Premessa: Questa storia è ambientata durante l’infanzia
di Alec e Jace, quando i due hanno rispettivamente 13 e 11 anni. È stata
scritta per l’event di Luglio del gruppo We are out of Prompts (i
prompts e i credits sono al fondo del capitolo). I passaggi in corsivo, così
come il titolo, sono tratti dal libro “Il Cacciatore di Aquiloni” di
Khaled Hosseini.
«Il nonno mi compra un
falco. Un falco per me. Lo accarezzai piano e sentii il suo cuore, a grancassa
come il mio. Capii che era lui e nessun altro. Era nato per me, per me era sul
tavolo di quella cucina, familiare come se ci avessi abitato da mille anni.
L’ho chiamato Piccolo, perché essere piccoli non è mica un difetto.»
Io e il Falco. Cristina Bellemo
A
thousand times over;
In cielo due aquiloni rossi con lunghe code azzurre volavano sopra i
mulini a vento, fianco a fianco, come occhi che osservassero dall'alto San
Francisco, la mia città d'adozione. Improvvisamente sentii la voce di Hassan
che mi sussurrava: per te qualsiasi cosa.
Jace
arrivò al fondo della pagina e chiuse il libro, prima di spostare la sua
attenzione verso Alec.
“Hodge
questa mattina non può allenarci” stava spiegando suo fratello, mentre faceva
riscaldamento. “Ha della roba da sbrigare per il Conclave.”
“Aveva
promesso che ci saremmo allenati con le travi” si lamentò Jace, incominciando a
sua volta gli esercizi per scaldare i muscoli. “È da un pezzo che gli chiediamo
di farlo.”
Alzò
la testa: una serie di travi di legno era sospesa a diversi metri di altezza.
Gli Shadowhunters più esperti erano soliti camminarci sopra per dare prova di
equilibrio e flessibilità. Di solito distavano cinque o sei metri dal
pavimento, ma Hodge aveva trovato il modo di abbassarle per i tre Lightwood. Da
un paio di giorni, Jace aveva incominciato a percorrerle da sotto,
aggrappandosi al legno e passando di trave in trave. Hodge l’aveva lasciato fare,
ma Jace aveva dovuto promettere che non ci avrebbe mai provato in sua assenza.
“Ci
alleneremo questo pomeriggio” propose Alec, con una scrollata di spalle: l’idea
di percorrere la palestra passando di trave in trave non lo faceva impazzire.
Era più grande di Jace, ma aveva meno resistenza e sospettava che non sarebbe
mai riuscito a fare più di due o tre passaggi.
Jace
fece roteare il collo, visibilmente spazientito.
“Non
voglio aspettare il pomeriggio” replicò, esaminando con attenzione le travi. Un
sorriso obliquo gli accarezzò le labbra. “Scommettiamo che riesco ad arrivare
almeno a metà sala?”
Alec
gli scoccò un’occhiata di ammonimento.
“Niente
travi” si oppose, scuotendo la testa. “Le ultime volte che ti sei messo in
testa di fare lo scavezzacollo ho passato la giornata a farti da infermiere:
ormai abbiamo praticamente finito i cerotti.”
Jace
roteò gli occhi.
“Sai
sempre come uccidere il divertimento” osservò, arrampicandosi su una spalliera.
Allungò il braccio per toccare la prima trave, come se volesse saggiarne il
legno. “Comincio da questa” decise infine, sorridendo spavaldo.
Alec
sospirò.
“Perché
devi sempre fare lo spaccone?” domandò, guardandolo molleggiare prima di darsi
la spinta. “Guarda che non devi dimostrare niente a nessuno.”
Jace
si aggrappò alla prima trave; qualcosa delle parole di Alec l’aveva infastidito
a punto da spingerlo ulteriormente verso quell’impresa.
“Non
voglio dimostrare nulla” ribatté, rinsaldando la presa sulla trave. “So che
posso farlo, quindi perché non farlo?”
Alec
lo fissò per qualche istante, scetticismo e preoccupazione a contendergli lo
sguardo. I suoi occhi azzurri studiarono le braccia magre, da undicenne, di
Jace prima di soffermarsi sulla sua espressione determinata.
“D’accordo”
dichiarò infine, sorprendendo Jace. Percorse a grandi falcate la palestra, in
direzione opposta a lui. “Ci incontriamo a metà strada.”
Jace
sgranò gli occhi, allibito.
“Alec,
no” si oppose, tornando sulla spalliera. “L’hai detto tu che le travi ti
mettono i brividi.”
“Sono
uno Shadowhunter, no?” replicò il fratellastro, arrampicandosi sulla dorsale
opposta a quella che aveva scalato Jace. “Non posso avere sempre paura.”
Jace
non seppe come ribattere; quando l’aveva conosciuto, un anno prima, Alec non
aveva molta forza nelle braccia, ma con il tempo era migliorato visibilmente.
Si allenava di continuo, deciso a stargli al passo, e quella determinazione
stava dando i suoi frutti. L’attraversamento delle travi era una sfida pesante,
ma non suicida. Poteva farcela e di certo non sarebbe stato lui a scoraggiare i
suoi tentativi di perfezionarsi.
“D’accordo”
acconsentì con un sorriso complice, dandosi lo slancio. “A metà strada.”
Alec
annuì. La tensione era evidente nel suo sguardo, ma i suoi occhi azzurri
rilucevano di determinazione.
Si
diede lo slancio, aggrappandosi alla prima trave. Vacillò un po’, ma rinsaldò
la presa e si sporse per passare alla seconda, mentre il fratello raggiungeva
la sua terza.
Jace
si sforzò di concentrarsi su ciò che stava facendo, ma continuava a spostare lo
sguardo verso Alec: comportarsi da incosciente era più difficile, quando non
era solo lui a rischiare di farsi male.
Proseguì
comunque, fermandosi quando – a fatica – riuscì a raggiungere una delle due
travi centrali. Avrebbe potuto proseguire oltre o balzare a terra, ma rimase
fermo, dondolandosi avanti e indietro: a metà strada, si erano promessi lui e
suo fratello.
E
a metà strada s’incontrarono, un paio di minuti dopo.
“Ci…
Ci sono…” mormorò Alec, il fiato grosso e i capelli imperlati di sudore. Aveva
l’espressione stupita che lo catturava ogni volta che riusciva in qualcosa di
difficile. Alec era sempre stato bravissimo nell’ individuare i punti di forza
nei suoi fratelli, ma spesso faticava a riconoscere di essere a sua volta in
gamba.
“Ce
l’ho fatta” ripeté con un sorriso cercando di riprendere fiato.
“Certo
che l’hai fatta” replicò Jace, ignorando il dolore alle braccia. Erano entrambi
stravolti e le loro mani lottavano con furia per rimanere aggrappate alle
travi, ma nessuno dei due mollò la presa. “Perché non avresti dovuto? Sei
veloce, sei tenace: stai anche diventando più resistente.”
Un
sorriso accarezzò timido le labbra di Alec.
“Sto
avendo un buon insegnante” si giustificò, dandosi la spinta per arrampicarsi
sulla trave.
Jace
lo imitò.
“Hai
ragione” si trovò costretto ad ammettere, facendo oscillare le gambe nel vuoto.
“Hodge sa il fatto suo.”
“Non
parlavo di Hodge…” rivelò Alec, mettendosi a cavalcioni dell’asse; le sue
guance, generalmente nivee, erano rosse per lo sforzo. “… Ma di te. Allenarci
assieme mi sta aiutando molto,” ammise, facendo spallucce. “Mi motiva. Ho
sempre voglia di migliorarmi, di mettermi alla prova. Non ho scelta, se devo
starti dietro” aggiunse, passandosi una mano fra i capelli umidi. “Controllare
che tu non ti faccia male è un lavoro a tempo pieno.”
Jace
fece per ribattere, ma qualcosa nello sguardo di Alec glielo impedì. Rimase in
silenzio, compiacendosi dell’aria di trionfo nello sguardo di suo fratello,
ammirando il suo sorriso fiducioso.
Era
la prima volta che Alec lo guardava così; la prima volta che gli sorrideva in
quel modo – l’affetto incondizionato di un fratello a illuminargli gli occhi.
Era lo sguardo di chi sceglieva di riporre la propria fiducia in qualcun altro,
lo sguardo di chi aveva scelto di lasciarsi addomesticare.
È
proprio come il mio falco, si disse, ricordando la prima volta che il rapace si
era posato sul suo braccio. Allora aveva avvertito la stessa sensazione di
trionfo, lo stesso compiacimento che stava provando in quel momento.
Mi
vuole bene, ed io ne voglio a lui.
Uno
schiocco secco echeggiò nella sua testa, facendolo trasalire: tutto a un tratto
ricordò il corpo inerme del falco abbandonato sul pavimento e ammonimenti di
suo padre.
La
paura gli attanagliò il corpo, facendolo irrigidire.
Amare
vuol dire distruggere, pensò, aggrappandosi alla trave.
Ci
aveva provato a non affezionarsi ai Lightwood, a mantenere le distanze con la
sua nuova famiglia, ma gli occhi azzurri di Alec non gli avevano dato scampo.
L’avevano vegliato con costanza fin dal primo giorno, proteggendolo e
rassicurandolo senza mai chiedere nulla in cambio. Alla fine si era arreso,
abbandonandosi alle premure fraterne di quel ragazzino poco più grande di lui.
Alec si fidava di lui, gli voleva bene, e Jace si era aggrappato a
quell’affetto proprio come aveva fatto un tempo il falco con lui,
artigliandogli il braccio.
“Jace?”
Alec
lo stava fissando con le sopracciglia aggrottate, la preoccupazione a contrarre
i suoi lineamenti.
“Ho
detto qualcosa di sbagliato?”
Jace
si riscosse da quei pensieri.
“Affatto”
lo rassicurò, facendo forza sulle braccia per alzarsi in piedi.
“Stavo
solo pensando che…”
Non
riuscì a completare la frase. La scarpa, posizionata male sulla trave, slittò
in avanti e il ragazzino perse l’equilibrio.
“Jace!”
Una
mano si aggrappò alla sua maglietta una frazione di secondo prima che
incominciasse a precipitare.
Jace
cercò di raggomitolarsi, ma non ebbe il tempo di organizzarsi per cadere nel
modo giusto.
L’impatto
con il pavimento gli spezzò il fiato e, quasi immediatamente, giunse il dolore.
Si
accorse subito che c’era qualcosa di strano nel modo in cui era atterrato: la
caduta, per quanto dolorosa, era stata più dolce del previsto.
Fu
il gemito di dolore di Alec a riscuoterlo dal momento di stordimento.
Jace
si affrettò di alzarsi, liberando il corpo del fratello sotto di lui.
Alec
socchiuse gli occhi, digrignando i denti per il dolore: la sua mano era ancora
avvolta attorno a un lembo della maglietta di Jace.
***
“Come
ti senti?”
Jace
era appollaiato sul davanzale della finestra, in infermeria.
Alec
era sdraiato sul letto più vicino e stava cercando di tirarsi su a sedere.
“Poteva
andare peggio” commentò il ragazzo, con una smorfia di dolore. “Non ho nulla di
rotto, quindi posso considerarmi fortunato.”
“Ti
sei slogato di tutto…” ribatté il fratello minore, balzando giù dal davanzale.
“E hai una costola incrinata.”
“Nulla
che un buon iratze non possa curare” lo rassicurò Alec, mostrandogli una
runa sull’avambraccio. “Papà me ne ha fatto uno: è leggero e funziona
lentamente, ma mi sento già meglio.”
Jace
distolse lo sguardo dalla runa di guarigione; avrebbe voluto disegnargliela
lui, ma Robert si era opposto. Il suo gesto l’aveva infastidito parecchio: in
fondo era colpa sua se Alec era scivolato dalla trave. Toccava a lui prendersi
cura di suo fratello.
“Me
la levi una curiosità?”
Alec
sembrava tranquillo, nonostante il suo corpo fosse un agglomerato di ematomi e
fasciature.
“Come
hai fatto a scivolare in quel modo?”
Jace
si strinse nelle spalle.
“Ero
distratto, credo” ammise, ripensando al momento in cui aveva cercato di alzarsi
in piedi sulla trave. Il ricordo del falco tornò a infastidirlo proprio come poco
prima, così decise di lasciar perdere.
“Stai
sanguinando” osservò invece, toccandogli il braccio destro: aveva una piccola
abrasione sotto il gomito.
Alec
diede un’occhiata; tutto a un tratto, abbozzò un sorriso.
“È
la tua influenza” commentò, arruffando i capelli del fratello minore. “L’ho
detto che ero stufo di doverti sempre medicare.”
Jace
ricambiò il sorriso.
“Aspetta,
prendo un cerotto.”
Si
procurò bende e disinfettanti e si sedette accanto a lui per medicarlo. Era la
prima volta che si ritrovava a dovergli mettere un cerotto e fu felice di
quell’inversione di ruoli. Incominciava ad apprezzare le premure di Alec nei
suoi confronti, ma non voleva che fosse una cosa a senso unico.
Un
sorriso obliquo gli arricciò le labbra, mentre applicava il cerotto.
“E
poi sarei io l’incosciente…” lo stuzzicò, esaminando con occhio critico i vari
danni che si era procurato.
Alec
lo guardò storto.
“Beh,
in fondo l’idea è stata tua.”
“Potevi
non seguirmi” ribatté Jace, facendo dondolare la sedia. “Potevi lasciarmi
cadere: sai che avrei potuto rannicchiarmi e rotolare, come ci ha insegnato
Hodge. Perché mi hai preso per la maglietta?”
“È
stato istintivo” ammise Alec, passandosi le dita sul cerotto. “Non stavo
pensando in quel momento.”
“Già,
non pensi mai quando si tratta di me” ribatté Jace, tradendo una punta di
risentimento. O di Izzy, o di Max, aggiunse mentalmente. Non sapeva perché la
sua voce si fosse indurita in quel modo.
Forse
era semplicemente stufo di vederlo finire nei guai per causa loro. O forse era
solo spaventato per quello che era successo.
La
reazione di Alec alla sua caduta era solo l’ennesima conferma degli
insegnamenti di suo padre: l’affetto non era altro che una distrazione e poteva
danneggiare quanto un arma.
Era
successo a lui, quando era scivolato pensando ad Alec. Ed era capitato anche a
suo fratello, che non aveva esitato a fargli da scudo mentre cadevano, a costo
di farsi davvero male.
Incrociò
lo sguardo di Alec che lo stava fissando con intensità, come se potesse
leggergli dentro.
“Io
penso sempre quando si tratta di te” disse, il tono di voce insolitamente
asciutto. “Penso a come proteggerti, a come cercare di tenerti fuori dai guai
senza starti troppo addosso.”
“Non
voglio che tu ti faccia male per colpa mia” ribatté Jace, squadrandolo con
durezza. “Ne abbiamo già parlato.”
“Infatti,
ne abbiamo già parlato” replicò Alec. E nel suo volto, Jace si scontrò con una
determinazione nuova, non diversa da quella che cerchiava i suoi occhi. “Sono
tuo fratello maggiore. Tuo, di Izzy e di Max. Tenervi d’occhio è il mio
compito, che lo vogliate o meno.”
Si
guardarono ancora, la sfida che rimbalzava fra l’azzurro e l’oro dei loro
occhi: nessuno dei due voleva distogliere lo sguardo, perché avrebbe
significato arrendersi.
“Fa’
come ti pare” sbuffò infine Jace, incrociando le braccia sul petto. Aveva i
piedi appoggiati sul letto e la sedia in bilico sulle gambe posteriori. “Vorrà
dire che farò lo stesso.”
Alec
gli sorrise.
Ancora
una volta Jace avvertì il miscuglio di paura e trionfo che aveva provato sulla
trave, ma si sforzò di ignorarlo.
“Com’è
il dolore?” chiese invece, smettendo di dondolarsi.
Alec
fece spallucce.
“Quasi
andato via” mentì, sforzando di mostrarsi rilassato: Jace non ci cascò.
“Hodge
è tornato poco fa” rivelò ancora Alec, abbozzando un sorriso. “Ti aspetta in
palestra. Ma non penso che ci farà tornare sulle travi per un bel pezzo.”
Jace
sorrise malandrino.
“Non
ho voglia di allenarmi” ammise, recuperando il libro che aveva appoggiato sul
comodino.
Alec
inarcò un sopracciglio.
“Tu
che non hai voglia di allenarti?” ripeté, fissandolo scettico. “Sei sicuro di
non aver battuto la testa, cadendo?”
Jace
tornò a posare i piedi sul materasso, incrociandoli all’altezza delle caviglie.
“Zitto
e riposa” ordinò, allargando il sorriso.
Aprì
il libro al capitolo in cui aveva inserito il segnalibro e riprese a leggere,
ignorando il borbottio di protesta di Alec.
Quello fu il momento più felice dei miei
dodici anni di vita. Mio padre finalmente era orgoglioso di me.
La
parola padre, così vicina al termine orgoglioso, lo fece esitare per un
istante. L’immagine del falco morto tornò a tormentarlo, accompagnata dalle
parole fredde dell’uomo che gli aveva spezzato il collo.
«Ti avevo detto di insegnargli a obbedire.»
Jace
scosse la testa e riprese a leggere ad alta voce, incoraggiato dal silenzio di
Alec.
Poi mi resi conto che
ci faceva dei cenni convulsi. Capii immediatamente.
«Hassan, noi…»
«Lo so» disse,
sciogliendosi dall’abbraccio. «Inshallah, festeggeremo dopo. Ora do la caccia
all’aquilone azzurro per te.»
Lasciò cadere il
rocchetto e schizzò via come un razzo, trascinando nella neve l'orlo del suo
chapan verde.
«Hassan» urlai. «Torna
con l'aquilone azzurro!»
Jace si fermò
ancora, questa volta per controllare Alec: sembrava tranquillo, gli occhi
socchiusi e un sorriso leggero a incurvargli le labbra.
Sorrise anche
lui, mentre i suoi occhi tornavano a rincorrere le parole in fondo alla pagina.
Arrivato in fondo alla strada si fermò e
con le mani attorno alla bocca mi gridò: «Per te questo e altro».
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Note
Finali.
Questa
storia si basa sui seguenti prompts: “Quando Alec gli sorride per la prima
volta, Jace si sente vittorioso come quando il falco si è posato sul suo
braccio. E ha paura.” (di Chara) 2. “Jace aveva tutta
l'intenzione di non affezionarsi a nessuno in quella nuova famiglia, questo
però prima di perdersi negli occhi più azzurri che avesse mai visto.” (di Mafiaromano)
3. “Era la prima volta che Jace si ritrovava a dover mettere un
cerotto a qualcun altro.” (di Mafiaromano)
Dopo
“The
Forging of a Bond” sono tornata a scrivere qualcos’altro sull’infanzia
di Jace e Alec, perché – credo che ormai si sia capito! – amo tantissimo
fantasticare sul loro rapporto. Questa storia è composta da due capitoli e in
un certo senso può venire considerata il seguito della prima mini-long (The
Forging of a Bond), visto che anche in questa seconda storia si ripetono
dinamiche simili e ci sono situazioni che aiutano a rinsaldare il legame tra i
due ragazzini. L’idea di inserire nella storia i passaggi del Cacciatore di
Aquiloni l’ho avuta principalmente per due motivi; da un lato non riesco a
non immaginare un piccolo Jace che mette il naso in tutti i libri che trova in
giro – anche quelli Mondani – e mi piace immaginarlo mentre legge per Alec.
Dall’altro, ho sempre trovato meravigliosa la lealtà di Hassan nei confronti di
Amir e mi piaceva l’idea di un parallelismo con il Jalec.
Spero
tanto che questo capitolo possa esservi piaciuto! A presto con il secondo e
ultimo capitolo!