Le cronache di Aveiron: Oscure minacce

di Emmastory
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Capitolo XII

Sana e salva

Per nostra fortuna, la pioggia aveva smesso di scrosciare, e mia sorella aveva ripreso i sensi. Sapevo bene che non eravamo legate dal sangue, ma la cosa non mi importava. Le volevo bene, e quella era l’unica cosa a contare. Averla finalmente ritrovata mi riempiva di gioia. L’unica cosa che ricordavo di lei era il suo viso nel giorno del suo allontanamento dal rifugio che avevamo trovato e iniziato a condividere. “A mai più rivederci.” Mi aveva detto, poco prima di sparire dalla mia vista e non tornare più indietro. A quelle parole, non avevo risposto, limitandomi a guardarla allontanarsi verso una tetra realtà, che stando alle mie convinzioni, me l’avrebbe portata via per sempre. Ad ogni modo, la fortuna ha deciso di rivolgere un sorriso nella mia direzione, e proprio oggi, lei è di nuovo accanto a me. Ora come ora, è occupata a cercare di scaldarsi per mezzo di una coperta, ed è stesa sul divano di casa. Sta cercando di riposare, ma ha finora conservato abbastanza energie da riuscire a parlarci. Ci guarda alternativamente entrambi, e una singola domanda trova la libertà grazie alla sua voce. “Stai bene?” mi chiede, mentre questa le si spezza a causa degli sforzi compiuti per fuggire e trovare un riparo. “Sì, Alisia, sto bene.” Risposi, dopo alcuni secondi di silenzio. “E lui chi è?” indagò, per poi abbandonarsi ad un colpo di tosse. “Mio marito.” Risposi, regalandole quindi un debole ma convincente sorriso. “Come?” esclamò, sorpresa. Guardandola brevemente negli occhi, compresi quanto fosse confusa, e mantenendo il silenzio, decisi di conservare il resto dei dettagli per un’occasione futura. In fondo, e stando ai leggeri lividi che aveva sulle ginocchia, doveva essere scivolata e caduta sul selciato a causa della pioggia, ferendosi in maniera fortunatamente lieve. Stava bene, ed io ero felice. Ad ogni modo, i minuti passarono, e mia sorella si addormentò. Cadde preda del sonno sul divano di casa, e proprio nel momento in cui Stefan ed io volemmo lasciarla da sola, nostra figlia Terra fece il suo ingresso nella stanza. Evidentemente, doveva aver sentito ogni cosa, e raggiungendo il salotto di casa, non attendeva che spiegazioni. “Chi è, mamma?” chiese, confusa e stranita da quella vista. Volendo unicamente soddisfare quel suo desiderio, la presi in braccio, e tornando a concentrarmi sul corpo della mia ora dormiente sorella, dissi la verità. “È zia Alisia, ma ora deve riposare.” Sussurrai, sperando di non disturbare il suo ora più che mai prezioso sonno. Lasciando la stanza, ci assicurammo che riposasse, e poco prima di darle le spalle, le parlai. “Bentornata.” Dissi, con voce bassa ma dolce al tempo stesso. Una semplice parola che avevo pronunciato poiché guidata dalle mie stesse emozioni, accompagnata da una piccola lacrima, che fredda e sola, mi scivolò sulla guancia. In questo caso, non l’asciugai, e rintanandomi nella mia stanza, riempii una nuova pagina del mio diario. Vi scrissi quanto era accaduto, riportandomi poi una frase che da lunghe ore mi galleggiava in mente, e che in quel fuggevole attimo, sentii di dover liberare per mezzo della mia fedele biro nera. “Non riesco a crederci, eppure mia sorella è oggi sana e salva.”




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