Die Flügel der Freiheit.
Parte uno di quattro.
La sveglia che suonava
imperterrita doveva essere un segno dell’esistenza di Dio, così come una prova
evidente che questa grande divinità doveva avercela per forza con lui, se aveva
inventato le cinque e quarantacinque della mattina.
Levi aveva allungato la mano
per premere il tasto che l’avrebbe messa a tacere, lottando come ogni maledetta
volta contro l’impulso di sbatterla
contro alla parete di fronte al letto e spaccarla.
Si sentì fiero di sé abbastanza
da iniziare quell’ennesima, monotona giornata.
I turni mattutini erano i
peggiori da digerire. Aveva un pessimo rapporto con il sonno, faticava a
trovare conforto fra le lenzuola nonostante si coricasse sempre abbastanza
presto – non aveva poi molto da fare, se non si portava il lavoro a casa o il
suo gatto iniziava di nuovo con le coliche- ci metteva un po’ tutta la sua vita
a trovare la pace dei sensi che gli permetteva di addormentarsi. Soffriva di
insonnia in senso clinico, avrebbe dovuto farci i conti prima o poi, anche perché
invecchiando stava diventando davvero scorbutico.
Nessuno strizzacervelli,
però, avrebbe mai potuto aiutarlo, perché lui già conosceva la causa di quel
patimento interiore e non aveva bisogno di sentirsi dire che il problema
risiedeva nel rapporto con sua madre o in quanto stronzo fosse stato il suo
tutore quando era un bambino. No, il problema erano i suoi ricordi. I ricordi
di un’altra vita.
La sua vita precedente, a
quanto pare.
Ci aveva messo diverso tempo,
anni, a comprendere che quei sogni vividi non erano solo sogni, che quando si
ritrovava a fissare troppo intensamente qualcosa o qualcuno non era perché era
un povero pazzo (o non solo, per lo meno), ma perché l’aveva già visto.
Detta così, in modo
spicciolo, sembra una stronzata. Anche Levi si sentiva abbastanza cretino,
ripensandoci, e conservava un ricordo poco simpatico dell’unica persona a cui l’aveva
raccontato. Come se poi suo zio Kenny, che era stato il famoso tutore legale stronzo sopracitato fino a che non aveva
raggiunto la maggiore età, fosse la persona giusta a cui aprire il proprio
cuore.
Faceva schifo in una vita,
non poteva essere migliore nell’altra.
Ok, il problema però non era
Kenny.
Non in quel caso, quanto
meno.
Dal momento in cui aveva
preso a ricordare, aveva sempre cercato quelle persone che per lui avevano
significato qualcosa di importante. Era come se tutto ciò che era stato prima
della consapevolezza, come se i suoi primi ventitré anni di vita, fossero stati
nulli, inconsistenti, rispetto a ciò di cui aveva davvero bisogno. Rispetto a
ciò che aveva avuto in precedenza.
Assurdo, se si conta quanto
orribile e destabilizzante fosse stata la vita precedente.
Ironicamente, la prima
persona che aveva trovato, era stata anche la più importante nella sua vita
precedente. Ok, forse non la più
importante, ma sicuramente quella fondamentale, senza di cui non sarebbe
mai stata la stessa persona.
Erwin Smith.
L’agente, Erwin Smith.
Era ancora in ospedale, con
la testa piena di immagini orribili, sangue, morti, giganteschi mostri e mura
insormontabili quando quel ragazzo biondo, alto e dall’aria rassicurante, era
venuto a trovarlo. Era stato il primo sulla scena del suo incidente e voleva
personalmente verificare le sue condizioni di salute una volta smontato il
turno. Nell’esatto istante in cui le loro mani si erano sfiorate nelle
presentazioni, Levi aveva ricordato tutto quanto.
Non per modo di dire. Tutto tutto.
Si era ritrovato investito da
un treno merci di ricordi da un istante all’altro e no, non era stato
piacevole.
Innanzitutto, che era fatto
da fare schifo quando si era messo al volante e di questo non fu molto fiero.
Ma poi, una dopo l’altra,
anche tutte quelle altre cose che non aveva vissuto. Ma aveva vissuto prima.
Confuso, uhm?
Erwin fu molto disponibile
verso di lui. Tra opuscoli di centri di riabilitazione, belle parole il cui
significato finale era ‘schiantarsi con
la macchina contro un lampione non è figo’ e
sorrisi incoraggianti, parlarono per ore e ore.
E Levi sapeva che non sarebbe
più riuscito a lasciarlo andare.
Erwin doveva averlo capito a
modo suo, perché, di nuovo, fu la sola persona a rimanergli accanto per tutta
la riabilitazione. Lo aiutò con l’iscrizione in accademia di polizia, perché Erwin
era andato da lui per aiutarlo e l’aveva fatto nel suo tempo libero, per sua
scelta, perché ci teneva.
Non ricordava niente del loro
passato, ma aveva capito che quel ragazzo era recuperabile.
E Levi, quell’uomo, lo
avrebbe seguito anche in quest’altra vita. Di nuovo.
Sempre.
La prima sigaretta della
mattinata, accompagnata da un bicchiere di polistirolo di Starbucks
formato gigante stracolmo di the nero non zuccherato, era sacra. Tutti sapevano
che dovevano girare ad almeno due metri dalla scrivania del detective Ackerman, perché dopo undici anni nelle forze di polizia di
Monaco di Baviera, si era fatto una certa reputazione. Tutti sapevano che aveva
un passato tutt’altro che facile, droga e alcol e Dio sa solo cos’altro, ed era anche particolarmente famoso per il
modo un po’ ruvido con cui conduceva
gli interrogatori.
Nessuno era così stupido da
mettersi fra lui e la sua colazione, eccetto lei.
“Levi! Buongiorno piccola
palla di crema!”
Hanji Zoë, analista chimico del
laboratorio della polizia scientifica. Lei davvero non era cambiata per niente.
Se Erwin era un uomo più sereno e con meno demoni ad infestargli la mente e
ossessioni a tenerlo sveglio e a fargli perdere arti, Hanji
era precisa tale e quale ad…. Una volta.
Diciamo ‘una volta’.
“Smettila di darmi questi
nomi cretini, deficiente” fu la sola risposta che ottenne la povera donna, che
però non demorse come suo solito.
“Stasera ci sei per la
partitella di poker?”
Ah, la routine. Levi ispirò,
sentendo il fumo penetragli nei polmoni e chiedendosi perché il 5 gennaio del
1994 dovesse essere in qualche modo un giovedì diverso da qualsiasi altro. Poker
e birra a casa del detective Mike Zacharias e sua
moglie Nababa della omicidi, mentre il sabato sera,
tutti a fare aperitivo dal Commissario Erwin, salvo sparatorie e retate.
La bellezza di militare nella
buon costume, squadra speciale antidroga.
“Se porti di nuovo quei
salatini di merda, giuro su tutto quello di cui ho prezioso al modo che ti
ficco la scatola ancora chiusa giù per la trachea.”
“Con tutto ciò che hai di
prezioso, parli del tuo gatto?” prima che potesse mandarla al diavolo, Hanji alzò un dito, facendogli roteare gli occhi. Ecco che
arrivava la puntualizzazione “E poi, teccnicamente,
dalla trachea, un oggetto così grande,
potrei estrarlo con semplicità. Se vuoi che la minaccia sia efficace, dovresti
dirmi che la ficcherai fino a metà dell’esofago. Allora si che sarei spacciata!”
“Ma tu non hai del lavoro da
fare, topo di laboratorio? Le analisi sul carico sequestrato la settimana
scorsa, per esempio? O magari, perché non vai ad ammorbare Moblit?!”
“Qualcuno è davvero di buon
umore, oggi!” la voce di Erwin arrivò alle sue spalle, posata, ma con una
venatura di allegria assolutamente inopportuna visto l’orario in cui era stato
costretto ad alzare il culo.
“Commissario…”
lo salutò senza entusiasmo il moretto, girando il capo all’indietro sullo
schienale della sedia girevole, così da vederlo avvicinarsi.
Senza cerimonie, Erwin gli
prese la sigaretta dalla mano e la spense nel posacenere, facendo poi aria con
la cartellina che teneva in mano per dissipare il fumo. Levi non ne fu per
niente felice, ma che poteva dire al suo capo? Smith lo guardò sbuffare,
accrescendo di più il suo divertimento, prima di sbattere la suddetta
cartellina sulla scrivania “Ciao Hanji.”
“Ciao Erwin!” trillò lei,
lasciando a Levi il tempo di sporgersi su di essa ed aprirla. Altri graffiti,
fantastico. Se c’era una nuova banda in giro a spacciare, erano proprio a
cavallo. Dovevano ancora fermare quei dementi che avevano venduto roba tagliata
male causando due overdose in una discoteca e, oltre a sapere che erano affiliati a un cartello di Cancun, non avevano piste. Almeno Hanji
non doveva preoccuparsi di tutte quelle scartoffie, lei doveva analizzare ciò
che le veniva spedito in laboratorio e quindi poteva permettersi il lusso di
parlare a vanvera. “Questa sera porti quella birra buonissima? Io non so
proprio dove la vai a pescare, ma piace a tutti e nel negozio sotto casa mia
non hanno la marca. Tu che ne pensi?…Levi?”
Entrambi rimasero abbastanza
spiazzati dall’espressione che l’uomo aveva sul viso. Mentre la donna provava a
chiamarlo nuovamente, Erwin studiò i suoi lineamenti, solitamente impassibili e
a tratti quasi annoiati, tesi in un’espressione di sorpresa. La mano di Levi s’era
spostata su una foto, tracciando il contorno del graffito come se, incredulo,
potesse cambiare nell’esatto istante in cui l’avrebbe messo meglio a fuoco. Durò
poco, però. Appena si accorse di avere due paia di occhi su di se, Levi chiuse
la cartellina e si alzò, tenendola in una mano e impugnando il suo teh con l’altra.
“Prendo la mia squadra e vado
subito a verificare. Haidhausen è parecchio in centro
per una gang, non credi, Erwin?”
Il biondo lo guardò negli
occhi, prima di incrociare le braccia sul petto “Se fosse solo a Haidhausen, penserei anche io che si tratta solo di un
graffitaro con manie di protagonismo. Ma dovresti leggerlo tutto, quel
rapporto: i graffiti sono apparsi in ogni angolo della città, da Moosach ad Harden, fino a Trüdering.”
A mala pena lo lasciò finire
di parlare, prima di girare i tacchi e dirigersi verso la sala comune della
centrale.
Interessante, molto
interessante.
La squadra delle operazioni
speciali del pool antidroga era stata messa insieme da Levi un paio di anni
prima e, come in passato, li aveva scelti personalmente lui stesso.
“Petra, vai con Oluo a fare qualche domanda in giro. Vedi se qualche
negoziante o residente ha visto o sentito qualcosa. Eld
e Gunther, voi due fate la stessa cosa, ma coprendo
il lato est, sulla Museumsinsel. Questa zona è molto
trafficata, il Deutsche Museum
è qui dietro. Andate a parlare con lo stazionamento dei vigili del fuoco qui
accanto e vedete se ci sono telecamere di sicurezza di banche o negozi che
puntano in questa direzione.”
“Subito, detective.”
Levi non aveva staccato gli
occhi dal graffito per tutto il tempo, mentre distribuiva gli incarichi. Andava
detto che la mano che l’aveva realizzato non era solo abile, ma anche precisa
al millimetro. Non c’erano sbavature, forse aveva utilizzato un cartonato, il
che era plausibile visto che quasi tutti i graffiti stazionati in giro per la
città erano simili o uguali.
Quello, però, era il solo in
una zona turistica trafficata. Se avessero trovato qualcosa, l’avrebbero
trovata indagando su quello.
Prese un tiro di sigaretta,
la terza nonostante fossero solo le nove e un quarto del mattino, prima di
avvicinarsi, appoggiando la mano sul muro.
Non vedeva quel simbolo da…. Da sempre. Dalla sua vita precedente, quando nessuno
lo chiamava detective, ma tutti lo chiamavano capitano. Quando non diceva a
nessuno che il suo cognome era Ackerman e quando
vedeva ogni persona attorno a lui morire.
Le cose erano migliorate,
seppur mancasse ancora qualcosa.
Qualcuno.
“Detective?”
Petra lo stava chiamando da
qualche secondo, quando finalmente Levi si voltò a guardarla. La ragazza aveva
in mano un blocco per gli appunti e, accanto a lei, c’era una signora anziana
dall’aria un po’ bellicosa. Levi la guardò, alzando un sopracciglio. “Dimmi, Ral.”
“La signora Ferbach, qui presente, ha visto il graffitaro all’opera.”
Le sopracciglia del detective
si alzarono, mentre lasciava cadere la sigaretta al suolo – reato – ficcando poi
la mano nella tasca del cappotto nero che indossava “Ah sì? Ebbene?”
“Un giovanotto!” urlò quella,
mentre Petra sospirava rassegnata. Doveva essere un po’ sorda, povera donna “Alto,
ma giovane! L’ha fatto tre giorni fa!”
“Ne è sicura?”
“Sì! L’ho visto dalla
finestra!”
Levi spostò gli occhi su
Petra, che si apprestò a dare una spiegazione. Fu battuta però sul tempo da Oluo, se dopo essersi sistemato la divisa della Polizei per bene sul petto, aveva preso a parlare
in quel modo assolutamente insopportabile, agli occhi della Ral.
“Abita al civico trecento otto. Lassù” disse, indicando la balconata della
donna. Effettivamente aveva una bella visuale della parete e anche tutta l’aria
della vicina impicciona sempre appiccicata alla finestra “L’ho trovata io.”
“Non mentire! È la signora
che ti ha fermato, Oluo!”
“Basta così” Levi tornò a
voltarsi verso il graffito, guardandolo mentre dava le direttive “Raccogliete
la testimonianza e poi ragguagliatevi con Eld e Gunther. Mi aspetto di trovare tutto ciò che avrete
raccolto sulla mia scrivania entro stasera, voglio avere il tempo di pensare.”
Petra si spostò per farlo
passare e Levi andò filato alla sua auto, uscendo dal parcheggio pochi istanti
dopo e lasciandoli lì con la povera vecchina. I due si scambiarono un’occhiata
eloquente “Anche a te sembrava un po’ strano?” chiese la giovane donna.
Oluo sbuffò e il suo respiro divenne condensa “Sarà il
freddo o l’ora. Lo sai che il detective odia i turni la mattina. Ora muoviamoci.”
La ragazza annuì, lasciando
all’altro l’onore di raccogliere la testimonianza della donna, così che poi
avesse la possibilità di firmare il rapporto a suo nome. Rimase ferma a
guardare il graffito, prima di prendere la radio trasmittente per mettersi in
contatto con Gunther.
Avrebbe dato qualsiasi cosa
per sapere cosa il detective Ackerman ci aveva visto,
in quelle linee azzurre e bianche.
Il suo appartamento era
piccolo, quasi asettico, perché così come nella sua vita precedente, anche in
questa Levi aveva vissuto in un autentico porcile nella sua infanzia. Sua madre
non era una puttana, ma non era nemmeno una persona così tanto retta. Non la
biasimava, aveva avuto dei problemi non da poco con i suoi genitori e si era
ritrovata per strada a diciotto anni. A ventidue era rimasta incinta di un poco
di buono e aveva deciso di tenere Levi solo perché era troppo sola per prendere
una decisione radicale.
Di nuovo, non la biasimava. Il
destino alla fine è scritto e il percorso deciso.
Ogni vita si riflette nell’altra,
si intrecciano e trovano punti di comunione,la sorte di sua madre era segnata
quanto la sua.
Nonostante tutto, però, non
la incolpava se si era drogata per tutta la sua infanzia, se erano arrivati a
mangiare il cibo per cani per tirare avanti, se lui si occupava di lei ogni
volta che finiva collassata sul pavimento del bagno. Non la incolpava nemmeno
di esserci caduto lui stesso, in quel vortice di schifo. Aveva fatto le sue
scelte e le aveva rimpiante. Non la odiava, anche se ogni tanto appariva alla
porta di suo figlio trentaquattrenne e chiedeva dei soldi o di dormire sul
divano.
Alla fine, Levi le lasciava
il letto.
Perché lui, al contrario di
lei, aveva iniziato a prendere decisioni e a fare scelte che non avrebbe più rimpianto.
Kenny lo prendeva sempre in
giro per quella filosofia, le poche volte che si vedevano per cenare insieme e
bere un bicchiere di vino di fronte alle loro vite che seguivano due binari
opposti. Di nuovo, Kenny non era un genitore, non lo voleva essere.
Erano quasi alla pari, ormai.
Anche se non avrebbe mai
smesso di chiamarlo moccioso.
A conti fatti, Levi non si
poteva lamentare. Aveva una bella vita, epurata da tutto il dolore della morte
e degli orrori che aveva visto durante la sua precedente incarnazione.
Ma c’era ancora una persona
che stava cercando e quella persona, forse, si nascondeva dietro a quei graffiti.
Lavorò quasi tutta la notte,
mettendo in fila tutti i rapporti, leggendo dichiarazioni raccolte da stupidi
incompetenti della stradale e arrivando finalmente a creare una linea
temporale. Se aveva ragione, il primo graffito ad essere apparso doveva essere
quello di Freimann, due settimane prima di quello
accanto al Deutsche Museum.
Tirando le somme, doveva essere quello più vicino alla residenza del grafitato.
“Fanculo,
dovevo fare il profiler” disse con tono roco,
accarezzando il pelo morbido del suo gatto, che gli era saltato sulle gambe per
ricevere qualche attenzione. Segnò l’indirizzo sul suo taccuino, prima di
alzarsi con grande disappunto del felino, che finì con un piccolo lancio sul
divano.
Aveva già un’idea disegnata
bene in testa prima ancora di mettersi in macchina.
Freimann era il quartiere degli artisti, ma anche degli
universitari che non potevano permettersi un appartamento troppo vicino alla Ludwig
Maximilian. Non era nemmeno troppo lontano dal luogo
in cui viveva Levi, doveva essere un segno del destino.
Un altro segno del destino.
Iniziava davvero a crederci
in queste cazzate new age, Hanji aveva una pessima influenza su di lui.
Il graffito si trovava sul
muro esterno della stazione della metropolitana, direttamente sul binario. Levi
lo studiò un po’, ma infondo era identico a tutti gli altri.
Senza perdere tempo, prese un
pennarello nero dalla tasca del cappotto, iniziando a scrivere sul muro,
proprio sotto al disegno.
Un uomo si avvicinò “Ehi, lo
sa che è reato deturpare una proprietà pubblica?”
“Ah, non si preoccupi, sono
un poliziotto” rimesso il tappo all’indelebile, Levi si voltò a guardare il
genio che aveva parlato.
E si trovò di fronte niente
di meno che Nile Doawk.
Coglione era, coglione
rimaneva.
Gli sbatté sotto al naso il
distintivo mentre questi ancora predicava di essere un avvocato e che avrebbe
trovato il modo di fargli passare la voglia di scherzare. Poi lo invitò a ‘levarsi
dalle palle’ in fretta.
Sbuffando, Levi andrò a
prendere una lista che teneva nel portafogli, tracciando una riga sul nome di Doawk. I nomi barrati, ormai, erano quasi più di quelli
ancora presenti, ma se gli andava così bene da incontrare le persone per caso o
riconoscerle in figure pubbliche importanti – come il sindaco Pixis o il cancelliere Zackley,
per esempio- allora andava bene.
Il primo nome, però, ancora
svettava in tutta la sua pienezza. Era lui. Doveva essere lui, l’artista che
stava lasciando quelle molliche di pane con lo scopo di farlo tornare a casa.
“Tanto lo so che sei tu,
moccioso. Me lo sento.”
Mise via la lista,
appoggiando la mano sul graffito, prima di andarsene. Non prima, però, di aver
osservato di nuovo quel disegno.
Era passata una vita, ma le
Ali della Libertà avrebbero sempre scaldato il suo cuore.
NdA.
Niente.
Sono incorreggibile.
Sto scrivendo una one con un OC che mi ha presa da morire, ma quando mi
prefisso qualcosa, non riesco a vivere fino a che non l’ho scritta.
E la Ereri
rimane sempre la Ereri.
Il primo amore la vera OTP
non possono essere scavalcate dal poco tempo.
Ho iniziato questo progetto perché
amo le Reincarnation AU e perché ho deciso che sarà di quattro capitoli e
basta.
Ho già plottato
tutto quanto, quindi non mi perderò in quisquilie e puntate filler (??)
Ringrazio anticipatamente chi
aprirà questa…. Questa cosa.
Il raiting
potrebbe variare a seconda di quanto ispirata sarò.
Un abbraccio!
C.L.