Poi,
come chi barcolli sotto
il peso
delle sue stesse parole, stancamente
fece una
pausa; e prima che riprendesse gridai:
“Fermo,
chi sei?- “ Prima della tua memoria
conobbi la
paura, l’amore, l’odio, il dolore, l’azione
e la
morte. E se la scintilla con cui il Cielo accese
il mio
spirito fosse stata alimentata con nutrimento
più
puro, la corruzione non erediterebbe tanto
né
questa maschera occulterebbe
ciò che
avrebbe dovuto rifiutarsi di portare.
P. B.
Shelley, Il trionfo della vita
Fu in una notte di luna piena.
Ero appena tornata dalla caccia, seduta nella caverna
dove avevo trovato rifugio.
Dopo qualche esitazione, al mio risveglio - quante settimane
prima? - avevo capito che avrei solo potuto seguire l’istinto.
Così mi ero buttata nel fitto della foresta e avevo
aggredito un cervo.
Sazia, avevo camminato fino a trovare un buco nella
parete di roccia da cui non ero più uscita fino a quella sera.
…
Sentivo la sete ma non sembrava esserci spazio nella mia
mente per pensare a nutrirmi.
…
Strane immagini vorticavano davanti ai miei occhi, flash
cui non sapevo dare un preciso senso. Non capivo. Cosa vedevo?
Cosa significavano tutti i volti sconosciuti che
scorrevano dentro di me e che, ancor prima che potessi memorizzarli, sparivano?
Evanescenti come sogni. Ma sogni
non erano. Non dormivo. Mai.
…
Forse stavo impazzendo.
Non ricordavo nulla, a parte il dolore accecante, a parte il fuoco.
Prima di tutto ciò, solo tenebre,
eccezion fatta per il mio nome.
…
Alice.
…
Ricordavo una voce addolorata che ripeteva il mio nome
mentre soffrivo. Poi più nulla, eccetto l’incendio che, dentro, mi aveva arsa
per giorni.
Avevo percezione d’esser cambiata. La mia pelle sembrava
roccia, ma aveva il colore del gesso. Mi sentivo forte, incredibilmente in
forze. E poi quelle immagini, l’infinità di odori, colori, particolari che
percepivo.
Non ricordavo nulla di prima ma sapevo che tutto questo
era diverso.
Io ero diversa.
Non sapevo cosa fossi.
…
Provai a concentrarmi sulla mia mente.
…
Riuscii a separare dal caos alcuni volti troppo sfocati per
sapere a chi appartenessero.
Erano persone che non mi dicevano nulla, non erano
ricordi. Immagini che rivedevo da settimane.
Un uomo … forse come me, a giudicare
dal colore della sua pelle … e una donna appena accanto … e dei capelli di … bronzo…
…
Era troppa la fatica. Rinunciai.
Appoggiai la schiena contro la roccia umida.
Era come se la mia mente fosse esausta
ma il mio corpo si rifiutasse di esserlo. Posai la testa sulle ginocchia,
rannicchiata.
Rimasi in quella posizione un’eternità, cercando di
spegnere le visioni nel buio.
Cosa stava succedendo?
…
Ero frastornata ma non avevo paura. Era come se qualcosa
di primordiale mi stesse guidando da quando avevo aperto gli occhi.
Qualcosa di totalmente irrazionale e
folle, ma impossibile da eliminare. Dicono che la speranza è dura a
morire. Io direi che fu la sola cosa che non seppi e non sarò mai in grado di
uccidere.
Dentro di me qualcosa che si muoveva, strisciava, mi
teneva lontano da una crisi di panico.
Sentivo che quello che vedevo DOVEVA avere un senso. Solo
non lo intuivo.
Mi alzai in piedi e mi trascinai fuori. Vedevo una luce
eccessiva per la notte, proveniente dall’apertura della caverna.
Quando uscii, compresi che era la luna.
Piena, in un cielo completamente sgombro da nuvole. Il
suo chiarore illuminava ogni filo d’erba, ogni foglia, ogni minuscolo insetto. Li
avrei visti comunque, ma quella luce li faceva brillare come fossero piccoli
diamanti.
…
Fu un istante.
Un lampo di luce nella mia testa.
Come quel cielo la mia mente fu sgombra.
Si fece spazio improvvisamente nel caos un’immagine che divenne
sempre più nitida tra le altre.
…
Un volto che mi era passato davanti più volte col passare
dei giorni ma che non avevo saputo mettere a fuoco.
Un viso antico, d’altri tempi,
incorniciato da una chioma bionda, corta, spettinata. I lineamenti duri,
quasi contratti, color perla. Gli occhi cremisi, che avrei detto spaventosi se
non avessi pensato che, in fondo ad essi, vi fosse qualcosa …
…
…
Era uno sguardo dolce … severo … sofferente …
Meraviglioso.
…
…
Ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo, quando cerco
risposte, mi metto davanti alla luna.
In quelle notti tutto appare chiaro, persino i pensieri,
le visioni più confuse ed oscure.
Trovo la risposta che altrimenti faticherei a
rintracciare.
Guardo dentro di me e so, ad un
tratto, cosa debba fare, cosa avrei dovuto fare e cosa invece sarebbe stato
meglio evitare.
Nessuno può darmi soluzioni, solo in fondo alla mia anima
– sempre che ne abbia una - ho imparato che posso trovare quello che cerco.
E in quella notte, come in tante altre che seguirono,
cercai.
…
Ed era una notte di luna piena.
…
Cosa trovai?
Cosa scoprii sotto la mia pelle
granitica, sotto i miei muscoli, sotto le mie ossa d’acciaio … Tra i miei
organi congelati?
Spolpata di ogni parte di me, vivisezionata … come solo
io avrei potuto fare … al centro di me, al nocciolo, cosa rimase?
…
Rimase una strada polverosa al tramonto, che presto,
sentivo, avrei dovuto percorrere.
Rimase un bambino che mi indicava
una locanda.
Rimase un sorriso sul volto dagli occhi meravigliosi che
avevo appena visto.
Gli stessi occhi, stavolta d’ambra.
Un bacio tra due persone sconosciute.
Un sussurro accennato nel buio.
Una rosa all’alba, coperta di rugiada
La felicità di un istante che non era rubata.
Il destino in un abbraccio.
Una casa nei boschi, bianca.
Jasper.
…
Jasper Whitlock.
Il nome del ragazzo con cui mi ero appena vista fare
l’amore.
Mi sentii scossa.
Era come se dentro di me ogni pezzo di un enorme puzzle
avesse trovato posto.
Immobile, fissando la luna, ad
un tratto sapevo.
Volevo sperare di sapere. Ancora la speranza.
Una parte di me si ribellò. Cosa potevo
fare nelle mie condizioni, senza vestiti decenti, come una selvaggia? Dove
sarei potuta andare? Dove mi sarei diretta, chi mai avrei trovato?
…
L’altra parte di me sapeva esattamente cosa fare.
Gridava, esultante.
Dovevo trovare Jasper Whitlock.
Dovevo trovarlo.
Sapevo, di colpo, che era lui ciò che cercavo.
Forse perché il suo viso era la sola cosa che possedevo.
Quel viso che avrebbe potuto mandarmi in estasi, ogni
istante di più, sempre più nitido nei suoi particolari … una cicatrice a forma
di mezzaluna di fianco al mento … una sul collo …
…
E poi cos’avrei fatto? Se ciò
che avevo appena visto fosse stata solo fantasia o una botta in testa che non
ricordavo di aver preso … e anche se fosse stato vero, se fosse accaduto ciò
che avevo visto, chi mi poteva assicurare che l’avrei
trovato? Dove mi sarei diretta? Avrei girovagato senza meta per il mondo in attesa
di trovarlo?
…
Ancora oggi mi fermo a pensare a quell’istante.
Sai cos’ho capito in tutte le
notti che sono trascorse con te, Jasper?
…
Non avrei mai dovuto pormi il problema, nemmeno per un
millesimo di secondo, di cosa avrei potuto essere per te.
Non avrei dovuto avere paura di cercarti per tutto
l’universo.
Perché, nonostante i chilometri che ci separavano,
nonostante tu non immaginassi nemmeno la mia
esistenza, già eri l’uomo della mia vita.
E il resto non aveva importanza.
…
Di fronte a tutto questo non avrebbe dovuto averne.
Forse, in modo più confuso, pensai qualcosa di simile
quando la parte speranzosa di me prevalse, all’alba.
E cominciai a correre.
…
Sempre maggior chiarezza in ciò che vedevo.
Philadelphia.
Questa era la mia meta.