Le cronache di Aveiron: Segreti nel regno

di Emmastory
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Capitolo XIX

Chieder venia

Un giorno. Un solo giorno, ovvero ventiquattro lunghe ore che erano appena trascorse, e che io avevo letteralmente trascorso nel migliore dei modi. Ora come ora, è mattina, e stando alle parole di Stefan, suo padre vuole vedermi. “Dice che è per il bambino.” Mi ha detto, sorridendo debolmente. “Bene, allora andiamo.” Ho risposto, sorridendo a mia volta. “Come?” ha poi chiesto, forse stranito o confuso dalle mie parole. “Stefan, che domande, sei suo padre.” conclusi, dopo attimi di silenzio forzato interrotti da una piccola risata che era riuscita a sfuggire dalle mie labbra. Limitandosi ad annuire, Stefan non rispose, e prendendomi la mano, mi accompagnò dal dottor Patrick. “Siete arrivati.” Osservò, non appena ci vide mettere piede nel suo studio. Annuendo lentamente, non feci che guardarlo. “Sdraiati.” Pregò poi il dottore, indicando quell’ormai famoso lettino. Non proferendo parola, obbedii ciecamente, e in quel preciso istante, l’esame ebbe inizio. Inutile è dire che l’attesa per i  risultati fu per noi snervante, e notando l’espressione sul volto del dottor Patrick, dedussi che voleva farci una sorpresa, o che forse, si stava impegnando per nasconderci qualcosa. “Non so come dirvelo, ragazzi.” Esordì, facendoci inconsciamente preoccupare. “Cosa c’è? Qualcosa non va?” chiese Stefan, con la voce rotta dall’emozione di quel momento. Silenzio, un silenzio di tomba fu la sua unica risposta. “Ecco.” Pensai, parlando con me stessa. “L’ho perso.” Una maschera di tristezza si dipinse sul mio volto, e solo in quell’istante, la quiete presente nella stanza si ruppe come vetro. Avrete una bellissima bambina.” Disse, non riuscendo poi a trattenere un sorriso che riempì di luce e gioia la stanza. Fu quindi questione di un attimo, e ci ritrovammo tutti stretti in un singolo e forte abbraccio. “Congratulazioni.” Continuò il dottore, per poi sorridere e salutarci augurandoci buona fortuna. “Grazie. Non potei che rispondere, sussurrando e non riuscendo a parlare a causa della contentezza. Una volta fuori, respirai a fondo, e stringendo la mano di Stefan con forza ancora maggiore, non ebbi reazione dissimile dal baciarlo. Arrivammo a casa in pochissimo tempo, e non appena entrai, la vidi. Una piccola busta giaceva in terra come una foglia secca recentemente caduta dall’albero a cui apparteneva. Muovendo qualche incerto passo in quella direzione, feci per raccoglierla, ma Stefan fu più veloce di me. Andando a sedersi in salotto accanto all’ormai spento caminetto, scelse di aprirla, leggendone per me ogni parola. A quanto sembrava, mia madre aveva ricevuto quella che io stessa gli avevo scritto, e armandosi di pazienza, era riuscita a rispondermi. “Rain, tesoro, ci dispiace davvero per quello che è accaduto, e tuo padre è perfino più addolorato di me al riguardo. Sappi che siamo i tuoi genitori, e amandoti sin dal giorno della tua nascita, ti reputiamo ora abbastanza adulta da sapere una cosa. Lo scriverei se potessi, ma è una storia troppo lunga per una semplice lettera, perciò è deciso. Speriamo entrambi che accetterai il nostro perdono, e che tu e il tuo Stefan ci accogliate in casa domani. A presto, nostra piccola goccia di pioggia. Queste le poche frasi contenute nella sua lettera, che dopo lo spavento inizialmente provato durante la visita del dottor Patrick, fortunatamente scomparso, mi aiutavano a restare serena e ottimista. Nonostante le ripetute minacce del mondo esterno, la calma scorreva nelle vene mie e di Stefan, e cosa ancor migliore, la mia lettera, scritta su semplice e bianca carta, e inviata in quello stesso giorno, aveva indotto mio padre a sotterrare l’ascia di guerra e chieder venia per gli errori commessi in passato.




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