All that Heaven will allow.

di thebrightstarofthewest
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3. Break Your Heart


It would break your heart, if you knew me well.
See, I have run so far that I've lost myself.
And there are things I have seen that I never will tell.
They drove me out of my mind and inside of myself.

And oh, my my, it would break your heart,
If you knew how I loved you, if I showed you my scars,
If I played you my favorite song lying here, in the dark.
Oh my my, it would break your heart.

Autostrada del New Jersey, 2015, ore 9:47
La strada scorreva rapida e sfuocata sotto le ruote dell'auto sportiva, che ruggiva rabbiosa a tutta velocità. Il suo conducente, d'altra parte, non era meno irato del brontolio basso e continuo del motore: sulla fronte ampia campeggiava un'unica, lunga ruga d'espressione che, come una pennellata di un artista, trasformava radicalmente l'espressione del suo volto normalmente disteso e sorridente, mutandola in una sorta di insieme di ombre di rabbia e frustrazione.
C'era una sola cosa al mondo che Bruce detestava più di litigare, ed era litigare parlando al telefono: quegli aggeggi infernali erano il modo migliore per non capirsi e creare problemi, era sempre così. Certe volte banalità, spiegate al telefono, apparivano complicate ed impossibili come affari di stato... un po' come era appena successo con Patti, pochi minuti prima.
Era vero, lui sarebbe dovuto essere più gentile, meno impulsivo e sbrigativo, ma la sua sbadataggine lo aveva talmente tanto innervosito: erano giorni che si riprometteva di cercare e portare con sé le foto che servivano per il box set e poi, come al solito, se ne era completamente scordato. Diamine, odiava alla follia essere così distratto. E la sua rabbia, ovviamente, invece che sfogarsi su lui stesso, si rifletteva sugli altri... così, non appena aveva chiamato Patti per domandarle se poteva trovarle al posto suo, si era posto con arroganza e sufficienza.
Abbassò il capo, scuotendolo, distogliendo per qualche istante lo sguardo dalla strada, che sembrava tutta uguale, infinita. Maledizione, voleva soltanto arrivare a casa a Rumson il prima possibile. Rafforzò la presa sul volante, come per darsi forza.
Certo, avrebbe dovuto parlare con Patti, appena arrivato a casa... doveva solo sperare che il suo lato più orgoglioso e testardo non prendesse la meglio, perché altrimenti avrebbero certamente litigato. Sospirò: era molto migliorato rispetto a quando era giovane, ma spesso non era comunque abbastanza. Quando aveva una trentina di anni si impuntava su ogni idiozia e fargli cambiare idea era del tutto impossibile ed, anzi, ogni tentativo di persuaderlo si trasformava automaticamente in una ragione, per lui, per ribadire ancora di più le proprie granitiche convinzioni. Adesso, quantomeno, farlo ragionare era possibile: Patti, a forza di lavate di capo ed incazzature, gli aveva fatto notare questo suo aspetto e lui ci aveva lavorato.
Lei aveva questo potere, su di lui: quello di fargli vedere chi era e decidere se cambiare. Adorava quell'aspetto di lei: quella sua innata capacità di guardare aldilà della sua apparente sicurezza, cogliendo ogni debolezza e dubbio e mettendoli a nudo. Certe volte lo innervosiva, certo, perché gli sembrava di non essere capace di restituirle altrettanto: la notte la stringeva forte, come quando erano ancora giovani ed il loro amore neonato, e sperava di riuscire ad essere l'uomo di cui lei aveva bisogno, che lei voleva al proprio fianco per il resto della vita. Sperava che lei lo desiderasse ancora e non smettesse mai. La loro relazione aveva sicuramente del romantico, ecco.
Eppure gli capitava comunque di discutere, animatamente, come quella mattina. Gli capitava comunque di ferirsi, talvolta anche intenzionalmente, senza neppure mormorare una scusa. Si strinse nelle spalle da solo: forse era così che funzionavano le relazioni durature...
No, doveva piantarla di pensare. Quando metteva in funzione gli ingranaggi del cervello, quelli cominciavano a mostrargli improbabili visioni oscure e distorte del futuro. E di tutto aveva bisogno, in quel momento, tranne che di altri pensieri negativi.
Accese la radio ed aumentò il volume al massimo, per evitare di dover riflettere, ma la sorte non fu così benigna: la stazione, infatti, stava trasmettendo
Bobby Jean. Cristo, quanto cazzo odiava ascoltare la propria musica alla radio.
Fece per cambiare frequenza, ma la sua mano protesa si bloccò a mezz'aria, per poi ritrarsi: tutto ad un tratto, un antico ricordo gli era tornato prepotentemente alla memoria. Sì, proprio a causa di quella canzone che aveva cantato centinaia di volte. Sorrise sornione tra sé e sé. Quanto tempo era passato? Trenta anni, forse? Non ne era certo, gli sembrava una vita. Si grattò la barba ingrigita e rada, mentre i suoi occhi vagavano sulla linea dell'orizzonte, come alla ricerca di qualcosa, della capacità di ricordare.
Pian piano, il suono del motore si fece più intenso, cantilenante, e la melodia familiare si fece più forte: ormai non udiva più niente, solo quelle note lo circondavano, nient'altro, ed i ricordi cominciarono lentamente a riaffiorare...

In un hotel da qualche parte negli States, 1984

Erano due le ragioni per cui Bruce adorava i concerti: prima di tutto, poteva fare l'idiota per tre ore ininterrottamente senza che nessuno lo giudicasse; e poi, soprattutto, amava l'adrenalina e l'euforia che gli rimaneva come attaccata alla pelle dopo aver finito di suonare. Si sentiva leggero, spensierato, ed anche se era sfinito e sudato, non riusciva mai a dormire.
Al contrario, spesso continuava per ore ed ore a vagare per i corridoio dell'hotel in cui alloggiava, indeciso se tornare in camera e cercare di concedersi un po' di riposo, uscire a fare baldoria o starsene semplicemente lì a ripensare a tutti i momenti più belli ed emozionanti della serata di musica che si era appena conclusa. La prima opzione veniva scartata a prescindere, dato che la sua insonnia non gli dava pace, ed anche la seconda era quasi sempre impraticabile, considerato che spesso i ragazzi della band erano davvero troppo esausti per uscire con lui; dunque, alla fine, il verdetto era sempre il medesimo: si faceva una doccia veloce, calda, e, coi capelli ricci ancora bagnati, si passava un asciugamano intorno alle spalle ed usciva a torso nudo dalla camera, alla ricerca di un punto dell'hotel isolato e confortevole dove poteva andare a rifugiarsi coi propri pensieri. Era diventato quasi un rituale, ormai.
Quella sera uscì dalla propria camera silenzioso, con le mani in tasca, e si mise come al solito alla ricerca del proprio angolo di riflessione. L'ambiente era immerso nel più assoluto silenzio, interrotto soltanto da un sommesso russare proveniente dalla camera di Roy e da un parlottare concitato che sembrava giungere dalla stanza di Clarence: come al solito, Big Man aveva bisogno di guardare la TV per addormentarsi. Sorrise e scosse la testa ancora umida per la doccia, per poi riprendere a camminare.
L'aria fresca del corridoio gli carezzò la pelle nuda del petto, solleticandolo appena e facendogli venire i brividi: era quello che lo emozionava così tanto od i ricordi vividi di quella serata passata a suonare rock'n'roll coi suoi migliori amici?
No, doveva essere cauto. Doveva attendere: finché non avesse trovato il suo rifugio, non doveva farsi cogliere impreparato dalle memorie.
Non impiegò che qualche minuto prima di trovare un cantuccio che sembrava fare al caso suo: accanto ad un ripostiglio delle scope, sotto una luce che funzionava solo a scatti, dando all'ambiente circostante un aspetto abbastanza lugubre, era appoggiata una brandina sprovvista di materasso. Che un inserviente l'avesse tirata fuori per qualche ragione scordandosi poi di rimetterla a posto?
Beh, ad ogni modo non gli importava. Era perfetta per il suo scopo.
Mettendosi in ginocchio, la aprì e la sistemò per lungo nel corridoio, per poi stendervisi supino con un lieve sospirò. La branda rispose al contatto col suo corpo con un cigolio abbastanza inquietante: che fosse stata messa lì perché era rotta e doveva essere buttata via?
Beh, ormai non valeva assolutamente la pena pensarci più di tanto. Chiuse lentamente i grandi occhi marroni e intrecciò le mani sulla pancia. Ecco, adesso poteva concedersi di volare via con la fantasia, fondendola con i ricordi di quella sera e con le sue opinioni: aveva scoperto che non esisteva modo migliore per fissare nella mente i bei momenti della sua vita. Perché no, non voleva perderli.
Quella notte le prime memorie che affiorarono nella sua mente euforica furono le note di una sua canzone, ma non una a caso: era proprio Bobby Jean. Era una canzone un po' inusuale, quella, per il suo modo di scrivere: aveva già parlato di amicizia nei suoi testi, ma mai in modo genuino e spontaneo come in quel brano. In Backstreets, ad esempio, il protagonista e Terry sembravano ruotare l'uno intorno a l'altro legati da un rapporto di amore incondizionato e, al tempo stesso, di odio, vendetta, in una vita di malinconia e rabbia; in Bobby Jean le emozioni espresse erano ben diverse: c'era nostalgia, ma soprattutto, tanto, tanto affetto e comprensione.
Spesso i giornalisti gli domandavano se l'avesse scritta per Steven, dopo che gli aveva annunciato che voleva lasciare la band... A dirla tutta, non lo sapeva nemmeno lui. Forse era stato inconsapevolmente condizionato dalla sua partenza. O forse quello di cui voleva parlare era di un'amicizia che supera spazio, tempo ed incomprensione. Un'amicizia che può durare nonostante tutto e tutti.
Un altro brivido lo percorse, e stavolta sapeva per certo che non era stava l'aria ventilata dell'hotel a provocarglielo.
No, era proprio ripensare così intensamente a Bobby Jean che lo faceva lievemente tremare, dopo il concerto appena trascorso e per una sola ragione: l'aveva cantata duettando con Patti.
Un sorriso appena abbozzato si dipinse sui suoi lineamenti stanchi: già di per sé era meraviglioso avere Patti sul palco, dato che era molto energica e spigliata, ma quando poi si mettevano a cantare insieme, allo stesso microfono... Si creava qualcosa di molto simile alla magia: il modo in cui si guardavano negli occhi, senza mai abbassare lo sguardo, la maniera in cui la sua voce alta e soffice si univa ed intrecciava sinuosamente alla sua, roca e potente, l'energia che si instaurava tra i loro corpi sudati che si muovevano a ritmo di musica...
E poi, appunto, avevano cantato Bobby Jean. Mica una cazzata qualsiasi.
Guardarla nei suoi grandi occhi smeraldo mentre pronunciava le parole “non ci sarà più nessuno da nessuna parte o che in nessun modo potrà capirmi come facevi tu”, lo faceva emozionare. Era bello, era come... come se mentre armonizzavano la melodia di quel brano si fossero fatti l'ennesima promessa, quella di un'amicizia che non sarebbe mai stata tradita. E Bruce non poteva negarlo: ne aveva bisogno, di promesse simili. Se poi arrivavano da una come Patti, allora, a maggior ragione.
Aveva scoperto in quella ragazza dai modo gentili ma decisi ed i capelli color fuoco una confidente come non immaginava potessero essercene altre al mondo: insomma, era vero, anche con Steve e Clarence parlava liberamente del più e del meno, ma su certi argomenti... su certi argomenti proprio si bloccava, non riusciva a sfogarsi, come se avesse timore a mostrare i propri lati più deboli e nascosti, come se mostrare quei suoi anfratti nascosti e ricolmi di timore, li avrebbe allontanati od avrebbe fatto perdere loro il rispetto che normalmente nutrivano per lui.
Con Patti, invece, era tutt'altra questione: era lei a spronarlo senza posa perché si confidasse, perché non avesse timore a rivelare ciò che davvero era. Lei non odiava i suoi difetti: lei li individuava e cercava di comprenderli con lui, di capirli e, se possibile, trovar loro una risoluzione.
Era bella, intelligente e sensibile... Era quasi dispiaciuto che fosse nella band. No, okay, era davvero una cosa cattiva da dire. A disagio per quel pensieri si rigirò appena nella brandina, che per la seconda volta cigolò ancora più acutamente. Non è che gli dispiacesse... Soltanto che facendo parte della band, non se la sentiva di avvicinarsi troppo a lei: potevano essere amici, ma niente di più. Era una regola: ciò che faceva parte della band, lì doveva rimanere.
Ciononostante, loro due si volevano bene. E ciò era abbastanza: aveva trovato qualcuno... gli mancava da tanto tempo, avere qualcuno. Un qualcuno, tra l'altro, ferito come lui: perché sì, anche se Patti non parlava mai troppo di sé, Bruce aveva intuito qualcosa, di lei... una sorta di ombra che incombeva minacciosa sul suo passato e che ogni tanto tornava ad insidiarla. L'aveva notata in un'ombra fugace nei suoi occhi color smeraldo, in un sospirò sin troppo lungo, in un repentino irrigidimento del suo corpo o in un lieve tremolio nelle sue mani. L'aveva vista con fin troppa chiarezza quando l'aveva ridotta in lacrime, il giorno dell'inizio del tour. Un magone lo assalì, al pensiero. Si era ripromesso che mai, mai più avrebbe agito in quella maniera, così ingiusta, così crudele... Anzi, ora come ora, il suo scopo era quello di comprendere l'oscurità che si celava nel cuore di Patti ed aiutarla ad espellerla.
Perché lei faceva tanto, sin troppo, per lui. E lui non voleva deluderla.
Nella sua mente, le note di Bobby Jean ripresero ad essere nitide, chiare, come se la stesse ancora suonando in quell'istante; spostandosi appena con la schiena, protese entrambe le braccia di fronte a sé. Gli occhi erano ancora serrati. Poi, con le mani, cominciò a fare la cosa più semplice e infantile del mondo: si mise a mimare una chitarra.
D'altronde, ognuno si rilassava come preferiva. E quello era il suo modo.
Ma quel momento di pace era destinato a durare ben poco: d'un tratto, infatti, un urlo acuto e lancinante gli fece spalancare gli occhi di colpo. Cosa diamine poteva essere stato? Come una molla, schizzò a sedere sulla brandina che, abbastanza ironicamente, non resse a quel movimento tanto veloce e si richiuse all'improvviso, colpendo Bruce e facendolo cascare sonoramente per terra. Con la sua solita sfortuna, il viso fu la prima parte del corpo ad impattare con una certa violenza il pavimento.
Imprecò a denti stretti, ma la preoccupazione superò la rabbia: era praticamente certo di conoscere la voce che aveva lanciato il grido. Dolorante, si tirò in piedi velocemente e rimase immobile, in ascolto, per essere certo di non aver soltanto preso un abbaglio; quando stava per lasciar perdere, giunse un secondo grido, più breve, ma altrettanto acuto... ed adesso che vi aveva prestato attenzione non aveva alcun dubbio: si trattava di Patti. Era stata lei. Deglutì, strabuzzando gli occhi, e il cuore parve balzargli in gola. Cosa diamine poteva esserle successo?

Non ci pensò due volte prima di cominciare a correre a perdifiato verso la stanza dell'amica, contraendo ritmicamente i muscoli di mani e gambe. Non voleva essere preoccupato, magari non ce n'era alcuna ragione: magari non era stata lei o magari... Beh, non lo sapeva, ma doveva assolutamente essere sicuro che tutto andasse bene. Doveva.
Non impiegò che qualche secondo ad arrivare a destinazione, tanto si scapicollò e, immediatamente, trafelato, iniziò a bussare ripetutamente alla porta, chiamandola.
“Patti?”, gridò, col fiatone, “Tutto bene?”.
“Bruce?”, sentì rispondere da una voce decisamente spaventata all'interno della stanza, “Entra!”.
“Stai bene?”, le domandò prontamente, rasserenato dall'averla udita.
“Tu entra!”, berciò lei, con il tono un po' più alto. Bruce non era del tutto certo se dovesse preoccuparsi o ridere.
“E come dovrei fare? Non mi risulta di avere la chiave della...”.
Prima che potesse concludere la frase, Patti lo interruppe. “Imbecille, è aperto!”.
L'uomo scosse la testa riccioluta ed ancora umida: se trovava tante energie per insultarlo, forse non era poi in grave pericolo. Poco male: non gli dispiaceva farle visita.
“Eri in attesa di un appuntamento galante?”, domandò, marcatamente sarcastico, “E' l'unica spiegazione logica che riesco a dare ad una porta aperta nel cuore della...”.
Piantala di scherzare ed entra!”.
Bruce a stento contenne una risata e, stringendosi nelle spalle muscolose, irruppe nella camera, con fare volutamente eccessivamente enfatico: si sentiva un po' come James Bond, ma gli mancavano sia i centimetri che lo charme, per assomigliargli. Per non parlare di un buon Martini! Cosa avrebbe dato per averne uno sottomano.
Appena varcato l'uscio, la scena che gli si parò davanti lo stupì e stavolta ogni sforzo fu vano: una risata scrosciante proruppe dalle sue labbra carnose.
Non c'è nulla da ridere!”, esclamò offesa Patti; era stesa a letto, immobile, spettinata, e sulla sua camicia da notte, all'altezza della pancia, una cavalletta lunga almeno sei centimetri la scrutava, imperturbabile. La donna ricambiava lo sguardo dell'imponente insetto, ma nei suoi occhi verdi si notava un terrore che di certo non era presente in quelli della bestia.
Ecco la vera origine di quelle urla notturne che tanto lo avevano spaventato... e che gli avevano fatto rimediare una bella botta al viso. Sogghignando, chiuse la porta alle proprie spalle, e si appoggiò al muro, con le braccia conserte.
“Vi state sfidando?”, domandò, con un gesto della mano, “La prima che distoglie lo sguardo perde?”.
“Non è affatto divertente!”, si lamentò lei.
“Strano”, rispose lui, “Io mi sto divertendo. E nemmeno poco”.
Probabilmente, in un'altra occasione, Pats lo avrebbe letteralmente fulminato per una affermazione del genere, ma al momento era troppo occupata a tenere d'occhio la sua nemesi. “Smettila di fare lo spiritoso e toglimi questo coso di dosso!”, si limitò a biascicare quindi, con tono di rimprovero.
“E io che ci guadagno?”, chiese, protendendo le labbra.
Patti sospirò. “Immagino che la mia eterna gratitudine non sia abbastanza”.
Bruce si rilassò ancora di più contro il muro della camera e parve riflettere... in modo molto plateale. Dopo quasi un minuto, infine, si decise a parlare. “Me la farò bastare, dai”, commentò, prendendola in giro.
Si avvicinò pian piano al letto dell'amica, facendo attenzione ad essere silente... Non voleva spaventare l'animale. Se lo avesse fatto, chissà dove sarebbe volato! Ma soprattutto, chissà che urlo acuto avrebbe lanciato Patti. No, decisamente, preferiva di gran lunga essere silenzioso.
Quando infine si trovò a mezzo metro dalla temibile cavalletta trattenne il respiro e, concentrato, la afferrò con due dita, con una delicatezza che di solito riservava solo alle donne. Nell'atto, sfiorò appena il candido tessuto della camicia da notte di Patti. Lei parve sussultare al contatto e, per poco, non fece volare via la bestiaccia... ma Bruce fu cauto e, imprigionandola nel palmo della mano, la portò alla finestra e lì la liberò. L'insetto parve indispettito dall'essere stato così bruscamente sfrattato e se ne volò via, senza neppure guardarsi indietro.
“Alla prossima, piccoletta”, mormorò Bruce, osservando l'oscurità della notte con fare romantico.
Udì Patti mettersi a sedere sul letto, dietro di lui. “Grazie”, balbettò, forse leggermente imbarazzata.
L'uomo si girò e la guardò: era molto bella, alla luce pallida della luna, mischiata come in una tavolozza di colori al giallo delicato della lampada posata sul comodino. La sua pelle pareva perla, ceramica, grano appena tagliato... Si riscosse dai propri pensieri, indossando nuovamente il proprio miglior sorriso ironico.
“Non ti facevo una di quelle donne terrorizzate dagli insetti”, la punzecchiò, gustandosi ancora la sua vista, con indifferenza. Quella massa disordinata di capelli rossi gli ricordavano i campi di papaveri accanto alla sua casa, ed il modo in cui ondeggiavano sensualmente alle carezze del vento, il loro odore intenso, inebriante...
“Non lo sono”, borbottò lei, “Almeno, non di solito. Mi piacciono anche, alcuni insetti. Solo che le cavallette... saltano, ecco”.
“Considerazione acuta”, la canzonò lui.
“Hai capito cosa intendo”, ribatté prontamente Patti, sistemandosi la frangia con un gesto di impazienza, “Non sai mai cosa diamine potrebbero fare”.
“Hai ragione”, confermò Bruce, grattandosi pensosamente il mento rasato, “Potrebbero pianificare la conquista del mondo, grazie alle loro incredibili capacità”.
“Smettila”, tagliò corto Patti, cercando di nascondere il rossore che si era impadronito delle sue guance e le sue orecchie, continuando a passarsi le dita tra i capelli, sempre più nervosamente. Bruce andò a sederle accanto, sul letto, e lì si specchiò nelle sue iridi. Le sorrise, mentre con una mano callosa le toglieva dolcemente la frangia da sopra gli occhi.
“Faccio l'ultima considerazione, poi giuro che la smetto”, esordì, “Potevi evitare di gridare in quel modo nel bel mezzo della notte per un animaletto”.
Lei abbozzò un sorrisetto, ma dal modo in cui abbassò il capo, cercando di evitare il suo sguardo, Bruce intuì che dovesse esserci qualcosa che gli teneva nascosto. O, perlomeno, qualcosa che lei non gli aveva detto. D'altronde lo sapeva: c'era un'oscurità nel passato di quella donna che voleva scoprire, ma solo per portarle nuova luce. Per concederle un focolare sicuro.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”, le domandò, pacatamente.
Lei sospirò appena e arricciò le labbra un istante, prima di parlare. “Ho... La seconda volta ho urlato per la cavalletta, lo ammetto, la prima, però...”. Si interruppe. Bruce percepì interiormente un bisogno: voleva guardarla negli occhi. Le afferrò il mento con delicatezza e si perse in quei lineamenti così unici, semplici, eppure misteriosi al tempo stesso.
“Lo sai che puoi dirmi tutto, vero?”, la rassicurò, passandole un braccio attorno alle spalle, “Tu ci sei sempre per me. Io, invece, no. No, non dire nulla. So che è così. Non sono un amico ideale, ne abbiamo già parlato. Ma posso migliorare... anzi, lo desidero”.
“Non... non so se ti interessa”, si limitò a replicare lei, chiudendosi nelle spalle. Bruce notò solo allora le piccole lentiggini che le ricoprivano le braccia, minuscole, colorate, dolci, come pennellate di un quadro puntinista.
“Perché non dovrebbe?”, chiese lui, aggrottando le sopracciglia con aria d'incomprensione.
“Perché... Beh, perché la mia vita non è la tua, Bruce. Tu hai avuto un'infanzia difficile, un'adolescenza quasi peggiore e nessuno ti ha mai regalato niente. La mia esistenza è complicata a causa mia. Sono io che la rendo tale, inseguendo sogni impossibili, complicando sempre tutto, riflettendo sin troppo... No, la mia vita non è la tua”.
“Cosa c'entra?!”, sbottò lui, poi si ricompose, rendendosi conto che il suo tono aveva turbato Patti, “Patti, parlami. Ti prego”.
“Ti spezzerebbe il cuore, se tu sapessi tutto quanto”, mormorò lei, appoggiandosi al suo petto, forse proprio per ascoltare il suo battito cardiaco. Bruce si stupì nel sentirsi sussultare al contatto della sua guancia morbida contro il suo corpo.
“Non ti preoccupare”, le rispose, tenendola stretta a sé, “Se qualcuno mi deve spezzare il cuore, sono contento sia la migliore amica, e non qualche ragazza snob con la puzza sotto il naso”.
Percepì le labbra di Patti che si incurvavano in un sorriso dolce e malinconico contro la pelle del suo busto. E poi, lei incominciò a parlare.
“La prima volta che ho urlato, stanotte, non è stato per un insetto o qualche banalità del genere... Beh, forse sì, si trattava di una banalità, ma ogni tanto sono proprio quelle a complicarci la vita. Stavo dormendo. Dormivo e sognavo: ero tornata ad Asbury e cantavo, sul palco. Non ricordo cosa, ma era una canzone bellissima, potente, e tutti mi guardavano, dal basso. Mi ammiravano. Era strano, era perversamente... appagante. Ma come ogni sogno appagante che faccio, era destinato a finire: ad un certo punto la mia voce si è mutata in un soffio, poi un rantolio, che mano a mano si faceva più basso e indistinto. Alla fine, non cantavo più: ero muta. Ma tutti continuavano a osservarmi, e nei loro occhi c'era scherno, sulle loro labbra risate scroscianti. Volevo scappare, ma non potevo. In quel momento i miei genitori sono arrivati ed hanno iniziato ad urlarmi quelli che sono i loro soliti rimproveri: Quando ti troverai un vero lavoro? Dovresti mettere su famiglia! Allora mi sono svegliata, coi loro visi impressi ancora sotto le mie palpebre... il punto è che... loro mi vogliono bene, mi sostengono, ma hanno paura che non diventerò mai nessuno. Vorrebbero nascondere questa loro paura, ma non ci riescono. Perché non posso semplicemente essere la figlia modello, con dei bambini ed un marito? Non lo so... vorrei esserlo, davvero, ma... quella... quella non sono e non posso essere io!”.
La sua voce si ruppe in un singhiozzo. Bruce la strinse forte, cullandola appena. Per lui era strano ascoltare qualcuno che apriva così il proprio cuore. Era straordinario e straziante al tempo stesso.
“Sei alla ricerca di una vita stabile, ma continui a seguire i tuoi sogni?”, le domandò. Lei fece di sì col capo rosso. “Allora non siamo poi diversi”, le mormorò, carezzandole i capelli. No, erano davvero simili, in maniera pericolosa e meravigliosa.
“Sai perché...”, cominciò Patti, che dovette interrompersi per un istante per prendere fiato, “Sai perché ti ho compreso così bene quando mi hai parlato della tua depressione?”.
Un groppo in gola assalì Bruce, che aveva intuito quel che l'amica stava per rivelargli.
“Perché lo sono stata anche io. Depressa, intendo”, concluse, prendendo la mano di Bruce, come se fosse un'ancora di salvezza che potesse salvarla dalla tempesta, “Non ho mai capito del tutto perché. Forse proprio per quello che hai detto tu, sì: non ero capace di trovare equilibrio. E per una donna, immagino, è anche peggio: per molti dovremmo limitarci ad essere madri, senza avere libertà. Solo che io non sono mai riuscita a equilibrare le libertà coi doveri, sono sempre stata un disastro. Ho perso l'identità, la sicurezza in me stessa, ho vissuto nella paura di scomparire... Ho anche cominciato a bere. Non è stato facile... uscirne, per così dire. Immagino non se ne esca mai del tutto”.
“Cazzo”, esclamò in un soffio l'uomo, “Perché non me lo hai detto quella sera a St. Paul?”.
“Perché dovevo dirtelo? Stavamo parlando di te e non volevo...”.
“No”, ringhiò Bruce, stringendo la mano libera a pugno, “No, Patti, era di te che stavamo parlando. Di come ti avevo ferito. Io volevo saperlo, Patti, io...”.
Lei lo interruppe, sedendogli di fronte. Il rossore chiazzato tipico del pianto le ricopriva delicatamente il volto pallido. I suoi occhi era rilucenti come non mai. “Non alzare la voce”, lo pregò, ma stavolta parlò con fermezza, con decisione. Qualcosa era cambiato.
“A me basta che tu sia qui ora”, concluse, ed un sorriso sottile si dipinse sulle sue labbra. Un sorriso che risvegliò qualcosa in Bruce, qualcosa che però non seppe riconoscere.
Sì, quella donna gli aveva spezzato il cuore. Perché era bella, era complicata, era simpatica, era gentile, era sofisticata ed era semplice, era furba ed era ingenua, era forte ed era delicata. Perché nel suo passato vedeva anche il proprio. Perché, perché... non lo sapeva nemmeno lui.
Si limitò ad abbracciarla. “Sono tuo amico, Pats”, le bisbigliò, “Ovvio che ci sono”.

Autostrada del New Jersey, ore 9;52
Soltanto più tardi Patti si era accorta del grosso livido sul viso che si era beccato per colpa della caduta dalla brandina e quello era stato un pretesto per prenderlo in giro. Ricominciare a scherzare gli aveva fatto piacere: era più bravo a dire cazzate che a confrontarsi con le proprie emozioni.
Spinse un po' di più sul pedale dell'acceleratore, cercando di coprire col motore il battito del suo cuore: era tanto che non ripensava a quella serata e, ora che lo aveva fatto, avrebbe voluto avere Patti tra le braccia, per cullarla, abbracciarla, baciarla, far l'amore con lei. Fare tutto quello che quella notte non aveva fatto, spaventato di poter provare sentimenti per un membro della propria band. Voleva dirle che l'amava. Anche se avevano litigato, sì. Forse soprattutto per quello.
Il sole pallido del New Jersey lo baciò, mentre la macchina si dirigeva sempre più velocemente verso l'orizzonte, verso casa.





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