I. Ogni
nostro primo contatto dovrà avvenire solo con civiltà che abbiano
raggiunto la
singolarità tecnologica interplanetaria.
La
Galassia è immensa: esporre alla sua vastità
civilizzazioni che non sono pronte a, o non vogliano, farne parte,
sarebbe un terribile
errore.
II. Ogni
nostro primo contatto dovrà
iniziare solo dopo aver raggiunto un metodo di comunicazione affidabile
e
comprensibile ad entrambi.
Perché
non vi siano fraintendimenti tra noi: quando
un singolo messaggio può plasmare la storia, esso deve essere composto
con
cura.
III. Ogni
nostro primo contatto dovrà
avvenire in un ambiente artificiale senza nessuna adiacenza con
reciproche
biosfere.
Il
rischio di contaminazioni deve essere
prevenuto ad ogni costo.
IV.
Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire con una sola nave e
attraverso un
numero limitato di emissari.
C’è
paura nei numeri, nello scoprire di essere
in minoranza o in svantaggio: ricordiamo quel timore.
V.
Ogni
nostro primo contatto dovrà procedere con prudenza.
Ogni
nuovo incontro è in sé un mistero: non da
temere, ma da esplorare. Se la loro reazione a noi fosse di
sofferenza, ci
si sforzerà di comprendere le motivazioni di questo, e correggere il
nostro
approccio.
VI.
Ogni nostro primo contatto dovrà
temperare il desiderio col giudizio.
Per
quanto grande possa essere il desiderio di
condividere con qualcun altro dopo aver creduto di essere stati soli
così a
lungo, scienza, tecnologia, storia, arte… sono soggetti così intimi e
straordinari, che non possono essere scambiati alla leggera, e senza
valutarne
attentamente le conseguenze a lungo termine.
VII.
Ogni nostro primo contatto dovrà procedere sperando per il meglio, ma
preparato
ad ogni scenario.
La
sete di conoscenza e la gioia della scoperta
non devono mettere in pericolo nessuna vita.
VIII.
Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere con onestà.
Nessuna
fiducia può essere costruita sulla
menzogna: risponderemo con verità alle loro domande e crederemo alle
loro
risposte, senza celare quando una risposta ancora non può essere
data.
IX.
Ogni nostro primo contatto dovrà
procedere senza essere influenzato da altri elementi.
Le
altre sfaccettature della vita non hanno
merito né colpa del momento in cui avviene il nostro incontrarsi. Non
vi sono
soluzioni da cercare nel loro esistere, né è giusto pretendere qualcosa
del
genere. Un primo contatto avviene quando uno di noi incontra altre
specie come
emissario di tutti, nessuno escluso, e parla per tutti, nessuno
escluso. Queste
condizioni sono imprescindibili per un primo contatto: ritardarlo, se
queste
non sono raggiungibili al momento, è la scelta più giusta da fare.
X.
Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare
con l’invio di questo protocollo.
Così
che anche le altre sfaccettature della vita
possano iniziare a comprendere noi, e i modi con cui all’inizio agiremo
nei
loro confronti.
***
“…Un
po’ più arido di quanto mi aspettassi. Che
ne pensi Jim?”
“Mi
chiamo Hans, signor Presidente.” replicò il
governatore continentale di Europa e Africa: nonostante il suo nome, il
suo
accento e il suo inesistente senso dell’umorismo, Hans Zimmerman era di
chiara
ascendenza africana.
Bizzarrie
dell’Umanità del 2250, in cui il
melting pot era la norma: ed era anche ora, pensò ancora una volta il
presidente Johnson. Uomo della folla e di visione, Fredrick Johnson era
il 17°
presidente dell’Umanità Unita e, a differenza del suo predecessore, i
nazionalismi gli facevano venire l’orticaria:
“Credo
che il presidente stesse cercando di
rompere il ghiaccio, Hans.” offrì Rose Palomar, governatore
continentale delle
due Americhe: “…Non capita tutti i giorni che una nuova specie venga a
bussare
alla nostra porta. Per così dire.” aggiunse precipitosa: Hans non era
persona
di immaginazione, metafore o spirito, ma non si poteva volergliene,
specie
perché compensava più che egregiamente in altri campi.
Alta
come un pugno, Rose Palomar non toccava
nemmeno terra quando era seduta nell’ampia poltrona dell’ufficio del
presidente, il che contribuiva a darle il gioioso aspetto di una
bambolina messicana,
specie dati i suoi variopinti abiti. Tuttavia non era arrivata a
diventare
governatrice del Nuovo Mondo solo grazie al suo spirito o al suo
aspetto.
Per
tutta risposta, il governatore di Europa e
Africa si aggiustò i suoi occhiali con un sospiro di insoddisfazione,
spingendo
con la base del palmo perché tornassero in cima al suo naso:
“Doveva
succedere, prima o poi.” commentò Ayaka
Yamamoto, governatrice di Asia e Oceania.
Miss
Yamamoto, come preferiva presentarsi,
governatrice con forte base popolare della regione della Terra che
ospitava
quasi metà dell’umanità, vestiva un abito nero dal taglio molto severo,
così
come quello dei suoi capelli. Le dava un’apparenza vagamente androgina,
ma la
moda del momento non risparmia nemmeno i governatori continentali,
soprattutto
quelli popolari come Miss Yamamoto. Unico stacco in quell'uniforme e
severo
look, era un mengu da uomo di metallo, la
maschera
da samurai che copriva bocca e naso, portata slacciata sul petto come
una
collana.
“…Ho
idea che la tua presidenza sia appena
diventata molto più interessante, Fredrick.”
“C’è
n’è una che sia davvero noiosa?” rifletté a
voce alta Johnson, accavallando le gambe con un sorriso: per lui essere
presidente era un po’ come pattinare sul ghiaccio.
Esibire
sempre un sorriso nonostante gli sforzi,
e sperare di non cadere mai davanti alla giuria: nel suo caso, il resto
dell’Umanità. La sua era una posizione molto stressante: c’era un
motivo se
nessuno dei suoi predecessori aveva voluto farsi rieleggere per un
secondo
mandato e Johnson dubitava che sarebbe stato il primo.
“Gli
esperti cosa dicono?” chiese compita
l’ultima occupante della stanza.
Susan
Ivanova, primo governatore della colonia
di Marte, aveva molte doti e una storia davvero particolare alle
spalle. Quando
doveva descriversi però, preferiva sempre farlo con sei semplici
parole: russa
figlia di ebrei e divorziata. Era anche la più giovane nella stanza, ma
non era
strano dato quanto Marte stesso fosse un insediamento nuovo e dinamico:
la più
lontana frontiera dell’Umanità per il momento, e di cui Susan portava i
colori
nei suoi abiti, in toni di rosso ruggine e mattone.
“Non
accetterei nessun parere di un esperto che
si definisse tale per una cosa del genere: nessuno ha idea di come
procedere,
perché nessuno di loro ha mai incontrato un non Umano. Ogni loro
osservazione
comincia con la frase, se fossero Umani. Il problema è che
non lo
sono. Non lo sono affatto.”
“E
se lo fossero?” chiese Hans: “…O per meglio
dire, come si rapportano gli esperti con questo protocollo?”
“Se
lo fossero, allora questo messaggio è da
stringere le chiappe. Anche se non per i motivi che potreste pensare.”
replicò
Johnson facendo spallucce: “…Ci prendono sul serio. Dannatamente sul
serio."
"Ed
è un male perché?"
“Per
cominciare, perché non sappiamo nulla su di
loro. È probabile che conducano primi contatti con specie diverse dalla
loro da
abbastanza tempo da avere un’esperienza empirica sulla quale basarsi
per stilare
un protocollo. È certo invece, che la loro nave si sposta più
velocemente di
quanto riusciamo a tracciarla.”
Le
migliori navi stellari dell’umanità, l’ultimo
ritrovato della tecnologia e dell’ingegno terrestre, impiegavano circa
cinque
giorni a varcare lo spazio tra Marte e il pianeta natale della loro
specie. Questo
però solo grazie ad un carburante che era allo stesso tempo pericoloso
e
instabile, e che rendeva ogni viaggio una spesa estrema da sostenere:
antimateria. I motori di Fermi, usati per spingere le grandi navi
cargo, erano
sì in grado di legare Gaia e Marte con un cordone ombelicale di merci e
passeggeri, ma consumavano 8 chili di quella difficile sostanza ad ogni
viaggio, quindi 16 per andare e tornare. La colonizzazione di Marte
procedeva,
doveva procedere in realtà, più per gli sforzi dei locali, piuttosto
che grazie
al resto dell’Umanità. Non era per indifferenza o crudeltà, Marte era
sempre
nei pensieri della Terra, ma non c’era ancora altro modo: acceleratori
di
particelle grandi quanto piccole nazioni riuscivano a fornire
l’antimateria
necessaria ad un viaggio Terra-Marte a malapena e solo in virtù del
loro numero.
L’LHC del CERN stesso, il primo e il più grande ancora a disposizione
dell’Umanità, riusciva a produrre a malapena antimateria per un chilo
all’anno,
ma questo solo per essere stato modificato apposta per quel compito. A
questa
situazione già così difficile, andavano poi aggiunti i problemi
logistici
relativi a gestire un materiale che si annichiliva, non semplicemente
esplodeva, se posto a contatto con qualunque altra cosa: 8
chilogrammi di antimateria liberano energia per 14,4*1011 Joule.
Il che basta a spiegare esattamente perché ogni passeggero
sull'espresso tra la
Terra e Marte viaggiasse sempre nervosamente e fosse obbligato a
compilare un
testamento prima di partire, che veniva riconsegnato poi all’arrivo.
Fino a
quel momento non c’erano stati incidenti, ma per la stessa natura della
statistica e della probabilità, sapevano tutti che doveva accadere
prima o
poi.
Il
primo contatto dell’Umanità con una specie
aliena era la ragione per cui Susan Ivanova si trovava lì in quel
momento in
effetti, dopo aver ordinato un trasporto straordinario: il governatore
della
colonia di Marte avrebbe volentieri preferito non tornare alla
madrepatria.
“Dove
si trovano in questo momento?”
“L’ultimo
rilevamento tracciava la loro
posizione attorno ai satelliti di Giove. L’osservatorio del vulcano
Olimpo l’ha
persa… circa sei ore fa.” riferì Palomar controllando il suo orologio
da polso,
decorato con fantasie che rimandavano ai Dia de Muertos.
“Manteneva
ancora lo stesso
comportamento?”
“Da
quello che abbiamo visto, sì: approcciano un
corpo celeste, si inseriscono in un orbita alta stabile ed emettono un
mix di
particelle di varia natura e forme di energia ad ampio spettro. Laser,
microonde, onde radio… compiuto un rilevamento, passano al successivo.”
rispose
Ivanova.
“Stanno
compiendo rilevamenti… o
ricognizioni?”
“Rilevamenti
probabilmente, dato che non sembra
vogliano avvicinarsi a Terra e Marte. Ancora.”
“Non
vogliono che pensiamo che ci stiano
spiando?”
“Forse…
ma ha senso che si prendano queste
preoccupazioni? Sono comparsi sopra Mercurio letteralmente dal
nulla.”
“Non
esattamente dal nulla.” corresse Johnson:
“…Rianalizzando le immagini dell’osservatorio Sol, sono emersi nuovi
particolari: sembra che fossero in decelerazione da velocità
superluminari.
Come sia possibile, è una domanda che metà dei miei esperti vorrebbe
fargli. Il
punto di origine è difficile da stimare, ma presumendo che abbiano
sempre
viaggiato in linea retta, è probabile che giungano da Beta Carina, a
113 anni
luce da noi.”
“Hanno
fatto un lungo viaggio per
incontrarci.”
“Lungo
per noi. E ancora non abbiamo risposto al
loro messaggio. Tempus Fugit, signori: se dovessero
decidere che
non vogliamo comunicare con loro, non potremmo impedirgli di andarsene.
E non
possiamo tenere la cosa segreta ancora più a lungo: la censura di
informazioni
è immorale in casi come questo, per quanto necessaria.” isterismo di
massa,
manifestazioni, disordini…
Nemmeno
Johnson sapeva come l’Umanità avrebbe
reagito alla notizia:
“Sono
d’accordo signor presidente: una risposta
si rende necessaria. Ma quale?”
Fredrick
sospirò: non c’erano manuali per
scenari come quello. Non ancora:
“Abbiamo
delle domande?” chiese
allargando i palmi.
“Piuttosto…
riduttivo, signor presidente.”
“Avete
idee migliori? Da quello che abbiamo
letto del loro protocollo di primo contatto, sembrano essere persone
dirette,
che prediligono la sincerità e la schiettezza, piuttosto che menare il
can per
l’aia. E sinceramente, non li biasimo. Non ho idea di come reagiranno a
noi, ma
so che l’Umanità intera, anche se pronta, si sentirà sommersa.”
“Dovremo
mettere in preallarme le forze
dell’ordine, e sospendere le contrattazioni azionarie a livello
interplanetario.”
“Per
cominciare.” annuì Hans: “…Ma ancora molto
altro dobbiamo fare.” aggiunse, esibendo un datapad su cui
l’inarrestabile afro
tedesco aveva preso molti appunti: non appena però si aggiustò di nuovo
gli
occhiali, Susan lo fermò con un gesto.
“Esattamente,
di quanti punti si compone la
lista questa volta?” le liste di Zimmerman erano famose: ti affogavano
nello
schema delle cose ancora prima di farle.
Il
resto degli occupanti della sala aveva
imparato da tempo a lasciarlo fare e adeguarsi poi alle sue tabelle di
marcia:
per quanto inflessibili, erano comunque sempre impeccabili. Questa
volta però,
non era possibile: nemmeno Zimmerman poteva decidere da solo per
qualcosa del
genere, e se ne rendeva conto perfettamente.
“103
punti e 25 commi.” rispose asciutto
Hans.
“Schiavista.”
sospirò il
presidente Johnson senza cattiveria.
Quel
pomeriggio, dopo essere stata informata dei
discreti ospiti che si trovavano nel loro sistema stellare già da quasi
una
settimana, l’Umanità unita trasmise un singolo, breve messaggio ai
quattro
angoli del suo dominio, piena di speranze ed entusiasmo:
“Abbiamo
molte domande.”
La
risposta non si fece attendere.
Tempo fa avevo
già pubblicato questo capitolo come stand alone, ma ho voluto tenerlo
nella storia (rimaneggiandolo ovvio): in primis, perché mi da una sorta
di cartina di tornasole su come storie brevi possano cambiare quando
inserite in una raccolta (o quanto meno dovrebbero xD), e inoltre è che
pur nella sua brevità, questo protocollo di Primo Contatto, riesce a
stimolarmi a parlare ancora di sé (da cui l'origine di questa
breve raccolta). E insomma, per certi versi universale.
Non pretendo che i capitoli che seguiranno lo siano altrettanto, ma
spero vi piacciano. |