DAME DE GLACE
Arrivare
in orario è un
talento, arrivare in ritardo è una dote.
Lo
diceva spesso mia nonna che cantava in miseri
bar ma che di apparizioni spettacolari doveva saperne ben più di me.
Crescendo,
avevo fatto mio quel consiglio nonostante lavorassi anni luce lontano
dallo
showbiz. Mi si era sempre rivelato utile.
Aspettare
che tutti si chiedessero di chi fosse
quella motocicletta abbandonata in mezzo a tutte le altre, quasi con
distrazione; osservare tutti gli altri concorrenti in disparte,
memorizzando
dove i loro meccanici infilassero le mani per gli ultimi ritocchi.
Ritocchi ai
loro punti deboli.
Poi
comparire poco prima dello scadere del
tempo, tuta indosso e casco in testa. Era divertente osservare le
reazioni
degli altri concorrenti: c'erano gli infastiditi, i confusi, gli
arrabbiati...
Arrivare
in ritardo era una dote, si. Spezzare
la concentrazione, rimescolare le carte, introdurre una variabile che
non
avevano potuto analizzare.
Diedi
un discreto cinque al mio capo meccanico
-nonché unico elemento della squadra-, nascondendo le mani con i nostri
corpi,
facendolo passare per un gesto casuale. Non amavo che quella gente
sapesse a
chi mi rivolgessi per le riparazioni: Lindsay era la migliore sulla
piazza ed
era mia esclusiva. Volevo che rimanesse tale.
Mi
feci largo tra la piccola folla che si era
accalcata ai bordi del canalone senza dover nemmeno spintonare e poi
affrontai
la pendenza che mi divideva dalla pista.
La
mia creatura mi aspettava lì come una fedele
compagna, chiavi nel quadro e un motore pronto a ruggire. Non era la
due ruote
più performante per una gara ma era ciò che potevo permettermi al
momento. E
poi, mi faceva vincere: squadra che vince non si cambia.
Montai
in sella.
La
pista non era altro che il canalone
prosciugato che passava sotto il 6th
Street Bridge. La
partenza era in sua prossimità, così che gli spettatori potessero
guardare
anche dal ponte dismesso. L’arrivo era fissato sotto al viadotto di
Main
Street. Pochi minuti di corsa, abbastanza per attirare persone, e
abbastanza
pochi per non attirare la polizia.
Una
ragazza in abiti succinti e stivaloni da
cowboy si diresse con molta calma verso il centro della pista
improvvisata.
<<
Oggi abbiamo un nuovo concorrente!
>>, gridò perché tutti potessero sentirla. << Facciamogli
un
piccolo applauso di incoraggiamento >>. Ci fu un leggero accenno
di
battiti di mani, ma niente di così convinto.
Pubblico
difficile... La ragazza mi guardò
serrando gli occhi, come se valutasse qualcosa. Sembrò essere
soddisfatta.
<<
Concerrenti! >>, esclamò,
alzando le mani verso il cielo, << Che la gara abbia inizio!
>>. Le
abbassò e tutti partirono in un nugolo di polvere, passandole tanto
vicino da
sfiorarla.
Ben
pochi, in quella gara, erano avversari temibili.
La maggior parte del gruppo semplicemente sparì nelle tenebre della
notte.
Nemmeno a metà della pista improvvisata rimanemmo in cinque. Cinque
capre
arroganti che non mi ritenevano un avversario abbastanza pericoloso,
tanto da
lasciare abbastanza buchi per far passare un camion. Ero ultima di
quegli
ultimi sopravvissuti, era vero. Ma mancava un’infinità di tempo al
traguardo.
La luce dei lampioni della strada vicina erano ben visibili da li, e
scorrevano
così veloci da diventare quasi un'illusione.
Era
ora di smettere di giocare. Con una forte
sgasata passai nel collo di bottiglia formato da “arancio” e “blu”.
“Giallo”
venne sorpassato poco dopo, sulla destra. Era un guidatore disattento.
Il
più difficile si riverlò l'uomo in verde, in
testa alla gara fino a quel momento. Era bravo, sapeva destreggiarsi
bene sul
bolide che portava, dovetti ammettere. Appena riuscivo ad avvicinarmi
quel
tanto da minacciarlo, lui accelerava, distanziandomi. Sorrisi
leggermente.
Almeno aveva capito che non ero un novellino da sottovalutare.
In
lontananza individuai una curva. Era l'unica
occasione per passare in testa. Sfruttando la scia del mio avversario
gli tenni
dietro. Preciso come un orologio, in prossimità della curva sentii, più
che
vedere, la moto davanti a me decelerare. Con una mossa azzardata
perfino per me
diedi gas. La moto rischiò di slittare via sull'asfalto liscio, ma alla
fine la
creatura resse, confermando di essere la moto affidabile di cui avevo
bisogno.
Ero
in testa! Pensavo sarebbe stato più facile,
e avevo addirittura dubitato di non farcela, cosa non da me.
Potevo
solo immaginare le loro espressioni
sbigottite. Sorpassati da quella nuova!
Il
traguardo si avvicinava sempre di più. Vedevo
le mille luci delle auto puntate nel canalone. L'aria vibrava di
aspettativa.
La
moto ebbe un calo improvviso di potenza. “Ma
che diavolo...?”.
Una
vampata di gelo mi investì. Mi guardai
frettolosamente indietro, cercando di capire dove fossero tutti gli
altri: si
avvicinavano. Sperai di non aver parlato troppo presto. Mancava così
poco...
Il
motore d'un tratto riprese grinta,
sobbalzando in avanti di colpo. Non mi accorsi quasi di aver superato
il
traguardo. Soprattutto per prima.
Avevo
vinto... ero quasi incredula della fortuna
che avevo avuto.
Se
la libertà avesse un odore, sarebbe stato
quello che avvertivo nelle narici in quel momento: polvere, benzina e
notte.
Gridai,
alzando un pugno in segno di vittoria
alla folla. Non potevano vedere la mia espressione scomposta in quel
momento.
Per il mondo io non avevo mai avuto dubbi sulla mia vittoria.
In
quel momento così concitato una figura attirò
il mio sguardo: era una donna, che spiccava tra la folla. Sembrava
un'elegante
signora capitata lì per sbaglio. Vestiva con una gonna di un pallido
rosa e una
camicetta bianca, tutto il contrario dei colori scuri che portava il
resto del
pubblico. non pareva importargliene nulla della corsa che si era appena
conclusa. Guardava tutti e nessuno dall’alto, l’unica figura immobile
tra mille
in festa
E
poi il suo sguardo... freddo e verde come le
foglie coperte di brina. Erano occhi indagatori: ci stava giudicando.
D’improvviso mi sentii bruciare dentro, uno scoppio devastante nel
petto che
era tutt’altra cosa rispetto a ciò che provavo in sella.
Quella
era fame, fame autentica,
quella che ti mangia dal di dentro e ti fa sentire lo stomaco in fiamme.
I
suoi occhi incontrarono i miei per una
frazione di secondo e non ci furono fulmini e saette di sorta: passò su
di me e
oltre a me, riservandomi null’altro che quello che aveva mostrato agli
altri.
La
ragazza che aveva dato il via alla corsa si
avvicinò a me, incitando la folla. Il copione doveva essere stato messo
in
scena molte volte, perché tutti parevano seguire un tacito schema ben
preciso.
Mi
trascinò fin sotto quelle tribune
improvvisate, cercando di mettermi in mostra il meglio possibile:
cercava di
esibirmi. Gli organizzatori avrebbero fatto una fortuna se avessi vinto
ancora
e la gente avesse scommesso su di me.
Mi
tolsi il casco, liberando finalmente in
riccioli biondi compressi nel casco. Ed eccola la sorpresa.
Potevo
quasi udire i loro pensieri: “una
donna?!”. L'unica a non scomporsi fu Madame de Glace, ma potevo intuire
una
vaga sorpresa anche nei suoi occhi.
Lo
dedicai a lei quell'inchino beffardo da
ballerina, con un piede avanti all'altro e un plié accennato.
Fissai
la ragazza di sottecchi mentre ancora
stavo piegata in quel modo a prendere applausi, ma notai che non mi
stava più
guardando. Stava invece quasi ruzzolando giù dai fianchi scoscesi del
canale.
Veniva
da me? Non la facevo così
intraprendente... Beh, un bel bacio non si rifiuta a nessuno dopotutto.
E
invece mi sorpassò, talmente vicina da poter
sentire il profumo di fiori che la circondava. Si dirigeva verso l'uomo
in
verde, che nel frattempo aveva scagliato il casco lontano e digrignava
i denti.
Gli si avvicinò, circondandogli le spalle con il braccio esile e gli
sussurrò
qualcosa all'orecchio.
Parve
calmarsi. Improvvisamente bruciai dalla
voglia di sapere cosa si erano detti in maniera così intima.
L'uomo
in verde, infine, la seguì lontano. Nel
caos generale la accompagnai con lo sguardo, osservando come la gonna
le
danzasse mossa al vento che spirava quel giorno. Forse la fissai con
troppa
insistenza perché ad un tratto, in lontananza, mi parve vederla
voltarsi verso
di me. Questa volta sentii io quegli occhi bucarmi la nuca.
<<
Eliza? Eliza, prenditi questi applausi,
non essere scortese >>, ringhiò tra i denti la ragazza vestita
succinta
tirandomi per un braccio.
Tornai
alla realtà di colpo: era meglio seguire
quel consiglio dato a denti stretti e forse avrei tirato su più soldi
la
prossima volta. A malincuore distolsi lo sguardo, ritrovandomi al
centro di una
fiumana umana che si congratulava con me con sonore pacche sulle spalle
o
circondava i suoi idoli decaduti.
Quella
donna... dovevo assolutamente trovarla.
Lindsay
lavorava come meccanico un'officina
sperduta tra le stradine malfamate di L.A.
Portare
li la moto era sempre un'impresa perché
andava tenuta ben nascosta da occhi indiscreti: volevo che la mia arma
segreta,
il mio meccanico di fiducia, non potesse essere in alcun modo
collegabile a me.
Non volevo che provassero a soffiarmela da sotto il naso.
Il
giorno dopo la gara mi presentai puntuale da
lei. Mi aspettava al di là della serranda mezza abbassata, lavorando
sotto al
cofano di una vecchia Mercedes. Era così concentrata che quando bussai
alla
serranda sobbalzò tanto da rischiare di battere la testa. Nello stesso
istante
però afferrò una chiave inglese abbandonata li vicino.
<<
Calmati tigre! >>, la
sbeffeggiai. << Sono solo io. Fammi entrare, dai >>.
La
mia presa in giro non dovette farle così
piacere, ma alla fine mollò la presa sull'arnese e si alzò,
permettendomi di
entrare nell'officina.
Sistemai
la moto in angolo e poi le lanciai al
volo delle banconote arrotolate. Lindsay le afferrò senza nemmeno
guardarmi in
faccia, mettendosi a contare.
<<
Non è il compenso previsto >>, mi
informò, guardandomi con aria di sfida.
Le
accennai un sorriso beffardo: << Lo so.
Ma il motore si è surriscaldato >>.
<<
Già, ho notato >>, si limitò ad
ammettere. Lasciò perdere all'istante la Mercedes, spostando tutti gli
attrezzi
più vicini alla moto.
<<
Questa riparazione non è gratis,
sappilo >>.
<<
Si, lo so che sei uno squalo quando si
parla d'affari. Ma se la sistemerai, forse potrei restituirti tutto il
pattuito...
>>.
Lindsay
si mise a testa bassa a lavorare sul
motore. Ogni tanto borbottava, grugniva o annuiva. Era inutile parlarle
in quel
momento. Era totalmente assorbita dal lavoro. La osservai per un tempo
che mi
parve infinito. Avrei voluto essere da tutt'altra parte, a mangiare un
gelato
magari, ma quello tra le sue mani era il mio unico mezzo di
locomozione. Quindi
dovetti starmene buona buona, appollaiata su un bancone a giocare con
viti e
bulloni.
Quando
esclamò un << Ho finito >>
soddisfatto io avevo già costruito una famigliola di uomini-vite, tutti
schierati al mio fianco.
<<
Le fasce elastiche erano troppo
usurate. Sei fortunata che le avessi in casa >>. Tutto
l'entusiasmo della
precedente esclamazione si era smorzato. Avevo come l'impressione di
non
piacerle. Le sorrisi, porgendole le banconote che rimanevano di ciò che
le
dovevo. Lindsay cercò di afferrarle con le mani sporche ma io le feci
sparire
velocemente.
<<
Sgancia i soldi Eliza. Non fare scherzi
>>.
<<
Rispondi alla mia domanda prima: chi
era la donna alla corsa? >>
<<
A chi ti riferisci? >>, mi
chiese, ma sapevo che aveva capito. << Gonna rosa? È la donna di
Marcus.
Di solito non si fa vedere alle gare >>.
<<
Sai dove posso trovarla? >>,
chiesti sperando che nella mia voce non ci fosse troppa aspettativa.
<<
Non frequento quei posti >>
<<
Fallo per me... >>, implorai
mettendo su la mia migliore espressione da cane bastonato. Lindsay
pareva
inamovibile, così tentai la mia ultima carta: << Quindici percento
in più
sulla prossima vincita >>.
<<
Vedrò che posso fare >>, rispose
a tempo record Lindsay, afferrando i soldi che le dovevo e
infilandoseli in
tasca. << Ora fuori di qui Eliza. Ho da lavorare >>.
Sorrisi,
più a me stessa che a lei.
<<
Lin! Lin! Va che ci conto! >> le
urlai una volta, assecondando il movimento della serranda che Lindsay
stava
lentamente abbassando.
Ero
del tutto certa che l'avrebbe trovata. Il
mio meccanico era intelligente. Non mi amava particolarmente, ma amava
i soldi
che le avrei potuto fornire. Sperai solo di aver preso la decisione
giusta.
Passarono
i giorni e persi quasi del tutto la
speranza. Forse Lindsay mi odiava davvero così tanto da rinunciare ad
un
compenso per farmi un dispetto? Cominciavo a pensare di sì. E
cominciavo anche
a chiedermi perché mi fossi fissata in quel modo con quell'idea di
ritrovare la
ragazza. Era assurdo. L'avevo vista una sola volta, non ci avevo mai
parlato.
Ma appena chiudevo gli occhi mi tornavano alla mente quegli occhi
ghiacciati e
la curiosità mi accendeva un fuoco nello stomaco. Chissà come si
chiamava?
Chissà dove viveva... chissà se preferiva il giallo al verde, chissà se
le
piaceva il gelato alla fragola.
Erano
pensieri da folle.
Alla
fine dopo giorni di attesa, mi sorprese uno
squillo di telefono.
<<
Lavora al Joe's, nei pressi dell'Echo
Park. Se ti sbrighi la trovi ancora la >>. Non un saluto né
qualche
parola gentile: era Lindsay.
<<
Grazie del favore. Sei il mio meccanico
preferito! >>, esclamai afferrando al volo il mio giubbotto
marrone.
<<
Non è un favore. È lavoro. C'è l'accordo
>>, ci tenne a precisare lei.
<<
Si Doc, ricordo il patto >>. Le
attaccai il telefono in faccia, troppo impaziente di poter correre via,
verso
questo fantomatico Joe's.
E
Joe's si rivelò un'autentica delusione. Uno
squallido bar-tavola calda dipinto di un giallino spento. Gli arredi
all'interno erano fermi agli anni '60, con tavolini di formica
variopinta e gli
sgabelli di finta pelle davanti al bancone. Era nello stile che molti
bar
moderni cercavano di ricreare: peccato che li fosse tutto vero. Un
fottuto vero
incubo.
Parcheggiai
la moto addossata al muro, sperando
che nessun automobilista pazzo la centrasse con dei parcheggi azzardati.
Entrai,
cercandola con gli occhi. Dovetti
rimanere sulla porta per troppo, perché ad un tratto qualcuno mi
richiamò:
<< Hai intenzione di ordinare o rimarrai impalata li tutta la
sera?
>>.
Era
lei. Mi scrutava con la caffettiera in mano,
non lontana dalla porta dalla quale era appena riemersa.
<<
Nono... mi siedo >>, mormorai con
un filo di voce. Presi posto su uno sgabello dalla copertura sventrata.
Mostrava con sfacciataggine tutti i segni degli anni e insieme agli
anni anche
tutta l'imbottitura.
<<
Cosa ti porto? >>.
<<
Un caffè, per favore >>.
Mi
mise sotto al naso un tazzone blu, di quelli
con il naso in rilievo, gli occhi e la bocca disegnata. Mi versò del
caffè e io
ci immersi subito le labbra. La sentivo scrutarmi e sorrisi sotto i
baffi.
<<
Ma tu... >>, iniziò. La guardai
mentre sgranava gli occhi. << Sei la ragazza della corsa >>.
Le
sorrisi.
<<
Che ci fai qui? >>. Sembrava
infastidita. Possibile che nella città degli angeli fossero sempre
tutti così
imbronciati?
<<
Beh... Hai perso una cosa l'altro
giorno >>, le dissi, appoggiando sul bancone quell'arnese che mi
ero
portata dietro.
La
Dame de Glace lo scrutò, ma poi me lo rimise
tra le mani. << Non è mio >>.
Le
strizzai l'occhio: << Ma ora si
>>.
<<
Non credo tu sia venuta per riportarmi
qualcosa che non è mio. Ne vedo tanti di corridori che vengono qui per
sapere
segreti di Marcus. Ho sempre tenuto la bocca chiusa e tu non sarai
l'eccezione
>>.
<<
E se invece non fossi venuta per il tuo
ragazzo? Se fossi qui per te? >>.
Spalancò
gli occhi: un'espressione durata un
attimo ma che mi fece capire d'avere davvero tutta la sua attenzione.
<<
ALYCIA! Muoviti! Ci sono clienti che
aspettano! >>.
Colsi
al volo l’occasione. Afferrai una penna
lasciata li per caso e un tovagliolo, vi tracciai su qualche parola, e
poi
lasciai il locale.
Fuori,
infilandomi il casco, osservai la ragazza
-Alycia- tornare al bancone. Sembrò sorpresa di non trovarmi. Poi vide
il
biglietto, con l’omino di ferro appoggiato li accanto. Li prese
entrambi tra le
mani.
“Se
davvero non è tuo, trovami e
restituiscimelo”.
E
sulla musica del suo sorriso appena accennato,
avviai il motore e me ne andai.
Nella foresta del Panda
Alla fine, dopo non so quanti anni e quanti account cambiati dopo, mi sono decisa a buttare giù ancora qualcosina.
Forse anche io, anche grazie a questo "universo alternativo" che ho creato, sto cominciando a superare il trauma della 3x07.... chissà!
Un ringraziamento doveroso va alla persona che mi ha mostrato la fanart che ha ispirato la storia e ovviamente alla mia beta, che con le sue chiacchiere mi ha convinto che forse (forse!) questo è un esperimento che vale la pena continuare. Vedremo cosa ne uscirà!
E ovviamente grazie ad ogni lettore giunto fin qui! :)
Blu Panda
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