Gelus già in vita era così
gracile, così apparentemente indifeso, sempre deriso, mai considerato alla pari
degli altri alti e immortali Signori della Morte. Vederlo ora ridotto a quello
che aveva innanzi ai suoi piedi, bizzarra sabbia, forse ruggine, inasprì la
crescente tristezza e il senso di impotenza della bianca shinigami. Era
inaccettabile. Nonostante i suoi consigli, lo aveva visto spendere tutto il
tempo nella cieca ossessione che lo divorava; nonostante il suo monito, alla
fine il piccolo dio si era consumato in un sacrificio che non avrebbe
conosciuto alcuna ricompensa, ma solo il silenzio. Avrebbero riso di questo gli
altri shinigami? Avrebbero condannato il suo gesto come un ridicolo atto di
stupidità? Probabile. Come era possibile del resto anche solo pensare che un
essere immortale rinunci al suo tempo eterno per il battito di pochi anni di
una minuta, debole, inutile creatura umana? Eppure questo Gelus aveva fatto. E
Rem non riusciva a darsene pace, rimproverandosi di non aver fatto abbastanza per
il fragile amico. Ora di lui rimaneva solo un freddo quaderno. Per un pò lo
rimase ad osservare; le sembrava sacrìlego anche solo toccarlo. Ma qualcuno
doveva farlo. Le regole erano chiare e, anche in un momento in cui i suoi
pensieri camminavano grigi e senza ragione, nere e asettiche continuavano a
frugare nella sua mente: “Dopo essere spirato, un dio della morte scompare, ma
non il suo quaderno. Esso passerà di proprietà al prossimo dio della morte che
lo toccherà, ma il buon senso vorrebbe che lo si cedesse al grande capo degli
dei della morte.” Tutto quello che era tenuta a fare era perciò prendere il
quaderno e portarlo al suo Re. E lo avrebbe anche fatto. Ma esso era l’unico
ricordo che le restava di un caro amico e per questo decise di tenerlo per sè.
“La prima volta che infrango una regola...” Fu un pensiero che accantonò
subito, per la preoccupazione che le risvegliava.
E passarono così ore, giorni,
mesi, senza alcun valore. Si accorse in breve tempo che Gelus era l’unico tra
gli shinigami con cui davvero aveva mai sentito un barlume di fraternità. Gli
altri erano scontrosi o menefreghisti, irrimediabilmente egocentrici e spesso
prepotenti. La compagnia del piccolo shinigami era simile ad acqua in tanta
assenza, in così inutile vagare. Per questo, senza intenzione, ma spinta dal
ricordo, spesso tornava nel luogo in cui Gelus aveva perso la vita, e come lui
osservava il mondo degli umani. Quello che veramente la tormentava era che
nessuno oltre a lei era stato testimone dell’atto del fratello, la sua massima
incoscienza, che pure nascondeva una luce che la attirava, come una falena
nella notte. Neppure la ragazza per cui aveva dato la sua vita immortale lo
avrebbe saputo. Questo era ingiusto. Così ingiusto. Almeno lei doveva sapere.
Doveva conoscere a chi doveva quei giorni, a chi doveva il poter vedere ancora
il sole. L’idea però di scendere nel mondo degli umani spaventava persino la
bianca shinigami, pur così di antico e forte lignaggio: era un universo sporco
di meschinità e tradimento, di ambizione e malattia. E così passavano i giorni
ma lei non si decideva a una risoluzione. E rimaneva lì, a osservare dall’alto
quel mondo sconosciuto, attraverso gli occhi dell’umana amata da Gelus: una
certa Misa Amane, questo era il suo nome.
Mentre trascorreva il tempo
nell’attesa di una decisione che non arrivava mai, Rem conobbe che Misa era una
modella, che tutti la chiamavano Misa-Misa, che era molto apprezzata e
considerata bella dagli altri esseri umani, che il suo modo di vestire era
considerato dagli umani alla moda e riscuoteva successo soprattutto fra gli
umani di sesso maschile, e che le umane di sesso femminile la invidiavano per
la sua bellezza. E tante altre futilità tipiche di quel mondo alieno. Ma la
vide anche piangere nascosta dalle amiche in una pausa pranzo tra un servizio
fotografico e l’altro, fremere di rabbia di fronte a una ingiallita pagina di
giornale, abbracciare bizzarri peluches nel silenzio della sua camera. Anche
lei era sola. Il ricordo della morte dei genitori la tormentava, uccisi nella
notte da un criminale privo di pietà, un uomo ancora libero, rilasciato dalla
giustizia degli uomini, ma colpevole, colpevole, colpevole, Misa ripeteva negli
incubi, gli occhi chiusi in una visione di sangue, dolore, ingiustizia. Rem
provò pena per lei. Pur nella brevità della loro vita, gli umani, o meglio
alcuni tra di essi, erano condannati a sopportare sofferenze troppo grandi per
la loro fragilità mortale. “Se il dio della morte decide di usare il quaderno
per uccidere il potenziale assassino di un umano che ha in simpatia, la vita
dell’umano sarà prolungata, ma il dio della morte morirà”. No. Non correva
nessun pericolo a scrivere il nome di quel ladro nel suo quaderno.
Così fece e Tamura Yoichi morì,
tra le urla degli avventori del bar in cui stava bevendo un drink, abbarbicato
a una colonna, colto e ucciso da spasmi di dolore. Rem non provò né gioia né
tristezza. Ma riteneva che forse aveva fatto una cosa giusta, e che magari in
questo modo Misa non avrebbe pianto più. Il giorno dopo su una pagina di un
giornale fresco di edizione campeggiava la foto di Yoichi: “La strana morte di
Tamura Yoichi, coinvolto in passato nell’inchiesta sulla strage della famiglia
Amane. Giudicato colpevole da Kira?”. Sorpresa che la sua fine improvvisa avesse
causato tanto clamore e chiedendosi chi fosse questo Kira a cui il giornale
attribuiva l’uccisione di Yoichi, Rem aspettava ora di vedere quale sarebbe
stata la reazione di Misa. La ragazza non sorrideva. Ma sembrò come se una
qualche ombra si fosse dissipata dalla sua fronte. Rem si convinse che aveva
fatto bene. E questo era il segnale che era giusto ciò che aveva intenzione di
fare, scendere nel mondo di Misa, per donarle il quaderno di Gelus, con cui la
ragazza avrebbe potuto proteggersi da altre ingiustizie. E poi anche per
conoscerla, pensò con un filo d’attenzione. Per stare al suo fianco, guidarla.
Rem sapeva che non avrebbe mai commesso lo stesso errore di Gelus. Considerò
questa come un’ulteriore fase della sua immortale vita, un’esperienza che valeva
la pena di essere affrontata. Un piacere. No. Un dovere. Rifiutò il pensiero
che tutto questo fosse solo un suo capriccio. Gelus avrebbe sicuramente voluto
che Rem lo facesse. E così fece.
Il primo incontro fu, come era
facile prevedere, un disastro: Misa le lanciò addosso ogni oggetto che aveva a
portata di mano urlando di paura. Poi le cose migliorarono rapidamente, una
volta che la ragazza si rese conto che l’imponente shinigami non aveva
intenzione di farle del male. Passò il tempo, giorno dopo giorno, e Rem aveva
la sensazione che Misa la percepisse come uno dei suoi bizzarri pupazzi,
animatosi per salvarla dalla solitudine. Era con lei in ogni momento della sua
giornata. Quando partiva da casa per andare al lavoro, sotto la luce dei
fotografi, tra le passerelle degli artisti, ma anche al supermercato, ai corsi
serali, la notte quando Misa riposava. Rem imparava tanto della vita degli
umani, mille volte di più di quanto avesse avuto modo di sfiorare solo
guardando dalla terra della morte. E imparò tanto dell’umana Misa, il modo
buffo in cui inclinava la testa, l’indecisione con cui sceglieva i suoi
vestiti, quella fotografia appoggiata al comodino della cameretta, la sua
fissazione per la linea, i saluti cordiali della gente che lei rendeva felice
solo con un sorriso, incubi che ancora non volevano conoscere il significato di
“passato”.
Tutto questo sarebbe potuto
andare avanti in armonia, ma i passi di Misa e dello studente Light Yagami si
incrociarono per un oscuro scherzo del destino. Quando Rem aveva ucciso Tamura
Yoichi non si era data premura di raccontare la cosa a Misa: lei, rifacendosi
ai giornali, aveva attribuito come tutti la responsabilità di quella morte a
Kira, il giustiziere, il dio del nuovo mondo. Che senso avrebbe avuto rivelarle
la verità? Oltretutto, quell’azione era stata frutto ancora una volta di uno
stratagemma per aggirare le rigide regole del mondo degli shinigami. Rem non si
sentiva del tutto pulita dell’atto compiuto. Si era lasciata trascinare. Non
era da lei. Per cui, aveva dato poco peso alla cosa. Con il tempo però Misa si
era rivelata una sostenitrice accanita del misterioso quanto letale
giustiziere: ogni giorno i giornali riportavano notizie di nuove uccisioni, per
mano di Kira, il nome di Kira troneggiava su tutte le edizioni dei maggiori
telegiornali. La certezza della pena. Chi sbaglia, pagherà. Queste massime
dovevano suonare consolanti per chi come la ragazza aveva subìto nel passato
una qualche grave ingiustizia e Misa le assimilava con voracità, orecchie attente
alla TV e ai progressi di Kira. Quando Rem capì che Misa avrebbe fatto di tutto
per rintracciare il salvatore suo e del mondo, era troppo tardi. Di fronte agli
occhi freddi e calcolatori di Light in quella camera divisa tra due shinigami e
due umani al tramonto di una non più tiepida sera d’autunno, sentì che una
invisibile e letale ragnatela ormai era stata lanciata. La ragazza era, fuor di
ogni logica, pazza di lui . .
E poi accadde quel giorno, quando
Rem e Misa camminavano insieme lungo il viale alberato che portava dalla casa
di Light alla fermata dell’autobus. Un uccellino catturò l’attenzione della
ragazza. Era caduto da uno dei rami dove aveva il nido, morto. Misa si chinò su
di lui, e pianse. Rem fissò a lungo la ragazza, il suo unico occhio proteso
verso di lei. Poi disse lentamente: “Per voi che abitate la terra, la vita è
una cosa così breve . . proprio per questo a maggior ragione vi è preziosa.
Sono preoccupata per te. Ti sei affidata ciecamente all’umano di nome Light che
ti sta usando. Certe volte ho addirittura l’impressione che arriveresti anche a
dare la tua vita per lui, se necessario. Perché, Misa?” La ragazza per un
attimo si dimostrò sorpresa dalle parole della shinigami. Poi il suo volto si
colorò di un largo sorriso: “Ma che domanda stupida Rem mi fai . . e dire che
sei una ragazza anche tu. Ma perché lo amo, no?”
* * *
Rem rese il suo essere
inconsistente come nebbia per passare al di là del muro: di fronte a lei la
solitudine di quella stanza vuota, a pochi metri di distanza dalla sala in cui
L stava raggiungendo la sua ultima prova per incastrare Misa Amane e
consegnarla alla giustizia: la falsa regola dei 13 giorni, quella dannata
regola che, da motivo di salvezza, ora per opera delle perverse manovre di
Light, avrebbe condannato Misa a morte. Scrisse con cura l’ultimo nome del suo
quaderno di shinigami: L Lawliet. Poi chiuse gli occhi, incurante dei rumori di
allarme che provenivano dall’intero edificio. Mentre vedeva il proprio corpo
estinguersi in polvere, si chiese infine perché si era spinta a così tanto. E
risolse che, se gli umani chiamavano “amore” l’emozione che li spingeva
talvolta a sacrificare la propria vita per il bene di un altro, allora lei
amava Misa. Persa in quest’ultimo ragionamento, senza più dolore cadde e si
dissolse. |