Tokyo.
“…un ragazzo nato tra cielo e terra, nelle cui mani vi è il destino del mondo.”
Luna alzò soddisfatta lo sguardo dal vecchio libro, regalo della regina
Serenity del futuro. Per la prima volta, da quando
aveva cominciato a leggerlo, Usagi non aveva fatto i capricci, né tentato di
scappare. Quel libro proveniva dalla vecchia libreria del Regno del passato.
Luna era convinta che una buona regina dovesse conoscere le leggende riguardanti
il suo regno. Poiché quel libro era scritto nella loro antica lingua, si era
offerta di leggerlo lei per Usagi, anche perché così poteva stare sicura che
quella discola della principessa portasse davvero a termine quel compito. Capiva
pure lei che, per una ragazza ribelle e sempre in movimento come Usagi, stare
ferma almeno due ore al giorno per sentirla parlare di un libro molto antico,
non dovesse essere un gran piacere, ma, poiché Usagi era destinata a diventare
la grande Regina Serenity, un sacrificio avrebbe pure potuto farlo.
Alzò gli occhi dal grande libro e vide ciò che avrebbe dovuto immaginare. Usagi
sonnecchiava, sarebbe meglio dire dormiva alla grande, con la testa appoggiata
sulle braccia. Probabilmente non aveva sentito nulla di ciò che aveva
faticosamente letto, così Luna la svegliò con poca grazia, urlandole a due
centimetri dall’orecchio destro. Usagi si svegliò di soprassalto e posò i suoi
occhi ancora socchiusi sul volto arrabbiato di Luna e capì di essere nei guai.
<<
Ehm… hai già finito Luna? >>
<<
Usagi! >> gridò la piccola gatta nera.
<<
Uffa Luna! Io sono una ragazza impegnata, ho tante cose da fare, non posso stare
due ore chiusa qui dentro a sentirti leggere! >>
Luna frenò il suo istinto omicida, in fondo era pur sempre la futura Regina e
così decise di lasciare Usagi ai suoi “impegni”, e poi, continuava a ripetersi,
quelle erano solo leggende.
Kanagawa, stesso giorno.
Il
signor Anzai richiamò la squadra per un’ultima raccomandazione.
<<
Mi raccomando ragazzi. Cercate di stare tranquilli. Come vi ho sempre detto, voi
siete una squadra imbattibile. Se giocherete come una vera squadra >> e si voltò
verso le due ex-matricole d’oro, Sakuragi e Rukawa << allora il campionato sarà
nostro. >>
Ayako, ancora manager della squadra, diede all’allenatore dei fogli.
<<
Grazie Ayako. Bene ragazzi. Come sapete Haruko non potrà venire insieme a noi
per via dell’influenza, quindi ho chiesto ad un vostro ex compagno di squadra di
accompagnarci. I suoi consigli potranno esservi utili, quindi statelo a sentire.
>>
Un
leggero brusio si sollevò dalla palestra silenziosa. In molti pensavano che
quella persona potesse essere l’ex capitano Akagi, ma c’era un ragazzo in
particolare che sperava che a venire con loro fosse stato qualcun altro. Quello
stesso ragazzo che esultò dentro di sé alle parole di Anzai.
<<
Sto parlando di Kogure. Gli ho chiesto di farmi questo favore ed ha accettato
volentieri. In quel periodo non avrà esami, al contrario del vostro ex capitano
che però, mi ha promesso, verrà a vedere la finale. Quindi ragazzi non vi resta
che vincere! >>
<<
Fight! >> gridarono in coro i ragazzi e gli
allenamenti ripresero.
L’allenatore Anzai osservò la nuova squadra. Certo mancava il carisma di Akagi,
ma Ryota non era da meno, riusciva a guidare la squadra senza esitazioni come
nelle partite, da bravo playmaker. C’era Mitsui che aveva recuperato a pieno la
forma fisica. Indossava la ginocchiera solo per sicurezza, ma ormai il ginocchio
non gli dava più fastidi. C’era Rukawa, sempre perfetto in ogni sua azione, con
lo sguardo freddo di chi osserva tutto. Su lui si poteva sempre contare. E poi
c’era Sakuragi, la testa calda della squadra. Lui era quello che era migliorato
più di tutti. Dopo il ritorno dall’infortunio si era dedicato anima e corpo a
quello sport. Aveva fatto progressi impensabili per un ragazzo che aveva
iniziato a giocare solo l’anno precedente. Certo si pavoneggiava ancora e faceva
a pugni con Rukawa, ma ormai, n’era certo, era diventato tutto più un’abitudine
che altro. Stava diventando un giocatore completo, anche se i tiri da tre gli
davano ancora qualche problema. E infine, per completare la rosa dei magic five,
c’era Yasuda. Non era di certo ai livelli degli altri giocatori, no, di ragazzi
come quelli non ne nascevano molti, però aveva grinta e non si lasciava
abbattere. E poi c’era Ayako, la manager. Era diventata una figura fondamentale
per la squadra. Organizzava gli incontri, gli allenamenti, allenava le matricole
nei fondamentali… come un secondo allenatore. Purtroppo Haruko non aveva la
stessa grinta.
Era proprio una bella squadra. Quell’anno, n’era certo, avrebbero vinto il
campionato, sconfiggendo sia il Kainan King che il Ryonan, ammessi al campionato
anche loro (lo so che vi accedono solo due squadre, ma ho deciso di cambiare
regola. In fondo la storia è mia e posso cambiarla come voglio no? NdA. No!
NdTutti. ç___ç NdA.).
In quel momento qualcuno bussò alla porta scorrevole della palestra.
<<
Buon pomeriggio a tutti. >> Kogure entrò sorridendo.
<<
Senpai Kogure! >> e in breve i vecchi giocatori dell’anno precedente gli furono
addosso.
Era molto cambiato, osservò qualcuno nell’ombra. Non portava più gli occhiali,
da quanto aveva sentito da una conversazione tra il nuovo capitano e la manager,
aveva subito un intervento agli occhi, quello con il laser, e adesso non aveva
più bisogno di indossare quegli occhiali. E aveva i capelli più lunghi, quasi
fino alla spalla, che lo rendevano… infinitamente sexy. Arrossì al solo pensiero
di come potesse essere al buio di una camera e tornò ad esercitarsi ai tiri da
tre.
<<
Ciao Hisashi. Vedo che ti alleni sempre con molta dedizione. >>
<<
Ci… ciao Kiminobu. Come va’ l’università? >>
“Bravo Hisashi! Complimenti! Non lo vedi da mesi e la prima cosa che fai cosa è?
Gli chiedi dell’università! E balbettando! Ci manca pure che inizi a parlare del
tempo!”
Kiminobu sorrise e gli parlò brevemente del nuovo ambiente, poi gli allenamenti
ricominciarono e andò a sedersi vicino all’allenatore. Ryota, per festeggiare il
ritorno di Kogure, organizzò una partita fra la “panchina”e i magic five.
Naturalmente vinse la squadra di Ryota per un numero quasi infinito di punti in
più. Ma i ragazzi della squadra avversaria non sembravano dispiaciuti, anzi,
sembravano aver ritrovato più carica. Erano felici di giocare nella famosa
squadra dello Shohoku che l’anno prima si era posizionata al secondo posto nella
classifica del campionato nazionale. Sapevano che ogni partita d’allenamento, e
in particolare quelle contro la squadra ufficiale, era un’ottima esercitazione
per diventare sempre più forti, degni di prendere, un giorno, il posto in
squadra, fra i magic five.
Al
fischio del signor Anzai si diressero tutti agli spogliatoi, tranne Hanamichi e
Kaede, ancora intenti a litigare.
<<
Cosa hai detto baka kitsune? Ripetilo se hai coraggio! >>
<<
Hn. Se non hai sentito te lo ripeto: sei una schiappa! Quel passaggio lo avrebbe
preso chiunque! Persino una matricola! >>
<<
Se non sono riuscito a prendere quel passaggio è solo perché una stupidissima e
fastidiosissima volpe non è riuscita a fare un passaggio decente. >> e cominciò
lo show dei pugni.
Ma
a differenza dello scorso anno, nessuno provò a separarli. Ormai i loro litigi
erano diventati un’abitudine per l’intera squadra, e nessuno si preoccupava più.
Sapevano tutti che, dal rientro dalla riabilitazione, Hanamichi aveva cercato di
trovare un’intesa con Rukawa e che, a poco a poco, era riuscito ad infrangere le
sue barriere di ghiaccio. Adesso non era poi così strano vederli allenarsi
insieme. Erano diventati la coppia d’oro della squadra di basket dello Shohoku.
Mitsui si voltò un attimo verso l’allenatore. Kiminobu era ancora lì. Lui lo
osservava di nascosto, cercando di non farsi scorgere né da lui né dalla manager
che sembrava sempre sin troppo attenta ai fatti di tutti.
<<
Allora? Quando hai intenzione di chiederglielo? >>
Come volevasi dimostrare!
<<
Non capisco a cosa ti riferisca, Ayako. >>
<<
Ah! Non lo sai, eh? Ma se è da quando è entrato che te lo stai mangiando con gli
occhi! Mi meraviglio che non se ne sia ancora accorto! Allora? >>
Mitsui sospirò. Le possibilità erano due: o faceva fuori la manager, anche
perché altrimenti avrebbe continuato a rompere, ma a quel punto la squadra si
sarebbe trovata Haruko e lei non era di certo al suo livello; oppure poteva
andare da lui e chiedergli di andare a cenare da qualche parte, come avevano
sempre fatto prima che si diplomasse e lasciasse il liceo. Valutò bene i pro e i
contro delle due possibilità e poi optò per la prima. Haruko avrebbe imparato
presto a fare la manager, certo gli dispiaceva per Ryota, ma si sarebbe
consolato, in una maniera o nell’altra. Si voltò verso la manager che continuava
speranzosa a voltare lo sguardo da lui all’ex-vice capitano. Guardò ancora una
volta Kiminobu che chiacchierava allegramente con Ryota e Hanamichi. Era
diventato davvero bello, non che prima non lo fosse, ma adesso sembrava più…
maturo. Non indossava nessuna di quelle buffe magliette dai soggetti più
assurdi, ma un paio di pantaloni neri molto attillati che mettevano in risalto
le gambe tornite e una camicia blu notte che faceva spiccare il colore degli
occhi e la carnagione chiara. A quell’esame minuzioso sentì un leggero
sfarfallio rimescolarsi nel suo stomaco e decise di prendere la palla al balzo.
<<
Ehm… Kiminobu posso parlarti un momento? >>
<<
Ma certo! >> disse il ragazzo allontanandosi dai compagni: << Dimmi pure. >>
<<
Se… senti… >>
“Ok calma e sangue freddo. In fondo, cosa c’è di male se lo inviti ad andare a
mangiare qualcosa? Lo abbiamo fatto milioni di volte, beh magari esagero, però
il concetto è lo stesso. E se non accetta? Kami sama! Fai che dica di sì”.
<<
Qualcosa non va, Hisashi? Ti vedo pallido. >>
<<
No, nulla. Piuttosto, tornando a noi… ti andrebbe di venire a mangiare qualcosa?
Sempre che tu non abbia altri impegni… >>
Il
quattr’occhi sembrò pensarci un po’ su, ma poi accettò volentieri. Prese il
cellulare in una tasca e avvertì i genitori che non avrebbe cenato a casa. Tutto
contento, Hisashi s’infilò negli spogliatoi, gustandosi già la cena di quella
sera e immaginandosi di guastare anche qualcos’altro. Per poco non si prese una
polmonite cercando di calmare, con una doccia fredda, la visione del suo
Kiminobu ricoperto di cioccolato e altre cibarie golose.
Appena terminata la doccia, si diresse agli spogliatoi per cambiarsi, ma si
fermò davanti all’entrata. Nella stanza c’erano ancora Hanamichi e Kaede che
litigavano, questa non era una novità, ma qualcosa c’era di diverso. La scimmia
rossa indossava solo un asciugamano stretto alla vita ed era leggermente piegato
sulla borsa per cercare il phon, ma neanche questo lo stupì. Si voltò verso
Kaede e la rivelazione lo colpì. Adesso, mente osservava lo sguardo del
compagno, tutti i mattoncini della loro vita si mettevano in ordine. Le continue
risse, le provocazioni di Rukawa, gli incitamenti dello stesso (anche se alla
sua maniera, magari con un bel calcio sul fondoschiena), il motivo per cui solo
Hanamichi sembrava riuscire a strappare dal silenzio le poche parole della
volpe. Certo! Era tutto chiaro! A pensarci era stato proprio stupido a non
accorgersene, visto che il modo di fare della volpe di ghiaccio gli ricordava il
suo. Kaede era cotto della scimmia rossa. Lo aveva finalmente capito osservando
lo sguardo caldo e famelico con cui divorava la pelle del rossino. Altro che di
ghiaccio! In quel momento la volpe era molto caliente! Eccome! Com’è che nessuno
se n’era accorto subito? Beh di sicuro quell’impicciona di Ayako se ne era
accorta. Ecco il motivo per cui non s’intrometteva più nei loro battibecchi e
perché aveva ordinato che si allenassero insieme al ritorno del rossino dalla
clinica. Aveva detto che Hanamichi aveva bisogno di recuperare il tempo perduto
e che con Kaede si sarebbe allenato bene. E la squadra n’avrebbe sicuramente
ricavato giovamenti! La squadra! Tsè! Quella ragazza ne sapeva una più del
diavolo! Chissà se la scimmia se n’era accorta. Certo è che ormai aveva
rinunciato ad Haruko, da quando durante l’estate, si era messa con Yohei. Però
lui non era sembrato poi così sconvolto. Che l’infatuazione per la sorella di
Akagi fosse passata?
Kaede, dal canto suo, osservava con cura ogni centimetro della pelle bronzea del
suo Hanamichi. Beh lui non lo sapeva ancora, ma presto sarebbe diventato suo.
Quel che Rukawa voleva, Rukawa otteneva e ora, grazie all’aiuto di Ayako, la
meta sembrava sempre meno lontana. Purtroppo l’ex teppista lo aveva brutalmente
allontanato dai suoi pensieri, entrando nella stanza. Hanamichi si era alzato e
gli aveva fatto posto e aveva cominciato a cambiarsi, nella stanza adiacente
dove poteva anche asciugarsi i capelli. Non poteva restare sotto la doccia? Hn.
Era vero che aveva un appuntamento con il suo amato quattr’occhi, ma rubargli
così la visione del suo cuore, era crudele. Inoltre da quando era entrato aveva
cominciato a guardarlo con strani occhi.
<<
Qualcosa non va? >> aveva domandato gelido, ma il teppista non si era scomposto
minimamente e aveva continuato a ridacchiare, cosa che aveva altamente irritato
a volpe.
<<
No. Nulla. >> e si abbottonò la camicia. << Come mai ancora qui? Aspetti la
scimmia rossa? >>
<<
E tu? Non hai appuntamento con Kogure? Vedi di non sbavargli dietro o finirai
per inciampare e fare la tua solita magra figura! >>
<<
Oh oh! Ben tre frasi! Sei migliorato ghiacciolo! Eh! Cosa non si fa per amore!
>>.
Per fortuna le sue parole furono coperte dal rumore dell’asciugacapelli acceso
dal rossino nella stanza adiacente.
Kaede, che fino ad allora aveva cercato di dare poca importanza alle parole del
senpai, allacciandosi nervosamente le scarpe, aveva alzato di scatto lo sguardo
verso il compagno.
<<
Non cercare di negare. Ho visto come lo guardi e mi chiedo com’è che non l’abbia
notato prima. Non so cosa ci trovi in quella scimmia petulante, ma i gusti sono
gusti, no? >>
Fece per uscire, ma la voce bassa di Kaede lo richiamò e decise di fermarsi un
attimo.
<<
Non hai intenzione di dirglielo, vero? >>
<<
E perché dovrei? Spetta a te. Anzi sai che ti dico? In bocca al lupo. E poi non
c’è nessuno meglio di me che possa capire quello che provi, Kaede. >>
La
serata si prospettava interessante, non doveva far altro che aspettare e
lasciare che tutto andasse per il verso giusto.
Tokyo una settimana dopo.
<<
Non avete notato nulla di strano, ragazze? >> chiese Luna preoccupata.
Da
qualche tempo a quella parte, Usagi erano molto “diversa”. Era persa sempre
dietro qualche pensiero e il suo sorriso si era spento. C’era qualcosa che la
preoccupava, Luna n’era sicura e lo dimostrava il fatto che la notte non
riusciva a dormire, lei che si addormentava anche in classe (mi ricorda
qualcuno…. NdA.) e da un paio di giorni evitava gli incontri con le ragazze al
loro solito ritrovo. Non poteva che essere così. Doveva essere accaduto qualcosa
ad Usagi, perché era cambiata troppo repentinamente.
<<
Uhm… effettivamente da qualche tempo a questa parte Usagi è un po’ strana. >>
rispose la sacerdotessa dai lunghi capelli neri.
<<
E’ vero. Ieri, per fare un esempio, l’ho invitata a prendere il the in quella
nuova caffetteria, ma lei ha detto che era costretta a “declinare l’invito”. Vi
rendete conto? >>
Minako cercava disperatamente di aprire un pacco di biscotti, con così tanta
forza che essi si sparsero sul tatami della casa di Rei. La sacerdotessa però
non vi fece caso, troppo intenta a cercare di capire i cambiamenti della loro
Usagi. E non era l’unica preoccupata. Usagi aveva evitato gli inviti di un po’
tutto il gruppo. Beh quello di Ami poteva pure capirlo, trascorrere la giornata
a studiare matematica, avrebbe fatto venire la voglia a chiunque di loro di
scappare. Makoto l’aveva invitata ad andare a vedere il nuovo negozio
d’abbigliamento aperto vicino la scuola, ma lei aveva rifiutato. Da un po’ di
tempo Usagi era diventata sfuggente. Forse le mancava Chibiusa, eppure c’era
qualcosa che non andava, qualcosa di più profondo. E ciò che preoccupava di più
le Inner Senshi era il ritorno delle quattro Other Senshi.
Erano giunte una settimana prima, con l’arrivo di una tempesta, tipico di loro
pensò Minako, eppure si erano fatte vive solo due giorni prima,chiedendo
espressamente di Usagi.
Ami si alzò di scatto dalla sedia, risvegliando dai loro pensieri le guerriere
dell’amore.
<<
Andiamo a parlare con Mamoru, lui ci saprà spiegare qualcosa. >>
<<
Ma ci sarà anche Usagi e non potremo parlare liberamente con lei. >> obiettò
Makoto sgranocchiando un biscottino al cioccolato.
<<
Usagi doveva uscire con la madre, questo pomeriggio, perciò abbiamo campo
libero. >> Ami diede uno sguardo veloce al grande orologio a forma di mezza luna
sopra il letto di Rei: << Fra una mezz’oretta massimo, Mamoru dovrebbe lasciare
la facoltà. Andiamo. >>
Prima di andarsene, Rei redarguì il nonno dal non aggredire le belle ragazze
offrendogli un lavoro al tempio. Per colpa sua le ragazze evitavano il loro
tempio come la pestilenza. Quando il nonno di Rei ebbe finito di rispondere “sì”
a tutte le sue domande, le ragazze lasciarono il tempio.
Mamoru era appena uscito dall’università. Aveva seguito il corso di fisica con
poca concentrazione. Da un po’ di tempo a quella parte il suo coniglietto non
faceva che dargli pensieri. Era sempre assente e pareva aspettare qualcosa da un
momento all’altro. Aveva diradato i loro incontri adducendo scuse su scuse. Era
certo che fossero scuse, la sua Usagi non era proprio capace di mentire.
Nonostante volesse a tutti i costi sapere cosa turbasse la sua testolina buffa,
aveva preferito lasciarle del tempo e proteggerla da lontano. C’era qualcosa che
la turbava e il fatto che non avesse voluto condividerla con lui lo faceva stare
molto male. Neanche l’arrivo improvviso di Haruka e delle altre Senshi, era
riuscito a renderle il suo meraviglioso sorriso. Quella testona pensava sempre
di poter fare tutto da sola.
Al
cancello della facoltà trovò ad aspettarlo Ami, Rei, Makoto e Minako. C’erano
anche Luna e Artemis. Non si stupì minimamente di trovarle lì. Si avvicinò
sorridendo e le invitò a prendere un the a casa sua, dove sarebbero stati liberi
di parlare tranquillamente.
Restarono in silenzio per tutto il tragitto. Giunti, infine, a casa di Mamoru,
il padrone di casa andò in cucina a preparare del the alla frutta. Le ragazze si
sistemarono attorno al basso tavolino del soggiorno.
<<
Allora da dove dobbiamo cominciare? >>
Mamoru versò nelle tazze il the fumante, mente Ami esponeva, a nome di tutte, i
dubbi sulla situazione venuta a crearsi con Usagi. Mamoru ebbe la sensazione, in
quel preciso instante, che qualcosa di molto pericoloso si stesse avvicinando a
Tokyo. Ma fu solo un attimo. Le Senshi, che avevano captato la stessa sensazione
di pericolo, si risedettero sui cuscini.
<<
C’è proprio qualcosa che non va. >> osservò Rei: << Prima il fuoco sacro sfugge
al mio controllo, infrangendosi contro il soffitto della stanza delle
meditazioni, poi Usagi diventa silenziosa e comincia a evitarci e infine, dulcis
in fundo, ritornano le altre ragazze. >>
<<
Non ci avevi detto nulla del fuoco sacro. >>
<<
Era solo per non darvi altri pensieri, Minako. >>
<<
Troppe coincidenze…. Sta per accadere qualcosa, lo sento. >> continuò Rei.
A
quelle parole tutti si sentirono invadere da una gran tristezza. Avrebbero di
nuovo dovuto combattere, per la salvezza del mondo e dei suoi abitanti, ma ce
l’avrebbero fatta a sopravvivere? Troppe volte si erano avvicinate alla morte,
così tanto da vederla in volto. E proprio quando stava riabituandosi ad avere
una vita normale, ecco che un nuovo nemico faceva la sua comparsa.
Come avesse letto i loro pensieri, una voce conosciuta, accarezzò le loro menti:
<<
E questa volta sarà il più pericoloso. >>
<<
Chi sei? >> scattò in piedi Mamoru mettendosi sulla difensiva.
Stranamente le cinque ragazze rimasero ferme, non percependo nessun’ostilità da
quella voce. Quella voce aveva il profumo del passato. Finalmente Minako capì
dove l’aveva sentita.
<<
Mostrati a tutti. >> disse allora.
Una sottile figura si fece avanti dall’oscurità. Tutto tacque attorno a loro.
Era impossibile che fosse lì, che fosse così…
<<
Era da tanto che non ci si vedeva, care Inner Senshi. >>
Non vi erano dubbi. Era proprio lei e se lei era venuta sin là, con
quell’aspetto, significava che la battaglia che si preannunciava sarebbe stata
la più dura.
Kanagawa, stesso giorno, poche ore più tardi.
Hanamichi tornava finalmente a casa dopo una stancante sessione d’allenamenti.
Si avvicinava il campionato e per questo dovevano essere pronti ad ogni
sacrificio. Quell’anno avrebbero vinto loro.
Giunto davanti al cancelletto della sua abitazione, si sgranchì un po’ i
muscoli. Vide il riflesso della luna nella finestra del salotto e rimase a
guardarla. Sin da quando era piccolo la luna aveva avuto il potere di renderlo
malinconico. Era come se gli parlasse, specie nelle notti di luna piena e gli
raccontasse una storia molto triste, di cui però non riusciva a ricordare le
parole.
Infilò la chiave nella serratura ed entrò. La madre era già ritornata da
parecchie ore e la casa era invasa da un dolce profumo di buon cibo e dal rumore
dello stereo del salotto.
<<
Sei tornato a casa Hana-kun? >> gli chiese una voce proveniente dalla cucina.
<<
Sì mamma. Vado a cambiarmi e scendo per la cena. >>
<<
Ok piccolino. >>
Hanamichi scrollò la testa disperato. Sua madre continuava a chiamarlo piccolino
nonostante avesse già diciassette anni e misurasse 1,88 m d’altezza. Era mai
possibile?
Salì le scale velocemente, quella sera aveva proprio fame. Ultimamente gli
allenamenti si erano fatti molto più pesanti, anche per lui che era famoso per
l’energia inesauribile. A dirla tutta, però, non erano gli allenamenti a tenerlo
sveglio. Ogni notte si ripeteva lo stesso sogno di cui poi, il giorno dopo, non
ricordava nulla. Gli rimaneva solo una grande stanchezza e la sensazione di aver
già vissuto quel sogno. Era sciocco, lo sapeva. Come si faceva a vivere un
sogno? Senza contare poi quel volpino spelacchiato e le sue continue
provocazioni. Lui cercava in tutti i modi di non prenderlo a pugni, imponendosi
la calma, ma poi, non sapeva perché, si ritrovava a dover respingere i suoi
pugni e a rispondere alla stessa maniera. Quel volpino aveva il potere di fargli
perdere la pazienza. Con i suoi silenzi, le sue espressioni vocali inesistenti,
le sue provocazioni, la sua bellissima pelle bianca, i suoi profondi occhi blu
come la notte… un attimo! E questo pensiero da dove veniva fuori? Non aveva per
caso pensato che la volpe… nooooo! Non poteva aver pensato che quello stupido
volpino fosse bellissimo e sensuale.
“Ma che diavolo…? Sarà la fame! Anzi è sicuramente la fame! Quello stupido
frigorifero con le gambe non può essersi impossessato del mio cuore, perché
quello appartiene a… a chi? Ad Haruko? Lei è di Yohei adesso e io ne sono
felice.”
In
quel momento sua madre bussò alla porta per informarlo che la cena era pronta.
<<
Qualcosa non va tesoro? >> chiese la donna, ma Hanamichi le rispose che andava
tutto bene, che non avrebbe dovuto preoccuparsi.
La
madre richiuse la porta e scese in cucina. Erano trascorsi quasi diciassette
anni da quel lontano giorno e il tempo stava scadendo. Non voleva che accadesse,
ma non sarebbe riuscita a fermarlo.
Spense lo stereo ed uscì in giardino ad ascoltare i rumori della notte. La luna
brillava alta nel cielo, come fosse un piccolo sole pallido. Anche quella notte,
lo ricordava perfettamente, la luna brillava nel cielo e sembrava stesse
piangendo. Presto sarebbe stata piena e allora… Si riscosse dai suoi pensieri
quando sentì il suo “piccolino” chiamarla dalla cucina. Era ancora così piccolo
ed indifeso. Come avrebbe potuto lasciarlo al suo destino? Si voltò un’ultima
volta a guardare la luna, questa volta con aria si sfida. L’avrebbe fermato.
Qualsiasi fosse il destino del suo bambino, lei avrebbe combattuto perché
nessuno glielo portasse via, lo portasse via dalla vita.
E
mentre entrava in casa, le parve che una voce le sussurrasse qualcosa. Chiuse
gli occhi e rimase in ascolto. Quella voce, lontana ma conosciuta, mormorava
ripetutamente la stessa frase, quella frase che gli aveva ripetuto diciassette
anni prima e che ogni notte si riaffacciava alla soglia dei suoi sogni:
“…un
ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo… ”
Un’oscura figura uscì dalle tenebre degli alberi e la osservò sorridendo. Era
coperta da un lungo mantello nero e la sua pelle era pallida, come la morte.
Aiko Sakuragi indietreggiò terrorizzata. Quella donna era venuta a
riprenderselo. Perché? Perché proprio adesso? La donna non disse nulla. Una
folata di vento le fece scivolare il cappuccio sulle spalle. Stupendi capelli
corvini incorniciavano l’incarnato diafano e due occhi neri, come pozzi, la
osservavano come fosse una creatura bizzarra.
Improvvisamente fece un passo verso di lei. La madre di Sakuragi rimase
impietrita ad aspettare le sue mosse, come un topo incatenato dallo sguardo di
un serpente. La donna si fermò dopo aver fatto tre passi, al limitare
dell’oscurità del bosco, e allungò la mano pallida verso di lei. Nella mano
comparve una coroncina d’oro, simile a rami intrecciati di un albero.
<<
Cosa vuoi? >>
<<
Sono venuta a riprendermelo. Mi appartiene. >> la sua voce sembrava giungere da
un altro mondo.
La
donna fece qualche altro passo, avvicinandosi ad Aiko. Allungò una mano verso il
suo viso per toccarla, ma in quel momento qualcosa la bloccò.
<<
Ferma dove sei! >>
La
creatura non si mosse, solo il suo sorriso si allargò.
<<
Siete infine giunte pure voi. >> si voltò lentamente, fino a spostare il suo
sguardo verso quattro ragazze stagliate contro la luce della luna.
Il
buio non permetteva di vedere i loro volti, ma i loro vestiti avevano qualcosa
di conosciuto per Aiko Sakuragi e la strana creatura sembrava conoscerle a sua
volta.
Una aveva capelli corti e una spada nella mano. La sua lama brillava come lo
specchio che teneva la ragazza al suo fianco. Poi c’era una ragazza dai lunghi
capelli e uno strano lungo bastone. Ma la più inquietante era l’ultima ragazza.
Aveva fra le mani una lunga falce, come quella della morte.
<<
Siete arrivate Other Senshi. >>
<<
Le Guerriere Sailor? >> domandò incredula la madre di Sakuragi.
<<
Va’ via, mostro. Quel ragazzo non verrà con te. >>
Il
mostro si voltò un attimo verso la madre di Hanamichi, poi di nuovo verso le
quattro ragazze. Una nebbia nera si diffuse tutto intorno al suo corpo
avvolgendola. Prima di sparire inglobata dalla notte, sussurrò a bassa voce:
<<
Quel ragazzo mi appartiene. Verrò a riprendermelo presto e allora non potrete
fare nulla per impedirmelo. A presto Other Senshi. >> detto questo scomparve,
così com’era apparsa.
Le
quattro ragazze rimasero sulla recinzione della casa. La madre di Hanamichi
avrebbe voluto chiedere loro cosa avessero a che fare con il suo bambino, ma la
voce di Hanamichi che reclamava affamato un po’ d’attenzione, la fece voltare.
<<
Tesoro incomincia a servirti. Entro subito. >>
Quando si rivoltò verso le guerriere, queste non vi erano più.
Aiko entrò velocemente in casa, un po’ più sollevata. Le Senshi erano le
paladine della giustizia e se erano venute fino a Kanagawa per suo figlio,
avrebbe potuto stare più tranquilla, loro lo avrebbero sicuramente protetto.
Eppure qualcosa, nel suo cuore di mamma, la terrorizzava. Entrò in cucina, dove
il suo “piccolo” stava divorando ciò che lei aveva cucinato con tanto amore. La
visione gli spezzò il cuore. E se lo avesse perso? Come avrebbe fatto a vivere
senza di lui?
Si
sedette stancamente sulla sedia e guardò il suo ragazzo. Era molto alto, ormai
era quasi un uomo. Un giorno avrebbe trovato una brava ragazza e se ne sarebbe
andato via. Eppure, nonostante fosse alto più di un metro e novanta, rimaneva
sempre un bambino, capace di sporcarsi il viso con il cibo, proprio come faceva
quando era ancora piccolo. Prese un tovagliolo e allungò il braccio per
ripulirgli la bocca. Hanamichi sorrise arrossendo e bofonchiò un soffocato
“grazie” mentre ingurgitava un’altra bruschetta.
Quello era il suo bambino e lei non avrebbe permesso a nessuno di fargli del
male. |