Costiera

di Hitchhiked
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Una goccia, due: cominciava a piovere.
Piovve per altri tre giorni.

A quel tempo facevamo il bagno sotto la pioggia, non ci importava di nulla.
Bagnati entravamo in acqua e bagnati ne uscivamo.
Gocciolavamo sudore e acqua piovana da capelli e fronti quando correvamo verso la spiaggia e riemergevamo dall'acqua con alghe tra i capelli, lasciando dietro di noi impronte di piedi.
Sei piedi in tutto.
Ci immergevamo in questa spiaggetta, con sassi appuntiti, grande quanto un piccolo orto.
Vi si accedeva facendo un salto di circa due metri da un’autostrada che seguiva il mare. 
La costiera.
Ti buttavi e poi risalivi. I muscoli si flettevano come facevi leva sulle braccia. Poi ancora nel vuoto e dopo l'impatto, in quello che era un circolo infinito.
Vi passavano, sull’autostrada intendo, tir che rombavano e fischiavano e sferragliavano.
Nonostante piovesse, anche l'aria spostata dai camion era calda.
Ci cambiavamo dentro una baracca dal tetto in lamiera, che faceva un fracasso assordante quando le gocce colpivano come proiettili, poi correvamo sull’asfalto, le mani sopra la testa.
Facevamo i i funamboli sulla linea bianco sporco che segnava il confine della strada, agitando le braccia come se dovessimo prendere il volo.
L’acqua era fredda perché un torrente sfociava a pochi metri dalla riva; era chiara, nel punto in cui le correnti s’incontravano, e vi si radunavano dei pesci lunghi e scuri, che ti sfioravano le caviglie nuotando, ed erano stopposi una volta mangiati.
Dopo un paio di passi, il fondo ti mancava sotto i piedi e poi risaliva.
Quando abbassavi lo sguardo notavi, oltre alle pietre color rame, il fondale tempestato di ricci, gradi come un orologio da taschino e scuri come petrolio
Una volta Dan montò sopra a uno di quegli orologi color pece e una decina di spine rimasero conficcate sotto il piede.
Quando uscimmo dall’acqua, il sole era tornato, e faceva caldo; molto più caldo del normale.
Talmente caldo che l'asfalto era di nuovo color polvere. Niente fango, solo terra.
Uscivi e ti asciugavi, e come ti asciugavi, cominciavi a sudare.
Al ritorno l’asfalto scottava: c’erano bolle e crepe dappertutto, per via del sole.
Quando tornammo, quel giorno, le impronte sull’asfalto erano dispari: cinque piedi in tutto.
Solo il piede sinistro di Dan, illeso, infatti poggiava al suolo: le sue braccia erano appoggiate sulle nostre spalle, e il peso gravava sulle nostre vertebre.
L’asfalto era incandescente, bolle cominciavano a formarsi sotto i nostri piedi nudi, per le ustioni.
Un automobilista suonò il clacson.
Dopo pochi secondi, a causa del caldo, le impronte erano andate, evaporate.
Noi eravamo giunti al capanno di lamiera, con i capelli umidi e la pelle asciutta.
L’unica testimonianza visibile del passaggio di tre ragazzi erano le vesciche sotto ai nostri piedi.

 




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