CAPITOLO 14.
Capodanno tra le stelle.
Pov
Sana.
«Si
Rei, ho capito, ma se devo lavorare anche per Capodanno sappi che
voglio almeno tre settimane di assoluta libertà!».
Tentavo di negoziare con Rei i miei impegni di lavoro ma, come sempre,
non stavo ottenendo il risultato sperato.
«Lo sai che non dipende da me, Sana, purtroppo dopo il
matrimonio sei diventata richiestissima ovunque. Non posso rifiutare
ospitate come questa, è un programma troppo
importante.»
Annuii, anche se lui non poteva vedermi, e cercai di rassegnarmi al
fatto che il mio lavoro mi avrebbe sempre portato via del tempo e che
non potevo farci nulla.
«Va bene allora, fammi sapere l'organizzazione
così cerco di gestire il mio tempo anche a casa.»
Mi salutò quasi subito, dicendomi che voleva contattare il
regista del film per cercare di mettere in ordine i miei impegni. Ero
preoccupata per la reazione che avrebbe avuto Akito sapendo che non
avrei passato capodanno insieme a lui e a Kaori e soprattutto che di
lì a breve sarebbero iniziate le riprese del film per cui
avevamo litigato tanto. Non sapevo nemmeno se le riprese mi avrebbero
portata lontana dalla città, per cui lo avrei dovuto
lasciare da solo con Kaori e la cosa mi preoccupava particolarmente.
Non che non mi fidassi di lui, al contrario, ma temevo molto cosa
sarebbe potuto accadere in mia assenza.
Andai a preparare il caffè, sperando che Akito si svegliasse
il più presto possibile, perchè stare da sola con
i miei pensieri non mi faceva bene e soprattutto perchè
dovevo avvisarlo che non potevamo passare insieme il Capodanno.
Rigirai la tazza tra le mani, aspettando che il caffè fosse
pronto, e pensai al modo migliore di dirglielo senza scatenare la terza
guerra mondiale, ma con Akito mai nulla era davvero sicuro,
perchè le sue reazioni erano imprevedibili. Decisi comunque
di non pensarci, lo conoscevo abbastanza da sapere che tanto avrebbe
trovato ugualmente un pretesto per litigare.
Accesi la radio e preparai la colazione, se dovevamo urlarci contro
tanto valeva addolcirlo un po' con le cose che sapevo gli avrebbero
fatto leccare i baffi. Presi un vassoio e misi la sua tazza di latte
con i cereali, la sua arancia sbucciata e il cappuccino per cui
discutevamo sempre: io volevo sempre troppa schiuma mentre lui la
detestava e allora puntualmente mi prendeva in giro perchè
non riuscivo a berlo senza sporcarmi.
Il vassoio mi tremava leggermente tra le mani, perchè la
discussione sarebbe stata epocale, lo sapevo già.
Poggiai il vassoio sul letto e poi cercai di svegliarlo. Una cosa che
non ero mai riuscita a capire era la capacità di Akito di
essere sveglio e attivo non appena apriva gli occhi, mentre per me ci
volevano almeno una o due ore prima di essere veramente connessa col
mondo esterno.
«Buongiorno...» sussurrai, porgendogli il vassoio.
La sua espressione fu impagabile, per la prima volta nella mia vita lo
avevo visto arrossire e la cosa mi sembrò troppo tenera per
non fargliela notare. «Non emozionarti, mi sono solo
svegliata presto, Hayama.»
«Ci vuole ben altro per emozionarmi, Kurata!».
Eccolo, quello era l'Akito che conoscevo e che sapevo controllare,
troppo diverso da quel ragazzo romantico che mi aveva riempito di
complimenti la mattina prima.
«Cosa devi dirmi, Sana?». Mandò
giù un sorso di cappuccino e sorrise, sicuramente pensando
che lo avevo preparato con poca schiuma come piaceva a lui. Dovevo
sembrargli disperata.
«Cosa ti fa pensare che debba dirti qualcosa?».
Abbassai lo sguardo, consapevole del fatto che con Akito era difficile
tenere i miei segreti, segreti, e che riusciva a leggermi negli occhi.
Lo detestavo per quello.
Indicò il vassoio davanti a lui, continuando a bere il
cappuccino. «Mi hai preparato la colazione, me l'hai portata
a letto e mi hai addirittura fatto il cappuccino con poca schiuma. Devi
per forza dirmi qualcosa, per cui sai che potrei arrabbiarmi, quindi
avanti... parla!».
Continuava a guardarmi di sottecchi, con la tazza fumante tra le mani,
e io non riuscivo a dire nulla, i miei pensieri si affollavano uno
sull'altro, senza darmi modo di connettere il cervello con la bocca.
«Respira Sana, e dimmi quello che devi, per
favore.»
Chiusi gli occhi, presi tutta l'aria che avevo in corpo e la buttai
fuori per farmi coraggio. «Per Capodanno... sai, dopo il
matrimonio sono diventata molto richiesta... e Rei mi ha appena detto
che...»
«Non passerai capodanno con me, giusto?» mi
interruppe lui, posando la tazza vuota sul vassoio.
Annuii, aspettando le urla che sarebbero seguite sicuramente a quelle
parole.
«Va bene, Sana... è il tuo lavoro.»
Aprii gli occhi di scatto, sconcertata dalla sua risposta e dal fatto
che il suo tono di voce fosse sempre lo stesso, pacato e tranquillo.
Non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie. Akito era ancora a
letto, con le gambe distese, a petto nudo - dettaglio che poco prima
avevo ignorato ma che in quel momento mi saltò subito
all'occhio - e con in mano la sua tazza di latte e cereali, come ogni
mattina.
Era assurdo.
Mi avvicinai e gli toccai la fronte. «Sei sicuro di non avere
la febbre?». Scoppiammo a ridere, e lui mi tolse bruscamente
la mano.
«Sto benissimo, non è che devo sempre sbraitare
come un cretino. Ogni tanto cerco di controllarmi anch'io, che ti
credi.». Incrociò le mani dietro la testa e gli
addominali si contrassero sotto la sua pelle. Mi bloccai a guardarlo,
lo ammetto, e lo vidi fare un risolino, tanto per mettermi ancora
più in imbarazzo.
«Devo chiamare la mia stylist!» affermai alzandomi
dal letto, e alle mie spalle Akito sbuffò. Risi di gusto,
come non facevo ormai da molto tempo, e tornai in cucina per prepararmi
un cappuccino con tanta, tantissima schiuma.
*
Pov Akito.
«Che ne dici di questo? Non è troppo vistoso per
una semplice ospitata?».
Sana uscì dalla camera da letto con indosso uno degli abiti
che la stylist le aveva dato, erano ormai le otto e mezza e fra poco
meno di un'ora sarebbe dovuta essere agli studi per partecipare al
programma a cui era stata invitata. Era un abito nero, lungo fino al
ginocchio, con lo scollo quadrato e le spalline di pizzo. Proprio sotto
al seno aveva altri due strati di velo che lasciavano quasi scoperte le
costole. La stoffa le fasciava il corpo perfettamente, come se fosse
una seconda pelle. Il respiro mi si mozzò nel petto e pensai
che forse avrei potuto riportarla in camera e toglierglielo con le mie
mani.
«Allora? Sei sordo?».
La sua voce mi destò dai miei pensieri, spostai lo sguardo
dai suoi fianchi stretti al seno che sembrava più abbondante
dentro quel vestito, per poi incrociare i suoi occhi. Adesso potevo
tornare ad essere lucido, dovevo solo smettere di guardarla.
«E' perfetto.». Lei mi sorrise e fece una
giravolta, tornando subito in camera da letto per prendere le scarpe e
rimettere il vestito nella fodera con cui l'avrebbe portato agli studi.
«Allora» cominciò «Il latte di
Kaori è in frigo, non devi far altro che riscaldarlo e
darglielo. Se si sveglia durante la notte, basta cullarla un po' e se
proprio non vuole dormire mettila a pancia sotto e accarezzale la
schiena, dovrebbe funzionare. Per il resto..».
La interruppi, cercando di riacquistare un po' la mia
dignità di uomo. Sarei stato in grado di far addormentare
una bambina di due mesi. O almeno lo speravo.
«Sana, calmati. So badare a me stesso.»
Si infilò le scarpe da ginnastica e poi rivolse di nuovo lo
sguardo a me. «Non è di te che mi preoccupo, ma di
Kaori. Te la caverai?».
Annuii, soffocando una risata per il suo spiccato sarcasmo.
«Tranquilla, al tuo ritorno non troverai la casa che va a
fuoco o Kaori col pannolino al contrario. Ce la posso fare.»
Sana prese il cappotto e lo indossò spostando i capelli che
aveva leggermente arricciato.
Non volevo che passasse capodanno lontana da me, ma per non litigare
ero disposto anche a scendere a compromessi. La accompagnai alla porta
trascinandola per le spalle, sperando che col tempo avrebbe smesso di
farsi tutte quelle paranoie e che avrebbe imparato a fidarsi di me.
«Okay, penso di averti dato tutte le raccomandazioni del
caso, adesso vado visto che sono già in ritardo.»
Avrei voluto dirle che non era affatto in ritardo, ma in quel caso non
se ne sarebbe mai andata e avrebbe continuato ad ordinarmi la
qualsiasi, quindi annuii e la spinsi fuori dalla porta. Lei si
voltò, mi fece un sorriso. Nei suoi occhi si leggeva un velo
di tristezza.
«A mezzanotte non potremo farci gli auguri, quindi... buon
anno...». Si avvicinò per abbracciarmi e io colsi
l'occasione per farle capire che quell'anno sarebbe stato diverso.
La strinsi a me più forte che potevo, affondando il viso
nell'incavo del suo collo. Sapeva di cannella e frutti di bosco, sapeva
di Sana, un profumo che non riuscivo veramente a definire fino in
fondo.
«Buon anno, ragazzina egoista.». Quando lei si
voltò per baciarmi sulla guancia, spostai il viso e ci
ritrovammo bocca su bocca. Non approfondii il bacio, volevo solo che
capisse.
«Adesso vattene, ci vediamo più tardi.»
La sua espressione passò dall'esterefatta ad un sentimento
che non ero riuscito a decifrare fino in fondo.
Speravo solamente che non appena il conto alla rovescia le avesse
invaso la testa, la mia immagine le invadesse il cuore,
perchè volevo che quell'anno fosse il nostro anno.
*
Mi ero quasi imposto di non guardare il
programma in cui Sana sarebbe stata ospite, per non pensare a quanto
fosse difficile aspettare prima di attuare i miei piani.
Nonostante questo, però, in tv non davano nulla di
interessante quindi, facendo zapping, mi ritrovai sul canale della
trasmissione a cui avrebbe partecipato.
Capii che la presentatrice le stava facendo alcune domande su di me, su
di noi, perchè di sfondo c'era una nostra foto con la
carrozzina di Kaori. Sarebbe stato alquanto imbarazzante per lei, ma
era brava ad eludere le domande indiscrete.
«Quindi, Sana, abbiamo capito che il tuo matrimonio va a
gonfie vele... ma abbiamo saputo anche che avete avuto qualche problema
negli ultimi tempi, vuoi dirci qualcosa? Qualche piccola scaramuccia
tra neosposi?».
Come diavolo avevano fatto a sapere che avevamo litigato? Non smettevo
mai di stupirmi delle doti dei giornalisti.
Sana si sistemò meglio sulla sedia e portò un
ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Sembrava calma, rilassata, come io
non sarei mai riuscito ad essere.
«Bè... le liti ci sono sempre, penso che nessuna
coppia sia immune da questo, però io e Akito ci conosciamo
da sempre, sappiamo come smussare i lati del nostro carattere
e poi abbiamo una bambina a cui badare, quindi siamo, in un certo
senso, obbligati ad andare d'accordo. Teniamo l'uno all'altra,
è questo quello che conta.»
Le sue parole erano perfette, non troppo vaghe e non troppo precise,
davano informazioni vere ma non veramente dettagliate, e la
presentatrice sorrise capendo che stava cercando di sviare il discorso.
«A proposito di questa bambina, come vi sentite ad essere
diventati genitori così presto? Non avreste preferito vivere
un po' senza la preoccupazione di un figlio?».
Cominciai ad irrigidirmi, ma avendo in braccio Kaori tentai di
calmarmi. Non capivo perchè dovessero mettere in mezzo mia
nipote.
Sana, nel frattempo, aveva accavallato le gambe e il tacco dodici che
portava le fece tendere i muscoli delle gambe.
«Kaori è stato il motore di tutto, probabilmente
senza di lei non avremmo preso la decisione di sposarci così
giovani. Io e Akito stiamo insieme ormai da anni, ma siamo piccoli e
forse avremmo aspettato ancora un po'. In compenso però
siamo felici, davvero felici, quindi no... non cambierei la mia
vita.»
Le sue parole sembravano vere, guardandola negli occhi non mi sembrava
che mentisse, e volevo crederle con tutto me stesso, ma sapevo anche in
un certo senso doveva dire quelle cose, altrimenti i giornalisti non ci
avrebbero dato tregua.
La sua mancanza si fece quasi insopportabile. Dopo aver messo Kaori
nella culla, cominciai a camminare avanti e indietro davanti alla tv, e
riflettei su ciò che stavo per fare. Avevo preparato tutto
per filo e per segno, il fatto che lei fosse agli studi televisivi non
mi preoccupava affatto, ma ero terrorizzato dalla reazione che avrebbe
avuto.
Erano quasi le undici ormai, dovevo muovermi se volevo che l'idea che
avevo in mente si realizzasse. L'avevo pensato per giorni, Tsuyoshi mi
aveva detto che ero un folle, che nessun uomo avrebbe mai pensato ad
una cosa del genere, ma a me non importava.
Sana ed io avremmo avuto il nostro capodanno insieme.
*
Guidai in fretta verso casa della signora Kurata, dove c'era
già mio padre, e lasciai a loro Kaori, sapendo che fosse in
buone mani.
Guardai l'orologio ed ero abbastanza in ritardo, erano già
le undici e dieci, e sperai che Sana non avrebbe fatto tante storie
quando l'avrei trascinata fuori.
Arrivai agli studi e salutai una delle guardie alla porta, che ormai mi
conosceva da anni, visto che era capitato spesso di andare
lì con Sana. Mi avviai verso lo studio 3, dove si stava
svolgendo la trasmissione, e molti dei collaboratori mi salutarono
calorosamente riconoscendomi come l'amico di Sana prima, e adesso suo
marito.
Quando arrivai dietro le telecamere e incrociai lo sguardo di Sana, la
vidi raggelarsi per un istante e poi il suo viso si aprì in
un sorriso che non avevo mai visto prima.
La presentatrice intercettò lo sguardo di Sana e lo
seguì fino ad arrivare a me, e allora mi intrufolai in mezzo
a loro e finii, per la prima volta, davanti ad una telecamera.
«C'è un fuori programma, scusate...». La
presentatrice inneggiò il pubblico in studio ad applaudire
per accompagnare la mia entrata.
Io mi avvicinai a Sana e le sorrisi.
Cosa ci fai qui? mi chiese col labiale, ma io non le risposi.
«Abbiamo qui il signor Akito Hayama, il marito della nostra
ospite Sana Kurata. Akito, dicci, cosa ci fai qui?»
Mi voltai verso Yuuko, la presentatrice, e le rivolsi uno dei miei rari
sorrisi. «Visto che avete pensato bene di privarmi della
presenza di mia moglie per l'ultimo dell'anno, io sono venuto qui a
riprendermela. Marito e moglie non dovrebbero mai essere separati a
Capodanno.» spiegai, tendendo la mano a Sana per farla
alzare.
Il pubblico applaudì di scatto, e la presentatrice si mise a
ridere ammiccando anche un po'.
«Wow, ma dove sei stato per tutti questi anni? Avrei voluto
incontrarti io...».
«Ti ringrazio» risposi "Ma ora se non ti dispiace,
se non vi dispiace, vorrei portare via mia moglie da qui.»
Lei mi fece segno che potevo fare ciò che volevo e, mentre
io e Sana uscivamo dallo studio insieme, la sentii dire che
probabilmente i suoi produttori l'avrebbero uccisa ma che non poteva
resistere ad una cosa così romantica come una fuga del
genere. Risi sotto i baffi sperando che, se tutte le donne che avevano
visto quella scena erano rimaste colpite, anche Sana doveva esserlo
stata. Se non fosse stato così, non avrei più
saputo come farle capire che ero innamorato perso di lei.
Pov
Sana.
Akito non diceva una parola, continuava a sorridere di sottecchi ma non
mi aveva guardata nemmeno per un secondo.
«Mi dici dove stiamo andando?».
Vidi la sua mascella contrarsi ma continuò ad ignorarmi come
aveva fatto nei precedenti dieci minuti. Stavo cominciando ad
innervosirmi.
«Se non mi dici dove andiamo mi butto dalla macchina in
corsa.» scherzai.
«Ma non ce la fai a goderti semplicemente il momento? Sta
zitta, una volta tanto, e lascia fare a me.».
Le sue parole mi zittirono e, dopo avergli fatto una linguaccia, mi
voltai a guardare fuori dal finestrino per capire dove ci trovavamo e
provare a dedurre il posto in cui stavamo andando.
Non conoscevo quella zona di Tokyo, la mia speranza fu vana, per cui
decisi di godermi il momento, come aveva detto Akito e alle conseguenze
c'avrei pensato quando si fossero presentate.
Capimmo che era passata la mezzanotte e che quindi eravamo
già nel nuovo anno, solo quando i fuochi d'artificio
illuminarono il cielo sopra di noi.
Alzammo gli occhi e poi tornammo a guardarci.
«Mi hai fatto perdere il countdown, hai visto?».
Fece un risolino e socchiuse gli occhi, mentre i muscoli
delle braccia si tendevano quando lui girava il volante.
«Ne varrà la pena, te lo assicuro.»
Presi a guardare i giochi di colore che erano su di noi, quindi aprii
il finestrino e l'aria della sera mi colpì dritto in faccia,
facendomi venire i brividi.
Dopo poco mi resi conto che Akito aveva rallentato e che stava entrando
in una strada che invece ricordavo vagamente. C'eravamo stati due volte
al liceo in visita scolastica, ed ero sempre rimasta affascinata da
quel posto.
Davanti a me si ergeva un edificio altissimo, che sembrava sovrastare
tutti gli altri attorno a lui: il planetario di Tokyo.
Non capivo cosa ci facevamo lì, la struttura era ovviamente
chiusa a quell'ora, e Akito continuava a non dirmi nulla. Venne ad
aprirmi la portiera e solo in quel momento mi resi conto di com'era
vestito. Portava un pantalone nero con delle scarpe eleganti, una
camicia azzurra che sembrava essere stata cucita addosso a lui e,
nonostante il freddo, teneva la giacca tra le mani.
«Come mai così elegante?». Gli sorrisi e
mi avvicinai per sistemargli il colletto e, ad essere sincera, non
solo. Avrei voluto baciarlo, volevo smetterla di fare tutti quei
giochetti inutili e mettere un punto fermo alla nostra relazione.
«Non volevo sfigurare.».
Quell'Akito mi spiazzava, non sapevo come gestirlo o come affrontarlo,
però non mi dispiaceva, anzi, lo trovavo intrigante e dolce
allo stesso tempo.
Mi prese la mano e mi condusse all'entrata del planetario che, con mio
grande stupore, era aperto e anche piuttosto affollato.
Akito si fermò a parlare con la guardia giurata fuori
dall'edificio e lui ci fece entrare senza bisogno di fare la fila
insieme al resto delle persone che ci guardava con aria infastidita e
al contempo sognante, probabilmente per come eravamo vestiti. Alcune
ragazzine mi riconobbero e io le salutai mentre camminavo dietro Akito
in silenzio, rivolgendogli un sorriso.
Mano nella mano seguivamo una donna che ci portava in giro per la
struttura, anche lei in assoluto silenzio.
Mi avvicinai ad Akito, sperando che stavolta mi avrebbe dato una
risposta concreta.
«Cosa ci facciamo qui, una lezione di astronomia?».
Lo vidi sorridere e poi tornare serio in un istante, schiarendosi la
voce.
«No, ora vedrai. Ma ti prego, sta zitta.»
Entrammo in una sala grandissima, con una finestra a vetro davanti a
noi e una sopra di noi, che faceva si che si vedesse il cielo. Alla mia
destra c'era una piccola scala a chiocciola che portava ad una sala
sotterranea identica a quella in cui ci trovavamo noi.
Al centro della sala un enorme telescopio, accanto un tavolo
apparecchiato e una scatola perfettamente impacchettata.
Il mio cuore perse un battito, non riuscivo nemmeno a parlare, le
ginocchia mi tremavano e se Akito non fosse stato lì a
tenermi la mano probabilmente sarei svenuta.
«Ma cosa hai fatto?» chiesi, stringendogli ancoa di
più la mano. «E' tutta opera tua?».
Akito si voltò e, dopo aver salutato la donna che ci aveva
accompagnato, mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi.
«Ti sembra così strano?».
Tornò subito serio, e speravo che il suo umore non
cambiasse, perchè le cose stavano andando così
bene. Akito non era solito fare gesti così plateali, ma era
così dolce quando si impegnava e il nostro rapporto poteva
solo giovarne.
«Sono senza parole.». Ed era vero, non riuscivo a
dire nulla, non riuscivo a ringraziarlo, non riuscivo ad abbracciarlo,
non riuscivo a muovermi.
«Non fa niente, per una volta ne ho io qualcuna...»
Mi portò vicino al telescopio e si mise dietro di me,
circondandomi con le braccia e invitandomi a guardare al suo interno.
«La vedi?». Mi accarezzava piano la schiena, ma non
con fare malizioso, era come se volesse rassicurarmi, come se cercasse
di creare un contatto. Annuii, capendo che si stava riferendo alla
stella su cui era puntato il telescopio.
«E' tua.» Sgranai gli occhi e provai a voltarmi, ma
lui me lo impedì facendo sì che gli dessi di
nuovo le spalle.
«Che vuol dire?».
Sospirò, e sentii il suo fiato proprio vicino al mio
orecchio. Mi accorsi che si era allontanato ma non mi voltai per non
rovinare il momento e soprattutto perchè il mio corpo mi
stava tradendo, non ero capace di muovere un muscolo.
Tornò dietro di me e srotolò un foglio davanti ai
miei occhi, sentivo che era nervoso perchè il suo respiro
era irregolare e le braccia non erano perfettamente salde. Avrei voluto
voltarmi e abbracciarlo, fargli capire che non mi importava delle
sorprese, delle belle parole, tutto quello che volevo era lui, con le
sua paranoie e le sue imperfezioni. Io volevo lui.
Lessi lentamente ogni parola e dovetti trattenermi per non scoppiare a
piangere.
«Mi hai comprato una stella.» dissi infine, quasi
senza fiato.
Lo sentii sorridere e poi indicarmi il nome della stella, al centro del
foglio.
Claddagh.
Prima ancora che potessi chiedere, lui cominciò a spiegarmi
il significato.
«E' un po' strano, lo so... ma non ho trovato nient'altro che
potesse rappresentarci così bene. Il claddagh è
un simbolo irlandese.» Mi mostrò il disegno sul
foglio. Erano due mani che tenevano stretto un cuore, sormontato da una
corona.
Era bellissimo.
«Le due mani simboleggiano l'amicizia, la corona invece la
lealtà.». Sapevo cosa simboleggiava il cuore, ma
avevo paura di chiederglielo ed evidentemente lui aveva paura di
dirmelo, perchè si era ammutolito di colpo.
Capii che non l'avrebbe fatto, quindi azzardai, ormai non avevo
più nulla da perdere. O forse avevo tutto da perdere.
«E... e il cuore?».
In un secondo la sua bocca fu sulla mia. La sua mano sinistra mi
circondò la nuca per avvicinarmi ancora di più a
lui. Non riuscivo a muovermi. Non riuscivo a pensare. L'unica cosa che
sapevo era che volevo lui. Sempre e solo lui.
Le sue labbra mi sembravano come una specie di oasi, mi aggrappai a
loro come se fossero l'unica cosa importante al mondo. Venni travolta
da una miriade di sensazioni che non riuscivo a spiegare, che mi
sembrarono tutte nuove, come se non lo avessi mai baciato prima.
Ogni bacio, prima di quello, sembrò scomparire, forse
perchè era il primo in cui avevo la piena consapevolezza di
essere innamorata di lui.
Io amavo quel ragazzo. Lo amavo da sempre, da quando i suoi e i miei
problemi ci avevano uniti, tanti anni prima, e ci avevano permesso di
capirci. Lo amavo da quando aveva piazzato quel coltello al lato della
mia testa, quando lui desiderava morire e io desideravo salvarlo. Lo
avevo amato anche quando mi aveva lasciato perchè stare con
Fuka era più semplice e io ero scappata a New York.
Lo avevo sempre amato.
Cingendomi la vita con le braccia mi sollevò da terra, e io
intrecciai le mani tra i suoi capelli.
Era la cosa più bella che avessi mai provato e allo stesso
tempo era una tortura, perchè lo volevo con tutta me stessa.
Quando le nostre labbra si staccarono, avevamo il fiato corto e le
labbra rosse, lui era sporco di rossetto e a me venne da ridere.
«Adesso so cosa simboleggia il cuore.» mi limitai a
dire.
Lui accennò un sorriso. Amavo l'Akito sorridente, e in quel
periodo, nonostante tutto quello che stavamo passando, lui sorrideva un
sacco.
«No. Non lo sai.». Lo guardai negli occhi, cercando
di decifrare il suo sguardo, ma Akito aveva gli occhi di ghiaccio, non
lasciava mai trasparire nulla.
Pov Akito.
Ero pronto, dovevo dirglielo, dovevo espormi e lasciare che le mie
paure se ne andassero a fanculo, così avrei potuto liberarmi
da quel peso che tenevo con me da troppi anni. Ormai anche i muri
sapevano che ero innamorato di lei, che per lei avrei fatto qualsiasi
cosa e sarei diventato qualsiasi cosa, quindi l'unica cosa da fare era
trovare tutto il coraggio ed esprimere tutto quello a parole.
La mia bocca era secca come il deserto, il bacio non mi aveva aiutato
di certo, perchè ero troppo nervoso e inquieto per mettere
ordine tra i miei pensieri. La stringevo, lei mi tirava dolcemente i
capelli, e quello mi sembrava il momento perfetto.
«No. Non lo sai.».
Vidi il suo sguardo cambiare, mi scrutava, cercava di leggermi, e io
temevo che qualcuno potesse farlo davvero. Se si trattava di Sana,
però, non ero certo che la cosa potesse darmi fastidio. Lei
mi conosceva, sapeva com'ero, mi aveva visto cambiare e crescere, e
diventare l'uomo che ero.
«Non lo sai, perchè non te l'ho mai detto. Il
cuore simboleggia l'amore, Kurata.»
«Akito...»
«No. Lasciami parlare.». Chiusi gli occhi per un
attimo, sospirai e poi ripresi. «Tu mi conosci, non sono
esattamente la persona più romantica del mondo e non sono
bravo con le parole ma... se c'è una cosa di cui so tutto
è proprio... è proprio l'amore. Soprattutto
l'amore per te.
Stasera ti ho portato qui perchè tutto quello che volevo
dirti, che volevo farti capire è che... che io non ho mai
voluto nessun'altra, che non ho mai guardato nessun'altra, che io...
»
Dillo, maledizione, dillo!
Non riuscivo a pronunciare quelle due parole, non riuscivo a mettermi
così a nudo, nemmeno con lei. Lottavo contro me stesso,
perchè non ero capace di amare qualcuno e dimostrarglielo, e
soprattutto non riuscivo a dimostrarlo a lei.
Come se mi leggesse nel pensiero, si avventò sulle mie
labbra e io credetti di morire in quell'istante, perchè quel
bacio voleva dire tutto per me. Lei mi capiva. Lei mi sosteneva, anche
se non ero capace di dire ciò che provavo. Lei c'era
ugualmente.
«Non importa.» sussurrò a pochi
millimetri dalla mia bocca. «So che è difficile
per te, ma se quello che stai pensando è che mi perderai,
allora smettila. Non succederà. Non mi perderai mai... e non
devi credere nemmeno per un secondo che...»
«Ti amo.»
Fu un secondo, un attimo, e l'avevo detto. Lei mi guardava con
espressione esterefatta e io stesso ero sorpreso per esserci riuscito.
Era stato spontaneo, come respirare, come se avessi aspettato tutta la
vita per dire due parole che alla fine erano la cosa più
semplice del mondo.
Non sapevo come avevo vissuto prima di quel momento, come avevo fatto a
tenermi tutto dentro senza esplodere.
Io la amavo. La avevo sempre amata. E l'avrei amata sempre.
«Buon anno, ragazzina egoista.»
Ormai era una tradizione.
«Buon anno anche a te, Hayama.»
*
«Quella
è la Costellazione di Andromeda, Sana. Ma ne sai qualcosa di
astronomia?».
Eravamo
sdraiati sul puff che, giuro, non avrei mai più utilizzato
in vita mia perchè mi stava distruggendo la schiena, e Sana
continuava a ridere come una bambina mentre io la prendevo in giro.
«Ho
frequentato qualche lezione al liceo, ma non ho mai finito il corso
perchè dovevo girare una fiction.»
Mi
rabbuiai all'istante, parlare del suo lavoro mi faceva sempre
quell'effetto, non sapevo perchè. Temevo di perderla
probabilmente, anche se Sana si preoccupava sempre di farmi capire che
non sarebbe stato quello ad allontanarci. Lo speravo davvero,
perchè ora che era davvero mia, non riuscivo nemmeno ad
immaginare che potesse allontanarsi da me.
«Non
capisco come facciano a vedere le forme in un mucchio di stelle messe
accanto.»
Sana
si alzò e si appoggiò sul gomito, per guardarmi
negli occhi. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso e io rimasi a
fissarle finchè non parlò.
«Insomma...
io vedo solo tante stelle.»
La
guardai e sorrisi, sembrava davvero confusa su quell'argomento e la sua
ingenuità mi faceva tenerezza.
«Di
Andromeda si dice che sia stata Atena a collocare la sua immagine tra
le stelle, infatti è posizionata vicino alla madre,
Cassiopea, che non le ha di certo reso la vita facile.»
Sana
mi guardò incuriosita, e si appoggiò al mio petto
per ascoltarmi meglio. «Come sai tutte queste cose?»
«Io
ho finito di frequentare le lezioni che tu hai lasciato.»
Scoppiammo
a ridere entrambi, consapevoli di quanto eravamo diversi. Sana aveva
smesso di interessarsi alla scuola quando il suo lavoro le aveva preso
tutto il tempo libero, studiava quando poteva e quando non ci riusciva
i professori la scusavano più facilmente di tutti gli altri.
Parlammo
molto, Sana rise in continuazione, e per un po' sembrava essersi
dimenticata di quanto il nostro rapporto potesse essere diventato
complicato nel momento in cui i nostri sentimenti erano venuti a galla.
Vedevo
quegli occhi così belli, di un nocciola intenso e caldo,
cambiare espressione ad ogni battuta e avrei voluto sapere se anche i
miei fossero gli stessi, se anche i miei sorridessero come i suoi.
Bussarono
alla porta mentre stavamo decidendo se quella che stavamo osservando
fosse la Corona Boreale o meno, e la stessa donna che ci aveva
accompagnato entrò nella sala.
Diede
un colpo di tosse per farsi notare e noi ci voltammo a guardarla.
«Mi
scusi, signor Hayama, il tempo di prenotazione è passato da
un po'...». Guardai l'orologio e, merda, aveva ragione! Avevo
sforato di oltre un'ora, perchè non era venuta prima ad
avvertirmi?
«Si,
certo, ce ne andiamo subito. Mi scusi tanto.»
Quando
ci lasciò di nuovo soli scoppiammo a ridere, era come
tornare ai tempi del liceo, quando i professori ti sgridavano per
essere arrivato in ritardo e tu non riuscivi a non ridere.
Uscimmo
dal planetario mano nella mano, e in quel gesto io capii che qualsiasi
cosa fosse successa, avremmo trovato il modo di andare avanti.
O
almeno lo speravo.
Pov Sana.
Come
assoluta appassionata di Grey's Anatomy, non avevo mai capito cosa ci
fosse di così speciale negli ascensori. Ogni volta che
vedevo scene al suo interno, sapevo che ci sarebbe stato un bacio, una
confessione strappalacrime, o una meravigliosa proposta di matrimonio
che chiunque avrebbe accettato di colpo, e mi chiedevo sempre il motivo
per il quale tutti i medici che entrassero lì dentro
diventassero improvvisamente pieni di testosterone ed estrogeni, come
se non facessero sesso da mesi.
Bè...
non lo avevo capito, fino a quel momento.
Io
e Akito eravamo entrati in ascensore in silenzio, consapevoli che uno
spazio così piccolo avrebbe aumentato l'imbarazzo che si era
già creato, e non riuscivamo a non guardarci e a non
sorridere. Sembravamo due imbecilli in realtà, ma io ero
contenta di sembrarlo se la mia ricompensa era un ragazzo alto, biondo
e ben piazzato.
Lo
guardai veramente per un secondo, mentre i miei pensieri viaggiavano
senza controllo su ciò che sarebbe dovuto accadere di
lì a poco.
Mi
aveva detto che mi amava. Io non avevo risposto. Non perchè
non provassi ciò che provava lui, ma perchè non
sapevo se credere davvero alle sue parole.
Mi
fidavo di lui, al cento per cento, ma c'era una minuscola parte di me
che mi urlava di non farlo perchè Akito aveva avuto
esperienze - molte esperienze, tra cui una con la mia migliore amica -
e poteva sicuramente avere un termine di paragone e decidere se io ci
sapevo fare o meno.
Non
ci sapevo fare, ovviamente, ne ero consapevole anch'io, non avendo mai
avuto un vero ragazzo. Divertente, ero passata dal non avere un ragazzo
all'avere un marito. Era da pazzi.
Eppure
quel piccolo livello di pazzia non mi dispiaceva e, per quanto una
parte del mio cervello continuasse ad ossessionarmi con le mie
paranoie, l'altra parte mi diceva Buttati, andrà bene!
«Quindi...»
sussurrò lui. Finchè non aveva parlato non avevo
sentito l'elettricità che si era formata tra di noi, ma
quando sentii la sua voce il mio corpo sembrò muoversi da
solo. Mi avvicinai a lui, che sembrò capire le mie
intenzioni e sorrise, e mi passò il pollice sulle labbra.
Sussultai, credevo che non avrei più avuto quella reazione,
invece mi sembrava sempre peggio. Credevo che mi sarebbe venuto un
infarto.
La
mia borsetta cadde per terra quando mi ritrovai al muro schiacciata da
Akito e dalle sue labbra e mi accorsi che improvvisamente l'ascensore
si era fermato. Mi voltai per un secondo e vidi la mano di Akito sul
bottone di blocco. Mi venne quasi da ridere, ma non riuscivo a pensare
a nient'altro che a quella bocca perfetta sulla mia, qualcosa dentro di
me si stava finalmente liberando ed era come sentire migliaia di aghi
in tutto il corpo. Era come volare, come la sensazione che si prova
quando senti il vuoto e non sai se avere paura o essere eccitato.
Io
ero sicuramente nella seconda posizione.
Gli
cinsi la vita con le gambe e il collo con le braccia, e le sue invece
mi tenevano per i fianchi spingendomi contro il muro. Le sue labbra mi
scivolarono verso il mento, poi sul collo e una scia di calore si
espanse per tutto il mio corpo. Non sapevo interpretare quelle
sensazioni, non le avevo mai provate, ma non ero stupida e non ero una
bambina: sapevo cosa mi stava succedendo ed era la cosa più
bella che mi fosse mai capitata. La sua bocca premette contro il punto
sensibile dietro al mio orecchio ed emisi un gemito che inizialmente
non credevo fosse uscito dalla mia bocca.
Gli
infilai le mani sotto la camicia che, nel frattempo, avevo uscito dai
pantaloni. La sua pelle era calda, bollente e le mie mani correvano sui
muscoli della sua schiena, tesi per lo sforzo di tenermi in braccio.
Ansimai,
non riuscivo a respirare, l'aria era troppo densa tra di noi e i miei
polmoni erano alla disperata ricerca di aria ma non avevano successo.
Lui mi prosciugava.
Le
sue mani corsero verso le spalline del mio vestito, abbassandole, e mi
baciò vicino alla clavicola. Quel gesto mi
provocò un brivido per tutta la schiena, e lui se ne
accorse.
«Spero
che non sia per il freddo...». Io sorrisi, lui
ricambiò il sorriso, e poi mi chiuse la bocca con la sua
prima che io potessi ribattere.
Si
abbassò per baciarmi anche il seno e io sentivo che stavo
per perdere il controllo, che avrei potuto fare l'amore con lui
lì, in quel mledetto ascensore. Ricordai improvvisamente che
eravamo ancora in ascensore e che, sicuramente, dovevano esserci delle
telecamere. Aprii gli occhi e guardai in alto e avevo proprio ragione.
«A...
Akito, ci sono le telecamere...» dissi tutto d'un fiato,
cercando di nascondere i miei gemiti.
In
tre secondi ero di nuovo sulle mie gambe, che non erano proprio il
piano più sicuro visto che non riuscivo a reggermi in piedi,
e mi stavo sistemando il vestito.
«Ne
riparliamo appena arriviamo a casa.». Sembrava
così sicuro di se, mentre io mi sentivo confusa
all'inverosimile.
Dopo
essersi assicurato che fossi presentabile, mi prese per mano e
schiacciò di nuovo il bottone di blocco, facendo ripartire
l'ascensore che, dopo pochi secondi, si aprì al piano terra
dove una decina di persone stavano aspettando. Mi venne da ridere, ma
lo seguii in silenzio fino all'uscita. L'aria mi pizzicò il
viso, ma dovevo calmarmi, altrimenti gli sarei saltata addosso non
appena avessimo varcato la soglia di casa. Forse era proprio quello di
cui avevamo bisogno.
Il
viaggio in macchina fu una tortura, non riuscivamo a smettere di
toccarci, di guardarci, di sorridere, e ad ogni semaforo le nostre
labbra sembravano attirarsi come calamite.
Parcheggiammo
la macchina proprio davanti casa, e di nuovo ci baciammo come se
fossimo a corto di ossigeno e fossimo l'unica scorta d'aria che c'era
nei paraggi.
Non
so come entrammo in casa, io non me ne resi conto, mi accorsi solo di
essere al centro del nostro salotto e un secondo dopo sul divano,
cercando di capire se i nostri corpi avessero fatto tutto da soli o se
qualcuno ci avesse insegnato a volerci in quel modo.
Lo
volevo disperatamente, e non riuscivo a capire perchè non lo
avessi realizzato prima. Come avevo fatto per tutti gli anni precedenti
- e negli ultimi mesi soprattutto - a dormire al suo fianco, ad
appoggiare la testa sul suo petto e a non vedere quanto fosse bello,
quanto fossi innamorata di lui? Non lo capivo. A dire al vero non
riuscivo a capire niente in quel momento. L'unica cosa che riuscivo a
focalizzare era la pressione del corpo di Akito che indugiava sul mio,
e lo vedevo quanto si stava trattenendo. Ma io non volevo che si
trattenesse.
O
forse si? Forse non volevo davvero andare a letto con lui, o meglio lo
volevo ma non potevo, perchè se l'avessi fatto avrebbe
potuto davvero capire se ero ciò che volevo o no.
Fino
a quel momento era stato facile - un tormento, ma facile -
perchè non sapevamo cosa c'era dall'altra parte del nostro
rapporto, e la nostra immaginazione era sicuramente migliore della
realtà.
La
mia no, a dirla tutta, ma la sua sicuramente. Chissà quanto
si aspettava da me, chissà cosa pensava di me...
Quando
vidi che si stava per sfilare la camicia dalla testa il mio cuore
sobbalzò e pensai che mi stesse per uscire fuori dal petto.
Volevo
buttarmi a letto e lasciargli fare tutto ciò che voleva, e
mentre lo stavo pensando lui mi sollevò dal divano e mi
portò in camera da letto. Volevo essere sua, libera da tutte
le mie paure per una volta, semplicemente una ragazza di diciotto anni
che fa l'amore col suo ragazzo, in realtà mio marito.
Cominciò
a togliermi il vestito, abbassando la cerniera e sfilandomelo dal seno
in giù. Le mie e le sue mani correvano, era come se avessero
fretta, come se avessero aspettato per troppo tempo qualcosa che ora
non riuscivano più a lasciare andare.
Quando
me lo tolse del tutto, la sua mano destra si poggiò sulla
mia nuca e l'altra arrivò al gancetto del mio reggiseno.
«Posso?».
Respirava a mala pena, anche lui come me aveva il fiato corto, e quando
mi vide annuire una scintilla attraversò i suoi occhi.
Lentamente mi tolse anche quello e io rimasi nuda dalla vita in su,
mentre lui mi guardava e sospirava, come se non riuscisse a credere che
stava succedendo davvero.
Lui
era sopra di me, teneva il suo peso con un braccio appoggiato al lato
della mia testa, e l'altra mano viaggiava sul mio corpo. Si
fermò sul seno e mi accarezzò lentamente, e in
quel momento capii che avrei potuto fare qualsiasi cosa per lui e per
provare sempre quelle sensazioni. Lo volevo. Lo volevo così
tanto che mi faceva male, proprio al centro dello stomaco.
Provai
a spogliarlo anch'io, sbottonandogli i pantaloni e mettendo la mano sui
boxer. Emise un gemito e capii che era d'apprezzamento, quindi mi venne
da sorridere.
E
se non gli fosse piaciuto? E se avessi fatto qualcosa di sbagliato,
mettendomi in imbarazzo, come sempre? Stavo per morire, ne ero certa.
Non riuscivo a non pensare a quello che avevamo passato insieme e a
quanto avremmo potuto perdere se le cose fossero andate male. Ci
scambiammo le posizioni e io finii a cavalcioni su di lui, ero esposta
e avevo i capelli arruffati, eppure non mi sentivo in imbarazzo, era
solo che il mio cervello non accennava a lasciarmi in pace. Lo baciai
di nuovo, ma capivo di essere lontana con la mente.
Lui
sbuffò, probabilmente perchè si rese conto che mi
ero improvvisamente raggelata, nel vero senso della parola.
«Sento
i tuoi pensieri, Sana. Fanno quasi rumore. Cosa
c'è?»
Avrei
dovuto dirglielo, perchè Akito era principalmente il mio
migliore amico e sapevo di potermi fidare di lui, ma sapevo anche
quanto fosse bravo a farmi sentire a disagio quando voleva e temevo che
lo facesse e che io avrei rovinato tutto. Riprendemmo le posizioni di
prima, e come se non resistesse, mi posò un bacio sulle
labbra.
«Io..
io...». Il momento era rovinato, me ne rendevo conto, e lui
si spostò da sopra di me e si mise a sedere senza mai
staccare il contatto visivo. I suoi occhi mi avrebbero ucciso.
«Io
non mi sento pronta per... per questo.» Passai la mano tra lo
spazio che ci separava.
«Non
ti senti pronta per avere una relazione con me, o non ti senti pronta a
venire a letto con me? No perchè, se si tratta della prima,
non so più cosa fare, Sana.».
Volevo
che non mi avesse costretto a dirlo.
«Non
mi sento pronta al.. al sesso. Al sesso, con te. Al sesso in generale.
O mio Dio, ne stiamo davvero parlando?».
L'imbarazzo
ormai regnava sovrano. Non sapevo come uscire da quella situazione.
«Non
voglio essere paragonata a nessuna. Nessuna, hai capito? Voglio che
siamo io, tu, e nessun altro. Non voglio nessun fantasma tra di
noi.».
Vidi
la sua espressione cambiare e passare dalla curiosità alla
furia, avevo appena rovinato la cosa più importante della
mia vita con due parole messe in fila. Mi odiavo.
«Aspetta...
pensi che io potrei mai paragonarti a un'altra? Quante ragazze pensi
che abbia avuto, per la precisione?Perchè credi che tra me e
Fuka sia finita?».
Non
mi interessava di lui e Fuka, non volevo parlare di loro
perchè la cosa mi torturava. Non volevo pensarlo con
nessuna, anche se sapevo che aveva un passato, un passato in cui io non
ero mai stata presente.
Rimasi
in silenzio, non sapevo cosa rispondere, ma azzardai ugualmente.
Dovevamo fare quella discussione, altrimenti non saremmo mai andati
avanti.
«Io
mi ricordo... Hanako, Maya, Namie... ah e poi Tomoe!» Mi
stavo sforzando di ricordare i nomi di tutte le ragazze con cui lo
avevo visto, ma la mia memoria non mi stava aiutando.
Lui
sorrise, divertito, e io immaginai mille modi per togliergli
quell'espressione soddisfatta dalla faccia.
«Sana...»
cominciò tra le risate. «La tua fantasia
è qualcosa che mi stupisce sempre.»
Le
sue parole mi confondevano, che diavolo significava che avevo una
grande immaginazione?
Si
mise dritto sulla schiena e mi fissò come se avessi appena
detto che gli asini volavano.
«Io
e tutte le ragazze che hai elencato... non c'è mai stato
niente. Mai. Non sono mai riuscito ad andare oltre, perchè
appena si avvicinavano a me io pensavo a te. Le altre non sono te. Non
lo saranno mai.»
Rimasi
interdetta di fronte a quelle parole.
Non
sono mai riuscito ad andare oltre...
Quella
frase mi rimbombava in testa, come un eco continuo di ciò
che avevo sempre ignorato.
Per
anni. Akito lo aveva fatto per anni. Aveva evitato le ragazze, anche
davanti ai miei occhi, e io non lo avevo mai visto. In
realtà non lo avevo mai voluto vedere.
Davanti
a me passarono in un secondo tutti gli episodi in cui Akito era stato
antipatico e scontroso con le ragazze che gli chiedevano di uscire.
Spesso lo avevo anche rimproverato, perchè diventava anche
fastidioso ad un certo punto.
Era
stato facile per me costruire il personaggio di quello che aveva usato
le ragazze, era stato facile avere paura di lui quando in
realtà avevo solo paura di me stessa. Avevo paura dei miei
sentimenti.
«Sei
tu quella che ho sempre voluto, Sana, devi mettertelo in testa,
perchè se tu stessa non te ne rendi conto il nostro rapporto
si distruggerà senza essere neppure iniziato. Non
è mai successo con nessuna perchè non provavo
niente, perchè da quando mi hai abbracciato sotto quel
gazebo non ho fatto altro che pensare a te, che volere te, che amare
te!»
Mi
accorsi che stavo piangendo solo quando la sua mano mi
sfiorò la guancia, spingendo via la lacrima che la stava
attraversando. Avrei voluto essere la sua prima ragazza, non potevo
negarlo, e la consapevolezza che avesse aspettato perchè
voleva solo me mi fece sentire come se stessi volando. Era come dire:
non mi interessa sapere cosa si prova con le altre, sono stato fedele a
te anche quando non ero tenuto a farlo. Era meraviglioso.
«Mi
dispiace... non avrei voluto reagire in quel modo. E' che... tutto
questo mi rende nervosa.»
Lui
sorrise, si avvicinò per baciarmi e mi accorsi che le mie
labbra erano salate e le sue sembravano velluto.
«Non
fa niente... devi fidarti di me se vuoi che questo rapporto funzioni.
Io posso aspettare, voglio aspettare. Facciamo un passo alla
volta.»
Quelle
sei parole dette dalla sua bocca mi sembravano poesia e sperai che la
mia vita potesse essere sempre in quel modo. Perfetta.
Ma,
nella nostra situazione, la perfezione era la cosa più
lontana che potessimo avere.
E'
passato un po' di tempo, mesi, e mi scuso per questa assenza
prolungata. L'università mi assorbe completamente, ho dato
l'ultimo esame il 7 luglio e adesso, nonostante debba preparare
un'altra materia per settembre, sono più libera per poter
continuare a scrivere.
Vi
ringrazio per le recensioni e per le email che mi sono arrivate, piene
di complimenti e di richieste affinchè continuassi. Siete
fantastici!
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e che non rimarrete delusi.
Un
bacio grandissimo e ci vediamo al prossimo aggiornamento :*
Akura.
|