go on and light a cigarette, set a fire in my head

di holyground
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go on and light a cigarette, set a fire in my head
 
  Ogni volta con Charles era come una prova; una prova per lei, una prova per lui. Quanto sarebbe durata? Quanto avrebbe sopportato lei, quanto sarebbe stato ubriaco lui? Charles non era ubriaco quella notte, ma le aveva chiesto di versargli un whiskey. Lei ne aveva preso un sorso prima di porgerglielo, e lui aveva poggiato le labbra sul bordo del bicchiere nel punto esatto dove quelle di lei avevano lasciato un alone traslucido. Quasi non se ne accorgeva quando lo faceva. Un gesto inconsapevole e rivelatorio, un’abitudine e una mania; come quando le carezzava i capelli, o le teneva la porta aperta, o le passava la sigaretta. Memoria muscolare.
  Charles aveva le lenzuola attorcigliate intorno ai fianchi, la pallida schiena lasciata in vista, i gomiti a sostenerlo mentre sfogliava una vecchia copia in lingua della Medea. Camilla indossava la camicia del fratello, le occhiaie scure sotto gli occhi erano l’unico elemento di colore sul volto, teneva le ginocchia abbracciate al petto. Osservava suo fratello, portava i suoi vestiti, il suo odore, condividevano il cuore, a volte la mente.
  «Che cosa faresti per me?» Era una domanda che le poneva spesso, l’equivalente di un «quanto sono importante per te?», la parafrasi di «quanto mi ami?». Charles lo domandava con una mirata indifferenza mentre la penetrava con lo sguardo. Si alzò dal letto con l’eleganza di un cervo e il lenzuolo gli scivolò lungo i fianchi; Camilla non riusciva a ricordare il momento esatto in cui aveva iniziato a sentirsi a disagio di fronte alla nudità del fratello.
  «Mentiresti per me?» Charles conosceva la risposta a quella domanda: lei aveva mentito infinite volte per lui.
  «Sanguineresti per me? Ti sacrificheresti per salvare me?»
  Ogni volta con Charles era come una prova; una prova di coraggio, una prova d’amore.
  Lui torreggiava su di lei, osservandola, spingendola a parlare con un silenzio prolungato, il drink in mano e la notte negli occhi.
  C’è una minaccia nel mio letto.
  Camilla ricordava l’esatto momento in cui aveva iniziato a pensare a Charles come a una minaccia. Pochi minuti dopo lui l’aveva abbracciata e le aveva baciato i lividi sulle braccia. Come quando eravamo piccoli, aveva detto.
  Il mento di Camilla puntava verso le labbra di Charles mentre gli occhi di lui correvano sul suo volto. Era in attesa. Camilla sapeva che un tempo avrebbe risposto senza esitazione «farei tutto per te». Come quando erano piccoli. Adesso era una risposta troppo completa, troppo impegnativa, troppo sbagliata.
  «Sì.» rispose.
  Charles si inginocchiò ad abbracciare la vita della sorella, posandole la testa in grembo, come aveva fatto innumerevoli volte. Le dita di Camilla si fecero distrattamente strada tra le ciocche di luna del fratello, tracciando sentieri circolari e labirintici.
  «Non mi lascerai mai, vero, Milly?»
  Mentiresti per me? Ti sacrificheresti per salvare me?
  Camilla sapeva molte cose di Charles, praticamente tutto. Ma il fatto che lui avesse bisogno di un certo tipo di rassicurazioni le era nuovo. Perché Camilla aveva mentito, ma non aveva mai mentito a Charles; e aveva sanguinato, ma non aveva mai sanguinato a causa di Charles; e si era sacrificata, ma il sacrificio non era mai stato dettato dall’egoismo. Non erano più bambini. Ora Camilla mentiva a Charles, e sanguinava a causa di Charles, e si sacrificava per salvare se stessa e non lui.
  «No.» rispose.
  Charles le premette le labbra sulle gambe nude, inspirando il suo odore, trattenendolo tra i nervi e nella mente, imprimendoselo sulla lingua; poi si alzò, e lei si sentì liberata. Camilla non sarebbe mai stata libera veramente.
 
  Charles si accese una sigaretta.
§
    
  Camilla non osava fare confronti tra Charles e Henry. Erano due situazioni completamente diverse. Charles era suo fratello, il primo uomo che avesse mai amato – anche prima di suo padre. Henry era suo amico, l’unico uomo che avrebbe mai amato – anche dopo la sua morte.
  La stanza d’hotel che lui aveva preso per lei stava acquistando sempre più personalità: il letto era costantemente sfatto, le lenzuola intrise di un miscuglio dei loro odori, i vestiti erano ammassati in cumuli indistinti, i mobili adornati da bicchieri sporchi e vuoti, i posaceneri colmi di mozziconi di sigaretta ancora fumanti e cenere e polvere. Camilla osservava le tende chiuse e impregnate dell’odore di fumo come se fossero una finestra che dava su un’altra città.
  Erano passati giorni dall’ultima volta che aveva visto Charles.
  Aspirò con intenzionale lentezza poggiando appena le labbra sulla sigaretta, e osservò la nuvola evanescente che le si formò davanti agli occhi allontanarsi e sparire. Come stava facendo lei.
  Il tocco leggero di Henry sulle spalle la riportò in contatto con la dimensione terrena del suo corpo, rendendola improvvisamente consapevole di un mal di testa. Henry prese posto sulla poltrona di fronte alla sua e si sporse in avanti con i gomiti poggiati sulle ginocchia. La osservò, e lei osservò lui: gli occhi di Henry erano come un cielo in tempesta quando non erano nascosti dagli occhiali. Le prese una mano, stringendola tra le sue, mentre lei prendeva un’altra boccata di fumo. Il tocco di Henry era gentile e caldo e rassicurante e così diverso da quello di Charles…
  A Camilla non piaceva fare confronti tra Charles e Henry; ma a volte capitava.
  I polpastrelli di Henry si fecero strada tra il polsino della camicia che Camilla indossava – la camicia di Henry. Lui scostò leggermente le maniche troppo grandi, scoprendole il polso diafano e rivelando delle macchie violacee tutt’intorno. Henry non osava sfiorarle. Invece, le voltò il palmo verso l’alto e tracciò il percorso delle sue vene bluastre fino all’interno del braccio. Il lieve contatto le solleticò la pelle, e rise: Henry la osservò con una nuova luce negli occhi e rise a sua volta. Stringendole la mano, si sporse verso di lei e la baciò. Camilla chiuse gli occhi, assaporando quella sensazione di terreno e spirituale che solo Henry era in grado di farle provare: improvvisamente, diventava consapevole del suo corpo, e del corpo di lui, mentre il resto appariva sfocato e distante, come se non fossero veramente lì. Tenne gli occhi chiusi anche quando le labbra di Henry si accostarono al suo orecchio e il suo respiro le fece rizzare i capelli alla base della nuca.
  «Forsan et haec olim meminisse iuvabit.»*
   Per Camilla Henry era sempre stato rassicurante, saggio, con le parole giuste in bocca; lo era con lei, in privato, e lo era con gli altri in pubblico. Esistevano tanti lati diversi di Henry, ed erano tutti così vividi ed articolati che sembrava fossero persone autonome. A volte Camilla era assalita dal dubbio: era difficile dire chi Henry fosse veramente quando la piega del suo sorriso prometteva rifugio e perdizione allo stesso tempo. Henry era un dio intrappolato nel corpo di un uomo, aveva la mente di un generale, sempre pronto alla battaglia, e la potenza di un imperatore, capace di sottomettere interi regni. Mentre lo osservava muoversi per la stanza con una misurata pacatezza, Camilla poteva quasi vedere il suo potere fuoriuscire e strabordare e inondare la stanza, e si chiese come facesse a contenerlo. Lui era il suo dio.
 
  Henry si accese una sigaretta.
 
 
 
 
*Forse persino di questi avvenimenti un giorno la memoria ci sarà d’aiuto




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