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Capitolo revisionato e corretto.
CAP.
11
PENSIERI
EDWARD
Il
viaggio in aereo era stato un vero incubo. I secondi sembravano
distillarsi goccia a goccia nell’enorme ampolla del tempo con
una lentezza esasperante.
Jasper
ed Alice erano seduti nei posti dietro al mio. Mi ero rassegnato ad
essere paziente non potendo fare null’altro, ed avevo
apprezzato molto che i miei fratelli durante tutto il tragitto non
avessero formulato alcun pensiero su quella che poteva essere la
situazione attuale di Bella. Cercavo disperatamente di non soffermarmi
troppo sugli scenari più terrificanti che potessi immaginare
e che avevano Bella come soggetto principale. Sapevo che dovevo essere
preparato ad affrontare situazioni difficili. La prima con cui mi sarei
dovuto scontrare era Charlie. Direi che odio dovesse, probabilmente,
rendere bene il sentimento che avrebbe provato per me a
quest’ora. Non che potessi dargli torto, ma avevo bisogno di
sapere da lui dove trovare Bella, visto che Alice non riusciva a
vederla.
Già
che cosa strana. Alice aveva detto che la visione su Bella aveva come
avuto un’improvvisa interferenza e poi si era dissolta. Io
d’altro canto non riuscivo più ad avere alcuna
percezione su di lei.
Amore mio resisti.
Avevo pensato per tutto il tempo in aereo intensamente sperando di
riuscire ad infondere alla mia amata la forza necessaria a sostenere
questa situazione. Ero stato distratto solo una volta dai pensieri di
Alice che mi mostrava una visione di lei che discuteva di Bella con
Charlie nella sua cucina. Io ero di fuori in ascolto. Pensi che potrebbe funzionare,
Edward?
«Credo
di sì» avevo mormorato e ora eravamo quasi fuori
casa di Charlie.
Sarei
rimasto nei paraggi abbastanza vicino da leggergli nella mente le
informazioni che ci servivano. E se Alice non fosse riuscita a
farglielo anche solo pensare, mi sarei appostato giorno e notte di
fuori e l’avrei seguito. Prima o poi sarebbe andato a
trovarla.
Ero
sceso dalla Mercedes appena passato il cartello di Forks e seguivo
l’auto con i miei fratelli correndo attraverso il bosco.
Jasper
si fermò proprio dove Bella usava parcheggiare il suo
pick-up e provai una stretta al cuore non vedendolo al suo solito
posto. Forse Charlie l’aveva portato in qualche garage
preventivando un lungo allontanamento del suo proprietario.
Mi
posizionai dietro un albero di fronte alla cucina. Ero abbastanza
vicino che avrei potuto sentire anche le voci dall’interno.
Alice
salì i gradini della veranda da sola. Jasper
l’aspettava in macchina.
Inspirò
e bussò al campanello. Sentii i passi pesanti del capo Swan
apprestarsi alla porta e la vidi aprirsi.
«Ciao
Charlie.» La voce di mia sorella tradiva emozione. Era molto
legata al padre di Bella.
Nella
mente di Charlie lessi un susseguirsi di sensazioni forti e
contrastanti. Sorpresa, dolore, rabbia, rassegnazione. Poi, gioia.
Mi
rilassai, almeno le avrebbe permesso di parlare.
«Oh
Alice, quanto tempo …» la voce di Charlie si era
incrinata. Esitò, poi, l’abbracciò e si
scostò per farla entrare.
Acuì
tutti i miei sensi e attesi.
Vedevo
il volto stanco di Charlie attraverso gli occhi di Alice e sentivo i
pensieri dispiaciuti di mia sorella. Quell’uomo aveva
passato, e stava passando tuttora, dei brutti momenti. Isolai tutti i
pensieri e le immagini superflue e mi concentrai su Charlie. Parlarono
per un po’ del più e del meno. Per la nostra
partenza, Alice aveva sfoderato la scusa della manifestazione di una
rara sintomatologia che l’aveva obbligata a degli esami
speciali eseguibili solo a Los Angeles. Lui le prese la mano toccato e
le chiese delle sue attuali condizioni di salute. «Ora sto
bene, ma ti prego, Charlie, parlami di Bella. Mi è mancata
tanto, sapessi quanto è stato difficile per me non averle
potuto più parlare. Come sta,
dov’è?»
Lui la
guardò con sofferenza e disse solo: «E’
stata molto male Alice e non si è ancora ripresa.»
Mi colpirono dei ricordi di Charlie che osservava Bella.
Bella
seduta in cucina sciupata, il capo chino e gli occhi tristi persi nel
piatto intatto davanti a sé.
E ancora
Charlie
che si alzava la notte per controllarla e la sentiva singhiozzare
dietro la porta.
Serrai
forte la mascella.
Presi
un paio di respiri per calmarmi.
«Capisco.»
Il tono di Alice si era fatto serio. Aveva capito che non sarebbe stato
facile estorcere a Charlie qualsivoglia informazione che potesse
esporre la figlia ad un possibile ritorno al passato che avrebbe
riacutizzato il dolore. Poi, la dolcezza fatta persona,
continuò in tono dimesso e implorante: «Ah come
vorrei poterla rivedere! Ma mi rendo conto che potrebbe essere un
po’ prematuro se non è in condizioni di salute
ottimali. Magari potrei scriverle una lettera? Pensi che potrebbe farle
piacere?»
Mi
protesi un po’ in avanti per ascoltare la risposta di lui.
Attesi impaziente, ma i suoi pensieri mi raggiunsero per primi.
Mi dispiace tesoro, ma non
esporrò Bella ad alcun trauma a causa di voi Cullen. Lo so
che tu sei in buona fede, ma quell’altro … No, non
posso darti l’indirizzo della clinica. Decise
infine.
Sospirai
affranto. Ci sarebbe voluto più tempo di quanto avessi
immaginato.
«Non
lo so, Alice, non so se gliela farebbero recapitare. E’ in
una clinica dove si stanno prendendo cura di lei, ma è
ancora molto debole, ha bisogno di tranquillità
…» le parole di lui erano gentili, ma il tono era
fermo. Vidi un’immagine della clinica nella mente di Charlie
Un
palazzo a sette piani, un giardino dinnanzi, un cancello verde
… Mi sarebbe stato utile.
«Certo,
mi rendo conto perfettamente.» Alice si era alzata e si
avviava alla porta. Lui l’accompagnava e disse esitante con
aria preoccupata: «Scusami se te lo chiedo Alice, ma non
tornerà anche lui vero?»
Lei ritenne più cauto mentire in questo frangente.
«Non per il momento credo» Poi, si girò
e disse furba:« Magari la lettera potrei darla a te domani,
così potresti portargliela tu la prossima volta che vai a
trovarla!»
Lui la
guardò teneramente. Gli dispiaceva mentirle, lo leggevo
chiaramente, ma per Bella avrebbe affrontato le peggiori torture. Si
affrettò a dire:« Certo cara, dalla pure a me
quando l’avrai scritta, gliela consegnerò
io.» Intanto aveva aperto la porta e la salutava dispiaciuto
per lei. Pensieri contriti accompagnavano i convenevoli.
Poveretta,
so che le vuole bene, ma non credo che porterò la sua
lettera con me, la prossima volta che andrò a Seattle.
SEATTLE!
Mi
voltai e cominciai a correre come il vento.
JACOB
Me ne
stavo nascosto fuori al giardino della clinica. L’orario di
visite era finito e non mi permettevano più di rimanere con
Bella. Di ritornare a casa non se ne parlava proprio. Non la lasciavo
lì da sola. Avrei trascorso tutta la notte fuori, ma non mi
sarei allontanato da lei di un altro metro.
Piccola
Bella, piccola mia.
In
realtà non è che potessi proprio usare
l’aggettivo mia,
ma avevamo fatto notevoli progressi in quel senso. Andavo a casa sua
tutti i giorni, chiacchieravamo, e lei desiderava la mia compagnia. Mi
pareva proprio che le cose stessero andando meglio. E poi,
c’era stato quel bacio, quell’unico meraviglioso
bacio. Forse era stato un po’ prematuro, ed io un
po’ impetuoso, ma lei mi aveva chiesto di non andarmene, di
stringerla. Lei me lo aveva chiesto. Ed io non sarei riuscito a
resisterle ancora per molto.
Stava
andando tutto per il verso giusto fino a quando Charlie non
l’aveva portata a Port Angeles da quegli strizzacervelli e
lei aveva visto quella piccola sanguisuga.
Mi
sentivo un po’ in colpa, a dire il vero.
Quel
giorno quando i medici erano piombati nella stanza dove si trovava
Bella, mi ero precipitato anch’io dentro. Lei era quasi
riuscita ad aprire una finestra ed era agitatissima. Mormorava il nome
della succhiasangue tra le lacrime. Poi, l’avevano afferrata
e lei aveva cominciato ad urlare e a dibattersi. Mi ero avvicinato
anche io e dalla finestra mi era giunta chiaramente la scia puzzolente
di quegli schifosi vampiri. Senza pensarci molto, senza smentire i loro
sospetti di un tentativo di suicidio avevo lasciato che la sedassero e
la ricoverassero qui a Seattle.
Non
sapevo se quell’Alice l’avesse vista o sentita ma,
nel dubbio, la possibilità di allontanarla da Forks mi
sembrava un’occasione capitata proprio a fagiolo. Sarebbe
trascorso un lasso di tempo utile ad accertarmi
dell’eventuale ritorno dei Cullen e in quel caso li avrei
affrontati. Non avrei permesso che facessero ancora del male a Bella.
Al diavolo il patto, gli avrei sciolto tutti i lupi addosso e li avrei
fatti a polpette!
Non mi
piaceva l’idea di Bella chiusa in un manicomio, ma quelli
erano medici, giusto? Aiutavano le persone non facevano loro del male.
Era di certo più sicuro tenerla qui dentro che a casa sua a
Forks. Almeno per il momento. Almeno fino a quando non avessi avuto
più tempo a disposizione per rafforzare il nostro legame
nascente.
Restavano
ancora troppe questioni irrisolte. Non le avevo ancora spiegato la mia
natura di lupo. Benchè avessi accennato a qualche leggenda
che narrava delle trasformazioni dei licantropi, e, inconsapevolmente
avessi fatto riferimento al patto che i miei avi avevano stipulato con
i Cullen, non mi ero rivelato nella mia vera natura, perché
allora io stesso credevo che quelle fossero solo storielle. Ma
l’anno prima era avvenuta la mia trasformazione. Sam mi aveva
aiutato, confortato e spiegato che l’aumento dei vampiri
nella nostra zona aveva innescato la mia trasformazione. Mi aveva
parlato dell’alpha
e mi aveva detto che nel branco attuale io ero l’alpha per diritto
di nascita, ma che lui mi avrebbe aiutato e sostenuto fino a quando non
mi sarei sentito pronto ad accettare il comando.
Beh,
ora mi sentivo pronto.
Mi
appoggiai al tronco di un albero con stanchezza. Non mi facevo una
dormita decente da un po’, magari avrei schiacciato un
pisolino … già solo qualche minuto per far
riposare gli occhi … neanche mi resi conto di scivolare nel
sonno.
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