CAPITOLO #1
Quella mattina mi dovetti alzare presto per andare al lavoro, come
d'abitudine. Impiegai un po' di minuti prima di trovare il coraggio di
aprire gli occhi ad una nuova stressante giornata, ma poi mi arresi,
abbandonai il letto e decisi di avvicinarmi alla finestra per aprire
quelle scadenti serrande che riempivano la mia stanza di un buio quasi
spaventoso. Quando lo feci, fui sfiorato da dei deboli raggi solari.
Vista la poco intensità di quella luce, intuii che ad occhio
e croce dovevano essere le 6.
Avevo all'incirca un'ora per preparami e raggiungere la scuola. Si
un'ora, mi sarebbe più che bastata... forse anche avanzata.
Per quel motivo pensai di rimanere ancora qualche istante a fissare il
sole che sorgeva, creando nel cielo quei fantastici spruzzi di azzurro
e arancione che si incontravano con la punta della torre Eiffel.
Adoravo quell'atmosfera quasi magica di primo mattino ed adoravo
sentire l'aria fresca di Parigi riempirmi i polmoni.
Ma ormai avevo perso sin troppo tempo per contemplare una
città che infondo conoscevo già benissimo,
perciò mi allontanai finalmente dalla finestra ed andai in
bagno per lavarmi velocemente.
Dopo di ciò presi una maglietta nera a maniche lunghe ed un
paio di jeans blu scuro dal mio armadio e li indossai. Accompagnai
questo abbigliamento ad un paio di scarpe di ginnastica nere, poco
costose. In effetti, se le si osservavano bene, si vedeva che avevano
il baffetto bianco della nike sul bordo, ma non erano originali. Le
avevo comprate da un negozio cinese che era stato aperto da poco vicino
al mio quartiere. Era là che facevo i miei migliori
“affari”.
“cavolo!” quando diedi un occhiata veloce
all'orologio appeso sul muro mi resi conto che ero leggermente in
ritardo, perciò rinunciai all'idea di fare colazione e presi
subito le chiavi del mio motorino.
Si trattava di un imbattibile Vespa 50 completamente azzurra, decorata
di qualche piccolo graffio sui bordi.
Era davvero un mezzo di cui andavo fiero, non sono ironico. Al giorno
d'oggi girano tanti motorini truccati e particolari... ma io adoravo il
classico. Tutte le cose di vecchio stampo per me erano le migliori e
per avere la Vespa che ho ora, sono arrivato persino a litigare.
E così, dopo aver sceso tutti i piani con l'ascensore del
condominio dove vivevo, uscii da lì e liberai la mia Vespa
dalla catena che la legava al lampione di quella strada. Purtroppo
quello era il solo posto dove potevo lasciarla ed il solo modo per non
farla rubare.
Ok, forse non era molto sicuro, ma per la delinquenza quasi
incompetente che girava a Parigi una catena bastava ed avanzava.
Comunque decisi di darmi una mossa e montai sulla mia Vespa. La misi in
moto e percorsi tutta la strada che mi separava dalla scuola dove
lavoravo.
La fortuna di andare al lavoro così presto la mattina era
che Parigi sembrava essere quasi deserta a quell'ora... quindi non
c'era traffico.
La sfortuna invece era che i semafori erano già tutti accesi
e mi ritrovavo a dovermi fermare al semaforo rosso per niente,
perchè comunque non passava nessuno.
Questa cosa mi faceva innervosire un po', ma comunque decidevo quasi
sempre di starmene al mio posto ed aspettare il verde.
Alla fine, tra un semaforo e l'altro, mi ritrovai davanti l'ingresso
del liceo verso le 6.50, giusto 10 minuti prima delle 7.
Non male nonostante tutto.
Avevo ufficialmente preceduto tutti i miei colleghi e quindi toccava a
me aprire le porte della scuola. Perciò parcheggiai la mia
Vespa un po' in disparte, lontana il più possibile dai
soliti luoghi dove parcheggiavano gli altri ragazzini fastidiosi, e
presi la chiave dell'ingresso.
La inserii, la girai ed entrai.
Era tutto vuoto ed in ordine, sembrava un miraggio la scuola
così.
Infatti fu un vero peccato per me, vederla riempirsi di professori
antipatici e ragazzini chiacchieroni nell'arco di una sola ora.
La cosa che però mi metteva più a disagio di
tutto quel caos giornaliero, erano le ragazze.
Loro entravano sempre in gruppi da tre o da cinque.
Erano sempre allegre, ridevano e scherzavano incuranti del timore da
interrogazione...
e la cosa peggiore di tutte era che mi fissavano.
Se avessi calcolato una percentuale delle ragazze che mi fissavano ogni
volta che mi vedevano con sguardo provocatorio o seducente,
probabilmente sarei arrivato ad un buon 85%.
“hai visto Gaspard? Quella ragazza bionda ti sta
fissando” la voce improvvisa di Auguste, il mio collega, mi
costrinse a voltarmi e dare un'occhiata alla ragazza a cui lui si stava
riferendo.
Passeggiava lentamente in corridoio con altre due amiche, sorridendo, e
stava attenta a non perdermi di vista nemmeno per un secondo.
“allora? Qual'è la novità?”
dissi io mentre mi occupavo di appendere un avviso sulla parete.
“la novità è che quella non
è una ragazza qualsiasi! Ho sentito dire che lei sia la
figlia del sindaco di Parigi!”
“accidenti! È un po' bruttina non
credi?” commentai senza voltarmi
“un po'... ma è la figlia del sindaco!”
“già, però non mi piace. Lo sento a
pelle che non è nemmeno una brava persona”
“si ma lei è...”
“la figlia del sindaco, lo so! Ma questo comunque non la fa
più interessante ai miei occhi”
“povero scemo! Non capisci cosa ci guadagni se stai con una
come lei”
“uhm... che ne dici della galera? È minorenne
Auguste! Ed io ho 21 anni”
“beh, questo sarebbe un problema se lei non ti
volesse...”
“si, peccato che non la voglia io. Non lavoro qui per cercare
una ragazza e fare l'arrampicatore sociale. Lavoro qui per pagare il
mio affitto” a quel punto mi sedetti su una cattedra che si
trovava nel corridoio e il mio collega mi seguì.
“tu ti fai troppi problemi ragazzo mio... i modi per arrivare
al successo ci sono... solo che non sono sempre molto leali”
“se non sono leali allora non mi interessano. Non voglio fare
il pedofilo e non voglio approfittare di nessuno solo per realizzare un
sogno a cui ormai ho rinunciato”
“e va bene e va bene, mister lealtà!”
A quel punto Auguste se ne andò borbottando, lasciandomi da
solo sulla cattedra. Ne approfittai per guardare appena qualche istante
la scuola quasi vuota. Notai che erano rimasti giusto un paio di
professori nei corridoi che correvano per raggiungere le proprie aule
dove fare lezione.
D'improvviso però, una ragazza mi si piantò
davanti ed ostruì la mia visuale.
Era carina.
Aveva i capelli castani, lisci, gli occhi verde chiaro, quasi grigi e
delle simpatiche guancette rosse sul viso.
Sembrava una specie di Heidi.
“ehm... scusa?”
“che c'è?” gli chiesi saltando
giù dalla cattedra
“sono arrivata in ritardo e credo di dover fare il
permesso”
“in ritardo?” diedi un'occhiata all'orologio e vidi
che erano le 8:10
“non preoccuparti. Sono solo dieci minuti. Non è
un ritardo grave e non hai bisogno di un permesso scritto per
così poco”
“si ma la professoressa Roussel dice che...”
“non preoccuparti di lei. Se la professoressa Roussel
farà storie tu rispondile che sono stato io a dirti che non
c'era bisogno del permesso. Vedrai che si arrenderà e ti
lascerà entrare” in effetti era vero. Sapevo di
piacere particolarmente a quella donna... probabilmente anche dal punto
di vista sessuale, e questo era un piccolo vantaggio. Quando parlavo
io, andava tutto bene.
“ah ok... ti ringrazio di cuore...”
“di niente” le sorrisi e lei si
allontanò da me senza voltarsi, finendo inevitabilmente con
lo scontrarsi addosso a Janette, un'altra dei miei colleghi.
“hey ragazzina! Attenta a dove vai!” le disse
rimproverandola e in un secondo la vidi diventare ancora più
rossa di prima.
Mi sembrava davvero dolce... perciò non smisi di sorriderle
“m-mi scusi” rispose imbarazzata.
Poi mi rivolse un ultimo sguardo, uno sguardo che esprimeva la sua
voglia di sprofondare mille metri sotto terra, e la vidi finalmente
dirigersi verso la sua aula.
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