Filo spinato attorno al cuore

di varietyofdreams
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Marzo 1942

La lingua si appiccica al palato.
Il sudore freddo scende lungo la schiena e mi provoca prurito, ma non posso grattarmi: ogni movimento potrebbe rivelare la mia presenza ai tedeschi.
Sono sotto le assi del pavimento di legno della mia camera.
Respiro a malapena. Se sentissero il minimo scricchiolio, comincerebbero a crivellare il pavimento con i loro fucili e allora sarei spacciato. Maledetti tedeschi.
 
Non sono un ebreo, tantomeno uno zingaro. Sono polacco.
La mia colpa è l’essere omosessuale.
 
Il mio compagno è tedesco.
 
E quando hanno scoperto che era omosessuale, i suoi connazionali gli hanno puntato una pistola alla testa. L’unico modo per aver salva la vita era confessare dove abitavo.
Hans (così si chiama il mio compagno) mi aveva già preparato a un’eventualità del genere. E’ così che ho preparato questo nascondiglio. Ha detto tutto: città, via, numero civico.
Così, adesso, eccomi qui. Sotto un pavimento, a cercare di sopravvivere.
Attaccato alla vita solo con il sottile pensiero che fra pochi secondi sarà tutto finito. Io cambierò città, cambierò identità. Nessuno conoscerà mai più Dawid Dzeiwski.
Questo pensiero mi riporta alla realtà. Se anche riuscissi a sopravvivere, è lampante come morirei comunque al pensiero che non potrò mai più vedere Hans. Sarebbe una morte lenta. Quel genere di dolore ha delle dita fatte di carta vetrata: accarezzandoti, ti consuma a poco a poco, aprendo vecchie cicatrici, creando nuovi graffi e ferite, scavando dove già la pelle è debole e lacerata.
Trasportato dai miei pensieri, momentaneamente dimentico della mia situazione. Cerco una posizione più comoda e sospiro.
 
E poi realizzo cosa ho fatto.
 
Il rumore degli spari mi gela il sangue nelle vene.
Subito dopo un fuoco fa sciogliere quel ghiaccio e lo sostituisce con il dolore fisico.
L’origine di quel falò che mi brucia le carni è il mio avambraccio sinistro. Riluttante, con le lacrime agli occhi, guardo la ferita. La carne viva sfrigola intorno al buco da cui si intravede il proiettile. Mi viene la nausea e vengo distratto da quel pensiero solo dallo smuoversi delle assi sopra la mia testa. E’ la mia fine, la sento avvicinarsi, posso respirarla. Brucia a contatto con la mia pelle, brucia come le lacrime che stanno scendendo sulle mie guance. Non ce l’ho fatta, nonostante gli avessi promesso che ci saremmo rivisti.

«Scusami, Hans.»




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