Il sole d’Agosto splendeva su Rocca Arsa.
Federica attraversò ciondolando la
piazza, ignorando gli sguardi curiosi e i bisbigli delle persone che
già affollavano il posto. Proprio un anno prima, lei e
Antonia erano sparite nel nulla; per mesi il paese e i dintorni erano
stati setacciati senza successo, e proprio quando le ricerche erano
state abbandonate, Federica aveva fatto il suo ritorno a casa.
La ragazza sapeva il perché dei
sussurri e delle occhiate furtive: quando era ricomparsa, da sola e
professando a gran voce di non sapere dove fosse Antonia e di non
ricordare nulla, le chiacchiere dei paesani si erano scatenate: avevano
sospettato tutti – e giustamente, peraltro – che
stesse mentendo; quello che non le andava giù era la
direzione che aveva preso l’immaginazione di quelli che aveva
sempre considerato amici. Alcuni erano addirittura arrivati a insinuare
che avesse ucciso Antonia e ne avesse occultato il corpo; e per
Federica, che non solo non avrebbe mai fatto niente del genere ma che
aveva combattuto e rischiato di morire, al fianco dell’amica,
quelle malignità erano quasi insopportabili.
Mentre sedeva in un angolino solitario, lontano da
tutti, si chiese per l’ennesima volta per quale motivo fosse
tornata a Rocca Arsa: avrebbe fatto meglio a restarsene a Roma, o ad
andare in un qualsiasi altro luogo, dove le chiacchiere perfide della
gente non l’avrebbero raggiunta. In fondo, stare
lì ormai era soltanto una tortura.
In realtà, Federica sapeva benissimo
per quale motivo aveva scelto di tornare: percorrere di nuovo i
viottoli familiari del paesino abruzzese le dava
l’impressione di essere più vicina ad Antonia, e
una piccolissima parte di lei continuava a sperare di vederla comparire
da un momento all’altro.
La ragazza era immersa in questi pensieri quando
d’improvviso la terra tremò e un ruggito che non
sentiva da mesi squarciò l’aria.
Antonia era esasperata.
Sposarsi non era mai stata in cima alla lista
delle sue priorità, ma organizzare quel matrimonio
– il suo
matrimonio, prima o poi avrebbe dovuto cominciare ad ammetterlo almeno
nella propria testa – la stava davvero facendo impazzire.
Già solo la cosa in sé era sufficiente a farle
dare di matto, e se si aggiungeva il fatto che avrebbe sposato due
fratelli contemporaneamente, che loro tre erano la Mano degli
Dèi il cui arrivo era stato profetizzato mezzo millennio
prima, e che in occasione della cerimonia sarebbero stati dichiarati
governanti, allora si poteva capire come la pressione su di lei
aumentasse in modo esponenziale rispetto a un qualsiasi matrimonio.
La ragazza si nascose il volto tra le mani.
«Porta pazienza, Antonia»
esalò Jonas: era provato quanto lei dalla situazione, ma
voleva comunque cercare di confortarla un po’. «Tra
un paio di mesi sarà tutto finito».
«Un paio di mesi!»
ripeté Antonia, inorridita. Si premette con più
forza le mani sul viso. «Non è riuscita a farmi
scappare la guerra, ma questo matrimonio forse ce la
farà!» si lamentò.
Baumann arrivò alle loro spalle,
silenzioso come un gatto. «Non dovresti essere felice di
sposarci?» la stuzzicò.
«Lo sarei, se non fosse tutto
così… così…
imponente!» borbottò lei.
«È il duro destino dei
governanti, essere sempre sotto l’occhio vigile del
popolo» scherzò il principe. «Non ti
conforta sapere che dopo sarai regina?»
«No» brontolò
Antonia. «Forse, sterminare qualche
Orco…» aggiunse speranzosa.
«Non si può»
rispose Baumann, serio, distruggendo all’istante
l’entusiasmo della sua promessa sposa. «Gli Orchi
sanno che io, te e Jonas siamo la Mano degli Dèi: di sicuro
sono all’erta, pronti per quando metteremo il naso fuori dal
castello».
«Ma prima o poi dovremo
uscire» obiettò lei. «Altrimenti non
metteremo mai fine a questa guerra…»
«Prima dobbiamo essere uniti in modo
indissolubile» le spiegò paziente Baumann per
l’ennesima volta. «Oltre a renderci più
coesi, solleva il morale dei cittadini e delle truppe».
Scosse la testa di fronte all’identica espressione poco
convinta di Antonia e Jonas. «Dovete capire che anche queste
cose sono importanti…»
«Quando regneremo insieme, della
politica te ne occuperai tu» bofonchiò Jonas.
«Quello che non capisco è che
bisogno ci sia di questa pompa magna» insisté
Antonia, disperata.
Baumann lasciò vagare lo sguardo nella
sala. Accanto a Isdrid, Margaerys discuteva di infiniti dettagli della
cerimonia nuziale con i capi dei servitori: sul volto di sua sorella
c’era tanto felice entusiasmo da strappargli un sorriso.
«So che non ti piace» ammise
infine, «e un po’ disturba anche me,
ma…». Gettò un’altra occhiata
a sua sorella. «Margaerys è così felice
di essere libera di occuparsi di cose del genere che… che mi
dispiacerebbe frenarla» confessò.
Lo sguardo di Antonia si addolcì mentre
a sua volta osservava la futura cognata. Quello che aveva detto Baumann
era vero: Margaerys sembrava risplendere mentre si occupava di tutti
quei dettagli che lei trovava noiosi da morire.
«Posso capire il tuo punto di
vista» rispose infine. «E va bene, falle fare
quello che preferisce, riguardo la cerimonia» cedette.
Baumann le scoccò un sonoro bacio sulla
guancia; anche Jonas le sorrise, ma un urlo improvviso
spezzò quel momento di quiete.
Margaerys si afferrò la testa, urlando,
e barcollò vistosamente prima di perdere
l’equilibrio. Tutti scattarono verso di lei, ma Illyrio fu il
più veloce: la circondò con le braccia prima che
potesse cadere, e con una mano le scostò i capelli dal volto
e le accarezzò la fronte.
«Che succede, Margaerys?» le
sussurrò con dolcezza sorprendente il Magister Fascinationum.
«Che cos’hai?»
La principessa si aggrappò alle braccia
di Illyrio, tremante.
«La Dea ha parlato»
esordì con voce flebile. «Il momento della
battaglia è giunto».
Gli occhi di Baumann si sgranarono. «Ma
è troppo presto!» protestò.
«La Dea ha parlato»
ripeté sua sorella. «Non possiamo sottrarci: i
nemici hanno già attaccato».
«Margaerys, questo non è
possibile» intervenne Jonas in tono ragionevole.
«Le sentinelle sono all’erta: se gli Orchi avessero
attaccato in un qualsiasi punto del regno, saremmo già stati
avvertiti».
«La Dea ha parlato»
insisté Margaerys, ostinata. «Il momento di
combattere è arrivato, i nemici hanno attaccato: la
battaglia oltre le mura è cominciata».
Baumann e Antonia si scambiarono uno sguardo
confuso.
«Non si sente nulla» disse
Baumann. «Fuori dalle mura è tutto
tranquillo».
Illyrio distolse gli occhi da Margaerys per
fissare quelli di Baumann. «Ha detto che la battaglia
è oltre le mura, non fuori le mura»
sibilò.
«E qual è la
differenza?» chiese impaziente il principe.
Jonas digrignò i denti. «Te
lo ricordi cosa sono i Varchi?» domandò brusco.
«Sono brecce nel muro che ci divide dagli altri mondi.
Quindi, quando la Dea dice che la battaglia è oltre le mura…»
«…vuol dire che è
in un altro mondo». Antonia trattenne fiato. «Non
nel mio!»
«Nel tuo» confermò
Margaerys.
«Ha senso» commentò
Illyrio, cupo. «Qui siamo preparati ai loro attacchi, negli
altri mondi no; quale modo migliore per attirare la futura regina fuori
dalla protezione del castello – e con lei Baumann e Jonas,
perché sanno che non la lascerebbero mai sola – di
attaccare il suo mondo d’origine?»
«Non posso lasciare che lo
facciano!». Antonia scattò verso la porta, ma
Baumann fu rapido ad afferrarla.
Jonas corse alla porta più vicina e mise fuori la
testa. «Alec! Zane!» chiamò con tutta la
voce che aveva. «Radunate subito l’esercito!
Dobbiamo raggiungere il Varco!»
«È una trappola! Non potete
andarci!» protestò Mastro Devall.
«Invece è esattamente quello
che faremo» ringhiò Baumann. Scoccò uno
sguardo di fuoco a Illyrio. «Prova a fermarmi, Illyrio, e
prometto che ti staccherò la testa con la spada di mio
padre».
«Come se fosse possibile»
sbuffò il Magister,
raddrizzandosi. «Fermare uno di voi è difficile,
ma provare a bloccare tutti e tre è impossibile».
Scrollò le spalle. «Vorrà dire che
combatteremo. Antonia, avremo bisogno di armi, nel tuo mondo la Magia
non ci assisterà…»
Margaerys gli si aggrappò a un braccio,
i begli occhi spalancati e pieni di paura. «Non potete andare
tutti! E se moriste? Chi governerebbe il regno?»
Baumann le sorrise, e con dolcezza
liberò Illyrio dalla sua presa.
«Tu, Margaerys» disse con
fermezza. «Tu devi restare, perché il nostro regno
abbia qualcuno su cui contare in caso ci succedesse qualcosa. Torneremo
vincitori, o pronti per essere seppelliti».
«Non puoi chiedermi questo»
sussurrò lei.
«Non ho bisogno di chiedertelo:
è il tuo dovere, come il nostro è
combattere» replicò Baumann. «A suo
tempo mi sono piegato all’onta di non combattere
perché il regno avesse un re; adesso tocca a te».
Le baciò la fronte, subito imitato da Jonas.
«Attendi il nostro ritorno, e in ogni caso, sii fiera di
noi».
«Lo sono già»
rispose affranta Margaerys.
Antonia le si parò di fronte: la
fissò con determinazione, poi
l’abbracciò.
«Abbi fede negli Dèi,
Margaerys» disse. «E abbi fede in noi».
«Dobbiamo andare, Antonia,
subito» intervenne Jonas.
La ragazza lasciò andare la sua
coetanea e prese le armi che il capitano le porgeva, poi tutti i
presenti, eccetto la principessa, Mastro Devall e Isdrid, si mossero
per raggiungere l’esercito.
Antonia si fermò sulla porta per
guardare un’ultima volta sua cognata.
«Invoca la protezione degli
Dèi su di noi, sorella» disse prima di sparire.
Le urla erano assordanti.
Gli Orchi si erano riversati in massa fuori dal
Varco presente a Rocca Arsa e avevano invaso il paesino con brutale
rapidità, menando martellate feroci sul terreno e rendendo
instabile ogni centimetro nel raggio di centinaia di metri. Gli
abitanti erano stati a dir poco colti di sorpresa, ma lo shock di
trovarsi di fronte delle creature leggendarie era durato poco: ben
presto il panico aveva preso il sopravvento, e i vacanzieri avevano
cercato riparo nelle case più vicine, trascinando via vecchi
e bambini.
Federica era l’unica ad aver mantenuto
il sangue freddo.
Nonostante l’incredulità di
trovarsi di fronte gli Orchi in un mondo in cui non sarebbero dovuti
mai arrivare, la ragazza aveva reagito con incredibile
rapidità: era corsa a casa per uscirne subito dopo con
l’arco e la faretra a tracolla, la spada al fianco e un
grosso sacco di tela in ogni mano.
Arrivata alla piazza, si rese conto che la
situazione era già critica: le martellate dei Signori del
Terremoto avevano aperto profonde crepe nel selciato e sui muri dei
palazzi circostanti. Ancora un po’, e di Rocca Arsa non
sarebbe rimasto che un cumulo di macerie.
Con gesti veloci Federica aprì le due
sacche e ne lanciò il contenuto tutt’intorno:
migliaia di piccole sfere gommose, ricavate dalla linfa delle piante
dello Staudeheim, rotolarono nelle spaccature del terreno e tra i
sampietrini, incuneandosi nelle fessure. La gomma fece il suo dovere,
assorbendo ogni vibrazione, e di colpo il mondo fu di nuovo stabile.
Per un minuto buono gli Orchi si bloccarono,
fissando interdetti i propri martelli e abbattendoli a più
riprese al suolo, tentando inutilmente di scatenare altri terremoti.
Federica approfittò del momento.
Scoccò varie frecce in rapidissima successione, uccidendo
una buona decina di nemici; poi sguainò la spada e si
gettò su quelli ancora in piedi.
Gli Orchi si ripresero in fretta dallo stupore, e
altrettanto in fretta individuarono in Federica l’unica
minaccia presente. La accerchiarono subito, mulinando i martelli nel
tentativo di schiacciarla, ed era chiaro che presto o tardi almeno uno
di loro l’avrebbe colpita.
Federica non provò paura. Quando si era
gettata a testa bassa tra gli Orchi, era consapevole che la sua era una
battaglia vana: i nemici erano decine, forse centinaia, e lei era sola.
Non aveva sperato neanche per un momento di farcela: sapeva che era
impossibile… ma se proprio doveva morire quel giorno, aveva
intenzione di portare con sé più Orchi che poteva.
Gli Orchi serrarono i ranghi; Federica vide il
cerchio stringersi intorno a sé e i martelli vorticare
sempre più vicini, e seppe che era arrivata la fine.
Poi gli ululati esplosero nella piazza e gli Orchi
si voltarono in perfetta sincronia verso un unico punto.
La galoppata di Antonia, Baumann e Jonas verso il Varco era stata
rapidissima; la ragazza aveva effettuato il Salto per prima, in modo
che a tutti gli altri fosse sufficiente concentrarsi sul desiderio di
raggiungerla per arrivare a destinazione.
Non appena aveva rimesso piede nel proprio mondo
d’origine, Antonia aveva sentito chiaramente i ruggiti degli
Orchi e le grida di terrore dei suoi compaesani; aveva compreso
all’istante che il frastuono era concentrato nella piazza del
paese e aveva lanciato Nebbia al galoppo giù per la ripida
discesa su un terreno miracolosamente saldo, seguita dai suoi promessi
sposi e da tutto l’esercito.
Quando sbucarono nella piazza di Rocca Arsa, la
scena che si presentò ai loro occhi era di devastazione: gli
Orchi inseguivano le persone inermi, cercando di colpirle, e un gruppo
più folto si era stretto intorno a una piccola porzione di
terreno.
Nonostante il rumore assordante, Antonia
sentì le urla di sfida di Federica.
«Arcieri, pronti!»
ordinò a gran voce, incoccando una freccia
nell’arco; i soldati obbedirono, e un secondo più
tardi una pioggia di frecce cadde sul manipolo di Orchi più
lontani, che si dispersero gridando.
Federica sbucò correndo dal gruppo di
nemici.
«Siete qui!» urlò
sollevata. Lei e Antonia si scambiarono un rapido sguardo determinato,
poi un secco ululato la distrasse: il lupo che era stato suo fedele
compagno nei mesi trascorsi nello Staudeheim era lì, a un
passo da lei.
La ragazza saltò in sella e
afferrò le redini con la mano libera.
«Fanteria,
all’attacco!» urlò Jonas.
I soldati scattarono in avanti, spade e lance in
pugno, e si scagliarono sugli Orchi; Jonas e Baumann, Antonia e
Federica, Illyrio, Alec e Zane spronarono i lupi e si sparpagliarono
tra i nemici, subito seguiti dalla cavalleria.
Gli Orchi, impreparati a trovare resistenza
così presto, non si opposero efficacemente a quella brutale
e inaspettata carica: parecchi caddero sotto i colpi dei soldati, altri
vibrarono delle martellate poco convinte, facili da schivare.
Antonia, sempre in sella a Nebbia,
spronò il lupo contro l’Orco più
vicino; l’animale obbedì entusiasticamente,
saltando alla gola del nemico e squarciandola con i lunghi denti.
Intorno a lei, gli altri soldati a dorso di lupo facevano lo stesso,
decimando gli Orchi.
E poi arrivò quello che, Antonia lo
sapeva, era l’unico davvero importante: Caliban si erse in
tutta la propria statura al centro del campo di battaglia,
gonfiò il petto enorme e urlò un incitamento ai
propri simili, il martello teso verso il cielo.
Baumann, Jonas e Antonia si voltarono verso di lui
nello stesso istante; gli occhi del primo s’incendiarono
d’odio.
«CALIBAN!» tuonò
mentre spronava il proprio lupo alla carica, la spada che era stata di
suo padre tesa verso il Signore del Terremoto.
Caliban si voltò a guardare il punto da
cui era partito il grido e sorrise, feroce e soddisfatto.
«Baumann, principe dello
Staudeheim» chiamò con la sua voce possente.
«Qui si compie il tuo destino. Come ho ucciso il padre,
ucciderò il figlio!»
Baumann non diede peso alle sue parole:
incitò il lupo ad andare più veloce, e lo stesso
fecero Jonas e Antonia. Caliban vide i tre convergere su di lui e
serrò la presa sul martello.
Una nuova pioggia di frecce cadde con precisione
sugli Orchi; fanti e cavaliere partirono con una nuova carica sotto la
guida dei gemelli e di Illyrio, impegnando i nemici e lasciando campo
libero ai tre che dovevano affrontare il Signore del Terremoto.
Caliban non sembrò impensierito nel
ritrovarsi di fronte le Tre Speranze finalmente unite: anzi, sorrise,
come se non avesse desiderato altro. Lui e Baumann si fissarono con
ferocia, di nuovo uno di fronte all’altro dopo oltre dieci
anni.
Fu il principe a spezzare il silenzio.
«Io ti ucciderò»
sibilò. «L’ho giurato il giorno in cui
hai ucciso mio padre, che l’avrei vendicato, e finalmente il
momento è arrivato».
La bocca dell’Orco si stirò
in un sorriso cattivo.
«Pensi davvero di potermi uccidere,
piccolo Baumann?» lo schernì. «Uccidere me, il primo e vero
Signore del Terremoto; me,
un combattente con quasi mille anni d’esperienza, al
contrario di te, che non sei quasi mai sceso in campo; me, Caliban, a cui
soltanto Gowan è sfuggito?». Rise sprezzante.
«Tu non sei Gowan, Baumann, e se io dovessi scegliere di
temere qualcuno, questo qualcuno sarebbe il capitano Grant,
l’unico ad aver emulato l’impresa di
Gowan!»
Baumann non si lasciò incantare dalle
parole dell’Orco: sebbene fosse arrossito di rabbia agli
insulti che gli erano appena stati rivolti, non distolse lo sguardo dal
nemico e non abbassò la guardia.
«Non riuscirai a metterci uno contro
l’altro, Caliban» intervenne Jonas con voce ferma:
anche lui teneva la spada puntata contro l’Orco.
«Tutti e tre abbiamo un conto aperto con te; è il
momento di saldarlo».
«Tutti e tre?» gli fece eco
Caliban, divertito e scettico. «Posso capire te e Baumann;
volete vendicare vostro padre; ma la straniera? Lei non
c’entra con questa guerra». Guardò
Antonia, che lo teneva sotto tiro con l’arco sollevato.
«Tu non sei obbligata a combattere; questa guerra non ti
riguarda. Puoi tornare nel tuo mondo, il tuo vero mondo, e
lasciarti tutto alle spalle. Fingere che sia stato soltanto un sogno, e
nulla di più» disse tentatore.
Antonia sorrise perfida.
«Ho deciso di combattere questa guerra
prima che tu attaccassi il mio mondo d’origine: oggi, ho due
volte un buon motivo per combatterti» replicò. Con
un gesto repentino scoccò la freccia, centrando Caliban
dritto nell’occhio.
Il Signore del Terremoto gettò la testa
indietro e ruggì di rabbia e dolore. Quello fu il segnale:
l’esercito dello Staudeheim si riversò come un sol
uomo sui nemici, tenendoli impegnati, mentre Baumann, Jonas e Antonia
scattavano verso Caliban con le spade sollevate.
Fu un attimo. La spada di Baumann
trapassò il collo dell’Orco da parte a parte;
Jonas abbatté la propria tra la quarta e la quinta costola,
centrandogli il cuore; Antonia gli conficcò la sua nello
stomaco.
L’intero corpo di Caliban
tremò. Antonia e Jonas estrassero le spade dalle carni
dell’Orco e indietreggiarono; Baumann sfilò la sua
soltanto per impugnarla con entrambe le mani e decapitare Caliban con
un gesto secco.
Cadavere e testa caddero a terra. Nello stesso
istante, gli Orchi deposero i martelli e si arresero uno dopo
l’altro, inchinandosi e riconoscendo la sconfitta.
Le operazioni di sgombero di Rocca Arsa procedevano senza problemi.
Subito dopo che gli Orchi erano arresi, dallo
Staudeheim erano arrivati altri soldati portando con sé
manette e catene: i nemici in ceppi erano stati ricondotti oltre il
Varco, e la lunga serpentina di soldati e Orchi continuava a snodarsi
attraverso il paese.
La piazza era di nuovo affollatissima: i paesani
vi si erano riversati non appena avevano capito che il pericolo era
cessato e, nonostante il comprensibile timore suscitato in loro dai
lupi giganti, parecchi si erano avvicinati ad Antonia, increduli e
sorpresi da quell’improvvisa e straordinaria ricomparsa.
La ragazza stava giusto cercando di non farsi
sommergere dalle domande dei suoi compaesani quando le grida di due
voci familiari si fecero strada fino a lei.
Antonia scostò le persone che aveva
intorno con gesti bruschi fino a quando non incontrò i due
volti che più di tutti le erano mancati in
quell’anno.
«Papà!
Mamma!»
I suoi genitori l’abbracciarono stretta,
piangendo di sollievo. Quando alla fine si staccarono, arrivarono le
inevitabili domande.
«Antonia, si può sapere dove
sei stata per tutta questo tempo? Eravamo così
spaventati… non credevamo ti avremmo mai più
rivista!» disse sua madre.
«È una storia
lunga» rispose Antonia. Cercò con gli occhi
Baumann e Jonas, impegnati a dirigere il trasferimento degli Orchi.
«E ci sono un paio di persone che vi devo
presentare». |