Senza ancore
Beth
aveva mentito a suo fratello, non voleva andare nel passato, non subito almeno,
quello che doveva fare era raggiungere il futuro. Non era sicura di farcela,
non sapeva neppure se poteva farlo, ma in quel gioco non c’erano regole fisse,
ormai lo aveva capito.
La
droga che Danny le aveva dato era forte, si sentiva completamente distaccata
dal suo corpo, ma non si spaventò, dopotutto era esattamente quello che voleva.
Aprì
gli occhi ed era ancora nel buio, sorrise, era folle quanto fosse istintivo quel tipo di apprendimento, la sua se stessa
futura l’aveva portata lì, in quel limbo temporale e ora, dopo un mese di
piccole dosi di funghi, aveva capito come giungervi anche lei.
Attese,
il tempo dopotutto non aveva senso lì.
“Cosa
ci fai qui?” La voce era sorpresa, forse preoccupata.
“Cercavo
te.” Rispose allora lei, mantenendo la mente libera e leggera. Aveva avuto
paura che nel futuro avrebbe conosciuto le sue intenzioni, ma non era così.
“Perché non sai cosa voglio?” Chiese incuriosita dal dettaglio.
“Il
futuro non cambia bruscamente per noi, ci vuole del tempo perché una variazione
del passato sedimenti nella nostra anima. Io sento ancora la perdita di quelli
uccisi dalla nostra nemesi, malgrado le morti più recenti siano state evitate.
Piango ancora per mio figlio, anche se appena una mezzora fa l’ho portato a
scuola.” Le emozioni erano contrastanti e Beth
dovette concentrarsi per non farsi sommergere da altri pensieri, altre domande,
la sua mente non era ancorata, la droga le rendeva difficile pensare con
lucidità.
“Volevi
parlarmi di questo?” Chiese la figura nello specchio.
“Dimmi,
come conosci il nostro passato con così tanta precisione?”
“La
nostra anima sa, conosce, è il nostro corpo che rifiuta il sapere. Io so
ascoltare.”
“Come?”
“Imparerai.”
Le rispose la donna con un sorriso ironico.
“Dimmelo
ora, devo saperlo ora.”
“No,
non ne hai bisogno.”
“Voglio
cambiare il passato, voglio impedire al nodo di essere formato.” Gli occhi
della donna nello specchio, i suoi stessi occhi, si tesero.
“È impossibile.”
“Devo
provare.”
“Non
ce la farai.”
“Dammi
la conoscenza e lasciami provare.” Gli occhi della donna brillarono di rabbia.
“Merita
di morire! Di essere estinta, di non avere più la possibilità di incarnarsi!”
La sua furia era come una frusta sulla pelle di Beth.
“Non
mi aiuterai?”
“No,
no.” Beth prese un profondo respiro e si lasciò
cadere nello specchio.
Aprì
gli occhi ed era al buio. Per un istante pensò di aver fallito, ma percepiva il
peso del suo corpo, era nella carne di qualcuno. Si alzò e lasciò che il
ricordo del corpo trovasse la luce, bastò un pensiero e si accese.
Era
in una stanza vuota, con un tappetino per terra. La luce proveniva dalle pareti
ricoperte da una sottilissima muffa fluorescente. Si guardò attorno stupita di
non trovare una porta, ma di nuovo bastò pensarlo affinché si aprisse
un’apertura nella parete. Beth osservò stupita la
casa in cui si trovava: era viva, o almeno lo era l’albero nel quale era stata
intagliata. Fronde fresche si chiudevano sulla sua testa mentre le pareti erano
di sottile carta oppure solida corteccia. Si avvicinò ad un’apertura, troppo
colpita da quel futuro per concentrarsi sul suo lavoro, e fu stupita nel vedere
una magnifica città fatta di foresta, il verde si alternava al blu dell’acqua
sulla quale si muovevano piccole barche a vela. Gli uccelli e le farfalle si
rincorrevano nel cielo in cui splendeva il sole. Qualcosa però non andava.
Beth
percepì che la sua meraviglia era contrastata dalla realtà del suo corpo che
trovava fastidioso l’inganno. L’inganno? Per un istante rimase ad osservare la
città poi chiuse gli occhi e quando li riaprì vide la verità. Erano sotto
terra, chiusi in cunicoli e celle a bearsi di una natura che avevano distrutto
secoli prima. Falso, era tutto falso, i muri attorno a lei mostrarono la loro
natura: acciaio e ferro. Beth sentì il peso delle
tonnellate di terra sopra la testa e si sentì schiacciata. Ansimando si
accasciò. Doveva calmarsi o avrebbe perso l’ancora su quel corpo. Prese un
profondo respiro, calmò il suo cuore e si disse che non era differente dalla
sua cella. La sua mente si calmò e lei poté tornare a pensare liberamente:
aveva bisogno di informazioni.
Tornò
nella camera e si chiuse dentro, spense la luce e lasciò che i ricordi
contenuti nella mente del cervello che possedeva giungessero a lei. Aveva
l’abitudine di farlo, così parlava le lingue dei suoi corpi, così sapeva vicino
a chi camminava e cosa doveva fare in epoche altrimenti sconosciute.
Le
parve di rimanere immobile per ore mentre con estrema calma cercava ricordi,
poi all’improvviso ne fu invasa. Il dolore la sommerse come un’onda
schiacciandola, così tanto dolore, infinite vite di dolore e morte. Beth annaspò e si ritrovò nel buio senza tempo a fissare lo
specchio.
“Sei
contenta ora?” La donna era arrabbiata, ma anche ammirata. Beth
boccheggiò cercando di respirare. “Il futuro mi era precluso… ma ora mi hai
mostrato la via, ci hai mostrato la via, immagino che altre vite tra me e te
sapranno farlo non appena questo passato si cristallizzerà in noi.”
“Come
fai a…”
“Contenere
tanto dolore? Non è solo la mia vita, è la vita di migliaia di noi. Una vita
sempre marcata dalla sofferenza di un’atroce perdita.” Beth
ora capiva perché l’omicidio era stato così semplice come scelta, lei stessa
avrebbe azzannato alla gola quell’anima dannata. Con uno sforzo immane si
distaccò da quella sofferenza e cercò di razionalizzare ciò che ora sapeva, chiuse
gli occhi e seguì le morti, una dopo l’altra fino a giungere indietro nel tempo
nell’era pre-romana in cui sua sorella veniva
bruciata come feticcio dal druido del suo popolo, la sua nemesi. Più indietro
non riusciva a ricordare.
“Te
l’avevo detto.” Intervenne la donna allo specchio che era lei, ma non era
ancora lei. Beth scacciò quell’immagine e rimase da
sola nel buio. Non sapeva quanto tempo avesse ancora, era già l’alba? Il suo
corpo stava smaltendo la droga di Danny? La secondina stava per venire a
svegliarla? Quei pensieri le diedero per un istante l’impressione di tornare
nel suo corpo e lei dovette lasciarli andare velocemente. Doveva rimanere
concentrata, doveva compiere l’impossibile e andare indietro nel tempo, forse
persino fino alla sua prima vita. Il segreto era lasciarsi andare, ormai lo
sapeva. Incrociò le gambe e chiuse gli occhi andando alla deriva. Il suo corpo
non esisteva più, doveva dimenticarlo.
Quando
aprì gli occhi si ritrovò nella foresta. Era un uomo e stava cacciando. Sentiva
il cuore battere piano, nella mano teneva la lancia, il suo respiro era
leggero, non doveva spaventare la preda. Ed eccola lì, un cerbiatto, bello e
ignaro. La sua spalla ruotò, il braccio impresse la forza e la mano rilasciò la
lancia che rapida e precisa colpì l’animale facendolo cadere a terra morto. Beth percepiva la semplicità del corpo che possedeva, era
questione di bisogni primari. Con estrema facilità si caricò il cerbiatto sulle
spalle poi tornò a casa.
Beth
aveva difficoltà a controllare quel corpo, la sua anima era pulita dai ricordi,
semplice e fresca, lei riusciva a mala pena a trattenere lì la propria
coscienza così pesante al confronto.
Camminò
nel bosco a lungo, Beth iniziava a temere che fosse
troppo lontano quando vide le prime capanne, fatte di semplici rami intrecciati
e paglia. Raggiunta una porta lasciò cadere la preda mentre una donna ne
usciva, aveva una cicatrice sul viso, i denti gialli e i capelli sporchi, ma Beth sentì il cuore accelerare, era la più bella creatura
di questo mondo, era la donna che amava. La prese tra le forti braccia del suo
corpo maschile e la strinse facendola ridere. Nello stesso momento seppe che la
donna portava in grembo suo figlio.
La
sua testa si voltò notando due occhi pieni di rabbia. Doveva essere lei: la
nemesi. Beth guardò l’uomo, era alto, sembrava forte
e fiero, ma nel suo sguardo vi era un cieco odio verso di lei, perché? Poi gli
occhi dell’uomo passarono sulla sua donna e Beth
sentì in se stessa la rabbia crescere. Quell’uomo voleva la sua donna. Fece due
passi veloci e colpì in pieno volto colui che aveva osato fissarla a quel modo.
“Vai
a fotterti una scrofa!” Gli urlò mentre lui, vile, sputava per terra, ma non
osava rispondere al colpo.
“Un
giorno sarà mia.” Disse e lei, spinta dalla pura rabbia del suo portatore,
volle colpirlo ancora, ma la donna gli posò una mano sul braccio calmandola.
“È il figlio del bosco, non sfidare troppo la sua
collera.”
“Sua
madre è una strega ed è solo per questo che vive ancora.” Pronunciò. Beth sentì la sua mente scivolare via e si aggrappò a quel
pensiero cercando di capirlo. I ricordi dell’uomo fluirono in lei. La strega
viveva nel bosco e aveva avuto un bambino, gli anziani dicevano che era stato
concepito con un dio o uno stupido troll, lui propendeva per la seconda
opinione.
Era
nato lì il loro odio eterno? Per una donna? Quel pensiero le fece voltare lo
sguardo verso di lei, era così bella, così piena di vita, così forte e così
coraggiosa…
***
“Libera!”
Il suo cuore riprese a battere. Danny la fissava pallido e sudato mentre la
secondina spaventata seguiva le sue istruzioni.
“Beth, come ti senti?” La secondina lo guardò e Danny
ricordò la sua copertura. “Signorina Sanderson?”
Lei
vomitò, la testa le esplodeva, non riusciva a pensare lucidamente. Eppure
sapeva che non ce l’aveva fatta, era stata ad un soffio dal capire, sentiva che
era arrivata vicina alla verità.
“Fammi
tornare là…” Riuscì a mormorare, ma Danny scosse la testa.
“Sei
andata in arresto cardiaco! Ti ho ripreso per un soffio!”
“Danny!”
Gli afferrò il braccio e la secondina si fece avanti.
“Sanderson,
lascia andare il dottore!”
“Non
fa niente, va tutto bene.” La rassicurò il giovane.
“Non
ci saranno altre occasioni, fallo o lo farò io in prigione.”
“Ti
uccideresti!”
“Sì
e passerò ad un’altra vita.” Quella risposta lasciò Danny senza parole, il
giovane la guardò sconvolto dalla sua freddezza, ma Beth
sentiva il peso del dolore di migliaia di vite, cos’era una sola esistenza in
confronto?
“Io…”
“Fallo.”
Ingiunse lei, sentiva che quel terribile peso la stava cambiando, doveva fare
in fretta oppure avrebbe creduto che la soluzione della sua io futura era la
migliore.
Il
giovane medico estrasse dalla tasca la stessa siringa della notte prima.
“Ti
voglio bene.” Le disse e poi iniettò il liquido nella flebo.
La
testa di Beth si fece leggera e lei chiuse gli occhi.
***
Quando
li riaprì stava correndo, una rabbia profonda che la animava. Era di nuovo da
lui, il forte uomo che aveva incarnato la sua prima vita. L’aveva presa: lei,
la gioia del suo cuore, la madre di suo figlio. Quel pensiero infuse nuova
energia nei suoi muscoli: lo avrebbe trovato e lo avrebbe ucciso.
Arrivò
nella radura e il suo cuore esplose di dolore nel vedere lei in un lago di
sangue. Urlò di rabbia cadendo in ginocchio. La donna voltò la testa, gli occhi
già appannati si rischiararono un poco.
“Non
mi ha avuta.” Le disse e lui seppe che era vero, aveva lottato, la sua donna
era forte, la vide morire e strinse i pugni furente di rabbia.
Un
gemito fece alzare la testa a Beth. Lui era lì, dal
petto gli spuntava un pugnale. Con un grido il suo corpo scattò in piedi. Colpì
l’uomo una, due, tre volte, il sangue caldo gli bagnava le braccia e schizzava
sul suo volto, ma lei non smise.
“Verme
schifoso!” Una voce di donna proruppe dalla foresta e lei si fermò. Sentiva una
rabbia cieca, ma provò comunque un brivido di timore nel vedere la strega. “Hai
ucciso mio figlio!” Proruppe la donna.
“E
lo ucciderei ancora, strega.” Rispose lui mentre si alzava.
“Era
solo una donna!” Proruppe lei, sputando verso il cadavere.
“Era
la mia donna.” Beth
sentiva la tensione crescere, avrebbe osato uccidere anche lei? Lo desiderava,
ma era una strega.
“E
non lo sarà mai più.” La sentenza cadde come un masso. Lui la fissò e Beth sbatté le palpebre confusa, ma la strega non aveva
finito. “Io vi maledico! Le vostre anime sono legate, io cambio quel legame,
non amore, ma odio!”
“Non
puoi farlo!” Fu Beth a parlare, sovrastando il suo
ospite per la prima volta.
“Anime
gemelle, anime dannate.” Pronunciò la donna. Non ci furono fulmini o tuoni,
eppure Beth sentì l’elettricità nell’aria, sentì il
peso di quella maledizioni e percepì tutto il dolore che avrebbe causato.
Ecco
cos’era: non un nodo di dolore, ma la perversione di due anime gemelle
trasformate in nemesi, non destinate a unirsi, ma a distruggersi.
“No!”
Disse e con uno sforzo profondo tornò indietro. Ma non nel suo corpo.
La
foresta era come la ricordava, ma gli alberi sembravano molto più grandi, forse
perché lei era solo un bambino che giocava. Beth
cercò con gli occhi la persona che desiderava trovare e lo vide, era un bambino
anche lui, solo un bambino innocente. Eppure quel giorno, per uno stupido
screzio sarebbe incominciata la loro rivalità.
“Dammelo
è mio!” Disse una bambina a cui un ragazzo più grande aveva rubato un tozzo di
pane. Il cuore di Beth accelerò, la conosceva, era
lei, la sua anima gemella.
Si
fece avanti e così fece colui che tra molti anni avrebbe massacrato nel bosco.
Però, invece di spingerlo a terra, come ricordava di aver fatto, gli si avvicinò.
“Insieme?”
Propose. Per un istante il bambino esitò poi annuì con un sorriso e si
gettarono sul ladro.
Beth
sentì la propria anima sussultare, ma non era dolore, era liberazione, la
sofferenza di tante vite stava scomparendo.
***
Aprì
gli occhi e si guardò attorno, non era all’ospedale. Riconobbe alcuni oggetti
nella stanza e vide i suoi abiti sparsi a terra. Insieme a quelli di qualcun
altro.
Una
mano le si posò sulla schiena accarezzandogliela dolcemente e il suo cuore
accelerò di gioia. Lentamente si voltò mentre quello che aveva fatto nel
passato si cristallizzava e lei ricordava il suo nuovo presente. Due occhi
verdi la fissavano, mentre sul volto appariva un sorriso affascinante.
“Buongiorno…”
Le mormorò.
“Patty.”
Disse solo lei.
“Bene,
ricordi il mio nome.” La donna rise e lei sentì il cuore sciogliersi d’amore,
poi la baciò e allora ogni ricordo tornò al suo posto.
Beth
ricordò come in ogni vita l’avesse trovata, come in ogni reincarnazione
l’avesse amata. Certo, c’era stato del dolore nelle sue vite, c’era stata della
sofferenza, ma la sua anima non era carica di quel terribile e doloroso
fardello: era libera.
Ce
l’aveva fatta.