Albergo a ore
Ta-dan!
Mana si è montata la testa e si è messa a
scrivere
addiriturra qualcosa ispirato da una canzone, più
precisamente
Albergo a ore di
Herbert Pagani.
Che la conosciate o no vi lascio alla storia, nella speranza che non ci
siano errori e che, nonostante sia un po’ acerba,
possa
piacere a qualcuno. Non è esattamente una song-fic, credo,
comunque... ringrazio Felicity89
per il supporto durante la scrittura.
A fine pagina il testo
della canzone.
Note: Sous-sol = scantinato
Mana
Albergo a ore
Il tintinnio dei bicchieri lo aveva sempre aiutato a svegliare la mente
in prossimità del nuovo giorno, anche se il corpo era
rimasto
desto tutta la notte. Lavorando così, meccanicamente, sempre
a
preparare caffè, poi lavare le tazzine, i bicchieri,
ritmicamente, ruotando la spugna, coll’odore del detersivo
penetrato ormai in tutte le cellule della pelle, Louis non ricorda
più quando sia stata l’ultima volta che
s’è
concesso una vacanza.
Che
lì tutti gli altri vanno a divertirsi; ma lui non conosce
pace.
Guarda
distrattamente la coppia di avventori che sta abbandonando il Sous-sol, senza
neppure notare la loro aria annoiata.
“Louis. Nella due. Vai, qui ci
penso io.”
Sospirando
lentamente per
la lieve stanchezza, Louis annuisce, mentre Simon gli passa le tazzine
di caffè fumante che ha appena preparato.
Mentre sale le
scale sente
il solito cigolio del terzo gradino, poi, ancora pochi passi, e
può bussare alla porta della due. Appena lasciato il vassoio
torna giù, schermandosi automaticamente gli occhi con un
braccio
per ripararsi dalla luce. Ormai è l’alba, e un
forte
chiarore ha invaso il piano terra, dando l’impressione di un
luogo polveroso; con quell’assenza di colore e la carenza di
personale...
“Vorremmo una stanza per
un’ora.”
Una voce
limpida, bassa ma
sottile nel grigio di quel mattino, interrompe la quieta
quotidianità a cui Louis è abituato. Sente uno
strano
formicolio alle mani, e in un gesto ormai abituale le sfrega piano tra
loro.
“Mathis...”
s’intromette un’altra voce, mentre Louis incomincia
ad intravedere la scena.
“Julien... Due ore.”
cambia subito idea l’altro, voltato di spalle verso Simon.
“Ah, Louis. Puoi cambiare le
lenzuola? Non so ora quale stanza sia libera...”
L’uomo
deglutisce,
ancora spiazzato da quella strana visione. Con quella luce che illumina
i loro volti, i due hanno qualcosa di terribilmente surreale, che ha
trasformato quel momento in una goccia che non vuole staccarsi dal
rubinetto, permettendo così al tempo di riprendere il suo
normale flusso.
“Louis! Ci sei?”
lo richiama Simon.
“Sì.”
sussurra lui lasciando indugiare lo sguardo sulle mani intrecciate dei
due ragazzi: è una presa delicata, di dita giovani e un
po’ inconsapevoli, che si sfiorano con
l’incoscienza
dell’indefinibile.
Subito dopo
risale
velocemente le scale, ma senza fretta. In quel breve lasso di tempo che si
è dilatato nella sua mente ha potuto registrare delle
immagini
molto strane.
Vivide nel
loro grigiore.
Mathis, il
più alto,
ha capelli ricci, scuri, arruffati sulla testa; la sua compostezza
evidente trasmetteva un senso di tranquillità disarmante.
Julien, invece, da quel che ha potuto vedere, è morbido.
Così come morbida è la sua voce, tenera
dev’essere
la carne della mano a contatto con quella dell’altro.
Perché anche un mero corpo può parlare.
La strana
consapevolezza di conoscerli bene dopo quel breve incontro è
spiazzante.
Qualcosa che
destabilizza,
senza però far cadere a terra. E Louis si gratta la testa,
lambiccandosi nella scelta della stanza – forse inutilmente,
ma
per propria volontà: la uno è in condizioni
pietose, e
gli basta uno sguardo per accertarsene; oltrepassa la due a passo
spedito, fermandosi dinanzi alla successiva. Speranzoso apre la tre,
notando la finestra leggermente aperta. Quello è
già un
buon segno.
Non
c’è molta puzza; l’odore non
è forte, né troppo intenso.
Louis spalanca
le imposte,
tirando poi subito via ogni cosa rimasta sul letto. Non vorrebbe
affrettarsi, ma sa che Mathis e Julien, appena poco più
giù, attendono. Un po’ inconsapevolmente sceglie i
lenzuoli più nuovi e bianchi, sistemandoli sopra le federe
pulite. Soddisfatto esce dalla stanza, notando che i due ragazzi hanno
appena imboccato il corridoio. Vederli nuovamente gli fa uno strano
effetto; ha una sorta di blocco che non saprebbe ben definire.
“È pronta la stanza?”
domanda quasi timidamente Julien.
E Louis ha
l’impressione
che possa disgregarsi in quella luce, la sua figura. Che neanche la
vicinanza di Mathis sarebbe in grado di proteggerlo da una simile
eventualità.
“Sì.”
si riscuote dopo un lunghissimo istante, porgendo poi dalle mani umide
le chiavi della stanza. “È
questa, la tre.”
“Merci.”
Mathis gli
sorride
riconoscente. Le loro voci sono come un bisbiglio impalpabile, qualcosa
che sfugge alla sua comprensione limitata. Anche se dalla due risuonano
alti gemiti, loro non sembrano farci caso. Louis, sentendosi partecipe
in una qualche specie di modo di un evento mistico, cede lo spazio ai
due e chiude la porta, non senza prima aver registrato il primo sorriso
sul viso di Julien. Così fragile, da ispirare tenerezza.
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“Un albergo a ore?”
Nell’aria
c’era
un vago odore di fumo, l’unico sopravvissuto di una notte
rubata
al giorno, tra coccole, carezze e sigarette. Julien era raggomitolato
su se stesso in cerca di calore, mentre Mathis si era allontanato per
discutere con la massima lucidità. Non che i loro intenti
fossero molto lucidi.
“Pensi sia una cattiva idea?”
Era
più
un’affermazione che una domanda, e Julien si era mordicchiato
il
labbro inferiore, colto dall’indecisione. Sapeva
perfettamente
quanto fosse complicata la questione, ed inoltre non avevano grandi
risorse economiche. Sarebbe stato egoista chiedere di più,
per
la loro relazione d’argento. Tre anni insieme senza un solo
litigio... A parte quelli sulle loro famiglie, naturalmente
all’oscuro di tutto.
“Non ho detto questo...”
Ma non
c’era
convinzione, in quel sussurro. Mathis rilasciò andare un
sospiro, mentre si distendeva ancora una volta accanto a lui. Non
c’era verso di far funzionare qualcosa, quando
l’intero
mondo era contrario. Voltandosi verso Julien, capì
perché
aveva sempre resistito: per poter sentire che, nella vita, aveva
davvero qualcosa di importante. Qualcosa con un significato, che dava
il senso alla sua intera esistenza.
“Stanotte dormi, e poi
domattina...” lasciò in sospeso,
avvicinando una mano al suo viso per accarezzare una guancia col dorso,
con infinita lentezza.
Sentiva il
respiro del suo
Julien incontrare la sua mano; un fiato caldo che era capace di
riscaldarlo anche durante la più fredda assenza di luce.
Bastava
così poco per un attimo di felicità, per un
infinitesimo
di pienezza.
“Ho fiducia in te.”
“Che bel naso!”
sussurrò sorridendo Mathis, prendendolo delicatamente tra
indice e medio.
Julien
ridacchiò,
avvicinandosi di più a lui, annullando quella distanza che
gli
faceva sentire così freddo da distruggere ogni speranza. Un
braccio ripiegato con la mano sul suo petto, l’altro avvolto
morbidamente attorno al suo fianco, faceva ardere la fiamma della sua
stessa essenza, altrimenti completamente offuscata da quel contorno
soffocante.
“Cos’hai?”
Impossibile
nascondere
qualcosa a Julien. Aveva certamente notato i suoi occhi – che
si
erano distratti, che non erano più completamente presenti.
L’altro tirò su la mano accarezzando il suo mento
con i
polpastrelli, premendo con gentilezza sul sottile velo di barba di
Mathis. Sentirlo così vicino, così raggiungibile
con
tutti i suoi sensi, era qualcosa che adorava.
“Mi dispiace se non so fare di
meglio.”
E il suo
Julien aveva gli
occhi dolci. Che avrebbero fatto sciogliere la neve, col calore che
c’era dentro. Perché tutto era così
incredibilmente
chiaro – eppure confuso, poco definito – quando
erano
insieme.
“Qualsiasi cosa tu faccia, per me
è sempre abbastanza.”
Il tempo
scorreva lento, ma
inesorabile. Anche quando Julien si era arreso al sonno, Mathis aveva
voluto mantenersi vigile. A vegliare su quell’angelo dalle
ali
troppo fragili. Anche se sapeva perfettamente di essere lui, il debole,
tra i due. Non l’avrebbe mai potuto ammettere, neppure con
Julien, perché voleva rappresentare la sua forza, e mostrare
segni di cedimento avrebbe logorato il suo spirito. Poco importava se
questo poi accadeva a lui.
Era forte.
Poteva
sopportarlo. Lo aveva deciso quasi nello stesso momento in cui aveva
capito quanto Julien gli fosse indispensabile. La sua aria. Il suo
pezzo di respiro. Uno squarcio di lucidità nel mare di
incoscienza. Tutta la sua vita era un indistinto e confuso
dormiveglia nel quale non faceva null’altro che andare
avanti.
Poi le cose erano cambiate. Per caso – come spesso accade in
certe situazioni.
Non gli
dispiaceva bearsi
del quieto movimento del suo petto mentre respirava regolarmente, anche
se quella notte c’era una pesantezza nuova, diversa dalla
solita.
Un’agitazione sotterranea che si poteva notare dalla
deglutizione
nervosa, dal rapido chiudersi e aprirsi delle sue dita, vicine al suo
volto, permeato da una tensione percepibile anche in quella poca luce.
Quasi non si
accorse del
tempo che stava sfuggendo velocemente dalla sua vita... Ma, in fondo,
per una volta avrebbero deciso loro stessi il proprio tempo.
Seduto su quel
letto
sfatto, stava fumando l’ultima sigaretta che sentiva di
potersi
concedere, quando Julien gli accarezzò la schiena con una
mano,
risalendo su, in una lenta carezza, sul collo, provocandogli dolci
brividi, e poi tra i capelli ricci, profondamente ribelli dopo quella
notte tormentata.
Spinse un
po’ la nuca indietro, rilassandosi.
“Ci hai ripensato?”
giunse arrochita da dietro la sua voce.
Mathis spense
la sigaretta,
mentalmente dicendole addio, e sorridendo di se stesso per quel
pensiero. Non stava esitando. Ed era – forse stranamente
–
tranquillo.
“No. Tu?”
Julien
portò
entrambe le braccia attorno al suo collo, abbracciandolo da dietro. Era
incredibile quanto apparisse inconsistente la sua presenza, nonostante
la pregnanza del suo essere.
“Sono pronto.”
fu l’ultima conferma.
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Fidarsi
è qualcosa di complesso.
Nell’insieme,
è semplice racchiudere ciò che è
comunemente
definito dalla parola fiducia, talvolta sostituita da amore. Ma, se
tutti ci credono realmente, pochi ci pensano seriamente. Affidare la
propria vita, il proprio cuore e il proprio corpo a qualcuno
è
un vero atto di coraggio, forse. O un miracolo.
È
che con Mathis
è troppo facile. Perché la fiducia è
come un
pozzo. Bisogna saperci buttare ogni cosa; anche se stessi. Oppure il
fatto che sia semplice dipende da lui. Questo Julien non l’ha
mai
saputo.
Piano, senza
un fiato,
lascia scorrere le palme delle mani aperte sul torace
dell’altro,
risalendo sul suo petto, sentendo scorrere la vita sotto quel contatto,
con il lieve movimento dei suo muscoli, l’espressione di un
respiro rinchiuso in uno spazio troppo piccolo per sembrare reale.
“Sous-sol...”
“L’hai scelto tu.”
“Lo so.”
annuisce Mathis tirando fuori due boccette dello stesso colore; con
calma le posa sul tavolino di fianco al letto. “Non è tanto male, no?”
Si riavvicina
sorridendo; in quella luce, è ancora più bello.
“I tuoi capelli...”
sussurra portando entrambe le mani ad accarezzarli.
“Cos’hanno?”
La voce si
è
abbassata, così come la sua percezione del corpo
dell’altro. Ha acquistato una nitidezza nuova, che
però ha
qualcosa di intrinsecamente indefinito.
“Sono un disastro... Come sempre!”
Mathis gli
prende
delicatamente le mani con le proprie, sedendosi sul lenzuolo e
invitandolo a fare lo stesso. Julien, esercitando una lieve pressione
sulle sue spalle, lo spinge un po’ più indietro,
trovando
il posto per accomodarsi sulle sue gambe, con le ginocchia piegate
accanto ai suoi fianchi.
Appare strano
quanto il
tempo scorra lento e veloce allo stesso tempo, e l’improvvisa
assenza di suoni esterni accentua ancora di più quella
sensazione. Non c’è più nessuno, nelle
stanze del Sous-sol.
Soltanto loro due, in una prigione perpetua – o un volo di
due aironi profondamente legati.
Le iridi di
Mathis non sono
mai state così liquide. Non l’ha mai visto
piangere
– né l’ha sentito lamentarsi con
scontentezza.
Perché lui non è il tipo. Vuole essere forte. E
certamente lo è. Ma ha una fragilità
più sottile
– una debolezza nascosta da qualche parte, in
profondità,
così che nessuno possa mai scalfirlo. Ciò non
significa
che non sia in grado di soffrire.
“Hai paura?”
gli sta chiedendo, con premura, sempre preoccupato per lui.
Forse ha
paura. O forse no. È difficile dirlo. Ma la propria
risposta, invece, è abbastanza naturale.
“Quando sono con te, non ho paura
di niente.”
Un altro
sorriso di Mathis,
ritagliato da quella mattinata di tristezza e soffocamento.
È un
qualcosa che si sta trasformando velocemente in un lento sprofondare,
come un vortice che li trascina entrambi verso lo stesso punto, del
quale non sanno molto – né molto hanno mai saputo
in
passato. Ognuno dei due vive la cosa in modo diverso, e per tacito
accordo non si sono chiesti cosa provassero. Julien non ha intenzione
di cambiare le cose proprio adesso.
Si lascia
cullare dalle
mani dell’altro, che con la solita gentilezza scorrono sotto
i
suoi abiti, e automaticamente alza entrambe le braccia, sentendo
scivolare il tessuto contro la pelle, in una carezza inevitabile. Fa lo
stesso con Mathis, abbassandosi poi per incontrare, per la prima volta
da quand’è sorto il sole, le sue labbra. Sanno
ancora di
fumo, e di buono. Perché, per lui, indipendentemente da qualsiasi altro gusto
Mathis
abbia sulla bocca, è incancellabile il suo sapore.
È
qualcosa di strano da spiegare, perché neppure Julien ha dei
motivi razionali. Ma è superfluo provarci.
“Sei sicuro?”
La voce appena
un po’ più rauca, il respiro giusto appena
più accelerato, Mathis cerca i suoi occhi.
“Sì. Smettila di
chiedermelo.” ribatte lui con decisione.
“Tu,
piuttosto... ?”
“Sì.”
-----
Nonostante le
due ore siano
quasi passate, Louis non riesce a cancellare la sensazione che il tempo
si sia incartato, accartocciato su se stesso in una spirale senza fine.
Il problema è che si è dilatato in maniera
inconcepibile,
anche per uno come lui.
“Sono pronti anche questi.”
“Come?”
domanda confuso.
“Lascia stare, oggi non ci stai
con la testa.” lo rimprovera Simon. “Li porto su io.”
E Louis
vorrebbe fermarlo
– dirgli che ci pensa lui ai caffè di Mathis e
Julien, ma
non ne ha la forza, né la prontezza. Lo osserva salire le
scale
con una piccola punta di tristezza. Non guardava mai i clienti, da
molto tempo. Eppure, quella mattina, ritrovarsi davanti quei due,
così educati e puliti, gli aveva trasmesso qualcosa. Anche
se
non sapeva esattamente cosa. Distrattamente rivolge uno sguardo
all’orologio. Le due ore sono quasi passate. E non
c’è più nessun altro, al Sous-sol.
È un periodo che viene poca gente. Forse non
c’è molta voglia di fare l’amore.
“Oggi sei strano.”
commenta Simon, che nel frattempo è tornato accanto a lui.
Louis tace,
ignorandolo.
Non riesce a trattenere un piccolo sorriso, e Simon inarca un
sopracciglio, per poi liquidare la questione con un’alzata di
spalle. Sta ancora pensando a Mathis e Julien. Mathis e Julien. Ripete
i nomi dentro di sé, sicuro che, comunque, ormai sono
impressi
dentro di lui. Era raro vedere due come loro, soprattutto di quei tempi.
E poi, a
quell’ora della mattina, non c’era un grande via
vai di coppie.
Non ha idea di
quanto
veramente i due ragazzi gli siano scivolati dentro. Avranno
sì e
no vent’anni. Louis sa che è costretto –
da se
stesso – ad aspettare che se ne siano andati, prima di poter
andare a casa. Getta di nuovo un’occhiata
all’orologio: le
sei e tre quarti.
“Hai sistemato la due?”
lo risveglia da quello strano stato la voce di Simon.
“No. Vado subito.”
Non si
è più
avvicinato alle stanze. Forse per un sesto senso tutto speciale. Quasi
inconsapevolmente tende l’orecchio per cogliere un suono,
anche
qualcosa di minimo e appena percettibile... Ma niente. Silenzio
perfetto. Voltandosi quasi sobbalza ritrovandosi davanti Simon, che si
offre di dargli una mano, dato che temporaneamente non
c’è
molto altro da fare. Louis annuisce, passandogli i panni sporchi e
dedicandosi invece ad una veloce pulizia del pavimento.
Quando esce
dalla stanza,
dà una piccola ripassata anche al corridoio; in fondo, i due
ragazzi non usciranno prima delle sette. Quella mattina si sente di
buon umore, in realtà. Si perde a guardare particolari
inutili e
dettagli trascurabili, ma cosa importa? È più
importante
quel sorrisetto che non riesce a bloccare, quella piccola curvatura
verso l’alto delle sue labbra – a destra, lo sa.
Attende
pazientemente che
tutto asciughi, poi, smettendo di guardare la porta della tre, torna
sotto, non senza prima aver chiuso la due. Con calma ripone le chiavi,
girandosi verso il solito orologio.
“Mi sa che
s’è fermato!” esclama,
richiamando l’attenzione di Simon. “Che ore sono?”
“Le sette e dieci.”
“Così tardi? Dobbiamo
far uscire quei due...”
“Vai tu. Io non vedo
l’ora di tornare a casa.”
Louis si
concede uno
sbuffo, poi prende le chiavi e sale le scale. All’inizio
bussa,
chiamando i due, ma non ottiene alcuna risposta. Un po’
indeciso
infila la chiave nella serratura, che cede con un piccolo rumore,
aprendo la porta. Resta per un attimo fermo ad ascoltare; non avverte
nessun suono, neppure il fruscio d’un abito. Deve raccogliere
tutte le sue forze per assimilare la scena che ha davanti quando si
decide a spalancare la porta.
I due sono
stesi sul letto,
ancora quasi intatto, e quando si avvicina a sufficienza deve sbattere
più volte le palpebre per realizzare cosa sia successo. Nel
frattempo Simon, annoiato dal fatto che lui ci mettesse tanto, lo ha
raggiunto.
“Cazzo...”
sussurra da dietro. “Vieni
via, Louis... Dobbiamo chiamare la polizia.”
“Ma... Non sono...”
“Credo di sì. Dai,
vieni via!”
Louis si
lascia trascinare
docilmente dall’altro, accorgendosi solo dopo di avere le
lacrime
che scorrono giù per le guance. Dentro di lui è
come se
si fosse aperta una parentesi, che non sa spiegarsi. Neppure il suono
dell’ambulanza lo riscuote. Sente da lontano Simon che gli
spiega
che non è colpa sua, che anche se si fossero accorti prima
dell’orario, probabilmente non sarebbe cambiato niente. In
fondo,
quei due erano là dentro da due ore. E chissà da
quanto
erano già morti.
A quella
parola Louis alza il viso, osservando il furgone che porta via i due
ragazzi, avvolti nei lenzuoli bianchi.
“Se ne sono andati.”
sta dicendo ancora Simon. “Io vado a casa. Dovresti farlo
anche tu.”
Lo lascia
lì, con la
responsabilità di chiudere tutto, e, quando infine riesce a
distogliere lo sguardo dalla strada per la quale sono spariti quei due,
sente se stesso rispondere a Simon, sebbene sia già troppo
lontano per sentirlo.
“Ma là dove stanno...
staranno benone.”
Dentro, il Sous-sol
è ancora grigio.
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Il tintinnio
dei bicchieri
accompagna ancora una volta la quotidianità di Louis, che
lascia
andare un sospiro, asciugandosi poi la fronte con una manica, mentre
Simon fa baccano scendendo le scale con poca grazia. Una coppia di
giovani si mette subito a discutere con lui, chiedendo una stanza per
un’ora.
“Louis, la tre è
libera?”
Gli pare che
il tempo si
fermi; non c’è niente, soltanto il grigio nella
sua mente.
E la risposta è un fulmine che lo travolge.
“No.” dice
senza esitazione, pur mentendo. “La tre no...”
Io lavoro al bar di un albergo a ore
porto su il caffè a chi fa l’amore
vanno su e giù coppie tutte uguali
non le vedo più manco con gli occhiali.
Ma sono rimasto lì come un cretino
vedendo quei due arrivare un mattino
puliti, educati, sembravano finti,
sembravano proprio due santi dipinti.
M’han chiesto una stanza, gli ho fatto vedere
la meno schifosa: la numero tre...
E ho messo nel letto i lenzuoli più nuovi
poi come San Pietro gli ho dato le chiavi
gli ho dato le chiavi di quel paradiso
e ho chiuso la porta sul loro sorriso.
Io lavoro al bar di un albergo a
ore
porto su il caffè a chi fa l’amore
vanno su e giù coppie tutte uguali
non le vedo più manco con gli occhiali.
Ma sono rimasto lì come un cretino
aprendo la porta quel grigio mattino
se n’erano andati in silenzio perfetto
lasciando soltanto i due corpi nel letto.
Lo so che non c’entro però non è giusto
morire a vent’anni e poi proprio qui.
Me li hanno incartati nei bianchi lenzuoli
e l’ultimo viaggio l’han fatto da soli
né fiori né gente, soltanto un furgone
ma là dove stanno, staranno benone...
Io lavoro al bar di un albergo a ore
porto su il caffè a chi fa l’amore
io sarò un cretino ma chissà perché
non mi va di dare... la chiave del tre.
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