II
Isola di Lord Howe, Australia
Hope non aveva mia amato viaggiare in
aereo ma per giungere
fino dall’Irlanda fino all’Australia in fretta non
c’erano molte altre
alternative.
Giunse a Sidney con le prime luci
dell’alba e da lì si fece
venire a prendere dalla cugina con una piccola imbarcazione. Aveva
calcolato la
stagione invertita ma si ritrovò comunque un po’
spiazzata dal caldo opprimente
dell’estate inoltrata australe.
La cugina fu lieta di rivederla e le
due si salutarono con
entusiasmo. Con la piccola valigia al fianco, Hope attraverso il
piccolo tratto
d’Oceano che ancora la separavano dalla meta. Decise,
passandoci sopra con la
barca, che sarebbe poi ripassata per lì per poter ammirare
meglio la barriera
corallina. Sorrise alla cugina, in costume da bagno argentato.
Loro due non avevano nulla in comune.
Hope era pallida e dai
capelli rossi e dritti mentre Umy, la cugina, aveva la pelle nera e i
capelli
blu oltremare, pieni di onde e ricci. Nemmeno gli occhi le facevano
assomigliare. Hope aveva gli occhi azzurri, Umy di un bel verde che
ricordava
le profondità del mare. Inoltre Umy era alta, più
di un metro e ottanta, e aveva
un fisico molto più femminile di Hope. Aveva un seno
piuttosto abbondante anche
se, in Hope, si notava di più la linea fra vita e fianchi.
Aveva gambe lunghe,
caviglie affusolate, un bel viso da pantera adornato con due occhi da
gatta.
Quello era un corpo da ammirare, constatò Hope. Si chiese
che reazione
avrebbero avuto i suoi “ammiratori” di Kilkenny nel
vedere una donna come sua
cugina passare davanti al loro Pub.
“Spero tu abbia portato il
costume, Hope!” ridacchiò Umy.
“Sinceramente no. Non
l’ho considerata una visita di piacere
alla partenza da casa. Vuoi portarmi a nuotare? Lui è
qui?”.
“Lui chi? Papà?
No. È appena partito con mamma. L’ha portato
in un posto più tranquillo. Ti ho chiamato qui per parlare
con il mio
fratellino e fargli fare qualcosa. Non trovi che sarebbe bello avere la
famiglia unita ogni tanto? Ma mio fratello non sa far altro che
divertirsi in
spiaggia tutto il giorno. Io sono arrivata da pochi giorni qui ma non
l’ho mai
visto fare altro…”.
“L’ultima volta
che ci siamo sentite eri a Città del Capo,
giusto?”.
“Sì. Ma poi
Ocean mi ha chiamato dicendo che papà non stava
bene e così sono venuta qui. Ma al mio arrivo
papà e mamma si erano già
spostati. Credo che il mio adorato fratellino mi abbia chiamato solo
perché da
solo non è in grado di restare e senza la mammina si sente
perso…”.
“Ma non vive da
solo?”.
“Sì. E da un
sacco di tempo ormai. Ma comunque vive in una
casetta accanto a quella dove stavano mamma e papà. A
portata di voce, si può
dire…”.
Hope sorrise. Pensò a suo
fratello nel bel mezzo del nulla
senza niente e senza nessuno e questo gli diede la conferma che in
famiglia
neanche uno aveva più di tanto in comune con qualcun altro.
Le due cugine giunsero a destinazione
ed entrambe scesero
dalla barchetta, che Umy assicurò con una cima. Assieme si
avviarono verso una
piccola casetta sulla spiaggia.
Dall’esterno sembrava
graziosa, con il tetto in foglie di
palma e le pareti di bambù o qualcosa del genere.
All’interno Hope notò subito
che aveva proprio un’aria da casa da single: era disordinata,
sporca e piena di
cose inutili. Un vero caos.
“Ti chiedo scusa per il
disordine” disse Umy “Ma, come ti ho
detto, sono giunta da poco qui e non ho avuto modo di pulire il porcile
che
lascia dietro di sé quel maiale di Ocean!”.
“Tranquilla…non
c’è problema!” sorrise Hope, schivando
un
calzino spalmato sul pavimento.
“Per quanto ti
tratterai?”.
“Non credevo per molto.
Specie ora che so che lo zio non è
qui”.
“Ho sistemato la camera.
Vieni…te la mostro”.
Hope annuì e segui la
cugina. Le due giovani entrarono in
una piccola stanza, divisa a metà da una tendina, una specie
di zanzariera
verde chiaro.
“Questa è la
nostra metà” spiego Umy. “Ho diviso la
camera
di Ocean. Non è comodissima ma noi donne sapremo
arrangiarci, vero?” sfoderò un
sorriso d’avorio e Hope rispose, poco convinta, con un cenno
del capo.
Dividere un letto singolo in due non
era mai stato il suo
sogno. Inoltre un inquietante mascherone da stregone aborigeno la
fissava,
appeso alla parete.
Appoggiò la valigia a
terra e Umy la incoraggio a venire in
spiaggia in costume.
“Ti presto il mio! Vedrai
che ti andrà benissimo!” propose.
Hope storse il naso con un ghigno. Di
sicuro non avevano la
stessa taglia.
La cugina allora, capito il suo
pensiero, le propose di
andare a comprarne uno, ma Hope rifiutò l’offerta.
Voleva rimanere pallida come
sempre e scottarsi non era mai stata una sua priorità.
La cugina, con un alzata di spalle,
si arrese alla sua
volontà e assieme andarono verso la spiaggia.
Vivevano su un’isola
piuttosto piccola e bastava uscire di
casa per essere vicino alla riva dell’Oceano. Umy
però condusse Hope in un
altro punto del lido, dove aveva piantato l’ombrellone. Le
due si sedettero,
Hope all’ombra e Umy al Sole, e guardarono le onde. Al largo
si poteva vedere
Ocean che faceva surf, gridando di gioia ad ogni cavallone. Umy
cominciò ad
agitare le braccia e fargli dei cenni per farlo tornare a riva.
“Ocean!! Fratellino! Vieni!
È arrivata Hope!” urlava.
Ocean girò gli occhi ma
ignorò a lungo la sorella,
continuando a fare lo stupido, e Umy si arrabbiò.
Un’onda particolarmente
alta prese alla sprovvista Ocean che
si ribaltò e finì sott’acqua. Ci rimase
per parecchio tempo. I turisti si
spaventarono e allungarono in collo verso il mare in cerca di quel
povero
ragazzo mentre la gente del posto rimase ferma e tranquillo: erano
abituati ai
lunghi tempi di apnea di Ocean. I più anziani raccontavano a
tutti che su
quell’isola c’era sempre stato un giovane in grado
di rimanere nelle profondità
dell’Oceano più a lungo di chiunque altro.
Dopo qualche minuto, Ocean riemerse.
Lentamente. Prima gli
occhi, poi la punta del naso, la bocca e poi via, via il resto. Con la
tavola
da surf sottobraccio andò verso la sorella, che gli diede
dell’idiota.
“Ciao
Hope!” salutò Ocean.
“Ciao
Ocean” rispose Hope.
Ocean era alto esattamente come la
sorella anche se l’unica
cosa che avevano in comune erano gli occhi; entrambi avevano gli occhi
verdi. Ocean
era biondo e riccio. Quando era in spiaggia teneva i capelli legati
creando un
piccolo codino. Con tutte le ore passate al Sole era molto abbronzato e
grazie
al surf aveva un fisico atletico, che molte donne e ragazze avevano
avuto modo
di notare al loro passaggio.
Hope ridacchiò osservando
il suo costume verde a
tartarughine. Lui sorrise e le mostrò con orgoglio
l’ennesimo tatuaggio, fatto
di fresco, sul polpaccio destro.
“Cosa ne pensi, cugina? Ti
piace?”.
Era una sirena su uno scoglio.
“Carino” ammise
Hope.
“Qual buon vento ti porta
da queste parti, piccola pazza?”.
“Inguaribile
pazza,
mi ha definito Baudelaire in una poesia. Comunque sono qui
perché mi era stato
detto che vostro padre stava male e quindi volevo dare una mano, fare
qualcosa.
Ma dato che lo zio non è qui, dovrò trovare un
altro modo per rendermi utile…”.
“Mamma lo ha portato
nell’Isola di Kai, in Indonesia. Dice
che là sta più tranquillo”.
“E voi due non li volete
raggiungere?”.
“No. Sono stati loro ad
andar via. Potevano restare qui e li
avremmo aiutati!”.
Nel tono di voce di Ocean si notava
tutto il suo disappunto
e il suo fastidio.
Anche Umy era contrariata, specie
dopo il viaggio che aveva
affrontato dal Sud Africa per giungere fino lì.
Hope li guardò con
rimprovero.
“Non dovreste comportarvi
così” iniziò ad ammonirli “In
fondo
sono i vostri genitori e fino a poco tempo fa avevano frequenti
contatti con
voi. Ora probabilmente vostra madre ha deciso di trovare un posto
più
tranquillo per suo marito che non sta bene, ma non per questo dovete
ignorarli!”.
“Io sono giunta fin qui per
loro” protestò Umy “Se restavano,
io aiutavo!”.
“Perché non li
raggiungete? Probabilmente voglio solo
questo…”.
“E tu perché non
vai da tuo padre?” sibilò Ocean.
Hope rimase in silenzio,
accigliandosi, e sbuffò.
“Io cerco sempre di
mettermi in contatto con lui!” tentò di
giustificarsi “Ma lui preferisce parlare al computer con
degli sconosciuti e,
soprattutto, aspetta che il suo adorato figlio maschio lo chiami e gli
stia
vicino”.
“E lui
dov’è? Dov’è tuo
fratello?” volle sapere Ocean.
“Hai presente
l’Annapurna?” sibilò Hope.
“Ma tuo padre non ha dei
problemi…non ha bisogno di nessuno”
azzardò Umy.
“Sicura? L’ultima
volta che ha risposto ad una mia chiamata
stava cantando "Jerusalem" e ora vive in Città del
Vaticano…sicura
che stia bene? Per me mica tanto…”.
Ocean scoppiò a ridere.
“Tuo padre a
Città del Vaticano?!” iniziò,
continuando a
ridere “Lo zio che vive accanto al papa?! QUELLO zio che vive
accanto al papa?!
Ha avuto un improvviso attacco mistico? E tuo fratello?! Che ci
và a fare su un
monte di più di 8000 metri?! Hai ragione! Ci sono davvero
dei problemi in
questa famiglia!”.
“Non sarebbe bello porvi un
rimedio?” parlò Hope, guardando
il vuoto dell’orizzonte.
“Forse hanno entrambi
reagito in questo modo così strano
dopo la morte di tua madre…” ipotizzò
Umy, con aria triste “Immagino che non
sia facile né per tuo fratello né per tuo
padre”.
“Neanche per me
è facile ma non do di matto!” ribatté
Hope.
“Forse tu hai un carattere
più forte…”.
“Più forte di
mio padre?! Ocean! È di mio padre che stiamo
parlando! Hai forse dimenticato ciò che ha fatto in
passato?! O devo
raccontarti tutta la storia?!”:
“La conosco la storia,
Hope. Ma ho sempre pensato che tuo padre,
nel profondo, fosse fragile e solo. In tua madre vedeva
un’ancora. Una persona
speciale in grado di capirlo. Con la sua morte, non sa a chi rivolgersi
per
essere compreso”.
“A me! Può
rivolgersi a me!” si lamentò Hope “Ma
non lo fa
mai! Per lui esiste solo il suo prezioso figlio maschio, destinato a
grandi
cose. Io sono inutile e non programmata, secondo il suo punto di vista.
Se mi
chiamasse io lo ascolterei, se mi rispondesse io lo sosterrei. Ma non
esisto
per lui. Credetemi se dico che faccio del mio
meglio…”.
“Ti crediamo”
disse Umy.
“Forse una soluzione
c’è…per entrambe le
cose…” iniziò
Ocean, con aria meditabonda “Ricapitoliamo: tu, Hope, vuoi
riunire la famiglia
e sei preoccupata per tuo padre. Noi siamo preoccupati per il nostro e
vorremmo
veramente un sostegno collettivo. Forse lo zio ci può
aiutare…”.
“Quale zio?”.
“L’unico che non
ha problemi, almeno all’apparenza. Lo Zio
con la Z maiuscola! Quello che si esalta ti essere al di sopra di
tutto. Dato
che, se da lui parte un ordine, tutta la famiglia è riunita,
credo sia la cosa
più giusta andare a parlarci. Convinciamo tutti a ritrovarci
nello stesso
punto. Tutti quanti. Una volta tutti assieme sono sicuro che una
soluzione
almeno a qualcosa si trova”.
“Sono d’accordo
Ocean, ma c’è un problema…io non so
dove si
trovi lo zio adesso” ammise Hope.
“Ma io so dove sta Kriss,
suo figlio!” esclamò Ocean.
“Quello è
facile. È da anni ormai che passa tutto febbraio a
Rio de Janeiro per guardar le sfilate di
carnevale…” ridacchiò Umy.
“E dopo siamo noi quelli
con i problemi…spero che almeno lo
zio sano che ci resta non si sia dato alla droga, all’alcol,
agli spogliarelli
di gruppo o ad altre cose strane!” rise Hope.
“Se voi siete
d’accordo io vorrei fare un tentativo.
Dividiamoci. Tu, Hope, và da tuo padre e prova a convincerlo
a venir da noi in
Indonesia…”.
Hope annuì, pur poco
convinta.
Ocean continuò
“…io andrò da Kriss. So dove abita e so
come
convincerlo, almeno credo! Quando mi avrà detto dove si
trova suo padre,
decideremo chi andrà da lui a parlarci. Tu, sorellina,
potresti andare dalla
mamma per aiutarla. Sono sicuro che lo gradirà”.
Umy fece un cenno. E si
dimostrò disponibile a raggiungere i
genitori.
“Ad ogni modo lo scopo
finale di tutto questo sarà
ritrovarci tutti assieme in Indonesia. Anche se non ho una gran voglia
di
farlo, sono piuttosto preoccupato per il fatto che stiamo dando tutti i
numeri!” concluse Ocean, con l’aria seria e
altezzosa di chi è convinto di
essere il solo in grado di salvare la situazione e risolvere i problemi.
Hope sorrise. Era esattamente la
soluzione a cui sperava di
arrivare. Tranne per il fatto di dover andare a cercare suo padre in
quello
strano posto in centro Italia.
Disse di dover andare a casa a
prenotare il biglietto
d’aereo.
“Perché prendi
l’aereo, cugina?” domandò Ocean.
“Hai un alternativa
migliore?” sorrise lei.
“Vola! Sei la
Speranza…vola! Senza strani aggeggi rumorosi”.
I due scoppiarono a ridere.
“Ricordati che è
inverno in Italia. Fa freddo!” le ricordò
Umy.
“Lo so! Vengo
dall’Irlanda dove, credetemi, fa molto più
freddo!”.
“Non ti preoccupare
più di tanto, cuginetta Hope! Ricorda
che la speranza è l’ultima a morire!”.
“Ma prima o poi muore,
Ocean!” sorrise Hope, alzandosi da
sotto l’ombrellone.
I tre si allontanarono dalla riva e
tornarono in casa.
“Peccato cuginetta. Sei
appena arrivata e già devi
ripartire. Peccato. Ti avrei portato a fare un giro.
Un’immersione o magari una
gita nell’entroterra Australiano, fra canguri, Koala e
conigli, tanti conigli
morbidi e fucilabili. Sì, insomma, capisci quello che
intendo”.
“Sarà per la
prossima volta cugino. Ho tutta la vita
davanti!”
“Che ore sono in
Brasile?” domandò Ocean, guardando
l’orologio appeso alla parete a forma di armadillo con un
piccolo coccodrillo
verde come lancetta dei secondi “Posso chiamare Kriss o
dorme?” si chiese,
dubbioso.
“Tanto non risponde
mai” gli fece notare la sorella “Ha la
testa sempre fra le nuvole!”.
“Confermo”
mormorò Hope.
Ocean ripose il cellulare rassegnato
e cominciò a cercare
qualcosa di pulito fra la marea di vestiti sparsi sul pavimento della
casa.
Mise una camicia a fiori e dei pantaloncini blu.
Hope costatò che non
serviva disfare le valigie. Si chiese
se sarebbe mai riuscita a dormire ma poi arrivò alla
conclusione che per un
giorno poteva anche farne a meno.
Umy era quella che avrebbe dovuto
affrontare il viaggio più
breve e quindi era di buon umore e rilassata. Preparò la
valigia con estrema
calma.
Ocean odiava l’aereo e
quindi era più nervoso all’idea di
dover affrontare tante ore di volo per poi cercare un cugino che
chissà dove
stava con la testa. Ma ormai era deciso. Si chiese se, magari,
chiedendo ai
delfini, avrebbe evitato inutili controlli antiterrorismo e simili
amenità da
aeroporto. Si consolò pensando alle belle ragazze di Rio.
Chissà…magari Kriss
ne conosceva qualcuna da presentargli!
Uscendo, Ocean salutò il
suo dingo, più selvatico che
domestico come animale, e che quindi non avrebbe sofferto per la
mancanza del
ragazzo. Gli raccomandò di far la guardia alla casa ma la
sorella scoppiò a
ridere dicendo che tanto non c’era pericolo: non
c’era niente da rubare salvo
cretinate di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Ocean si offese. Lui
adorava
ogni sua singola cretinata e gli sarebbe dispiaciuto separarsene!
Partirono, chi con entusiasmo e chi
meno, e si separarono
con la promessa di rincontrarsi il più presto possibile, e
questa volta con la
famiglia al completo.
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