Disclaimer:
SHERLOCK è della
BBC.
Sherlock
aveva sempre avuto il tempismo
di scegliere i momenti più sbagliati per aprire bocca. E
ancora una
volta, dopo tutti questi anni, dopo le cose più pazzesche
che erano
capitate, le cose non erano poi così cambiate.
Non
convenzionale
“Per
quanto mi veda costretto ad ammettere che le prove raccolte in questo
campo non siano delle più numerose, non sono affatto
convinto che
questo si possa definire relazione” affermò
Sherlock con il
fiatone.
John
non poteva
negarlo, si aspettava che un giorno o l'altro Sherlock se ne sarebbe
uscito con una constatazione simile. A dire il vero pensava l'avrebbe
detto una sera a Baker Street, dopo una cena take away. Si era
già
immaginato il momento, loro che finivano di mangiare, John che
rassettava i resti della cena buttando i cartocci in pattumiera
(imprecando nel frattempo perché aveva trovato qualcosa di
non
meglio identificato in un frigoverre nel quale intendeva conservare
gli avanzi) per poi mettere sul il tè mentre Sherlock
dall'altra
parte della stanza impugnava il suo violino e si voltava verso la
finestra e iniziava a suonare una melodia triste. Lo avrebbe detto
solo quando John sarebbe tornato con un vassoio e le due tazze di
tè
(già pronte e zuccherate con la giusta dose di latte), lo
avrebbe
fato con un tono greve che comunque non sarebbe andato a tradire le
sue emozioni. Perché nonostante Sherlock si fosse lasciato
andare
negli ultimi tempi, nulla di ciò che riguardava loro due
poteva
definirsi una relazione convenzionale (di quelle da manuale descritte
sulle riviste femminile della domenica che tendevano a omologare
qualsiasi tipo di relazione e se questa non aveva tutte le
caratteristiche elencate, allora non poteva definirsi tale), ma in
effetti era proprio questo che rendeva il loro rapporto a dir poco
unico. Non erano convenzionali, non lo erano mai stati né
come amici
né come... altro.
Ciò
però non
impedì a John di rimanere di sasso quando sentì
Sherlock
pronunciare quelle parole in un momento così poco adatto e
così
distante a come se l'era immaginato. John si fermò e
guardò
Sherlock finché questo non gli prestò attenzione.
“John,
mi pare alquanto inopportuno prendere la drastica scelta di fermarsi
in un momento come questo.”
“Tu
magari potevi trovare un momento migliore per dirmelo! Mi sta
passando la voglia di continuare...” borbottò John
asciugandosi il
sudore dalla fronte.
Sherlock
sbuffò.
“Ok,
ne parliamo dopo, ora possiamo riprendere da dove ci eravamo
interrotti? Non abbiamo tutto il tempo e qualcuno non ci aspetta di
certo...”
Già...
Così
John
inghiottì il rospo e ricominciò a muoversi...
certo, durante un
inseguimento a piedi in pieno giorno e in pieno luglio non era
esattamente il momento in cui il dottore si era aspettato che
Sherlock gli dicesse una cosa simile, ma nonostante tutto, non poteva
dire di non aver previsto che un giorno o l'altro dalle labbra del
detective sarebbe uscita una frase simile.
*
Per
due giorni Sherlock non tirò
nuovamente in ballo l'argomento, quasi se ne fosse completamente
dimenticato, visto che era preso dal caso (e dal post caso, che di
solito includeva ramanzine da parte di Lestrade rincarate da quelle
di Mycroft per aver agito in modo altamente irresponsabile, violando
chissà quale legge, e che avrebbe dovuto intercedere per non
fargli
passare dei guai).
Questa
volta però le cose andarono
esattamente John le aveva immaginate: avevano finito di cenare e il
dottore, dopo aver riassettato il tavolino dove avevano mangiato,
stava versando dell'acqua calda (sì, anche in pieno luglio,
ma per
gli inglese non fa mai troppo caldo per una tazza di tè)
nelle tazze
mentre Sherlock iniziava a suonare una lenta e malinconica melodia
con il suo violino. Fu solo quando John ebbe posato il vassoio con le
loro tazze che Sherlock ripeté quanto gli aveva detto
qualche giorno
prima mentre stavano correndo sotto il sole in giro per Londra.
“E'
singolare sentirti ammettere che
non sei preparatissimo su un certo argomento” disse John
divertito
cercando di sdrammatizzare ma ricevendo come unica risposta
un'occhiataccia da parte del detective.
Il
dottore porse a Sherlock la tazza di
tè, che accetto non appena mise il violino sul tavolo in
mezzo alla
stanza.
“Perché
di punto in bianco ti è
venuta in mente una cosa del genere?” domandò John
paziente.
Sherlock
scrollò le spalle.
“La
gente parla” gli rispose,
facendogli il verso.
John
ridacchiò ma decise che doveva
affrontare quella conversazione con molta calma per non mettere il
detective sotto stress.
“Sherlock,
effettivamente non c'è
niente tra di noi che si possa definire una vera e propria relazione.
E' una cosa di cui siamo consapevoli da tempo ed è una cosa
solo
nostra che molto probabilmente la gente non capirebbe.”
“Quindi
non abbiamo una relazione? La
vita che conduciamo non ci identifica come partner che hanno una
relazione perché non ho mai detto quelle parole che
renderebbero la
cosa ufficiale?”
Il
dottore si massaggiò la fronte,
cercando di mettere a fuoco le parole di Sherlock e riflettendo su
quale sarebbe stata la risposta più adatta da dargli.
“Sherlock,
rispondimi sinceramente,
la situazione in cui ci troviamo adesso e che tanto fa gongolare Mrs
Hudson, ti mette a disagio?” chiese l'uomo ricevendo in
cambio uno
sguardo che rasentava un insulto schifato.
“Ok,
come non detto” evidentemente
non era quello il problema, checché Mycroft lo prendesse in
giro,
Sherlock non era uno sprovveduto spaventato da ciò che
poteva essere
il contatto fisico, era il coinvolgimento emotivo che lo spiazzava e
John non aveva mai cercato di mettergli fretta perché lui
stesso non
ne sentiva il bisogno. Erano ad un punto tale della loro vita in cui
le cose succedono e basta perché è inevitabile
che sia così.
“Credo
di non sentire ciò che ci si
aspetterebbe. Non ciò che ci si aspetterebbe da me,
perché da me
nessuno si aspetta niente, ma in generale di solito le cose vanno
diversamente...”
John
non riuscì a non sorridere
cercando di nascondere al tempo stesso il moto di tenerezza –
e al
tempo stesso di ilarità – che l'affermazione di
Sherlock gli aveva
suscitato.
“Lo
so che non sei solito riflettere
sui sentimenti – in effetti sarebbe spaventoso se iniziassi a
farlo
– ma le cose non sono sempre bianche o nere. Sei uno
scienziato,
vero, e posso comprendere che il concetto non sia del tutto scontato
per te, comunque sia... i sentimenti, più nello specifico
l'attaccamento a una persona – chiamalo amore, chiamalo
affetto,
chiamalo come vuoi - non è fatto di occhi a forma di cuore,
farfalle nello stomaco – non in senso letterale” ci
tenne a
specificare immediatamente John vedendo l'espressione che si era
dipinta sul volto del suo partner “o il cuore che ti batte
all'impazzata ogni volta che solo pensi all'altra persona. Di solito
una persona è fortunata se può dire di aver
provato sensazioni
simili una volta nella vita e, non per essere cinici – anche
se
starti così accanto ha un po' influito sul mio proverbiale
ottimismo
– ma normalmente quello è il modo di vivere
l'amore – il primo
amore – di un adolescente. E non lo dico per sminuirlo, anzi!
L'amore che provi quando sei un teenager è totalizzante,
devastante
e ti sembra più grande di te, ti destabilizza completamente.
Da
adulti si ama in maniera più razionale. Si sa che quando si
dice per
sempre forse
non sarà davvero
per sempre, ma uno ci spera comunque. Si è consapevoli del
mutare
delle cose e del proprio io, ma ciò non vuol dire che se non
sentiamo il cuore batterci fino a scoppiare non siamo affezionati
all'altro. Possiamo anche non dirlo, ma i sentimenti che provi verso
di me – qualunque essi siano anche se ne ho più di
una mezza idea
– sono tangibili. Lo sento dalle piccole cose. E anche in
quelle
grandi. Tu ci sei Sherlock e il solo fatto di esserci per una persona
come te che ha sempre ripudiato qualsiasi tipo di legame con il
prossimo e con una mente tale da far sentire Einstein un povero
idiota... beh, per me è sufficiente. Non mi serve altro. E
non
vorrei altro. Sei Sherlock Holmes.”
Il
detective annuì
e distolse lo sguardo da John riprendendo a suonare il violino. Non
c'era bisogno di sprecare altro fiato per dire cose non necessarie.
John sapeva che Sherlock aveva poca familiarità con certi
argomenti
perché si era sempre chiuso a riccio, non gli aveva mai
raccontato
cosa era successo nella sua vita, non sapeva se aveva amato, se era
stato amato, se aveva sofferto per un tradimento o una delusione.
John era consapevole che la freddezza del detective era più
una
difesa dal dolore, che la sua freddezza in tema di sentimenti era
l'unico modo che aveva per proteggersi da qualsiasi cosa sarebbe
successa. Non era facile, probabilmente per nessuno dei due, ma a
John andava bene così. Tutti dicevano che Sherlock aveva
imparato
molto da lui, ma dimenticavano che anche lui aveva imparato molto da
Sherlock e così come lui, aveva imparato a difendersi.
Perché il
cuore non dovrebbe mai prendere decisioni al posto del cervello.
Appurato questo, ogni tanto potevano premere entrambi il tasto pausa
e lasciarsi andare a quel difetto chimico tanto biasimato –
ma mai
veramente disdegnato – da Sherlock.
E
mentre il
detective faceva aleggiare per la stanza le note di Mendelssohn che
tanto amava, John si sedette in poltrona e si mise a sorseggiare la
sua tazza di tè. Avrebbe potuto leggersi un libro, ma
osservare
Sherlock che suonava era molto più avvincente di qualunque
romanzo.
Perché, checché ne dicesse, a volte gli sembrava
di essere tornato
indietro di parecchi anni, quando era un teenager e sentiva le
farfalle nello stomaco. Ma questo non l'avrebbe mai detto nessuno. E
per una volta era certo che il suo segreto fosse al sicuro. Anche da
Sherlock.
Note
dell'autrice:
Avevo creato il documento con
alcune parti di questa storia il 15 luglio del 2014... *guarda il
calendario*
Ok,
l'ho un filino tralasciata, ma alla
fine l'ho ripresa in mano e l'ho finita. Meglio tardi che mai.
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