Svezia,
443 d.C.
La
notte dal manto stellato era da poco scesa sul fiordo, cancellando
anche le ultime sfumature rosse lasciate dal sole al tramonto. Il
vento era mite e increspava solo lievemente le acque scure della baia
su cui si affacciava il castello di Ingelstad. Ma vi era un'altra
luce nel cielo, qualcosa di inatteso ed inquietante. Una cometa,
dalla lunga coda violacea, sembrava bruciare attraverso la volta
celeste. In lontananza certo, ma non abbastanza da non essere notata
da occhio umano.
La
principessa Arianrhod rimase immobile alla piccola e stretta finestra
su cui davano le sue stanze. Con le piccole mani strette alla
balaustra di granito, lo sguardo fisso al tremendo spettacolo che le
si parava davanti, Arianrhod si accorse a malapena della mano
concitata che le afferrava la spalla, inducendola a voltarsi.
“Principessa!
Che fate? Non dovete fissare quell’orrore!”, fu il
richiamo
atterrito di Caitlin. “Rientrate immediatamente!”.
La giovane
cameriera afferrò la mano della principessa e la condusse
dentro.
“Principessa,
non posate più lo sguardo su uno di quei…quegli
abomini”,
continuò Caitlin portandosi all’altezza del viso
della bambina e
guardandola negli occhi per sottolineare la gravità delle
sue
parole.
“Sono
opera del demonio, non lo sapevate?”
Nonostante
i suoi quattro anni Arianrhod non si fece affatto intimidire e,
liberandosi della presa della sua serva, alzò il mento con
fare
altezzoso. “Non sono affatto opera del demonio! Il demonio
non
esiste, è solo una sciocca superstizione di voi
cristiani… l’ha
detto mio padre! Io voglio guardare la cometa quanto mi pare e
piace…e se non la smetti racconterò a mio padre
quello che hai
appena detto!”
Caitlin
sembrò vacillare: presa dalla sua foga religiosa per un
momento
aveva dimenticato di essere semplicemente una serva e di essere al
cospetto della principessa. Re Jörundr aveva accolto alla sua
corte
molti cristiani provenienti dalla Britannia, lei stessa faceva parte
di questa schiera; tuttavia lui rimaneva un devoto pagano,
così come
lo era l’intera penisola scandinava, e non tollerava che al
suo
popolo – e soprattutto alla sua famiglia – venisse
insegnato il
cristianesimo. Caitlin sapeva per esperienza che Jörundr I,
della
Casa Reale degli Yngling, detta la Stirpe del Drago, era un sovrano
giusto e tollerante, che aveva fatto crescere in pace e
prosperità
la Svezia per vent’anni; ma era pur sempre convinto che il
cristianesimo fosse solo un mucchio di credenze irrazionali e riti
bizzarri.
“Perdonate,
principessa”, mormorò Caitlin con un inchino.
“Non si ripeterà
più.”
Arianrhod
sorrise, soddisfatta. La bambina era
stata educata fin dalla nascita ad avere piena consapevolezza della
sua posizione privilegiata.
Il
Duca Fjölnir di Silverdalen entrò nello studio
privato del re,
seguito dall’Arcidruido Sveigder.
“Ci
avete fatto chiamare, Sire?”
Re
Jörundr sedeva nel suo scranno intagliato, dietro il tavolo da
lavoro ingombro di carte e libri. Si alzò faticosamente,
trascinando
la gamba fasciata. Il re era un uomo massiccio e imponente, con
penetranti occhi azzurri.
“Grazie
per essere venuti, amici miei”, disse il re poggiando una
mano
sulla spalla del Duca Fjölnir.
“Sire
non dovreste affaticarvi in questo modo. Perché non vi
sedete di
nuovo?”, disse Fjölnir in tono premuroso al suo re
che, prima di
tutto, era per lui un caro amico.
“Ti
ringrazio Fjölnir, ma presto avrò parecchio tempo
per riposarmi,
mio malgrado… aspettate ad obiettare, perché
sarebbe inutile. So
che il mio destino è segnato.”
“Ma,
sire…”, protestò l’Arcidruido
Sveigder.
“Non
dite nulla, mio caro amico. Vi assicuro che sto morendo, non mi
restano che pochi giorni…e tutto per una stupida scaramuccia
con un
gruppo di predoni norvegesi…” Jörundr
sospirò di disappunto
sfiorando la dolorosa ferita alla gamba.
Era
accaduto due settimane prima: nonostante le proteste dei suoi
consiglieri, il re aveva voluto guidare di persona un piccolo
contingente dell’esercito ad annientare dei razziatori che
stavano
mettendo a ferro fuoco dei villaggi dell’ovest.
Sconfiggere
i predoni era stato un gioco per i soldati ben addestrati, ma il re
era stato ferito alla gamba da una freccia. La ferita, che non era
più di un graffio, si era però infettata prima
che il re potesse
far ritorno al castello ed essere curato.
“E’
una notizia riservata, per ora. A conoscere la verità siamo
solo noi
tre e pochi fidati guaritori. Ma non dubito che presto
l’intera
corte ne sarà a conoscenza”, proseguì
il sovrano.
“Non
sarà certo da noi che lo sapranno, sire”
affermò con decisione
Sveigder.
Il
re fece un gesto, come a dire che questo non era mai stato in
discussione.
“Tuttavia
non è per me stesso che sono preoccupato, bensì
per mia figlia
Arianrhod. Lei è la legittima erede al trono di Svezia, se
il
bambino che la regina partorirà non sarà un
maschio…”
“Vedrete
che la vostra consorte vi donerà un maschio forte e
sano…”,
disse Fjölnir tentando di sembrare convincente.
A
quelle parole al re tornò subito in mente il viso di bambino
di
Njöror, il suo adorato primogenito. Il principe
Njöror era nato
poco dopo le sue nozze con la principessa Drott, figlia del re Dan di
Danimarca.
A
dispetto della differenza d’età – Drott
aveva quindici anni meno
di lui – e delle motivazioni politiche che avevano dettato il
matrimonio, Jörundr amava molto sua moglie. E quando era
venuto al
mondo Njöror, un bambino sano e bello, la sua
felicità era stata
completa. Tre anni dopo era nata Arianrhod, adorata e viziata dal
padre in ogni modo. Ma, prima che Arianrhod compisse tre mesi, una
febbre aveva portato via il principe ereditario, tra lo sconcerto del
regno.
La
regina, distrutta e addolorata, aveva riversato le sue attenzioni
sulla figlia superstite, così come suo marito. Due anni dopo
la
morte di Njöror era venuto al mondo un altro bambino, che
però non
era vissuto a sufficienza nemmeno per avere un nome. Adesso Arianrhod
aveva quattro anni, e la regina era agli ultimi mesi di gravidanza.
Jörundr sperava con tutte le sue forze che si trattasse di un
maschio; un maschio sano e forte cui nessuno avrebbe messo in
discussione il trono.
Come
risvegliato dai suoi pensieri, il re si girò verso i suoi
consiglieri.
“Sì…deve
trattarsi di un maschio…altrimenti…”
“Altrimenti,
sire?”
“Altrimenti
sarà la guerra civile. Sapete bene che ci sono molti nobili
potenti
che tramano alle mie spalle e vorrebbero vedermi morire senza un
erede maschio per mettere le mani sul trono di Svezia. Mia figlia
è
ancora una bambina, non ci vorrebbe molto per attentare alla sua
vita…un pugnale, del veleno in una coppa... La mano dietro
tutto
questo? C’è solo l’imbarazzo della
scelta: il Duca Aun, il
Nobile Gisle… oppure mio fratello Erik, la vergogna del mio
glorioso padre. So bene che è il burattino di Aun. Mio
fratello non
è mai stato altro che un vile, troppo meschino perfino per
avere il
coraggio delle proprie azioni.”
Fjölnir
conosceva il principe Erik da quando erano entrambi bambini, e
condivideva senza riserve il pensiero del re.
“ll
Duca di Skillingaryd usa la posizione del principe
all’interno
della famiglia reale per i suoi loschi scopi”,
commentò in tono
duro.
“La
Guardia Bianca tiene d’occhio le loro mosse da molti anni,
mio
signore, e queste informazioni non sono certo nuove per il duca e
me”, aggiunse Sveigder.
“Lo
so bene, Sveigder… e tuttavia speravo non si giungesse mai
alle
circostanze attuali. Se io morissi senza un erede maschio, sarebbe
ciò che i miei nemici – Halfdan e Erik prima di
tutti –
aspettavano da molto.”
“Qualunque
cosa possiamo fare per servirvi, sapete che lo faremo, mio
signore”,
disse solennemente Fjölnir portandosi la mano al petto.
“E’
così, sire. Noi vi siamo fedeli, e finché avremo
vita non
permetteremo ai traditori di Svezia di averla vinta”, gli
fece eco
l’anziano Arcidruido.
“Mi
fido solo di voi, amici miei. E vi chiedo un giuramento…lo
farete
per il vostro re?”
Fjölnir
e Sveigder si inchinarono all’unisono.
“Qualsiasi
cosa ci chiederete, sire, la risposta è
sì.”
Il
re fece loro cenno d’alzarsi, con lo sguardo colmo di
silenziosa
gratitudine.
“Dovete
giurarmi che, quando non ci sarò più,
proteggerete la principessa
Arianrhod a costo della vostra vita.”
Angolo
Autrice: Ciao a tutti! Ho voluto imbarcarmi in questa nuova
storia, ambientata in un'epoca storica un po' ostica, quasi come un
esperimento. Nel raccontarla mi baso su molti fatti storici, ma la
mia protagonista, Arianrhod, è frutto della mia fantasia. Il
contesto comunque è autentico. Sono curiosa di sapere se
questa
storia potrà piacervi, e in ogni caso mi piacerebbe sapere
cosa ne
pensate.
A
presto,
Eilan
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