Non guardarmi negli Occhi

di artemideluce
(/viewuser.php?uid=930409)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Partecipa alla sfida dei clichè indetta dal gruppo Facebock Efp famiglia
Prompt: lei che si innamora del più bello e ricco

Ero una ladra, non meritavo la vita, secondo le guardie reali. Mi avevano rinchiusa in una fredda prigione per giorni, poi trascinata per lunghi corridoi di marmo verso la mia fine. Ma lì, in cima alla scalinata di liscia pietra non trovai la morte, trovai l'inizio di una nuova vita. 

Delle ancelle mi lavarono e mi profumarono, tagliarono i miei selvaggi capelli corvini appena sopra le spalle, misero ai miei polsi bracciali d'oro al posto delle catene e al mio collo un diadema di pietre. Quelle stesse ancelle divennero pian piano mie sorelle, silenziose ospiti del nostro sovrano, dagli occhi malinconici nascosti sotto perfette linee scure, feline. Pensavo di andare incontro alla mia casa eterna, la mia sepoltura, invece trovai un uomo. 

Tutti lo lodavano, lo imploravano di aver pietà, lo innalzavano al pari degli dei. Mio sovrano, mio Dio, così si appellavano al nostro Faraone, colui che ebbe pietà di me, del mio giovane corpo ebbe desiderio. La moglie del Faraone era impegnata con i figli piccoli, con i lunghi bagni nel latte d'asina, con l'organizzazione di immense feste e cerimonie. 

La sera noi ancelle ci ritiravamo nelle nostre stanze, ma nell'ora più buia il nostro signore silenziosamente cercava la nostra carne. Non appena la tenda tintinnava lasciando entrare il Faraone, un vento gelido di paura attraversava le nostre anime. Molte sere venne e molte sere accarezzandomi una caviglia mi invitava a seguirlo nella sua stanza illuminata da centinaia di candele, aleggiata da profumati incensi. Su quel letto lui mi prendeva, sentivo che entrava dentro di me. Un suddito non poteva guardarlo negli occhi, di lui conoscevo i piedi, le poderose gambe, le forti mani che mi legavano i polsi dietro alla schiena per eviscerare il mio piacere. Le altre ancelle fremevano di terrore quando il Sovrano si avvicinava a loro mentre io no, io sentivo una calda attrazione, un formicolio nascosto tra le candide vesti. 

Sera dopo sera, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Passava il tempo e ogni mia certezza per il futuro svaniva, non sapevo quale sarebbe stato il giorno della mia fine. Ma ciò che temevo di più era il momento in cui la mia bianca carne non avrebbe più richiamato i desideri del mio Sovrano, vecchia e sciupata come un fiore appassito sotto il sole d'Egitto. Dentro di me un turbinio di sensazioni, emozioni diverse giocavano tra di loro, in bilico tra la disperazione della prigionia dorata o l'ardente desiderio di un uomo. Sapevo che mi voleva, lo sentivo. Sentivo il suo membro trepidante, il suo petto sudato appoggiato sulla mia schiena, il suo fiato pesante sulla nuca. Io stavo inginocchiata tra quelle lenzuola sporche del nostro amore, le mani legate dietro alla schiena, mentre lui aggrappato ai miei turgidi seni dimenava il suo desiderio fino a far tremare le pareti, scuotere gli dei dal loro divino palazzo, esplodere il suo corpo nel mio. 

Non l'avevo mai guardato in volto, ma era ciò che più desideravo, amare ogni sua ruga, la forma del suo naso, la fine peluria che sentivo grattare le mie spalle dopo ogni nostro orgasmo. La notte sognavo un giorno di potermi rivelare, di diventare sua moglie, troneggiare a testa alta sul suo popolo d'Egitto, vestire pregiate vesti e preziosi diamanti, essere omaggiata dai sudditi e amata dai figli, accudita dalle ancelle e desiderata da mio marito. 

Ma scoprii che la mia bellezza e ciò che questa suscitava sul Sovrano erano di troppo a palazzo. Una notte, l'atteso lieve tocco sulla caviglia arrivò ma non mi ritrovai in un vortice di passione e lussuria, bensì in un lago insanguinato. Mi ritrovarono la mattina seguente le mie sorelle, ancora assopita tra le mie lenzuola, quando la mia anima era già pronta ad essere offerta alle divinità. 

Seppi che il mio Faraone si lacerò le vesti quando seppe la notizia, che corse al mio capezzale con gli occhi gonfi di lacrime, il cuore colmo d'odio e l'anima in frantumi. Fece preparare per me una stanza laterale nella sua tomba, un sarcofago finemente decorato e molte anfore con profumi e olii. Degli uomini iniziarono a lavarmi, spogliarmi e delicatamente bendarono il mio corpo. Lui era sempre lì, accanto a me, dimentico del suo essere Re e Dio, in lutto per la perdita della sua amata. 

Lo amai, sì, con tutta me stessa, e lui amò me, anche se eravamo giovani e inesperti per sapere cos'era realmente l'amore. Mio Faraone, mio amato, ti aspetterò al cospetto degli dei, ti aspetterò per tutto il tempo che sarà necessario. Mio Re, tu rimpiangerai fino alla fine dei tuoi giorni di non aver potuto avermi, di non aver mai potuto vedere i miei occhi, di non aver mai potuto amare l'insolito verde del mio sguardo, perso nell'immensità dell'amore che provavo per te. 





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3492906