Una one shot
a cui tengo particolarmente n_n
Ringrazio Ali
per averla letta in anteprima per me e ricordo che sono ben accette
critiche o semplici recensioni!
Un bacio,
Kiki
One Shot
Marienplatz
Di
nuovo qui, a Marienplatz
Un cassetto
intarsiato, da
qualche parte nella mia cassa toracica. È serrato da anni,
non gli permetto mai
di rivelare il contenuto che protegge, ma profuma ancora di cannella e
di baci
rubati.
Tu sei lì.
È il
più bello, quel
cassetto, il più prezioso: lo tengo chiuso a chiave, tu
chiuso lì, in attesa in
attesa di riportare alla memoria ciò che per amor proprio
sono stata costretta
a tener celato per tanto tempo, ogni giorno da quando tu non ci sei
più.
Tutti i ricordi che il
tempo portò via.
È
sufficiente un attimo
per ritrovare quella chiave smarrita, basta un istante per farti
rivivere in
me, in quelle agrodolci note delicate che mi resero felice
un’unica volta.
Una melodia che il
tempo
portò via.
Che il destino volle
portarmi via.
Camminando lungo
queste
stesse strade che percorremmo insieme, quel lontano inverno, mano nella
mano,
rivedo in ogni passante una parte di noi.
Quella stessa melodia.
In
un attimo, i fantasmi della mia mente ritornano, volteggiando, davanti
ai miei
occhi.
Sono donne, uomini,
bambini, sconosciuti. Sono bardati per proteggersi dal freddo di
quell’8
dicembre 2007.
Figure che danzano,
trasportate da un semplice respiro, attraverso i miei desideri,
attraverso il
bisogno di ricordare.
Aveva nevicato da
poco,
proprio come oggi.
E c’era
odore di Gluwine e
Norinberger arrostite.
E le luci…
molte,
splendenti luci.
…
Camminiamo
uno affianco all’altra e nulla, nulla
c’è di meglio che io possa anche solo immaginare.
Una
nota speziata nell’aria, nella musica, mi
stordisce, rende indispensabile il tuo sostegno.
Poggio
la fronte alla tua spalla e sorrido,
incantata dalla magia di Monaco.
Le
spezie, non credo siano parte dei dolci biscotti
allo zenzero che smangiucchi con aria rapita.
Ti
nascondi dietro ad un grande paio di occhiali
dalla montatura bianca, ma non sono veri, come non lo è
nulla di noi: fanno
parte anch’essi del travestimento, come questi abiti scuri,
come il mio pesante
trucco agli occhi, come la mia parrucca rosa, come il tuo cappello di
lana
arancione.
Mi
regali un sorriso speciale, indicando con
discrezione tuo fratello, bardato in abiti insolitamente stretti, che
insieme a
Georg sta comprando un peluche per me, uno di quei morbidi, soffici e
colorati
peluche che ho sempre amato, che vi ho sempre detto di amare.
Mi
commuove il loro interesse nei miei confronti,
l’attenzione per i dettagli, l’amore per le piccole
cose, il desiderio di
provare almeno a farmi sentire a casa. Anche se in mezzo ad estranei,
anche in
mezzo alla folla.
A
volte gli attacchi di panico sono troppo
violenti, la paura irrazionale causa l’ansia,
l’ansia degenera in asma e io
tremo e temo. Temo che prima o poi tu sarai costretto a fare una
scelta, ad
abbandonarmi per salvarmi la vita.
Quanto
ancora sarai disposto a rischiare che il tuo
mondo possa uccidermi?
Un infarto, quando il cuore e la mente sono fragili e vulnerabili come
i miei,
più che una possibilità diventa una certezza.
Ma
ora tutto questo è lontano, perché stiamo
camminando per le strade, in mezzo alla gente, in incognito. Siamo
insieme,
mano per la mano. Niente può rovinare questo.
Osservo
i tuoi movimenti: sono leggeri, svelti,
scattanti, sono giovani quasi quanto noi. Se solo tu non fossi
cresciuto così
in fretta, Bill, forse potresti goderti molto di più tutto
ciò che stai
vivendo.
«Aspetta
qui.» mi bisbigli, allontanandoti verso
una bancarella che vende dolciumi. Porgi al negoziante una manciata di
banconote e torni indietro con le braccia cariche di schifezze.
Porgendomi una
mela caramellata, più rossa delle mie labbra, noto che stai
per piangere.
Affranta,
poggio due dita sotto al tuo mento,
sollevandolo verso di me e guardandoti così negli occhi.
«Cos’hai?»
domando, mostrandoti la mela.
Tu
ne addenti un pezzo e lo mastichi con lentezza,
quasi sovrastato dalla dolcezza di quel sapore.
«Sono
felice… di vivere una vita normale…con
te.»
biascichi, ricacciando indietro le lacrime, mentre Tom e Gustav
esultano. Hanno
vinto ad un gioco a premi, il premio era un altro gioco.
«Non
devi sentirti speciale, per questo. Possiamo
averla ogni volta che desideriamo. Possiamo vivere così
sempre.» provo a
rassicurarti, ma sono bugie perché desidero mentire a me
stessa. Sono egoista a
desiderarti forte, desiderarti sicuro. Egoista perché tu
avresti bisogno di un
sostegno, di trovare conforto in me, ma anche io ho bisogno di trovare
un aiuto
in te.
Disperatamente.
«SI!
E ANDIAMO GUSTAV!» esclama tuo fratello.
Ricordi
quell’errore, l’ha appena ripetuto.
Perché
Tom è impulsivo: se pensa una cosa, la urla al mondo. Ma non
puoi farlo, se ti
chiami Kaulitz. Non puoi farlo, se ci sono dei fotografi a pochi metri
da te,
fotografi venuti per immortalare i mercatini di Natale tra i
più famosi della
Baviera.
In
un attimo, in una manciata di orribili secondi,
tutta la magia è vanificata da una semplice esclamazione di
gioia, pronunciata
dalla persona sbagliata al momento sbagliato. I suoi dreadlocks,
d’altra parte,
erano il dettaglio più difficile da mascherare.
«Una
foto, solo una foto.»
«Tom,
una foto.»
«Bill,
quello laggiù è…»
I
flash, le persone, le facce.
Mi
aggrappo alla tua maglia, ma restiamo immobili
in centro a Marienplatz, tutto il resto del mondo comincia a ruotarci
rapidamente attorno.
I
colori si mescolano, le luci mi abbagliano.
«No
no no.» mugoli, al mio orecchio.
Non
posso aiutarti, amore, sono troppo occupata a
costringermi a non urlare, a non svenire.
Devo
continuare a respirare regolarmente, mi devo
sforzare di farlo.
Le
guardie del corpo, quegli uomini in borghese che
ci hanno seguito per tutto questo tempo, si frappongono tra noi e la
folla, ma
io non riesco a sentirmi al sicuro. Non più.
I
suoni si confondono, il rumore del tuo pianto si
mescola al resto. Lo so che non è giusto, amore. Lo so
davvero.
Devo
farlo per te, devo riuscire a controllarmi. La
malattia non deve prendere il sopravvento su ciò che mi
spinge a lottare ogni
giorno contro questo pericolo: tu.
Senza
rendermene neanche conto, inizio a piangere,
ad affogare letteralmente nel panico.
Piango,
piango perché improvvisamente, per quanto
ti tenga stretto tra le mie braccia, mi sembri lontano mille miglia.
Non sei
mio, non sei mai stato mio.
Sento
le guancie incendiarsi, per quanto io sappia
di stare in realtà impallidendo.
Costretta
a barricarmi nei miei pensieri per
sfuggire a questa paura irrazionale che mi ha assalito, sbarro gli
occhi,
fissando il caos al di fuori di me, senza vederlo affatto.
I
colori della fossa di fondono, le urla, le urla
mi uccidono.
I
flash.
«Amore,
non gridare…»
Ma
io non sto gridando, io non sto gridando, vero?
«Amore…»
un paio di mani calde sulle mie guance,
che mi costringono ad aprire gli occhi e a fissarli nei tuoi, ambrati,
lucidi,
fermi. Respiro affannosamente. «Amore… guardami.
Ascoltami. Calmati… ci sono
io.» la tua voce, tranquilla, sicura, nel caos. Il caos.
Volti
grugnenti di fotografi, la gente che si ferma
per guardare, fissare. Ci spogliano, con quegli sguardi, ci derubano di
ogni
cosa.
Mi
costringi a guardarti negli occhi ancora una
volta, la tua fronte poggiata con delicata forza alla tua.
Il
tuo bisbigliare, dolce rintocco di ogni parola,
risuona nella mia testa come ultima campana di speranza, mentre il
resto del
mondo sembra cercare di inghiottirmi, mentre il mio corpo vuole perdere
il
controllo e gettarmi nell’ansia. Ancora una volta. Non potrei
sopportarlo.
«Ci
siamo solo io e te, ricordi? Ascolta la mia
voce, le senti queste note? No, amore non respirare così,
ascolta il mio
respiro, ok? Lo senti? Così devi fare… ascoltami.
Ci siamo solo noi qui, vedi
solo me. La strada è vuota, riesci ad immaginarla vuota?
Concentrati. Siamo
soli. Ci sono le luci di Natale, sull’albero al centro di
Marienplatz,
osservalo, nella tua mente, ma non troppo a lungo, perché io
ti desidero per
me, desidero la tua attenzione per me. Siamo soli, dopotutto, io e te.
Vedi la
piazza deserta? Fa freddo, molto, ma le mie mani calde proteggono le
tue ed io
ti sorrido. Odore di dolci, lo senti? Bene, odore di succo di mela
caldo. Lo
percepisci quel silenzio? È come se fosse reale. Lo senti
quel silenzio? È il
rumore che fanno i nostri respiri incantati, lo vedi, siamo magici, io
e te.
Possiamo essere dove vogliamo quando vogliamo, solo grazie alla nostra
immaginazione. Possiamo restare soli anche in mezzo alla folla, in
silenzio
anche nel caos.»
Ti
ascolto, muta, mentre i battiti del mio cuore si
regolarizzano con lentezza, permettendomi di respirare.
Ho
occhi solo per te, per le tue parole, limpidi e
continui rintocchi di quella campana della speranza ormai abbandonata.
C’è
una profonda tristezza in ogni tuo gesto,
nell’odore di biscotti e di sigarette sulla tua lingua.
Conosci
anche tu la scelta che sarai costretto a
fare, eppure, in quest’attimo, mi sembra di amare il tuo
dolore, perché posso
condividerlo.
Gli
scatti delle macchine fotografiche non sono
altro che sbiaditi abbagli di un grattacielo con fondamenta di
cristallo,
destinato a venir spazzato via in un istante, i rumori sono solo
attutiti
applausi al nostro amore.
…
Non fu
l’ultima volta,
continuammo a lottare per anni.
Insieme, eravamo
l’uno la
forza dell’altra, e vice versa. E ora che sono vecchia e
più forte e che tu non
ci sei più, ora mi rendo conto di quanto tu abbia davvero
reso la mia vita
degna d’esser vissuta, seppur nella calca del tuo affollato
mondo.
Pensandoci,
ancora oggi,
mi ritrovo a piangere come quella volta a dicembre, per le strade.
Ancora quì, a
Marienplatz.
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