Ebbene sì, metto l’angolo autrice prima,
perché in fondo mi sembra stoni come una campana.
Questa shot è per Sissy, che è un tesoro e mi ha
dato molto più di quanto lei stessa non si renda conto.
Buon compleanno, ti voglio bene <3
Avrei potuto scriverti qualcosa di più felice, ma la mano
dell’angst mi ha rapita un’altra volta, spero
davvero tanto ti piaccia!
Ora mi sento importante perché sto scrivendo in un fandom
che… beh… è un tantino deserto ^^
Buona lettura!
Silence.
Un tuono rompe la calma della notte ormai inoltrata. Battiti frenetici
su una porta chiusa, una figura stretta in un mantello nero si sta
lentamente infradiciando, i suoi colpi disperati sul legno si
confondono con il fragore del temporale che inghiotte
l’intera città.
Anche il cielo grida,
sconvolto.
È braccata, l’immagine cupa e nascosta dal buio,
ma non le importa davvero. Scappa da sempre, da quando ha scelto quella
vita. Da quando ne ha salvata un’altra. Ed è
proprio quella a tremare di più, anche se non ha il fiato
neppure per lamentarsi. È piccola, sembra indifesa, sembra
sparire nelle pieghe della cappa nera, non la si noterebbe, se solo un
braccio della disperata figura che batte alla porta non se la
stringesse tanto amorevolmente al petto. Un ennesimo lampo sventra la
coltre di nuvole.
Anche il cielo si
ribella, impotente.
Infine, la porta si apre.
-Black Jack, cosa ci fai qui?
Un torrente di parole rimane chiuso in entrambe le gole. Tanto si
potrebbe dire, ma non c’è tempo per parlare. Non
ora, non qui, non ne ha la forza.
L’unico occhio di Kiriko vede, capisce e tace. Si fa da
parte, accogliendo il fuggitivo nella sua casa.
Le piastrelle si bagnano non appena mette piede all’interno.
Anche il cielo
è venuto ad assistere, rassegnato.
Lo conduce per la casa, lo porta in una camera, accenna al letto. Black
Jack non lo guarda, non lo ringrazia. Si avvicina con passo tremante,
le gambe potrebbero cedere da un momento all’altro. Solo il
cielo sa quanto ha corso per arrivare fino a qui. Si inginocchia quasi
con riverenza, posando sulle coperte bianche un piccolo corpo. Kiriko
già ha intuito di chi si tratta.
Le lenzuola si macchiano immediatamente di rosso.
Anche il cielo sa.
Guarda brevemente la ferita, tremendamente ampia su una bambina tanto
piccola. Non c’è nulla da fare, il petto si alza e
abbassa con una lentezza terribile; non osa avvicinarsi per sentire il
battito, ma non sarebbe una sorpresa: debole, irregolare. È
resistente, non immortale. Black Jack non è quasi
riconoscibile. Lo guarda con occhi sconvolti, l’impotenza lo
soffoca, il dolore fa il resto.
Kiriko tace. Sa perché è venuto da lui, e non
è per cercare aiuto. È perché non
aveva alcun altro posto in cui fuggire. La stanza è
silenziosa, solo le gocce di pioggia sulla finestra danno un ritmo a
quella fine.
Anche il cielo piange.
Non può fare a meno di pensare che sia ingiusto.
È un pensiero sciocco, inutile per l’uomo che
è, ma la morte è tornata a sorprenderlo. Non
credeva fosse possibile.
Le sue stesse parole gli rimbombano nel cranio “la morte ha
gli occhi neri e rossi, e si lecca le labbra prima e dopo il pasto,
sempre” quasi poteva vederla, lingua vermiglia che passa su
delle zanne affilate, pregustando il sapore di quella bimba ferita.
Sbagliavi, Kiriko, la morte a
volte è una colomba.
Vorrebbe chiedere a Black Jack di lasciargli mettere fine a quella
terrificante agonia, quasi può vedere lievi spasmi di dolore
nei lineamenti distesi, abbandonati a un sonno troppo profondo per
essere beato.
Non può, non osa, non con quella paziente. Quindi guarda, in
silenzio. Vede una mano insanguinata scivolare da sotto il mantello
fradicio, allungarsi verso il visetto smorto, sporcarlo con
un’ennesima scia rossa in un disperato atto
d’amore. Le dita sono ferite, devono far tremendamente male,
ma sono la testimonianza di un ultimo, disperato tentativo.
Sbagliavi, Black Jack, la vita
non vince sempre.
Gli occhi grandi si aprono a quel contatto, le piccole labbra ormai
bianche sussurrano qualcosa, manine che non hanno la forza di
sollevarsi tentano di allungarsi.
Kiriko non sopporta più quella scena. Esce dalla stanza con
passi tanto silenziosi che Black Jack neppure alza la testa, troppo
addentro nel limbo di sofferenza e orrore che lo porta a cingere quel
piccolo corpo con un braccio, riportandolo vicino a sé, dove
ancora puoi sentire il flebile calore che emana.
-Schensche…-
Sbagliavate, credevate non
avesse più la forza di parlare.
Piange, piange, lacrime non sue le cadono sul viso, mischiandosi,
confondendosi, finendo l’una nell’altra e
dimenticando a chi appartenessero prima. Un’ombra si muove
davanti a lui, alza il capo di scatto, vede una siringa nel braccio
della piccola. –Morfina. Smetterà di soffrire. -
Gli è grato, non sa neppure come abbia fatto a non pensarci.
Gli occhi si richiudono, sa che non li vedrà mai
più aperti.
Una mano gli si posa sulla schiena, silenziosa. Non una parola, non un
suono, anche la pioggia smette di frustare il vetro della finestra.
Tutto sarebbe inutile.
La mano di Black Jack ancora sanguina, la ferita di Pinoko, invece, ha
smesso. Anche il dolore è cessato. Tutto si ferma.
Respiro.
Cuore.
D’un tratto le dita morse e scarnificate di
quell’uomo prostrato stringono un cadavere.
Kiriko abbassa gli occhi. Crede che Black Jack non si renda neppure
conto di ciò che è appena accaduto.
Ma
Black Jack lo sa.
La
stringe, pregando un Dio in cui non crede.
Urla dentro di sé, ma non una parola sfugge alle sue labbra.
Solo silenzio.
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