizzò in
quella scomoda posizione innaturale nell’udire un terrificante mugugno
provenire dalla culla di Itachi.
“Oh, no,” mormorò atono.
Il mugugno si riprodusse più alto, implacabile.
“Nononononono,” ripeté fervidamente
Sasuke catapultandosi ginocchioni in avanti, le mani aggrappate al bordo della
culla: ma era troppo tardi. Le braccia di Itachi erano già tese verso
l’aria e ancor prima che lui potesse chinare la testa il lattante aveva
già lanciato il primo energico strillo di quello che divenne nel giro di
pochi secondi un pianto insistente.
“No! Non si fa, Itachi!” esclamò Sasuke
autorevole, senza nemmeno riuscire e sovrastare i suoi vagiti sofferenti.
Osservò con nuovo terrore la faccia ora violacea del figlio, distorta in
una maschera di infantile disperazione, mentre le urla crescevano ancora
d’intensità. Se non l’avesse fermato gli sarebbero
sicuramente esplosi i polmoni, sembrava avrebbero ceduto da un istante
all’altro. Era raccapricciante.
“Itachi, ti ho detto di smettere
immediatamente!” ribadì, dondolando furiosamente la culla. Il
bambino non gradì, poiché emise un urlo ancor più rabbioso
e ferito. “Itachi, guarda che…” aggiunse grave, prima di
ringhiare stizzito. Ecco a dar retta a sua moglie cosa succedeva.
Si tirò finalmente in piedi cercando di guardare
lucidamente alla situazione: se Sakura fosse stata presente, avrebbe
sicuramente preso in braccio il figlioletto, per cominciare. Con aperto sprezzo
del pericolo, Sasuke si piegò quindi sul lettino e sollevò la
coperta dal corpo di Itachi, afferrandolo saldamente con entrambe le mani per
tirarlo fuori.
“E sta’ fermo!” sibilò
indispettito, mente quello gli sgusciava come una saponetta e si agitava come
un ossesso. “Sta’ fe… Ma cosa sei,
un pitone? Fermo!” intimò, riuscendo finalmente in qualche modo a
bloccare la trota urlante che era Itachi, stretto contro il suo petto e
insaccato malamente tra le sua mani, di sghimbescio.
Il piccolo strillò indignato e Sasuke si
affannò a raddrizzarlo alla bell’e meglio, concentrato nel
tentativo di non farlo cadere. Se lo ribaltò tra le braccia quasi a caso
finché non ritrovò la sua testa nella giusta posizione e il suo sedere nel palmo della
mano, suo malgrado. Fu in quel momento che Itachi, d’improvviso,
spalancò due occhi neri inaspettatamente profondi ed afferrò
istintivamente il dito indice della sua mano, sospesa nel cercare una
collocazione utile.
Sasuke s’immobilizzò di schianto mentre il
bambino smetteva di piangere improvvisamente come aveva cominciato, aggrappato
al suo dito. Lui restò lì impalato con
le labbra semiaperte, senza nemmeno respirare, e Itachi strattonò piano
la sua mano e, parendo soddisfatto, emise un soffio che lui impiegò
qualche secondo a identificare: rideva.
Espirò rumorosamente, attonito, girando istintivamente
la testa intorno.
“Sak…!”
iniziò rauco, prima di ricordarsi di essere solo. Allora mosse ancora le
labbra senza produrre suoni e poi, inconsapevolmente, emise a sua volta un’inedita,
silenziosa risata incredula di meraviglia, tanto genuina e inconsueta che gli
grattò la gola. Osservò Itachi che di nuovo soffiava e poi
agitava ancora il suo dito, entusiasta, e crollò seduto sulla seggiola
accanto alla culla come se le gambe non avessero potuto reggerlo oltre –
gambe che invece l’avevano retto in tante battaglie all’ultimo
sangue.
Itachi parve gradire quella nuova posizione che permetteva
al suo giaciglio vivente maggior stabilità, perché tirò
ancora leggermente il suo dito - e Sasuke accostò la mano alla sua
pancia tonda quasi da sfiorarla - quindi storse il visetto in un sentito
sbadiglio.
Sasuke continuò ad osservare rapito i suoi occhi
sparire lentamente dietro le palpebre, non osando quasi prendere aria per non
disturbarlo. Il modo in cui quel corpo così piccolo gli pesava sugli
avambracci era assolutamente straordinario, come il fatto che servissero cinque
di quelle minuscola dita paffute per circondarne una sola delle sue. Eppure
sembravano proprio fatte apposta, come se lui fosse esistito per quello.
Strana, la vita.
Sakura si affrettò su per le scale silenziosa,
balzando leggera da un gradino all’altro. Si lanciò verso la porta
della stanza da letto con un sorriso incoraggiante e uno sbuffo pronto a lasciarle
dolcemente le labbra. Convinta che avrebbe dovuto semplicemente congratularsi
col marito per il gran gesto compiuto, formulò già mentalmente la
frase con cui avrebbe sottolineato che, proprio come aveva previsto, Itachi
stava ancora tranquillamente dormendo e lo sforzo di sorvegliarlo dopotutto non era
stato fatale. Nell’oltrepassare la soglia, si bloccò quasi a
mezz’aria ad occhi sgranati.
Sasuke era seduto accanto alla culla, di spalle alla
finestra. Teneva stretto a sé con un braccio Itachi, in una presa di
una naturalezza sconcertante, ed aveva un dito intrappolato nella mano del bambino
addormentato. Lo guardava ammaliato, il capo chino verso di lui, le spalle
rilassate e il sole chiaro del mattino riverberante tenue tutt’intorno.
Sakura li osservò perdendo qualche respiro, muta. Le venne in mente che a
quanto pareva forse un tempo era stata male, forse aveva sofferto; ma adesso,
mentre Sasuke percepita la sua presenza si voltava a guardarla vagamente
imbarazzato, non se lo riusciva proprio a ricordare.